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DOMENICA DI PENTECOSTE, ANNO A

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CATECHISMO

Catechismo: Credo nello Spirito Santo


COMMENTI

Don Fabio Rosini, commento al Vangelo di Pentecoste, anno A

Ratzinger - Benedetto XVI. Omelie nella Pentecoste

Ratzinger - Benedetto XVI Lo Spirito Santo e la Chiesa nella Lumen Gentium

Ratzinger - Benedetto XVI « Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome»

Ratzinger - Benedetto XVI. L'intelletto, lo spirito e l'amore.

Ratzinger - Benedetto XVI. SPIRITO DELLA VITA - SPIRITO NELLA CARNE

F. Manns. Gerusalemme ci ricorda il dono dello Spirito

dom Prosper Guéranger. IL SANTO GIORNO DELLA PENTECOSTE

dom Prosper Guéranger. SABATO, VIGILIA DELLA PENTECOSTE

Escrivà. Sulla Pentecoste

P. R. Cantalamessa. Il frutto della Pentecoste è la comunità

P. R. Cantalamessa. Lo Spirito di Verità

Il Consolatore. P. R. Cantalamessa

P. R. Cantalamessa: “La lettera uccide, lo Spirito dà vita”

Giovanni Paolo II. Omelie nella Veglia di Pentecoste

Giovanni Paolo II. Egli vi darà un altro Consolatore

Don Divo Barsotti. L'azione dello Spirito Santo nella nostra vita

Il Cenacolo: Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso

JEAN DANIÉLOU. LA MISSIONE DELLO SPIRITO SANTO (Da "IL MISTERO DELLA SALVEZZA DELLE NAZIONI")

Cardinale Newman. PRESENZA DI CRISTO IN COLORO CHE POSSEGGONO IL SUO SPIRITO

STANISLAO LYONNET. IL DONO DELLO SPIRITO SANTO RICEVUTO PER MEZZO DELLA FEDE

Lo Spirito Santo: Le mani di Dio. F. G. Claudio Bottini

don Franco Cagnasso: “Avrete forza dallo Spirito Santo”

Jean Louis Ska s.j. Gen 11, 9 Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra



PADRI

Sant'Agostino. Io sono nel Padre mio, e voi in me ed io in voi.

Sant'Agostino. Il dono di un altro Paraclito.

Sant'Ireneo. IL DONO DELLO SPIRITO SANTO

Guglielmo di Saint-Thierry. LO SPIRITO SANTO DÀ L'INTELLIGENZA DELLA FEDE

San Fulgenzio. LA CHIESA, UNIFICATA DALLO SPIRITO PARLA TUTTE LE LINGUE

Dal trattato «Su lo Spirito Santo» di san Basilio Magno

San Basilio. Dal Trattato sullo Spirito Santo

S. Ilario. Il dono del Padre in Cristo



RADICI NELL'EBRAISMO

F. Manns. Gerusalemme ci ricorda il dono dello Spirito

Shavuot e Pentecoste

La Pentecoste


TEOLOGIA

Giovanni Paolo II. Dominum et vivificantem

STANISLAO LYONNET. IL DONO DELLO SPIRITO SANTO RICEVUTO PER MEZZO DELLA FEDE

JEAN DANIÉLOU. LA MISSIONE DELLO SPIRITO SANTO (Da "IL MISTERO DELLA SALVEZZA DELLE NAZIONI")

Fisichella. Il Consolatore, lo sconosciuto oltre il Verbo

Spirito. Dizionario interdisciplinare di Scienza e fede


GEOGRAFIA E ARCHEOLOGIA

Il Cenacolo: Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso



ARTE E LITURGIA

Icona di Pentecoste

DOMENICA DI PENTECOSTE, ANNO A

http://www.30giorni.it/foto/1153324651068.jpg


COMMENTI


Ratzinger - Benedetto XVI. Omelie nella Pentecoste

Ratzinger - Benedetto XVI Lo Spirito Santo e la Chiesa nella Lumen Gentium

Ratzinger - Benedetto XVI « Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome»

Ratzinger - Benedetto XVI. L'intelletto, lo spirito e l'amore.

Ratzinger - Benedetto XVI. SPIRITO DELLA VITA - SPIRITO NELLA CARNE

F. Manns. Gerusalemme ci ricorda il dono dello Spirito

dom Prosper Guéranger. IL SANTO GIORNO DELLA PENTECOSTE

dom Prosper Guéranger. SABATO, VIGILIA DELLA PENTECOSTE

Escrivà. Sulla Pentecoste

P. R. Cantalamessa. Il frutto della Pentecoste è la comunità

P. R. Cantalamessa. Lo Spirito di Verità

Il Consolatore. P. R. Cantalamessa

Giovanni Paolo II. Omelie nella Veglia di Pentecoste

Giovanni Paolo II. Egli vi darà un altro Consolatore

Don Divo Barsotti. L'azione dello Spirito Santo nella nostra vita

Il Cenacolo: Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso

JEAN DANIÉLOU. LA MISSIONE DELLO SPIRITO SANTO (Da "IL MISTERO DELLA SALVEZZA DELLE NAZIONI")

Cardinale Newman. PRESENZA DI CRISTO IN COLORO CHE POSSEGGONO IL SUO SPIRITO

STANISLAO LYONNET. IL DONO DELLO SPIRITO SANTO RICEVUTO PER MEZZO DELLA FEDE


PADRI

Sant'Agostino. Io sono nel Padre mio, e voi in me ed io in voi.

Sant'Agostino. Il dono di un altro Paraclito.

Sant'Ireneo. IL DONO DELLO SPIRITO SANTO

Guglielmo di Saint-Thierry. LO SPIRITO SANTO DÀ L'INTELLIGENZA DELLA FEDE

San Fulgenzio. LA CHIESA, UNIFICATA DALLO SPIRITO PARLA TUTTE LE LINGUE

Dal trattato «Su lo Spirito Santo» di san Basilio Magno

San Basilio. Dal Trattato sullo Spirito Santo

S. Ilario. Il dono del Padre in Cristo



RADICI NELL'EBRAISMO

F. Manns. Gerusalemme ci ricorda il dono dello Spirito

Shavuot e Pentecoste

La Pentecoste


TEOLOGIA

Giovanni Paolo II. Dominum et vivificantem

STANISLAO LYONNET. IL DONO DELLO SPIRITO SANTO RICEVUTO PER MEZZO DELLA FEDE

JEAN DANIÉLOU. LA MISSIONE DELLO SPIRITO SANTO (Da "IL MISTERO DELLA SALVEZZA DELLE NAZIONI")

Fisichella. Il Consolatore, lo sconosciuto oltre il Verbo

Spirito. Dizionario interdisciplinare di Scienza e fede


GEOGRAFIA E ARCHEOLOGIA

Il Cenacolo: Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso



ARTE E LITURGIA

Icona di Pentecoste

ASCENSIONE, ANNO A



CONCORDANZE

Concordanze di Mat, 28, 16-20


COMMENTI

Don Fabio Rosini. Commento al Vangelo di domenica, Ascensione, anno A

Suor Maria di Gesù Agreda. Visione sull'Ascensione

Card. Ratzinger. Ascensione

Una riflessione del Card. Ratzinger sull'Ascensione

Card. J. Ratzinger: ASCENSIONE Una nuova vicinanza

S. Fausti. Commento al Vangelo dell'Ascensione di Matteo

don Romeo Maggioni. Si staccò da loro e fu portato verso il cielo

Mons. Caffarra ASCENSIONE DEL SIGNORE

P.R. CANTALAMESSA: MI SARETE TESTIMONI

dom Prosper Guéranger. ASCENSIONE DI NOSTRO SIGNORE

GIOVANNI PAOLO II. Omelia sull'Ascensione

Giovanni Paolo II. Omelie sull'Ascensione

Paolo VI. Omelia sull'Ascensione

S. Escrivà. "L'Ascensione del Signore in cielo"


PADRI

Sant'Agostino. Ascensione del Signore al Cielo

sant'Agostino. Discorso sull'Ascensione

san Leone Magno. Discorso 2 sull'Ascensione

S. Leone Magno. Sull'Ascensione I

S. Beda il Venerabile. Discorso sull'Ascensione

Giovanni Taulero. Discorso sull'Ascensione

san Gregorio Magno. Omelia sull'Ascensione

san Massimo di Torino. Discorso sull'Ascensione

san Gregorio Palamas. Sull'Ascensione

san Gregorio di Nissa. Ascensione e Cantico dei Cantici

Dal Colloquio con Motovilov di Serafino di Sàrov. Sull'Ascensione


ESEGESI

Gnilka. Esegesi sul Vangelo dell'Ascensione di Matteo

S. Fausti. Commento al Vangelo dell'Ascensione di Matteo


GEOGRAFIA E ARCHEOLOGIA

ASCENSIONE E BETFAGE


ARTE E LITURGIA

IMMAGINI DELL'ASCENSIONE

Icona dell'Ascensione

ASCENSIONE, ANNO A



CONCORDANZE

Concordanze di Mat, 28, 16-20



COMMENTI


Don Fabio Rosini. Commento al Vangelo di domenica, Ascensione, anno A

Suor Maria di Gesù Agreda. Visione sull'Ascensione

Card. Ratzinger. Ascensione

Una riflessione del Card. Ratzinger sull'Ascensione

Card. J. Ratzinger: ASCENSIONE Una nuova vicinanza

don Romeo Maggioni. Si staccò da loro e fu portato verso il cielo

Mons. Caffarra ASCENSIONE DEL SIGNORE

P.R. CANTALAMESSA: MI SARETE TESTIMONI

dom Prosper Guéranger. ASCENSIONE DI NOSTRO SIGNORE

GIOVANNI PAOLO II. Omelia sull'Ascensione

Giovanni Paolo II. Omelie sull'Ascensione

Paolo VI. Omelia sull'Ascensione



PADRI

Sant'Agostino. Ascensione del Signore al Cielo

sant'Agostino. Discorso sull'Ascensione

san Leone Magno. Discorso 2 sull'Ascensione

S. Leone Magno. Sull'Ascensione I

S. Beda il Venerabile. Discorso sull'Ascensione

Giovanni Taulero. Discorso sull'Ascensione

san Gregorio Magno. Omelia sull'Ascensione

san Massimo di Torino. Discorso sull'Ascensione

san Gregorio Palamas. Sull'Ascensione

san Gregorio di Nissa. Ascensione e Cantico dei Cantici

Dal Colloquio con Motovilov di Serafino di Sàrov. Sull'Ascensione



GEOGRAFIA E ARCHEOLOGIA

ASCENSIONE E BETFAGE



ARTE E LITURGIA

IMMAGINI DELL'ASCENSIONE

VI DOMENICA DI PASQUA, ANNO A

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Il commento al Vangelo della VI domenica di Pasqua, anno A



COMMENTI

Ratzinger - Benedetto XVI « Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome»

Ratzinger - Benedetto XVI. SPIRITO DELLA VITA - SPIRITO NELLA CARNE

Ratzinger - Benedetto XVI. L'intelletto, lo spirito e l'amore.

Ratzinger - Benedetto XVI Lo Spirito Santo e la Chiesa nella Lumen Gentium


Giovanni Paolo II. Egli vi darà un altro Consolatore

Giovanni Paolo II. Dominum et vivificantem

F. Manns. Gerusalemme ci ricorda il dono dello Spirito

Il Consolatore. P. R. Cantalamessa

P. R. Cantalamessa. Lo Spirito di Verità

Fisichella. Il Consolatore, lo sconosciuto oltre il Verbo



ESEGESI


F. Manns. Gerusalemme ci ricorda il dono dello Spirito

Ratzinger - Benedetto XVI. "Vedere Gesù" nel Vangelo di Giovanni

Verità nel Dizionario dei termini del Nuovo Testamento

I. De la Potterie. Che cos'è la verità



COMMENTI PATRISTICI


Sant'Agostino. Io sono nel Padre mio, e voi in me ed io in voi.

Sant'Agostino. Il dono di un altro Paraclito.

San Basilio. Dal Trattato sullo Spirito Santo

S. Ilario. Il dono del Padre in Cristo




TEOLOGIA

Giovanni Paolo II. Dominum et vivificantem

Spirito. Dizionario interdisciplinare di Scienza e fede

Fisichella. Il Consolatore, lo sconosciuto oltre il Verbo

L. Bouyer. La Chiesa, volto e vita di Cristo perchè il mondo veda Dio, il Padre

Ratzinger. Verità del cristianesimo?

I. De la Potterie. Che cos'è la verità

Verità nel Dizionario dei termini del Nuovo Testamento

P. R. Cantalamessa: Gesú di Nazareth tra storia e teologia

Don Bruno Forte. La fede e il problema della verità



TERMINI NOTEVOLI

Verità nel Dizionario dei termini del Nuovo Testamento

Don Bruno Forte. La fede e il problema della verità


MISTERO PASQUALE

Giovanni Paolo II:L’amore misericordioso di Dio si rivela pienamente e definitivamente nel Mistero pasquale.

Paolo VI. Il Mistero Pasquale
H. U. Von Balthasar. Mysterium Paschale. La Consegna
J. Ratzinger. La fede nella Risurrezione
J Jeremias La Pasqua
Mons. Caffarra. Testi sulla Pasqua
La pasqua dei primi secoli
Sant''Agostino. "Fides christianorum resurrectio Christi est"
Catechesi di Giovanni Paolo II sulla Resurrezione
Meditazione di Don Divo Barsotti sulla Pasqua
Ignace DE LA POTTERIE. Testi sulla Risurrezione di Gesù in Giovanni
La Pasqua dell''ebreo Gesù
I giorni della Pasqua
J Jeremias La Pasqua
Ratzinger - Benedetto XVI. Meditazione sulla La Pasqua
Tutti i passi della storia varcano il sepolcro vuoto
Meditazione di Don Divo Barsotti sulla Pasqua
Mons. Caffarra. Testi sulla Pasqua
J. Galot. Il sepolcro vuoto: Da piccoli indizi, lo stupore della fede
LA TOMBA VUOTA E LA SINDONE DI TORINO
Presenza di Maria nel mistero pasquale
tomba vuota e panni sepolcrali
Padre Raniero Cantalamessa. La storicità della risurrezione di Cristo
Sant''Agostino. "Fides christianorum resurrectio Christi est"
Marc Chagall. Il mistero della Pasqua
A. Socci. Ipotesi su Gesù e la sua resurrezione.
Don Giussani: Cristo contro il nulla
Paul O’Callaghan. Resurrezione. Teologia
LE APPARIZIONI «UFFICIALI» DEL RISORTO AL GRUPPO APOSTOLICO (GV 20,19-31)

J. Galot. Il sepolcro vuoto: Da piccoli indizi, lo stupore della fede
Catechesi di Giovanni Paolo II sulla Resurrezione
J. Ratzinger. La fede nella Risurrezione

Paul O’Callaghan. Resurrezione. Teologia



Abbiamo bisogno di un Consolatore. Qualcuno che, dinnanzi alle difficoltà, ai dubbi, alle angosce, ci sussurri piano che Dio ci ama, che non si è dimenticato di noi. Non possiamo fare a meno di Qualcuno che ci ricordi le parole del Signore, che le sigilli e le custodisca in noi. Qualcuno che ce le faccia osservare, custodire, compiere. Qualcuno che ci unisca al Signore. Lo Spirito Santo è proprio “ciò che è in comune”, l’unità del Padre con il Figlio, l’Unità in persona. Il Padre e il Figlio sono una cosa sola nella misura in cui vanno oltre se stessi; sono una cosa sola in quella terza persona, nella fecondità del dono" (Benedetto XVI). E' Lui il Consolatore che ci pone nell'intimità di Dio. Per questo il compimento del Mistero Pasquale del Signore è l'effusione dello Spirito Santo, il dono che, colmando il nostro cuore, non delude la speranza e ci fa partecipi della natura divina. Queste non sono affermazioni da libro di teologia, sono la nostra vita. Il dimorare in Dio, rimanere nell'amore di Gesù non sono esperienze relegate a momenti particolari, a particolari stati d'animo. La comunione con Dio non è questione di sentimenti. E' osservare la Sua Parola, un modo per dire che l'intimità che ci fa uno con Gesù nel Padre si realizza molto concretamente nel compiere la Sua Parola. E sappiamo che ogni Parola di Gesù, ogni suo comando, come ogni parola della Scrittura dell'Antico Testamento che Lui ha portato a compimento si riassume nell'amore, nell'agape. Nel dono di se stessi, sino all'offerta della vita. Ora è anche vero che noi sperimentiamo giorno per giorno l'impossibilità di compiere la Parola, di permanere nella volontà di Dio. Conosciamo i nostri limiti. Per questo ci è necessario un Consolatore, uno che che ci ripeta "Coraggio, non temere, tu sei Figlio, Dio ti ama e compirà in te la Sua opera". Abbiamo bisogno della vita di Dio, del Suo respiro di vita in noi, del soffio che ci ricrei istante per istante, che compia in noi la Parola che ci fa veri, autentici, vivi. Abbiamo bisogno dello Spirito Santo, più dell'aria che respiriamo. E' Lui l'amore di Dio che plana nei nostri cuori, ed è lo stesso amore con il quale possiamo amare Dio e il Suo Figlio. Lo Spirito Santo è Colui che ci fa uno con Dio, che ci trasporta, per così dire, nella profondità divina per colmarci della Sua natura. Non si tratta così di sforzarci, di impegnarci, di buona volontà. Non basta. L'agape è dono che viene dal Cielo. Oggi è pronto per noi, come ogni giorno. In esso è custodita la memoria della vita di Cristo, per eso ci viene costntemente ritrasmessa, dinnanzi ad ogni evento della nostra vita, con esso possiamo ricordare, credere, sperare, amare. E' il Consolatore che il Padre ci dona perchè ci ama e ci ha legati a sé, eternamente. "Solo chi lo porta in sé, lo potrà vedere" (Benedetto XVI).
E' qui la vera pace. Essa coincide con la volontà di Dio. Con la verità. Con ogni istante della nostra vita. E' la gioia dell'intimità con Dio in Cristo Gesù. Osservare i comandamenti è già una Grazia, è la vita nuova che si manifesta perchè si è ricevuto un cuore e uno Spirito nuovi. Compiere la volontà di Dio è amare, è una vita donata. "Devi, poi, divenire amore, guardando l’amore di Dio, che ti ha così tanto amata, non per qualche obbligo che avesse con te, ma per puro dono, spinto soltanto dal suo ineffabile amore. Non avrai altro desiderio che quello di seguire Gesù! Come inebriata dall’Amore, non farai più caso se ti troverai sola o in compagnia: non preoccuparti di tante cose, ma solo di trovare Gesù e andargli dietro!". Così scriveva Santa Caterina. La gioia di Gesù ci è donata, non implica alcuno sforzo, è la gioia del suo amore, lo stesso fuoco che mosso la sua vita, la certezza dell'amore di Suo Padre. Di nostro Padre. Non vi è alcun moralismo, solo un amore infinito che brucia dal desiderio di donarsi. In ogni istante. Per questo possiamo goire d'una gioia indicibile, anche se siamo provati in ogni modo, perchè dentro il suo amore ci colma, anche se non ce ne rendiamo conto. Non sono sentimenti, è la più pura realtà. Quando camminiamo crocifissi con Cristo rimaniamo nel suo amore, il cuore è pacificato, anche se la carne e i sentimenti sono agitati. Sotto le onde, anche le più tempestose, al fondo del mare vi è una pace infinita. La gioia piena del suo amore riversato copiosamente in noi.

V Domenica di Pasqua, anno A



Il commento al Vangelo della V domenica di Pasqua, anno A


Che cosa oggi turba il nostro cuore? Che cosa ci sta togliendo la pace e la gioia? Il Vangelo di questa domenica lega il turbamento al non avere un posto dove poter essere. E, in effetti, è proprio così. Quello che ci turba, che mette a soqquadro le nostre esistenze è la precarietà, non avere un posto, un luogo nel cui perimetro essere noi e soltanto noi. Un posto nel cuore degli altri, delle persone più vicine, come la moglie, il marito, l'amico, il fidanzato o la fidanzata, o anche di quelle meno prossime.
E invece è come se sbagliassimo posto, viviamo e cerchiamo di vivere nel luogo sbagliato.
"L'uomo può vivere rivolto verso l'alto, egli è capace dell'altezza. Di più: l'altezza che sola corrisponde alla misura dell'uomo è l'altezza di Dio stesso. A questa altezza l'uomo può vivere e solo da questa altezza possiamo comprenderlo davvero. L'immagine dell'uomo è elevata, ma noi abbiamo la libertà di tirarla verso il basso e strapparla oppure di lasciarci elevare, innalzare verso l'alto. Non si comprende l'uomo se ci si chiede solo da dove viene. Lo si comprende solo se ci si chiede anche dove può andare. Solo dalla sua altezza risulta chiara davvero la sua essenza. E solo quando questa altezza viene percepita, nasce un rispetto incondizionato verso l'uomo, un rispetto che lo considera sacro anche in tutte le sue profonde umiliazioni. Solo partendo da qui si può imparare ad amare l'umanità in sé e negli altri". Queste parole del Cardinal Ratzinger tratte da un'omelia sull'Ascensione ci guidano a comprendere la profondità di quanto oggi il Signore ci dice: l'unico luogo della nostra vita è il Padre, il luogo dove Gesù è andato, ci ha preparato un posto, e dal quale è tornato per prenderci e farci essere dove Lui è. Nel Padre.
Sbagliamo sempre luogo, non siamo mai tranquilli, ci manca sempre qualcosa, partoriamo progetti, aborriamo la precarietà perchè viviamo come orfani, non abbiamo Padre. Ogni luogo che ci costruiamo, spesso con fatica, non è mai il nostro luogo. Tutto alla fine ci va stretto, non possiamo digerire il verso che prende il lavoro, facciamo fatica ad accettare la relazione con i figli, con chi ci è accanto. In fondo non sopportiamo neanche noi stessi. Tutto questo costituisce la nostra esperienza quotidiana perchè il Padre, Dio, non è il luogo della nostra vita.
Il Padre non è dove siamo, per questo cerchiamo l'essere in altri luoghi. Così, ovviamente, anche la via che percorriamo è sballata, quello che prendiamo per verità è pura menzogna, la vita che viviamo sa di corruzione e di morte. Ma, se questa è la nostra realtà giunge a noi oggi il Signore Gesù con il Suo Vangelo, la buona notizia che Lui proprio oggi ritorna a noi, per portarci con Lui.
Lui è la via per il nostro luogo, quello che, nel Padre, ha preparato per noi.
Lui fa in noi la verità, cioè una vita vera, solida, bella, piena, una vita perduta per amore.
Lui ci dona la Sua vita, perchè non siamo più noi a vivere ma Lui in noi.
Via, verità e vita, Cristo in noi, per noi, con noi nel pellegrinaggio di ogni giorno verso l'unico luogo che ci si addice e che da senso e pienezza alle nostre eistenze. Lui ci nasconde nel cuore del Padre, da dove attingiamo tutto quello che fa di noi Suoi figli amati, per vivere da figli amati. Comprendiamo allora con l'allora Cardinal Ratzinger il rispetto che ogni aspetto della nostra vita merita, e che ci fa considerare sacra la nostra vita anche in tutte le sue profonde umiliazioni.
Così, scoperto il nostro luogo in Dio nostro Padre attraverso una profonda intimità con Gesù, ogni altro luogo della nostra vita non ci è più estraneo od ostile, da fuggire con orrore. Anzi, con Gesù ogni luogo diviene il nostro luogo, dove tutto è santo, dove tutto è Grazia, perchè tutto reca il profumo di Cristo, che è quello del Padre.
"La fede ci impedisce di dimenticare; desta in noi l'autentica, sconvolgente memoria dell'origine: del fatto che noi veniamo da Dio; e vi aggiunge la nuova memoria che si esprime nella festa dell'Ascensione di Cristo: la memoria che il luogo autenticamente appropriato della nostra esistenza è Dio stesso e che è da lì che dobbiamo guardare l'uomo. La memoria della fede è in questo senso pienamente positiva: libera la dimensione ultima positiva dell'uomo. Riconoscere questo è una difesa ben più efficace contro ogni riduzione dell'uomo rispetto alla semplice memoria delle negazioni che, alla fine, può lasciare dietro di sé solo il disprezzo per l'uomo. L'antidoto più efficace contro la rovina dell'uomo risiede nella memoria della sua grandezza, non in quella della sua miseria. L'Ascensione di Cristo risveglia in noi la memoria della grandezza. Essa ci rende immuni rispetto al falso moralismo che getta discredito sull'uomo. Essa ci insegna il rispetto per l'umanità e ci restituisce la gioia di essere uomini" (Card. J. Ratzinger, ibid.)

Così possiamo passare alla seconda parte del vangelo di questa domenica, e scoprire come profondamente reale e vicina alla nostra vita quotidiana la richiesta di Filippo, che esprime il desiderio più profondo di ciascuno di noi, di ogni uomo: "Mostraci il Padre e ci basta".
Sì, poter vedere nostro Padre, vedere, che secondo il Vangelo di Giovanni significa credere, appoggiare la nostra vita in Dio nostro Padre, questo ci basta. Sapere con certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall'amore di Dio, vivere da figli sussurrando in ogni istante "Abbà, Papà", vivere stretti a Lui. Ecco, questo è tutto.
Non si tratta di ucciderlo il padre, come ci hanno insegnato per decenni in ogni modo, si tratta piuttosto di conoscerlo, e di amarlo. Per questo proprio il Padre ha inviato Suo Figlio, immagine perfetta e nitidissima di Lui, impronta della sua sostanza. E' Cristo che dobbiamo cercare, Lui dobbiamo implorare, a Lui dobbiamo stringerci senza paura. Da Lui lasciarci amare, perdonare, consolare.
Lui, Gesù, unica nostra vita. In Lui ogni nodo irrisolto della nostra vita trova la mano pronta a scioglierlo, a riconsegnare ad ogni grumo della nostra storia dignità e luce. Tutto in Cristo acquista senso, valore, gioia e gratitudine. Non un secondo della nostra vita è assente dal cuore di Cristo. Di più, ogni istante della nostra storia reca impresse le stimmate del Suo amore. La nostra vita è opera sua, ogni incontro, i genitori, la famiglia, la scuola, il lavoro, i figli, gli amici. Il nostro corpo, gli acciacchi, gli stessi spigoli del carattere, tutto è modellato perchè Lui splenda in noi.
Noi siamo opera sua, opera del Padre. Perchè Lui è nel Padre, le sue opere d'amore compiute per noi, il perdono e la misericordia che ci rigenera testimoniano fin dentro le nostre ore più grigie la tenerezza di nostro Padre. Siamo figli, amatissimi figli. Allora ogni attività non è più nostra, non ci appartiene perchè noi apparteniamo a Dio. Le opere per le quali siamo nati, per le quali oggi ci siamo svegliati sono le opere di Dio, grandi, più grandi di quanto neanche riusciamo ad immaginare. Amare, perdonare, giustificare. Comprendere il collega di lavoro, avere misericordia con il vicino di casa, non resistere di fronte alle ingiustizie sul lavoro, umiliarci e chiedere perdono ai genitori, alla moglie, al marito, al figlio. Queste sono le opere di vita eterna che Dio ha predisposto per noi, queste sono le grazie da chiedere a nostro Padre nel nome di Suo Figlio e nostro fratello Gesù.
Vivere oggi e ogni giorno la vita di Dio, scorgendo in ogni luogo e persona su cui posiamo lo sguardo la traccia inconfondibile di nostro Padre. Tutto è per noi un'eco di Dio, la Sua volontà ove, solo, è nostra pace. Cristo vivo in noi compirà ogni opera, senza alcun dubbio. E questo è il grande mistero dell'Incarnazione che si rinnova in ciascun cristiano, nel battesimo e nei sacramenti.
L'Incarnazione nella Chiesa corpo vivente e visibile del Signore. Così chiunque fissi e guardi la Chiesa può vedere Gesù, e, in Lui, il Padre, l'approdo di ogni vita, il destino di ogni uomo. La missione della Chiesa, e di ciascuno di noi, non è dunque altro che essere quello che già siamo, per incendiare il mondo con la luce di Cristo. Essere suoi. Essere uno con Lui. Rimanere nel suo amore.
Che Dio ce lo conceda, è questa davvero la Grazia più grande da implorare al Padre nel nome di Cristo: lo Spirito Santo che ci faccia intimi a Gesù, una sola carne e un solo spirito con Lui. Per noi, per il mondo. Perchè i figli, i genitori, gli amici, chiunque abbiamo a cuore possa vedere Dio, e credere in Lui. Quante volte soffriamo, ci scoraggiamo, perchè gli altri non si accorgono di Dio, non ne vogliono sapere.
Certo, ognuno è libero, ma per esserlo davvero una volta almeno nella vita deve poter vedere Dio, toccare il suo amore. Poi potrà rifiutarlo.
Per questo siamo stati chiamati nella Chiesa. Per questo prima di tutto, prima ancora che pregare per i figli, o per chiunque, è fondamentale chiedere a Dio d'essere suoi sino in fondo. E' l'evidenza di Dio in noi che aprirà al mondo lo sguardo su Dio. E' questo il fondamento della missione della Chiesa, dell'educazione, della testimonianza, della nostra stessa esistenza.
Esistiamo perchè Gesù possa prendere dimora in noi. Lui il nostro luogo, e con Lui nel Padre, nostra eterna dimora. E noi sua dimora, qui ed ora, nella nostra carne, ed eternamente, in un vincolo d'amore che nulla e nessuno potrà mai ditruggere. Anche oggi, e in ogni istante. Che Dio ce lo conceda, al di là di ogni ostacolo frapposto dalla nostra debolezza.


CONCORDANZE

Concordanze di Gv. 14



COMMENTI

Ratzinger - Benedetto XVI. "Vedere Gesù" nel Vangelo di Giovanni
Ratzinger - Benedetto XVI. Chi ha visto me ha visto il Padre
Ratzinger. Libertà e verità
Ratzinger. Verità del cristianesimo?

Giovanni Paolo II. «Signore mostraci il Padre»
Giovanni Paolo II. «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6)

C. Caffara. Io sono la Via, la verità e la vita. Catechesi ai giovani

L. Giussani. Riconoscere Cristo

L. Bouyer. La Chiesa, volto e vita di Cristo perchè il mondo veda Dio, il Padre

P. R. Cantalamessa: Gesú di Nazareth tra storia e teologia
Padre Cantalamessa: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”

I. De la Potterie. Che cos'è la verità

Don Bruno Forte. La fede e il problema della verità



ESEGESI


Ratzinger - Benedetto XVI. "Vedere Gesù" nel Vangelo di Giovanni

C. Di Sante. Io sono la verità

Verità nel Dizionario dei termini del Nuovo Testamento

I. De la Potterie. Che cos'è la verità



COMMENTI PATRISTICI

Sant’Agostino. « Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me »

Sant’Ireneo di Lione. « Chi ha visto me ha visto il Padre »

Sant’Agostino. Essere dove è Cristo.

Sant’Agostino. La domanda di Tommaso.

Sant’Agostino. Il Signore va a prepararci il posto.

Sant'Agostino: Nella casa del Padre vi sono molte dimore.



SPIRITUALITA' E LITURGIA


Vedere Dio nei santi: S. Francesco, S. Teresina



TEOLOGIA

L. Bouyer. La Chiesa, volto e vita di Cristo perchè il mondo veda Dio, il Padre

Ratzinger - Benedetto XVI. "Vedere Gesù" nel Vangelo di Giovanni
Ratzinger. Verità del cristianesimo?

I. De la Potterie. Che cos'è la verità

Verità nel Dizionario dei termini del Nuovo Testamento

P. R. Cantalamessa: Gesú di Nazareth tra storia e teologia

Don Bruno Forte. La fede e il problema della verità


TERMINI NOTEVOLI

Verità nel Dizionario dei termini del Nuovo Testamento

Padre Cantalamessa: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”

Don Bruno Forte. La fede e il problema della verità


MISTERO PASQUALE

Giovanni Paolo II:L’amore misericordioso di Dio si rivela pienamente e definitivamente nel Mistero pasquale.

Paolo VI. Il Mistero Pasquale
H. U. Von Balthasar. Mysterium Paschale. La Consegna
J. Ratzinger. La fede nella Risurrezione
J Jeremias La Pasqua
Mons. Caffarra. Testi sulla Pasqua
La pasqua dei primi secoli
Sant''Agostino. "Fides christianorum resurrectio Christi est"
Catechesi di Giovanni Paolo II sulla Resurrezione
Meditazione di Don Divo Barsotti sulla Pasqua
Ignace DE LA POTTERIE. Testi sulla Risurrezione di Gesù in Giovanni
La Pasqua dell''ebreo Gesù
I giorni della Pasqua
J Jeremias La Pasqua
Ratzinger - Benedetto XVI. Meditazione sulla La Pasqua
Tutti i passi della storia varcano il sepolcro vuoto
Meditazione di Don Divo Barsotti sulla Pasqua
Mons. Caffarra. Testi sulla Pasqua
J. Galot. Il sepolcro vuoto: Da piccoli indizi, lo stupore della fede
LA TOMBA VUOTA E LA SINDONE DI TORINO
Presenza di Maria nel mistero pasquale
tomba vuota e panni sepolcrali
Padre Raniero Cantalamessa. La storicità della risurrezione di Cristo
Sant''Agostino. "Fides christianorum resurrectio Christi est"
Marc Chagall. Il mistero della Pasqua
A. Socci. Ipotesi su Gesù e la sua resurrezione.
Don Giussani: Cristo contro il nulla
Paul O’Callaghan. Resurrezione. Teologia
LE APPARIZIONI «UFFICIALI» DEL RISORTO AL GRUPPO APOSTOLICO (GV 20,19-31)

J. Galot. Il sepolcro vuoto: Da piccoli indizi, lo stupore della fede
Catechesi di Giovanni Paolo II sulla Resurrezione
J. Ratzinger. La fede nella Risurrezione

Paul O’Callaghan. Resurrezione. Teologia







Il commento al Vangelo della V domenica di Pasqua, anno A





Che cosa oggi turba il nostro cuore? Che cosa ci sta togliendo la pace e la gioia? Il Vangelo di questa domenica lega il turbamento al non avere un posto dove poter essere. E, in effetti, è proprio così. Quello che ci turba, che mette a soqquadro le nostre esistenze è la precarietà, non avere un posto, un luogo nel cui perimetro essere noi e soltanto noi. Un posto nel cuore degli altri, delle persone più vicine, come la moglie, il marito, l'amico, il fidanzato o la fidanzata, o anche di quelle meno prossime.
E invece è come se sbagliassimo posto, viviamo e cerchiamo di vivere nel luogo sbagliato.
"L'uomo può vivere rivolto verso l'alto, egli è capace dell'altezza. Di più: l'altezza che sola corrisponde alla misura dell'uomo è l'altezza di Dio stesso. A questa altezza l'uomo può vivere e solo da questa altezza possiamo comprenderlo davvero. L'immagine dell'uomo è elevata, ma noi abbiamo la libertà di tirarla verso il basso e strapparla oppure di lasciarci elevare, innalzare verso l'alto. Non si comprende l'uomo se ci si chiede solo da dove viene. Lo si comprende solo se ci si chiede anche dove può andare. Solo dalla sua altezza risulta chiara davvero la sua essenza. E solo quando questa altezza viene percepita, nasce un rispetto incondizionato verso l'uomo, un rispetto che lo considera sacro anche in tutte le sue profonde umiliazioni. Solo partendo da qui si può imparare ad amare l'umanità in sé e negli altri". Queste parole del Cardinal Ratzinger tratte da un'omelia sull'Ascensione ci guidano a comprendere la profondità di quanto oggi il Signore ci dice: l'unico luogo della nostra vita è il Padre, il luogo dove Gesù è andato, ci ha preparato un posto, e dal quale è tornato per prenderci e farci essere dove Lui è. Nel Padre.
Sbagliamo sempre luogo, non siamo mai tranquilli, ci manca sempre qualcosa, partoriamo progetti, aborriamo la precarietà perchè viviamo come orfani, non abbiamo Padre. Ogni luogo che ci costruiamo, spesso con fatica, non è mai il nostro luogo. Tutto alla fine ci va stretto, non possiamo digerire il verso che prende il lavoro, facciamo fatica ad accettare la relazione con i figli, con chi ci è accanto. In fondo non sopportiamo neanche noi stessi. Tutto questo costituisce la nostra esperienza quotidiana perchè il Padre, Dio, non è il luogo della nostra vita.
Il Padre non è dove siamo, per questo cerchiamo l'essere in altri luoghi. Così, ovviamente, anche la via che percorriamo è sballata, quello che prendiamo per verità è pura menzogna, la vita che viviamo sa di corruzione e di morte. Ma, se questa è la nostra realtà giunge a noi oggi il Signore Gesù con il Suo Vangelo, la buona notizia che Lui proprio oggi ritorna a noi, per portarci con Lui.
Lui è la via per il nostro luogo, quello che, nel Padre, ha preparato per noi.
Lui fa in noi la verità, cioè una vita vera, solida, bella, piena, una vita perduta per amore.
Lui ci dona la Sua vita, perchè non siamo più noi a vivere ma Lui in noi.
Via, verità e vita, Cristo in noi, per noi, con noi nel pellegrinaggio di ogni giorno verso l'unico luogo che ci si addice e che da senso e pienezza alle nostre eistenze. Lui ci nasconde nel cuore del Padre, da dove attingiamo tutto quello che fa di noi Suoi figli amati, per vivere da figli amati. Comprendiamo allora con l'allora Cardinal Ratzinger il rispetto che ogni aspetto della nostra vita merita, e che ci fa considerare sacra la nostra vita anche in tutte le sue profonde umiliazioni.
Così, scoperto il nostro luogo in Dio nostro Padre attraverso una profonda intimità con Gesù, ogni altro luogo della nostra vita non ci è più estraneo od ostile, da fuggire con orrore. Anzi, con Gesù ogni luogo diviene il nostro luogo, dove tutto è santo, dove tutto è Grazia, perchè tutto reca il profumo di Cristo, che è quello del Padre.
"La fede ci impedisce di dimenticare; desta in noi l'autentica, sconvolgente memoria dell'origine: del fatto che noi veniamo da Dio; e vi aggiunge la nuova memoria che si esprime nella festa dell'Ascensione di Cristo: la memoria che il luogo autenticamente appropriato della nostra esistenza è Dio stesso e che è da lì che dobbiamo guardare l'uomo. La memoria della fede è in questo senso pienamente positiva: libera la dimensione ultima positiva dell'uomo. Riconoscere questo è una difesa ben più efficace contro ogni riduzione dell'uomo rispetto alla semplice memoria delle negazioni che, alla fine, può lasciare dietro di sé solo il disprezzo per l'uomo. L'antidoto più efficace contro la rovina dell'uomo risiede nella memoria della sua grandezza, non in quella della sua miseria. L'Ascensione di Cristo risveglia in noi la memoria della grandezza. Essa ci rende immuni rispetto al falso moralismo che getta discredito sull'uomo. Essa ci insegna il rispetto per l'umanità e ci restituisce la gioia di essere uomini" (Card. J. Ratzinger, ibid.)

Così possiamo passare alla seconda parte del vangelo di questa domenica, e scoprire come profondamente reale e vicina alla nostra vita quotidiana la richiesta di Filippo, che esprime il desiderio più profondo di ciascuno di noi, di ogni uomo: "Mostraci il Padre e ci basta".
Sì, poter vedere nostro Padre, vedere, che secondo il Vangelo di Giovanni significa credere, appoggiare la nostra vita in Dio nostro Padre, questo ci basta. Sapere con certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall'amore di Dio, vivere da figli sussurrando in ogni istante "Abbà, Papà", vivere stretti a Lui. Ecco, questo è tutto.
Non si tratta di ucciderlo il padre, come ci hanno insegnato per decenni in ogni modo, si tratta piuttosto di conoscerlo, e di amarlo. Per questo proprio il Padre ha inviato Suo Figlio, immagine perfetta e nitidissima di Lui, impronta della sua sostanza. E' Cristo che dobbiamo cercare, Lui dobbiamo implorare, a Lui dobbiamo stringerci senza paura. Da Lui lasciarci amare, perdonare, consolare.
Lui, Gesù, unica nostra vita. In Lui ogni nodo irrisolto della nostra vita trova la mano pronta a scioglierlo, a riconsegnare ad ogni grumo della nostra storia dignità e luce. Tutto in Cristo acquista senso, valore, gioia e gratitudine. Non un secondo della nostra vita è assente dal cuore di Cristo. Di più, ogni istante della nostra storia reca impresse le stimmate del Suo amore. La nostra vita è opera sua, ogni incontro, i genitori, la famiglia, la scuola, il lavoro, i figli, gli amici. Il nostro corpo, gli acciacchi, gli stessi spigoli del carattere, tutto è modellato perchè Lui splenda in noi.
Noi siamo opera sua, opera del Padre. Perchè Lui è nel Padre, le sue opere d'amore compiute per noi, il perdono e la misericordia che ci rigenera testimoniano fin dentro le nostre ore più grigie la tenerezza di nostro Padre. Siamo figli, amatissimi figli. Allora ogni attività non è più nostra, non ci appartiene perchè noi apparteniamo a Dio. Le opere per le quali siamo nati, per le quali oggi ci siamo svegliati sono le opere di Dio, grandi, più grandi di quanto neanche riusciamo ad immaginare. Amare, perdonare, giustificare. Comprendere il collega di lavoro, avere misericordia con il vicino di casa, non resistere di fronte alle ingiustizie sul lavoro, umiliarci e chiedere perdono ai genitori, alla moglie, al marito, al figlio. Queste sono le opere di vita eterna che Dio ha predisposto per noi, queste sono le grazie da chiedere a nostro Padre nel nome di Suo Figlio e nostro fratello Gesù.
Vivere oggi e ogni giorno la vita di Dio, scorgendo in ogni luogo e persona su cui posiamo lo sguardo la traccia inconfondibile di nostro Padre. Tutto è per noi un'eco di Dio, la Sua volontà ove, solo, è nostra pace. Cristo vivo in noi compirà ogni opera, senza alcun dubbio. E questo è il grande mistero dell'Incarnazione che si rinnova in ciascun cristiano, nel battesimo e nei sacramenti.
L'Incarnazione nella Chiesa corpo vivente e visibile del Signore. Così chiunque fissi e guardi la Chiesa può vedere Gesù, e, in Lui, il Padre, l'approdo di ogni vita, il destino di ogni uomo. La missione della Chiesa, e di ciascuno di noi, non è dunque altro che essere quello che già siamo, per incendiare il mondo con la luce di Cristo. Essere suoi. Essere uno con Lui. Rimanere nel suo amore.
Che Dio ce lo conceda, è questa davvero la Grazia più grande da implorare al Padre nel nome di Cristo: lo Spirito Santo che ci faccia intimi a Gesù, una sola carne e un solo spirito con Lui. Per noi, per il mondo. Perchè i figli, i genitori, gli amici, chiunque abbiamo a cuore possa vedere Dio, e credere in Lui. Quante volte soffriamo, ci scoraggiamo, perchè gli altri non si accorgono di Dio, non ne vogliono sapere.
Certo, ognuno è libero, ma per esserlo davvero una volta almeno nella vita deve poter vedere Dio, toccare il suo amore. Poi potrà rifiutarlo.
Per questo siamo stati chiamati nella Chiesa. Per questo prima di tutto, prima ancora che pregare per i figli, o per chiunque, è fondamentale chiedere a Dio d'essere suoi sino in fondo. E' l'evidenza di Dio in noi che aprirà al mondo lo sguardo su Dio. E' questo il fondamento della missione della Chiesa, dell'educazione, della testimonianza, della nostra stessa esistenza.
Esistiamo perchè Gesù possa prendere dimora in noi. Lui il nostro luogo, e con Lui nel Padre, nostra eterna dimora. E noi sua dimora, qui ed ora, nella nostra carne, ed eternamente, in un vincolo d'amore che nulla e nessuno potrà mai ditruggere. Anche oggi, e in ogni istante. Che Dio ce lo conceda, al di là di ogni ostacolo frapposto dalla nostra debolezza.

Sant’Ireneo di Lione. « Chi ha visto me ha visto il Padre »




Sant’Ireneo di Lione (circa130-circa 208), vescovo, teologo e martire
Contro le eresie, IV, 20, 5-7

« Chi ha visto me ha visto il Padre »



Lo splendore di Dio dona la vita: la ricevono coloro che vedono Dio. E per questo colui che è inintelligibile, incomprensibile e invisibile, si rende visibile, comprensibile e intelligibile dagli uomini, per dare la vita a coloro che lo comprendono e lo vedono. Se infatti è insondabile la sua grandezza, è pure inesprimibile la sua bontà; e grazie ad essa, egli si fa vedere e dà la vita a coloro che lo vedono.

È impossibile vivere se non si è ricevuta la vita, ma la vita non si ha che con la partecipazione all’essere divino. Orbene tale partecipazione consiste nel vedere Dio e godere della sua bontà. Gli uomini dunque vedranno Dio per vivere... Così Mosè afferma nel Deuteronomio: “Oggi abbiamo visto che Dio può parlare con l’uomo e l’uomo aver la vita” (Dt 5, 24). Colui che opera tutto in tutti nella sua grandezza e potenza, è invisibile e indescrivibile a tutti gli esseri da lui creati, non resta però sconosciuto; tutti infatti, per mezzo del suo Verbo, imparano che il Padre è l’unico Dio, che contiene tutte le cose e dà a tutte l’esistenza, come sta scritto nel Vangelo: “Dio nessuno lo ha mai visto ; proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,18).

Ratzinger - Benedetto XVI. Cristo è il pastore bello che depone la sua vita per ogni uomo

OMELIA DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,

cari Ordinandi,

cari fratelli e sorelle!


L’odierna IV Domenica di Pasqua, tradizionalmente detta del "Buon Pastore", riveste per noi, che siamo raccolti in questa Basilica Vaticana, un particolare significato. E’ un giorno assolutamente singolare soprattutto per voi, cari Diaconi, ai quali, come Vescovo e Pastore di Roma, sono lieto di conferire l’Ordinazione sacerdotale. Entrerete così a far parte del nostro "presbyterium". Insieme con il Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari ed i sacerdoti della Diocesi, ringrazio il Signore per il dono del vostro sacerdozio, che arricchisce la nostra Comunità di 22 nuovi Pastori.

La densità teologica del breve brano evangelico, che è stato poco fa proclamato, ci aiuta a meglio percepire il senso e il valore di questa solenne Celebrazione. Gesù parla di sé come del Buon Pastore che dà la vita eterna alle sue pecore (cfr Gv 10,28). Quella del pastore è un’immagine ben radicata nell'Antico Testamento e cara alla tradizione cristiana. Il titolo di "pastore d’Israele" viene attribuito dai Profeti al futuro discendente di Davide, e pertanto possiede un’indubbia rilevanza messianica (cfr Ez 34,23). Gesù è il vero Pastore d’Israele, in quanto è il Figlio dell’uomo che ha voluto condividere la condizione degli esseri umani per donare loro la vita nuova e condurli alla salvezza. Significativamente al termine "pastore" l’evangelista aggiunge l’aggettivo kalós "bello", che egli utilizza unicamente in riferimento Gesù e alla sua missione. Anche nel racconto delle nozze di Cana l’aggettivo kalós viene impiegato due volte per connotare il vino offerto da Gesù ed è facile vedere in esso il simbolo del vino buono dei tempi messianici (cfr Gv 2,10).


"Io do loro (alle mie pecore) la vita eterna e non andranno mai perdute" (Gv 10,28). Così afferma Gesù, che poco prima aveva detto: "Il buon pastore offre la vita per le pecore" (cfr Gv 10,11). Giovanni utilizza il verbo tithénai - offrire, che ripete nei versetti seguenti (15.17.18); lo stesso verbo troviamo nel racconto dell’Ultima Cena, quando Gesù "depose" le sue vesti per poi "riprenderle" (cfr Gv 13, 4.12). E’ chiaro che si vuole in questo modo affermare che il Redentore dispone con assoluta libertà della propria vita, così da poterla offrire e poi riprendere liberamente. Cristo è il vero Buon Pastore che ha dato la vita per le sue pecore -per noi- immolandosi sulla Croce. Egli conosce le sue pecore e le sue pecore lo conoscono, come il Padre conosce Lui ed Egli conosce il Padre (cfr Gv 10,14-15). Non si tratta di mera conoscenza intellettuale, ma di una relazione personale profonda; una conoscenza del cuore, propria di chi ama e di chi è amato; di chi è fedele e di chi sa di potersi a sua volta fidare; una conoscenza d’amore in virtù della quale il Pastore invita i suoi a seguirlo, e che si manifesta pienamente nel dono che fa loro della vita eterna (cfr Gv 10,27-28).

Cari Ordinandi, la certezza che Cristo non ci abbandona e che nessun ostacolo potrà impedire la realizzazione del suo universale disegno di salvezza sia per voi motivo di costante consolazione -anche nel giorno di difficoltà- e di incrollabile speranza. La bontà del Signore è sempre con voi ed è forte. Il Sacramento dell’Ordine che state per ricevere vi farà partecipi della stessa missione di Cristo; sarete chiamati a spargere il seme della sua Parola -il seme che porta in sé il Regno di Dio-, a dispensare la divina misericordia e a nutrire i fedeli alla mensa del suo Corpo e del suo Sangue. Per essere suoi degni ministri dovrete alimentarvi incessantemente dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana. Accostandovi all’altare, vostra quotidiana scuola di santità, di comunione con Gesù, del modo di entrare nei Suoi sentimenti; accostandovi all’altare per rinnovare il sacrificio della Croce, scoprirete sempre più la ricchezza e tenerezza dell'amore del divino Maestro, che oggi vi chiama ad una più intima amicizia con Lui. Se lo ascolterete docilmente, se lo seguirete fedelmente, imparerete a tradurre nella vita e nel ministero pastorale il suo amore e la sua passione per la salvezza delle anime. Ciascuno di voi, cari Ordinandi, diventerà con l’aiuto di Gesù un buon pastore, pronto a dare, se necessario, anche la vita per Lui.

Così avvenne all’inizio del cristianesimo con i primi discepoli, mentre, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura, il Vangelo andava diffondendosi tra consolazioni e difficoltà. Vale la pena di sottolineare le ultime parole del brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato: "I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo" (13,52). Malgrado le incomprensioni e i contrasti, l’apostolo di Cristo non smarrisce la gioia, anzi è il testimone di quella gioia che scaturisce dall’essere con il Signore, dall’amore per Lui e per i fratelli. Nell’odierna Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che quest’anno ha come tema "La vocazione al servizio della Chiesa comunione", preghiamo perché quanti sono scelti a così alta missione siano accompagnati dall’orante comunione di tutti i fedeli.

Preghiamo perché cresca in ogni parrocchia e comunità cristiana l’attenzione per le vocazioni e per la formazione dei sacerdoti: essa inizia in famiglia, prosegue in seminario e coinvolge tutti coloro che hanno a cuore la salvezza delle anime. Cari fratelli e sorelle che partecipate a questa suggestiva celebrazione, e in primo luogo voi, parenti, familiari e amici di questi 22 Diaconi che tra poco saranno ordinati presbiteri! Attorniamoli, questi nostri fratelli nel Signore, con la nostra spirituale solidarietà. Preghiamo perché siano fedeli alla missione a cui oggi il Signore li chiama, e siano pronti a rinnovare ogni giorno a Dio il loro "sì", il loro "eccomi" senza riserve. E chiediamo al Padrone della messe, in questa Giornata per le Vocazioni, che continui a suscitare molti e santi presbiteri, totalmente dediti al servizio del popolo cristiano.

In questo momento tanto solenne e importante della vostra esistenza, è ancora a voi, cari Ordinandi, che mi dirigo con affetto. A voi quest’oggi Gesù ripete: "Non vi chiamo più servi, ma amici". Accogliete e coltivate questa divina amicizia con "amore eucaristico"! Vi accompagni Maria, celeste Madre dei Sacerdoti; Lei, che sotto la Croce si è unita al Sacrificio del suo Figlio e, dopo la risurrezione, nel Cenacolo ha accolto insieme con gli Apostoli e con gli altri discepoli il dono dello Spirito, aiuti voi e ciascuno di noi, cari fratelli nel Sacerdozio, a lasciarci trasformare interiormente dalla grazia di Dio. Solo così è possibile essere immagini fedeli del Buon Pastore; solo così si può svolgere con gioia la missione di conoscere, guidare e amare il gregge che Gesù si è acquistato a prezzo del suo sangue. Amen!

Verità nel Dizionario dei termini del Nuovo Testamento







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Verità nel Dizionario dei termini del Nuovo Testamento






I. De La Potterie. Io sono la porta delle pecore

La monografia di A.J. Simonis su Gv10,1-18 si apre con queste parole: “Nessuna immagine di Cristo nel corso dei secoli è mai stata più cara al cuore dei cristiani di quella di Gesù buon Pastore”. E’ certamente esatto per l'iconografia antica e per la preghiera della Chiesa nei primi secoli: il tema del Pastore ritorna con una frequenza straordinaria nell'arte funeraria antica; e la liturgia romana le riserva un posto privilegiato nel ciclo pasquale, la quarta domenica dopo Pasqua. L'idea fondamentale espressa in tutta questa tradizione è che Cristo, buon Pastore, è il salvatore delle pecore: Gesù conduce i suoi, al di là della morte, verso i pascoli celesti, nella casa del Padre.
L'immagine è in genere desunta dai vangeli. L'iconografia sembra collegarsi soprattutto con il tema sinottico della pecorella smarrita (Mt 18,12-14), di quella pecora che il pastore ritrova e riporta tutto felice sulle spalle (Lc15,3-7). Ma in parecchi casi, le rappresentazioni si ispirano più direttamente all'allegoria giovannea sul buon Pastore (Gvl0,1-18), il cui orientamento è molto più nettamente soteriologico e cristologico...
(Nell’analisi di Gv10) potremo constatare quanto fosse giusta l’intuizione degli antichi, per i quali questo passo costituiva una vera e propria sintesi dell’opera di salvezza...

Per cogliere meglio la portata del nostro passo, è necessario reinserirlo nella grande sezione alla quale appartiene, e che si estende da 7, 1 a l0, 42: questi quattro capitoli costituiscono il centro della vita pubblica di Gesù, il punto culminante della sua rivelazione al mondo, nel Tempio di Gerusalemme.
Si vede da più indizi che questi capitoli formano un tutto. C'è innanzi tutto l'unità di luogo: a partire da 7,14 tutto avviene a Gerusalemme, nel Tempio o nelle sue immediate vicinanze (cfr. 7,14.28; 8,20; 8,59-9,1; 10,23); e l'evangelista ripete con insistenza che Gesù vi insegnava. Anche l'unità di tempo è molto stretta: fino a 10,21, si resta sempre nello stesso contesto della festa dei Tabernacoli; tutta l'azione si concentra inoltre in due momenti precisi di questa solennità di otto giorni: «la metà della festa», per il discorso e le discussioni di 7,14-36; «l'ultimo giorno, il gran giorno della festa», per la sezione molto più lunga 7,37-10,21, che comprende la promessa dell'acqua viva, la rivelazione di Gesù luce del mondo, la guarigione del cieco nato, e il discorso sul buon Pastore. La parte restante del c. l0 (i vv. 22-42) si colloca in un altro contesto, quello della festa della Dedicazione, tre mesi dopo. Ma la brevità stessa di questa pericope invita a pensare che, per Giovanni, essa costituisse un tutto unico con la sezione dei Tabernacoli: in un caso come nell'altro, Gesù si trova al Tempio per farsi conoscere dai Giudei, nel quadro di una grande solennità giudaica; e soprattutto, questi venti versetti non fanno che riprendere e sviluppare i temi di cui si stava trattando dall'inizio del c.9. L'insieme della sezione 7,1-10,42 costituisce dunque una grande unità letteraria, incentrata sul Tempio.
L'unità tematica di questa sezione è evidente: Gesù vi si rivela al mondo (cfr. 7,4), ma è continuamente in controversia con «i Giudei». Bultmann intitola opportunamente questi capitoli: «Il Rivelatore in contrasto col mondo». E il grande tema del prologo che raggiunge qui il suo punto culminante (per la vita pubblica): «Egli è venuto a casa sua e i suoi non l'hanno accolto» (1,11)...

Il punto essenziale da mettere in chiaro, è quel che bisogna intendere qui per «recinto delle pecore». Quasi tutti i commentatori pensano spontaneamente a un ovile. Ma abbiamo già detto che il vocabolario di questi versetti è essenzialmente teologico. Anche in questo caso. La parola αυλή che abbiamo tradotto con «recinto», si incontra 177 volte nella Bibbia greca, ma non è mai riferita a un recinto di pecore. Nel maggior numero dei casi (circa 115 volte), indica il vestibolo davanti al tabernacolo o al Tempio (per es. Es27,9; 2Cr6,13;11,16; Ap11,2). Il termine ricompare anche in un altro punto del quarto vangelo (18,15), dove sta ad indicare il cortile del sommo sacerdote. Se non altro per questo uso biblico, si è già indotti a collocare il recinto di l0,1 nell'area stessa del Tempio. Aggiungiamo che, già nell'AT, il termine «pecore», viene usato molto spesso in un senso semplicemente metaforico, per designare il popolo di Israele (Ez34,31; Ger23,1; Sal 94 (95),7 ecc.; questo uso continua nel NT: Mt l0,6;25,32 ecc.). I vocaboli del nostro versetto evocano perciò irresistibilmente una situazione analoga a quella del Sal 100 (99),3-4 (LXX): «Sappiate che lui, JHWH, è Dio... noi siamo il suo popolo e le pecore del suo pascolo. Entrate nei suoi portici, rendendo grazie, entrate nei suoi recinti (εις τας αυλας αυτου con degli inni». In Gv l0,1, il recinto delle pecore sta ad indicare metaforicamente il luogo santo di Israele, il Tempio di Gerusalemme (o il suo vestibolo), che rappresenta e simboleggia il giudaismo teocratico. Il pastore delle pecore, colui che entra per la porta, è Gesù, nuovo Pastore di Israele, che, in effetti, si è presentato al Tempio di Gerusalemme, per rivelarsi ai Giudei durante la festa dei Tabernacoli (7,14).

Si vede che, in questa interpretazione, il «discorso segreto» (N.d.R. I.de la Potterie per Gv10,1-5 preferisce alla definizione di “parabola” quella di “discorso segreto”, volendo indicare in questi versetti una serie di “allusioni, velate, ma precise, al Cristo e alla sua missione” che saranno poi esplicitate più chiaramente con la prosecuzione in Gv10,1-18) prende il via non direttamente da una scena della vita pastorale in Palestina, ma da una situazione storica molto concreta della vita di Gesù, nella Città Santa. Questo vale anche per quanto ci viene raccontato dell'altro personaggio del quadro: il ladro e il brigante. Bisogna tener presente, infatti, che a quell'epoca il termine brigante (ληστής) nel mondo giudaico serviva molto spesso a designare dei partigiani ribelli, in particolare i membri del partito pseudomessianico degli Zeloti, che cercavano di liberarsi con la violenza dalla dominazione romana, per instaurare un potere giudaico nello stesso tempo politico e religioso. Molto probabilmente è appunto in questo senso che viene utilizzato il termine nei vangeli: Barabba era un «brigante», ci dice Giovanni (18,40); ma gli altri evangelisti ci forniscono informazioni più precise: Barabba era un prigioniero «famoso» (Mt27,16) ed era stato arrestato per «una sommossa verificatasi nella città» (Lc23,19). Diversi autori recenti ritengono che Barabba abbia avuto una parte importante nella ribellione degli Zeloti contro i Romani.

Nel nostro passo di l0,1, i termini «ladro» e «brigante» probabilmente devono riferirsi a personaggi dello stesso genere. Le parole «colui che non entra attraverso la porta..., ma penetra per un'altra via» costituiscono la solenne entrata in materia di tutto il discorso: si capiscono perfettamente come un'allusione di Gesù a un recente tentativo degli Zeloti di impadronirsi del potere entro il recinto stesso del Tempio; questa ribellione è un fatto storico certo. Ma si può generalizzare la portata del testo e vedervi un'allusione al complesso dei movimenti pseudo-messianici dell'epoca: su questo sfondo storico si staglia in un vivo contrasto la missione messianica di Gesù stesso. La prima parte del discorso segreto mescola perciò le allusioni storiche e il linguaggio figurato (il recinto delle pecore, il pastore delle pecore), ma il suo significato è abbastanza chiaro: contrariamente ai falsi messia del suo tempo (Zeloti o altri), Gesù è entrato per la via normale del Tempio, alla festa dei Tabernacoli; si è presentato legittimamente al popolo giudaico, per rivelarsi a lui come suo Pastore, come il vero Messia. Bisogna avere presenti qui i lunghi sviluppi che precedettero: la grande rivelazione di Gesù nel Tempio, poi la guarigione del cieco nato, che termina con la terribile sentenza di Gesù sulla cecità dei Giudei e il loro peccato che rimane (9,39-41). Al cap. l0, Gesù adotta allora un linguaggio figurato, enigmatico; ma l'insegnamento di questo capitolo rimane sostanzialmente lo stesso: ha ancora sempre come oggetto la missione messianica di Gesù.

La seconda parte del discorso enigmatico (vv. 3c-5) è teologicamente la più importante. «Le sue pecore, (il Pastore) le chiama ad una ad una e le fa uscire». Tutte le pecore del recinto (cioè tutti i Giudei) hanno potuto conoscere la dottrina di Gesù (cfr. 18,20), ma solo alcune di esse sono «le sue pecore», cioè quelle che gli sono state date dal Padre (v. 29; cfr. 6,37.39; 17,2.6.7.9.24). In virtù di questo dono, Gesù potrà dire che sono «nella sua mano» (v. 28); per la stessa ragione ancora, all'ultima Cena, potrà considerare i discepoli come «i suoi» (13,1). A questa predisposizione da parte del Padre corrisponde una chiamata da parte di Gesù: «Egli le chiama ad una ad una» (cfr. anche Rm8,38). È il primo atto della costituzione di un nuovo gregge ad opera di Gesù.

Le sue pecore, il Pastore le «fa uscire» (εξάγει) dal recinto. Il verbo qui utilizzato dall'evangelista è un termine tecnico del vocabolario dell'Esodo: Dio «fece uscire dall'Egitto» il suo popolo, i figli di Israele (Es3,l0; 6,27 ecc.; cfr. At7,36; 13,17; Ebr8,9); allo stesso modo più tardi, al momento del secondo Esodo, li «farà uscire» da in mezzo ai popoli (Ez34,13). L'idea evocata da questa parola è chiara: «far uscire», significa liberare dalla schiavitù. È considerevole, e nello stesso tempo tragico, che questo termine, un tempo utilizzato per indicare la fine della cattività di Israele, debba ora venir usato contro lo stesso Israele: dal popolo giudaico infatti, i cui occhi si sono accecati alla vera luce dei tempi messianici, Gesù-Messia deve ormai «far uscire» le sue pecore, come una volta dall'Egitto.

Ma per afferrare tutte le implicazioni di questa idea nell'economia generale della vita di Gesù, bisogna collegarla con il racconto precedente, quello del cieco nato, in cui era già stata formulata. Per quest'uomo del popolo, Gesù all'inizio non era che uno sconosciuto (9,11). Ma, dopo la guarigione, nel corso della controversia con i Giudei, scopre progressivamente in lui un profeta (v. 17), un inviato di Dio (v. 33), il Figlio dell'uomo (vv. 35-37), diventando così il tipo stesso del credente. I Giudei, invece, che si credevano cosi chiaroveggenti in materia religiosa, sono diventati totalmente ciechi di fronte alla luce del mondo (vv.39-4l; cfr. v.5). Ora, constatando l'attaccamento dell'ex-cieco a Gesù, «essi lo gettarono (εξέβαλον) fuori» (9,34). In questo momento si compie la discriminazione (κρίμα) di cui parlerà Gesù alla fine della controversia (9,39), discriminazione che prefigura e annuncia la rottura tra la Chiesa e la Sinagoga (αποσυνάγωγος, 9,22). E’ molto significativo che nei vv. 3-4, che analizzavamo in questo momento, l'evangelista abbia utilizzato due termini, diversi per esprimere la stessa idea: prima di tutto il verbo εξάγει che evoca il tema dell'Esodo; poi il verbo più forte εκβάλλειν, ripreso in 9,34, dove era stato usato a proposito del cieco nato: Gesù «fa uscire» le sue pecore, le «mette fuori»; così viene ripreso e sanzionato il comportamento degli stessi Giudei, i quali avevano escluso dalla sinagoga il cieco nato guarito da Gesù e divenuto suo discepolo. La chiamata del Pastore alle sue pecore nel recinto giudaico diventa così il primo atto di una separazione radicale, quella che contrapporrà l'antico gregge Israele e il nuovo, il giudaismo e la Chiesa.

I rapporti tra il Pastore e le sue pecore sono descritti in questi termini: «Egli cammina dinanzi ad esse e le pecore lo seguono». Come per il verbo precedente, l'evangelista utilizza di nuovo il vocabolario-tipo del ciclo dell'Esodo: «JHWH vostro Dio che cammina in testa a voi combatterà per voi» (Dt1,30; cfr. Sal68 [67],8; Mi2,13). Nel quarto vangelo, il verbo «camminare (πορεύεσθαι)» è quasi sempre riferito a Gesù in rapporto alla sua missione, che è un nuovo Esodo (cfr. 14,2.3.12.28; 16,7.28). Il Pastore, che cammina davanti alle sue pecore, si presenta perciò come il nuovo capo del popolo di Dio. Le pecore lo «seguono»: è la docilità essenziale del discepolo verso il Maestro (cfr. 1,37.38.41.43; 8,l2; 12,16; 21,19.22), fondata sul fatto che esse conoscono la sua voce. Questi temi verranno ripresi con maggior insistenza nella seconda parte del discorso (vv. 14-16) e nelle dichiarazioni conclusive di Gesù alla festa della Dedicazione (v. 27)...

Bisogna interpretare la formula «la porta delle pecore» nel senso che Gesù è la porta che dà accesso presso le pecore, oppure è la porta per le pecore stesse, per permettere loro di entrare ed uscire? La prima interpretazione si basa sui vv. 1-2, in cui effettivamente la porta consente di entrare dalle pecore, all'interno del recinto. Tuttavia, anche nel discorso segreto, il pastore era entrato nel recinto solo per farne uscire le pecore. Inoltre, dal v.1 al v. 7, il pensiero progredisce; al punto in cui siamo, le pecore sono già fuori; tutta l'attenzione si concentra ormai sull'opera del Cristo; «il recinto» (del giudaismo) ha terminato la sua funzione. Perciò si capisce come in questo v. 7 la parola αυλή non sia più ripetuta, si capisce come Gesù non dica: «lo sono la Porta del recinto» (il che a prima vista sembrerebbe più ovvio, ma ci rimanderebbe al v. 1). La «porta», qui, non ha più nulla a che vedere con il recinto, che le pecore hanno già abbandonato; deve essere interpretata di per sé: Gesù è la porta delle pecore.

Bisogna dunque scegliere la seconda interpretazione: Gesù è la porta per le pecore stesse. Tra Gesù e i suoi, sono ora abbozzati nuovi rapporti; una volta uscite dal recinto, le pecore devono ormai «entrare» attraverso la porta che è Gesù. Si passa qui dal piano storico al piano tipologico e spirituale. Non si tratta più del recinto del giudaismo: entrando per la «porta» che è Gesù, le pecore penetrano in un nuovo ambiente, di natura completamente diversa. È quanto dimostreranno i tre versetti seguenti.
Quali sono i precedenti letterari di questa metafora della porta? Nulla sta ad indicare che si debba pensare qui al tema gnostico della porta celeste, quella che consente di entrare nel regno della luce e della verità, perché il testo parla della porta delle pecore, non della porta del cielo. Giustamente, numerosi autori fanno appello piuttosto ai testi dell'AT, che parlano della porta del Tempio; per esempio il Sal118 (117),19-20: «Apritemi le porte di giustizia, io entrerò, renderò grazie a JHWH! Qui è la porta di JHWH, per la quale entreranno i giusti». Che lo sfondo del nostro versetto sia costituito da questo salmo è tanto più verosimile in quanto il Sal118 (117) veniva utilizzato nella liturgia della festa dei Tabernacoli; ci si rammenterà che tutto il discorso sul buon Pastore è stato pronunciato, secondo Giovanni, nelle vicinanze del Tempio, al momento conclusivo di quella grande solennità. Tutto il contesto favoriva perciò l'uso di questa metafora della porta. Ma l'insistenza con la quale Gesù ne fa l'applicazione a se stesso («Sono io la Porta delle pecore») dimostra chiaramente che qui non può più trattarsi del Tempio dell'antica economia; Gesù, ispirandosi alle realtà che lo circondano, vuol parlare del nuovo Tempio che lui stesso inaugura. Nel discorso segreto, la porta e il recinto designavano ancora delle realtà storiche: il Tempio di Gerusalemme e il giudaismo teocratico; ma a partire dal momento in cui queste realtà vengono riferite metaforicamente a Gesù, vengono trasposte sul piano tipologico.

Anche l'uso della terminologia del nostro versetto nella tradizione cristiana pregiovannea è molto illuminante. I sinottici parlano più volte della porta che dà accesso al Regno (Mt7,13-14; 25,10-12; Lc13,24-26); era una metafora del vocabolario escatologico. Lo stesso vale per il verbo «entrare», che si usava correntemente per designare l'ingresso nel Regno di Dio (Mt7,21; 18,3; At14,22 ecc.). Giovanni riprende quest'uso (Gv3,5). Ma nel contesto attuale, tutto si concentra su Gesù: è attraverso di lui che bisogna «entrare» per essere salvati.

Questa breve analisi del vocabolario del nostro passo mette in piena luce la portata teologica della frase di Gesù: «Io sono la Porta delle pecore». La prima idea che esprime è quella di mediazione, di possibilità di accesso alla salvezza. E’ detto esplicitamente nel testo parallelo del v. 9: «Io sono la Porta: chi entrerà soltanto attraverso di me sarà salvato». D'altra parte, Gesù non è solo mediatore. La porta non è soltanto un luogo di passaggio attraverso cui si «entra», appartiene già al recinto stesso. Infatti, nell'AT, la «porta» della città o del Tempio indica spesso metonimicamente l'insieme della città o il Tempio nella sua totalità: cfr. Sal122 (121),2; 87 (86),1-2; 118 (117),21. Riferita a Gesù, l'immagine della porta non significa perciò soltanto che attraverso di lui si accede alla salvezza e alla vita; indica inoltre che le pecore trovano questi beni in lui. In altre parole, Gesù non è soltanto la Porta, la via di accesso; è anche il nuovo recinto, il nuovo Tempio, in cui i suoi possono ottenere i beni messianici. Si ritrova qui il tema di Gesù nuovo Tempio, enunciato da S.Giovanni fin dall'inizio del suo vangelo (2,13-22).

Ma se è cosi, ci si chiederà forse perché la metafora della porta sia stata preferita a quella di recinto o di tempio. Probabilmente, l'immagine della porta, con tutto quel che suggeriva il suo retroscena biblico, era più adatta ad esprimere simultaneamente due idee connesse: da una parte, quella di entrata, di mediazione; dall'altra, quella di ambiente vitale, di comunione. Sono le due idee che ricompariranno nel testo parallelo così suggestivo di 14,6: «Io sono la Via, la Verità e la Vita»; Gesù è la Via verso il Padre, il mediatore perfetto che ci fa accedere alla vita del Padre; ma è nello stesso tempo la Vita: in Gesù stesso troviamo la vita del Padre, perché lui, il Figlio Unigenito «tornato ormai nel seno del Padre» (1,18), la possiede in se stesso in pienezza.

La tradizione patristica metterà maggiormente in rilievo l'aspetto futuro, specificamente escatologico, del tema della porta: attraverso Gesù noi abbiamo accesso alla vita eterna, al regno dei cieli. Ma qui come altrove, Giovanni anticipa i temi escatologici nella persona stessa e nell'opera storica di Gesù: nello stesso tempo attraverso di lui e nella comunione con lui, fin d'ora, noi possiamo ottenere i beni della salvezza, la vita divina....

L'idea espressa qui è stata commentata magnificamente in un testo anonimo che è circolato sotto il nome di Agostino in diversi florilegi di citazioni patristiche: «Jesus ostium est, ostium in quo et domus est, domus in qua et requies defatigatis est»...
Si veda anche... Ignazio di Antiochia: «Egli è la porta del Padre, attraverso la quale entrano Abramo, Isacco e Giacobbe e i profeti e gli apostoli e la Chiesa», Ad Philad.9,1; Erma: «La porta è il Figlio di Dio. E’ l'unica entrata che conduca al Signore. Nessuno ci introdurrà perciò presso di lui se non suo Figlio», Il Pastore, Sim.IX,12,6; S. Agostino: «Christus est enim illa janua, et per Christum intramus ad vitam aeternam », Enarr. in ps. CIII, serm. 4, l0: PL 37, 1385-1386...

Il v. 9 riprende la metafora del v. 7, ma sotto una forma più breve; Gesù, questa volta, dice semplicemente: «Io sono la Porta» (senza aggiungere «delle pecore»): l'attenzione si concentra maggiormente sulla sua persona e sulla sua opera. Attraverso questa «porta», attraverso Cristo stesso («attraverso di me»), deve passare ogni uomo per ottenere la salvezza. Si noterà di nuovo un silenzio significativo del testo: Gesù non dice a quale luogo o a quale recinto egli, come Porta, dia accesso; la ragione, come abbiamo detto, è che l'ambiente in cui le pecore devono entrare è strettamente legato alla persona di Gesù stesso; questo «ambiente» non è altro che la comunione con lui.

La promessa fatta da Gesù a chiunque entrerà attraverso di lui, è espressa nei vv. 9-10 da diversi verbi che aprono una prospettiva sul futuro. L'espressione «entrerà e uscirà» è a prima vista incoerente, giacché si ritiene che le pecore siano già «entrate» attraverso la porta. Ma la formula doppia è parallela alla formula semplice: «entrare e uscire» riprende e spiega tutto il significato di «entrare», come «trovare il proprio pascolo» è parallelo a «essere salvato». Tutti sanno che «entrare e uscire» è un'espressione semitica per indicare la totalità mediante l'opposizione tra due termini contrari; serve a descrivere il complesso dell'attività esteriore di qualcuno, la totale libertà di tutti i suoi movimenti, di tutti i suoi passi. Nel nostro contesto, il significato della formula probabilmente è il seguente: chiunque «entrerà» attraverso la porta che è Gesù «entrerà e uscirà», godrà di una comunione senza intralci con Gesù.

«Chi entrerà attraverso di me sarà salvato». Di quale salvezza vuol parlare Gesù? Ci si stupisce che certi commentatori si limitino ad interpretare questo verbo in senso materiale: «essere salvato» significherebbe essere messo al riparo da ogni pericolo, non aver più nulla da temere. Ma queste considerazioni sono al di fuori della prospettiva dell'autore e non sono suggerite dalla sua abituale utilizzazione del verbo «salvare». In S.Giovanni, questo verbo, riferito all'opera di Gesù, è sempre utilizzato in un senso religioso, soteriologico ed escatologico; e si trova a volte in parallelo con «avere la vita eterna» (3,15.16.36). Lo stesso significato si impone qui: «essere salvato», significa ottenere la vita che Cristo ha dato in abbondanza alle sue pecore (v. l0). Questo significato è d'altronde confermato dall'espressione parallela «troverà il proprio pascolo». Nell'AT, in particolare tra i profeti, la metafora del pascolo designava già spesso la salvezza, in particolare la salvezza dei tempi messianici (cfr. Os13,5-6; Is 49,4-10; Ger 23,1-8; Ez 34,13; Sal 23,2).

L'ultima delle formule utilizzate da Gesù è la più esplicita e la più ricca di significato teologico: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza». Gesù descrive in queste parole tutto il senso della sua venuta, della sua Incarnazione. Qui, come negli altri casi in cui si serve ancora del verbo: «Io sono venuto» all'aoristo (ηλθον cfr. 12,27.47) indica il significato finale della sua opera, quello che vuole realizzare al termine della sua missione tra gli uomini, al momento della sua «ora»: questa meta finale è salvare il mondo (12,47), è dare agli uomini la «vita» in abbondanza. La vita che darà, è la vita divina, quella vita che, come Figlio di Dio, possiede già in se stesso (cfr. 1Gv5,11-12)...

Per la prima volta dopo il discorso segreto (cfr. v. 4), si viene a trattare di nuovo del recinto, ma questa volta in modo esclusivamente negativo: Gesù ha delle pecore «che non sono di questo recinto»; sono quelle che vengono invitate ad entrare nel gregge, senza provenire dal giudaismo, in altre parole, i credenti originari della gentilità. Abbiamo qui uno di quei testi fondamentali che dimostrano in modo non equivoco l'apertura universalistica dell'ecclesiologia giovannea. Lo stesso universalismo si ritroverà un po' più tardi nel racconto del martirio di un discepolo di Giovanni, Policarpo: «Nostro Signore Gesù Cristo, il Salvatore delle nostre anime, il Pastore della Chiesa universale sparsa su tutta la terra» (Mart. Polycarpi, 19,2).

Un attento confronto tra il discorso segreto (vv. 1-5) e il v. 16 fa apparire diverse differenze significative tra i due gruppi di pecore. Contrariamente a quelle del «recinto», Gesù non dovrà «far uscire» le altre sue pecore, giacché non sono tutte raggruppate in un posto unico, ma disperse ovunque (cfr.11,52): «Esse popolano il mondo intero». Altro particolare: ai vv.4-5, i verbi erano al presente, perché Gesù parlava ancora della sua immediata funzione nei confronti dei suoi venuti dal giudaismo. Al v. 16, i verbi sono al futuro, perché la prospettiva si apre sull'avvenire: l'ingresso dei gentili nella Chiesa avrà luogo solo dopo la morte e la risurrezione di Gesù.
Nei confronti dei due gruppi di pecore, il Pastore esercita tuttavia una funzione identica. Che cosa fa per quelle che ha condotto fuori del recinto? «Cammina davanti ad esse» (v. 4). Per le pecore che non sono del recinto, Gesù dice analogamente che deve «condurle» (v. 16). In un caso come nell'altro, il testo omette di dire dove Gesù conduca le sue pecore. Sarebbe un errore voler precisare troppo, dicendo per esempio che le conduce alla vita eterna. Tutto il peso cade essenzialmente sui rapporti personali tra Gesù-Pastore e i suoi: se questi sono realizzati, il gregge è costituito, la comunione esiste, il fine è raggiunto...

Dal momento che i verbi del v. 16 sono al futuro, è chiaro che l'unità del gregge potrà realizzarsi solo dopo la morte e la risurrezione di Gesù. Ma anche allora, si realizzerà solo gradualmente, come sta ad indicare il verbo γενήσονται, più dinamico di εσονται; le pecore dovranno progressivamente diventare un gregge unico. Non è indice che, per tutta la durata dei tempi escatologici, quest'unità dovrà perpetuamente crescere e approfondirsi, al ritmo stesso della loro sottomissione sempre più totale al Cristo-Pastore?.

È perciò proprio Cristo il principio ultimo dell'unità. Per questa ragione, tutto l'accento cade qui sulle due parole poste enfaticamente alla fine del versetto: «un solo Pastore». L'espressione sembra provenire da Ezechiele, che aveva annunciato per l'avvenire un nuovo David, un unico pastore (34,23; 37,24). Questa promessa era legata nel profeta alla speranza della restaurazione dell'unità di Israele (37,22) e del raggruppamento dei dispersi in un popolo unico (37,17-22.24). Ma in S.Giovanni, la prospettiva non è direttamente quella dell'unità dei Giudei e dei pagani nella Chiesa, come in S.Paolo (Ef2,11-12; 4,3-5); l'accento cade piuttosto sul fatto che tutti avranno lo stesso Pastore. La Chiesa viene descritta qui come la comunità dei credenti, raggruppati intorno ad un Pastore unico, Cristo, e in vivente comunione con lui. Anche qui, benché si tratti di un tema ecclesiologico, la visione di Giovanni è decisamente cristologica.