Marc Chagall. Il mistero della Pasqua










Marc Chagall, "La traversata del Mar Rosso" e "Cristo sul ponte"

Introduzione
Le due opere cui vogliamo guardare rappresentano il mistero centrale della fede ebraico-cristiana: la Pasqua. La trama liturgica della "grande settimana" (com'era anticamente chiamata la settimana santa) è tessuta mediante tre fili: la Pasqua di Mosè, con la cena e l'uscita dall'Egitto; il servo sofferente di Jahvè e la passione del Signore Gesù. Questi stessi temi modulano le due opere Chagalliane "La traversata del Mar Rosso", (dipinto del 1954-55) (Figura 1) e "Cristo sul Ponte" (dipinto del 1951) (Figura 2). Ci poniamo davanti a queste due opere come davanti al testo biblico, nella pura e semplice contemplazione.


Una premessa sull'arte di Chagall
Contemplare il Mistero attraverso l'arte è possibile. Il linguaggio dell'arte infatti, è per sua natura elementare e universale, se per qualche corrente artistica il discorso è divenuto complesso e sofisticato, non così per le opere di Marc Chagall.
Chagall si rifiutò di commentare le sue opere proprio per non limitare la portata del loro messaggio:
"Tutte le domande e le risposte, si possono vedere sui quadri stessi. Ognuno può vederle a modo suo, interpretare quello che vede e come vede. Spesso nei quadri sono nascoste più parole, silenzi e dubbi di quanto le parole possano esprimere." (M. Chagall, Discorso d'inaugurazione delle pitture dell'Opera di New York, 1967)
L'arte per Chagall non va svuotata del suo contenuto spirituale, promessa al decorativo e alle sole ricerche di ordine estetico. E questo contenuto non è unicamente ebraico-cristiano, - si affretta ad aggiungere l'artista - è poetico (cfr. P. Provoyeur, Il Messaggio biblico di M. Chagall, Hapax Editore, Milano 1994 pg 26)
Nelle opere di Chagall non va cercata meramente l'illustrazione biblica del fatto narrato, il loro messaggio va ben al di là, esso si colloca alle sorgenti stesse dell'esperienza umana dell'incontro con Dio. Partendo dai patriarchi e dai profeti, (Noè, Abramo, Mosè, Geremia ecc.) egli vuole narrare un'esperienza di Dio possibile per ogni uomo, facendo di questi giganti dello Spirito dei mediatori.
Chagall si mostra affascinato da queste grandi figure solitarie, investite per conto dell'umanità del temibile onore di accogliere il messaggio divino: […] "Se gli uomini volessero leggere con più attenzione la parola dei profeti, vi troverebbero le chiavi per la vita". (M. Chagall, "Perché siamo divenuti così angosciati?"cfr. Provoyeur, op. cit. pg 22)
L'indipendenza assoluta di questo artista da tutte le correnti a lui vicine o contemporanee (Impressionismo, Realismo, Cubismo, Simbolismo, Surrealismo) ha fatto sì che i critici di storia dell'arte lo collocassero nel numero dei pittori - rari in questo secolo - detti religiosi. Chagall è sfuggito ripetutamente da questa e altre simili collocazioni, non disdegnando però di definirsi "un mistico" e la sua arte "religiosa":
"E' a torto che alcuni hanno paura della parola "mistico" che le danno una colorazione troppo decisamente ortodossa. Occorre strappare a questo termine il suo aspetto desueto, ammuffito; bisogna prenderlo nella sua forma pura, intatta, Mistico! quante volte mi hanno gettato in faccia questa parola, come un tempo mi si rimproverava di essere "letterario"! Ma senza mistica, esisterebbe forse al mondo un solo grande quadro, una sola grande poesia, o anche un solo grande movimento sociale? Ogni organismo - individuale o sociale - privato della forza mistica, del sentimento della ragione, non appassisce, non muore?") (M. Chagall, "Qualche impressione sulla pittura francese" 1944-45)
"La fede religiosa è necessaria per l'artista? L'Arte, in generale, è un atto religioso. Ma sacra è l'Arte creata al di sopra degli interessi: gloria o altro bene materiale. […] L'arte mi sembra essere soprattutto uno stato d'animo". (Marc Chagall, Conferenza pronunciata a Chicago nel 1958, cfr. Provoyeur, op. cit. pg 27-28)


La traversata: una danza di forme e colori
Davanti alla traversata di Chagall ci lasciamo dunque coinvolgere dal gioco delle forme e dei colori. Se in un primo tempo l'occhio è colpito dal bagliore giallo dell'abito di Mosè e dalla folla concitata degli egiziani, subito trova riposo nel blu profondo e vellutato del mare. Lo sguardo sosta poi sul verde cupo dello sfondo e ne avverte la distanza (sebbene nel quadro la prospettiva sia assente), che viene immediatamente percepita come distanza temporale. Davide e Gesù sono distanti nel tempo dagli eventi qui narrati, ma non estranei ad essi; una vicinanza di diverso ordine giustifica la loro presenza.
Dallo sfondo ci si concentra spontaneamente sull'angelo che domina la scena per poi essere nuovamente catturati, per non dire disturbati, dalla massa scomposta di rossi individui in basso a destra dell'immagine. Il loro aspetto grottesco, caricaturale, il colore vermiglio ci fanno percepire in essi una minaccia subito placata dalla presenza possente e luminosa di Mosé che, contrapposta al blu delle acque, ricrea nel fondo dell'occhio il verde della tranquillità.
Dal canto suo Mosè, con il protendersi del corpo e del braccio, indirizza lo sguardo dell'osservatore verso il secondo segmento della folla, il popolo, composto e quieto, gremito di piccoli ritratti familiari: la donna col bambino in braccio, l'uomo col sacco, coppie in dialogo, il vitello o capretto. Immagini nelle quali è facile identificarsi e venire così coinvolti nella teofania, stretti nel rassicurante abbraccio delle onde a forma di colline e introdotti sotto le ali protettive dell'angelo. Ali tanto più rassicuranti, quanto più femminili appaiono i lineamenti dell'Angelo cui appartengono.
Pur percependo una lotta, drammaticamente resa attraverso il contrasto di forme e colori, l'osservatore ritrova sempre un magico equilibrio, una sicurezza di fondo che invita ad affidarsi, che sprona ad entrare nella medesima esperienza di fede qui narrata.


Chagall usa i tre colori primari: blu, rosso, giallo più il bianco che è l'insieme di tutti i colori e il verde marcio che equivale alla fusione del blu col giallo e con un pizzico di rosso. L'occhio percepisce dunque una grande armonia, l'emergere delle singole parti e nel contempo il richiamarsi continuo e vicendevole degli elementi.


Il blu
Nella scena domina il blu: il mare.
Abbiamo visto come nelle mitologie antiche l'acqua e in particolare il mare, designi la sostanza madre dalla quale venne creato il cosmo. Nella bibbia il mare è simbolo del male, del caos, delle forze cosmiche ostili all'uomo, usando una categoria del linguaggio giovanneo diremmo il "mondo" contrapposto a "Dio".
Anche il blu presso gli antichi è il colore delle forze cosmiche, spesso indica la divinità. Ad es. presso gli indù, le due divinità Krishna e Shiva sono rappresentate dal colore blu o dai colori bianco e blu. (Pensiamo al significato simbolico del sari delle suore di Madre Teresa di Calcutta: bianco e blu = angeli di Dio).
Nel linguaggio iconografico il blu è il colore del mistero, sovente in Chagall designa l'obbedienza dell'uomo a Dio. La vetrata del sacrificio di Abramo nella cattedrale di Saint-Etienne a Metz, è realizzata sui toni del blu per indicare l'obbedienza del patriarca. Anche qui sullo sfondo, accanto al Cristo in croce si delinea la figura di Maria prostrata e dipinta di blu. L'obbedienza dei patriarchi continua nell'obbedienza di Maria.
Chagall immergendo la scena nel blu delle acque e giocando sulla molteplicità di significato, vuole indicare la storia come mistero: teatro del mistero dell'iniquità e, nel contempo, luogo dell'evento salvifico di Dio. Una storia di peccato e di grazia che rimanda all'esperienza del battesimo.


Fedele all'idea del profeta come intermediario tra Dio e l'uomo Chagall semina pennellate di blu sul volto e sulla mano destra di Mosè, sottolineando così l'alta spiritualità del personaggio (Mosè è l'uomo di Dio) e la sua obbedienza alla volontà divina.



Il giallo
Il colore di Mosè è tuttavia il giallo, segno della luce terrestre: il sole, i bagliori del fuoco.
Il sole, miracolosamente sospeso nel cielo, fonte di vita e di calore, ha affascinato l'uomo di tutti i tempi. Per i popoli antichi era una divinità, mentre per Israele il sole è semplicemente una creatura, indispensabile per la vita dell'uomo, carico di significato simbolico, ma pur sempre realtà creata che rimanda all'autore di ogni bellezza che è Dio.
Mosè dunque è da un lato un personaggio storico (il giallo è luce terrestre a differenza del bianco), ma dall'altro è l'uomo investito di una missione divina e perenne: essere punto di riferimento e guida del popolo, così come orientamento e guida è la luce perenne del sole.
Il giallo dell'abito di Mosè colpisce per la sua posizione di primo piano, ritroviamo però pennellate di giallo all'orizzonte, dall'altra parte del mare, dove gli Israeliti riprendono il cammino sulla terra ferma. Questo perché idealmente Mosè ha preceduto e seguito il popolo, gli ha aperto la strada e insieme ne ha sorvegliato il cammino. La collocazione vicinissima all'osservatore indica l'a-temporalità del profeta, il suo valore per l'oggi. L'esperienza di cui è stato protagonista si perpetua nel tempo dentro l'ansia di ogni popolo per una libertà che trova in Dio la sua piena realizzazione.
Il braccio alzato di Mosè è simbolo di potenza, come del resto i "raggi di luce" sul capo che, per un'errata traduzione latina (corno e raggio si esprimono in ebraico con uno stesso vocabolo) divennero corna (si pensi al Mosè di Michelangelo: facies cornuta). Sotto il braccio di Mosè, dunque, simbolo della potenza divina, si consuma l'evento salvifico: bagliori di giallo si mescolano col rosso degli egiziani accanto alla nube che li separa dal popolo.


Il rosso
Il rosso in Egitto era un riferimento simbolico al demoniaco, era il colore associato a Seth. Il rosso è l'espressione degli impulsi incontrollati, le passioni: odio, crudeltà, lussuria.
La Bibbia ci informa che gli idoli venivano colorati di rosso (cfr. Sap. 13, 14). Esaù è rosso (Gen. 25, 25 in ebraico 'admônì), sarà infatti chiamato anche Edom (= rosso) perché ha mangiato un cibo di colore rosso ('adom: Gen. 25, 30; 36, 1.8). Ed Edom nella Bibbia verrà associato ad Amalek (Gen 36, 12.16) che è il nemico di Israele per eccellenza. (Hitler fu chiamato Amalek) (cfr. Es 17, 16) . Anche il Cantico dei Cantici gioca sul contrasto dei colori per esprimere i sentimenti: "Prendeteci le volpi piccoline che devastano le vigne… le nostre vigne sono in fiore" (Ct 2, 15). La volpe, (animale rosso, simbolo del male) col suo pelo fulvo si contrappone alle viti fiorite che verdeggiano punteggiate di bianco: con un linguaggio figurato viene significato il male che minaccia la vita divina e l'eterna felicità dell'uomo. Nell'arte cristiana, specie medioevale, la volpe diventerà simbolo di satana.
È Dio stesso che, per mezzo del profeta e di una teofania (la nube), crea scompiglio tra i nemici del popolo. I tratti caricaturali degli egiziani conferiscono alla scena un pizzico di comicità, mettendo così in luce l'effimera potenza delle forze del male. E per sottolineare che la vittoria è opera del Signore, Chagall stringe gli egiziani in una morsa formata dal braccio piegato di Mosè (l'uomo di Dio), dalla nube bianca (segno della manifestazione divina) e dall'angelo che stringe al petto le tavole della Torah (Parola stessa di Dio).


Al di là della nube, pigro e composto si snoda il convoglio degli ebrei. Il contrasto con l'affanno dei nemici è tanto più evidente quanto più sono quotidiani e semplici i particolari sottolineati nel disegnare i vari personaggi che lo compongono.
Con gli ebrei entrano in scena gli altri due colori dominanti nella ceramica: il bianco che s'irradia sulle persone vicine all'angelo, i reali protagonisti della vicenda. Il verde (lo stesso del fondale) tinge d'ombra numerosi altri personaggi che seguono il primo gruppo, simbolo di tutti quelli che verranno, eredi di Abramo per la fede nella forza salvifica del Dio d'Israele.


Il bianco e il verde
Il popolo dei salvati è avvolto dal bianco luminoso della teofania di Dio.
Un bianco che si sprigiona nella nube, nelle onde gonfie come sfere e nell'Angelo, raffigurazione che indica Dio stesso.
Il Bianco, somma dei colori, è simbolo della divinità. Nell'antichità, era il colore tipico degli animali consacrati agli Dei.
Nel linguaggio apocalittico della bibbia i capelli e le vesti di Dio e dei suoi eletti sono bianche, così come nel Vangelo le vesti bianchissime di Gesù avvolto dalla nube luminosa e trasfigurato, sono il simbolo rivelatore della sua divinità. Nella tradizione cristiana le vesti battesimali sono bianche: anticamente i neofiti - battezzati la notte di Pasqua - le indossavano per otto giorni deponendole la Domenica successiva chiamata appunto Domenica in albis deponendis.
Le forme tondeggianti delle onde evocano le colline che circondano Gerusalemme, la città Santa (Sal 125, 2), evocano ancora il seno materno e giustificano la tranquilla compostezza del popolo, protetto dalla cura materna di Dio. (In ebraico per definire il bianco si usa la parola latte perché per gli antichi, colore ed essere si identificavano; così, ad esempio, rosso, in ebraico, è lo stesso che terra). Femminili sono anche i tratti e le movenze dell'Angelo di Dio che dolcemente conduce il popolo all'approdo.


Tutta la composizione è orientata verso la figura dell'Angelo, attraverso linee oblique che, partendo dalla destra dell'immagine, si dirigono verso sinistra secondo l'andamento della scrittura ebraica. Lo stesso gesto dell'Angelo invita l'osservatore a guardare nell'angolo sinistro in alto della composizione, là dove la colonna di ebrei riprende il cammino sulla terra ferma.
Da questo punto in poi la direzione cambia. Una torre all'estrema sinistra blocca idealmente il percorso, la figura di Davide e le mura di Gerusalemme che si delineano sullo sfondo, invitano a dirigersi verso destra, così le ali dell'angelo e il gruppo raffigurante la crocifissione: la direzione di marcia riprende perciò da sinistra verso destra secondo l'andamento della scrittura occidentale.
Tutto questo riveste un preciso significato registrato anche dall'uso del verde muschio. Il verde, colore della vegetazione, rimanda alla vita e alla fecondità, ma questo verde così cupo si ottiene mediante la fusione del giallo, del blu e di una punta di rosso, la mescolanza cioè di tutti i colori presenti nel dipinto: nella vita di ogni uomo si perpetua la lotta contro il male e l'azione salvifica di Dio. Lo sfondo rappresenta dunque le generazioni di ogni tempo che cantano il lamento per il travaglio della vita e la lode per la salvezza operata da Dio, come è significato dalla presenza di Davide, a cui la tradizione biblica attribuisce tutto il salterio. Ma il termine della composizione resta la crocifissione di Cristo che riassume in sé la sofferenza inflitta dall'uomo all'uomo, quella del giusto apparentemente maledetto da Dio, ma riscattato mediante una liberazione che va ben oltre le salvezze della storia terrena, senza per questo prescindere da essa.


Cristo sul ponte: il viola della passione, la luce dell'amore

Come tutto il capo scenico nella prima tela è attraversato verticalmente dal convoglio degli ebrei inseguiti dagli egiziani, così nel "Cristo sul Ponte" il Crocifisso taglia verticalmente la tela. Se la "traversata" ha le caratteristiche di una grande teofania, dove i colori primari ne accentuano la drammaticità, qui l'epifania di Cristo è immersa in un paesaggio pressoché monocolore, dolce e quotidiano.
L'atmosfera grave colora tutto di viola: persone, animali e cose. Il viola si ottiene mescolando il blu, colore del mistero, col rosso, colore dell'amore e della passione. Il viola è associato perciò al mistero della morte; nella liturgia esprime la passione di Cristo a cui il credente si associa attraverso la penitenza.

In questo dipinto dunque, la morte impregna l'aria. Solo il Cristo si sottrae miracolosamente alla sua morsa ed emerge, sconfinando dai margini della tela fino ad abbracciare l'osservatore: quanto qui accade lo coinvolge, lo interessa da vicino.


Quando Chagall dipinse questa tela, la guerra era finita da cinque anni. L'Europa si stava risollevando dagli orrori della shoah. Cristo indossa il talled, scialle rituale della preghiera ebraica, un elemento ricorrente nelle crocifissioni chagalliane. Cristo incarna i dolori e le sofferenze del popolo di Dio, è il servo sofferente di Jahvè che porta su di sé il peccato del mondo. Dal confine destro della tela sbuca un uomo pietoso che vuole togliere Gesù dalla croce. La sua scala è precaria appoggiata com'è da una sola parte ed egli non guarda verso il crocifisso.
Dove mai si volge lo sguardo di quest'uomo dal volto e dalla mano luminosa? Forse al talled, o forse all'altro uomo che sul lato opposto, col violino in mano, si appresta a suonare. Il violinista, come l'ebreo errante che appena s'intravede sulle rive del fiume, nei pressi del villaggio sulla destra, è simbolo di quella cultura yiddish quasi totalmente cancellata dalla furia nazista; una cultura che Chagall amava molto. La presenza di questo violinista sulla scena della crocifissione denuncia la brutalità che cancella la bellezza, la razionalizzazione dell'odio che soffoca la poesia. Eppure la bellezza non soccomberà: il violino dell'ebreo, a dispetto del resto della sua figura inghiottita dall'oscurità, è illuminato da un bagliore. All'orizzonte, infatti, sorge una luce calda e dorata che rischiara il paesaggio, rivelando il ponte - come in controluce -, il fiume e una barca con la quale alcune persone stanno guadagnando la riva. Ma nel cuore di quel bagliore, sul ponte, due innamorati stanno teneramente stretti. L'amore è la luce del mondo, l'amore impedisce il trionfo del male. Cristo è l'amore incarnato che ha vinto il peccato, gettando così un "ponte" di comunione fra Dio è l'uomo; è il sommo ed eterno "ponte-fice" (pontem facere). La barca della vita, di ogni vita umana, grazie a lui conosce l'approdo della salvezza e della pace.
Chagall è così certo che la bellezza e l'amore salveranno il mondo, è così certo che questo è il segreto della Pasqua, tanto di quella ebraica che di quella cristiana, che neppure Cristo è solo nell'ora incombente della passione. Un'ora che scocca inesorabile, segnata dal canto del gallo.
Nel libro dei proverbi (Pr. 30, 31) il gallo, per il suo portamento maestoso è citato sullo stesso piano del leone, del caprone e del re, Dio l'ha dotato di una particolare intelligenza, secondo Giobbe (Gb 38, 36) rendendolo capace di presagire il tempo e annunciare infallibilmente l'avvicinarsi della luce.
In quest'ora, dunque, così solenne e gravida di senso, Cristo non è solo. La sposa è con Lui, avvinta alla sua stessa croce lo bacia, riparando così il bacio gelido del traditore. Per Israele, che si concepisce al maschile, la Sposa è il Sabato, è il Messia stesso che viene incontro al popolo per introdurlo nel grande sabato dello Shalom. Nelle tradizione cristiana, la Sposa è la Chiesa, il popolo di Dio che attende fedelmente il ritorno, questa volta glorioso, del Cristo-Messia. Due diverse prospettive che s'incontrano allo zenit della storia: la Sposa annuncia il compimento dell'ora. L'alba si leverà sulle oscurità della storia, scoccherà l'ora delle nozze fra Dio e il suo popolo.


Concludendo
Cosa dicono a noi, della Pasqua, queste immagini?
La Pasqua è il mistero di un obbedienza a Dio, che Chagall esprime col colore blu. Il blu compare, infatti, sul volto di Cristo e nello sguardo della Sposa: all'obbedienza ci si sottomette per amore. Nel blu della traversata del Mar Rosso, nuota stretta in un abbraccio una coppia di amanti: l'amore è la forza segreta che muove il mondo.
La Pasqua è la rivelazione del Dio-Amore.
Il peccato disturba l'armonia del cosmo e deturpa la bellezza originaria che ciascuno porta iscritta in sé come perenne nostalgia. A questa bellezza l'uomo ritorna attraverso il bagno purificatore della vita. La fonte battesimale, immergendoci nella morte stessa del Cristo, ci restituisce alla vita; il battesimo è sì, dunque, pegno di sicura vittoria ma anche impegna il credente nello sforzo quotidiano contro le forze del male. In queste immagini Chagall invita a leggere le tribolazioni del presente come partecipazione a quella lotta contro il peccato che da sempre attanaglia l'umanità.
Gli eventi salvifici della Pasqua mosaica e della Pasqua di Cristo esprimono il già della vittoria di Dio sulle forze del male e della morte, ma lasciano l'uomo nel non-ancora di un mondo sconvolto dalle trame del mistero dell'iniquità. Tuttavia l'uomo, nessun uomo, è solo. Dio veglia sull'umanità e partorisce ogni generazione alla Sua luce intramontabile. Avvalendosi di intermediari - i profeti e gli uomini di Dio - accompagna il cammino dell'umanità, dialoga con essa per mezzo dei dettami della sua legge e le note modulate del salterio, contrappunto musicale di gioia e di dolore. Ma non solo: Dio stesso, per mezzo del Figlio, si è fatto compagno nel cammino dell'uomo. Cristo è l'obbediente per eccellenza e nella sua obbedienza riporta l'uomo alla perfetta comunione con il Padre. Egli è il Ponte sul quale ogni uomo vive sicuro il passaggio verso la vera vita.
Ma l'uomo non è spettatore passivo di una salvezza data gratuitamente, l'Amore di Dio chiama alla responsabilità personale. L'epifania di Dio, per Chagall, è immersa nel quadro di una vita quotidiana: una mamma col bambino, l'uomo che abbraccia il rotolo della legge, un agnello che sembra passare di lì per caso, mentre Cristo agonizza sulla croce. Dio è presente nella normalità dei giorni, e dentro questa normalità si consuma il mistero. Il credente che nella sofferenza quotidiana lava le sue vesti nel Sangue di quell'Agnello che è Cristo, le tinge del biancore della santità e affretta così l'ora della piena rivelazione della gloria divina. Nessun triste presagio può turbare la fede del credente: la bellezza ha già salvato il mondo, la luce dell'amore ha già vinto le tenebre del male.

Un giorno, io lo so,
mi accoglierai
e della morte svanirà il ricordo
ma non l'amore,
e della vita svanirà il mistero
ma non l'incanto.
Ed al compagno delle mie paure
potrò mostrare finalmente quanto
- segretamente - io desideravo
che mi fosse accanto
nel giorno della Tua rivelazione.
Marc Chagall

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