P. R. Cantalamessa: “La lettera uccide, lo Spirito dà vita”

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Quarta predica

“LA LETTERA UCCIDE,

LO SPIRITO DA' VITA”

La lettura spirituale della Bibbia



1. La Scrittura divinamente ispirata

Nella seconda lettera a Timoteo è contenuta la celebre affermazione: “Tutta la Scrittura è ispirata da Dio” (2 Tm 3, 16). L'espressione che viene tradotta con “ispirata da Dio”, o “divinamente ispirata”, nella lingua originale, è una parola unica, theopneustos, che contiene insieme i due vocaboli di Dio (Theos) e di Spirito (Pneuma). Tale parola ha due significati fondamentali: uno molto noto e un altro invece abitualmente trascurato, sebbene non meno importante del primo.

Il significato più noto è quello passivo, messo in luce in tutte le traduzioni moderne: la Scrittura è “ispirata da Dio”. Un altro passo del Nuovo Testamento spiega così questo significato: “Mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini (i profeti) da parte di Dio” (2 Pt 1, 21). È, insomma, la dottrina classica dell'ispirazione divina della Scrittura, quella che proclamiamo come articolo di fede nel Credo, quando diciamo che lo Spirito Santo “ha parlato per mezzo dei profeti”.

Possiamo rappresentarci con immagini umane questo evento in sé misterioso dell'ispirazione: Dio “tocca” con il suo dito divino - cioè con la sua vivente energia che è lo Spirito Santo - quel punto recondito, dove lo spirito umano si apre all'infinito e da lì quel tocco - in sé semplicissimo e istantaneo come è Dio che lo produce - si diffonde come una vibrazione sonora in tutte le facoltà dell'uomo -volontà, intelligenza, fantasia, cuore -, traducendosi in concetti, immagini, parole.

Il risultato che, in tal modo, si ottiene è una realtà teandrica, cioè pienamente divina e pienamente umana: le due cose intimamente fuse, anche se non “confuse”. Il magistero della Chiesa - encicliche “Providentissimus Deus” di Leone XIII e “Divino afflante Spiritu” di Pio XII - ci dice che i due dati, divino e umano, si sono mantenuti intatti. Dio è l'autore principale perché assume la responsabilità di ciò che è scritto, determinandone il contenuto con l'azione del suo Spirito; tuttavia lo scrittore sacro è anch'esso autore, nel senso pieno della parola, perché ha collaborato intrinsecamente a questa azione, mediante una normale attività umana, di cui Dio si è servito come di uno strumento. Dio - dicevano i Padri - è come il musicista che, toccandole, fa vibrare le corde della lira; il suono è tutto opera del musicista, ma esso non esisterebbe senza le corde della lira.

Di quest'opera meravigliosa di Dio è messo in luce, di solito, quasi solo un effetto: l'inerranza biblica, cioè il fatto che la Bibbia non contiene nessun errore, se intendiamo correttamente l’“errore” come assenza di una verità possibile umanamente, in un determinato contesto culturale, tenendo conto del genere letterario impiegato, e, quindi, esigibile da parte di chi scrive. Ma l'ispirazione biblica fonda molto di più che la semplice inerranza della parola di Dio (che è qualcosa di negativo); fonda, positivamente, la sua inesauribilità, la sua forza e vitalità divina e quella che Agostino chiamava la mira profunditas, la meravigliosa profondità 1.

Così siamo preparati a scoprire ormai l'altro significato dell'ispirazione biblica. Per sé, grammaticalmente, il participio theopneustos è attivo, non passivo. La stessa tradizione ha saputo cogliere in certi momenti questo significato attivo. La Scrittura, diceva S. Ambrogio, è theopneustos non solo perché è “ispirata da Dio”, ma anche perché è “spirante Dio”, perché spira Dio! 2

Parlando della creazione, sant’Agostino dice che Dio non fece le cose e poi se ne andò, ma che esse “venute da lui, restano in lui” 3. Così è delle parole di Dio: venute da Dio, esse restano in lui e lui in esse. Dopo aver dettato la Scrittura, lo Spirito Santo si è come racchiuso in essa, la abita e la anima senza posa con il suo soffio divino. Heidegger ha detto che “la parola è la casa dell’Essere”, noi possiamo dire che la Parola (con la lettera maiuscola) è la casa dello Spirito.

La costituzione conciliare “Dei Verbum” raccoglie anch'essa questo filone della tradizione quando dice che “le sacre Scritture ispirate da Dio (ispirazione passiva!) e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo” (ispirazione attiva!) 4.

2. Docetismo ed ebionismo biblico

Ma ora dobbiamo toccare il problema più delicato: come accostare le Scritture in modo che esse “liberino” davvero per noi lo Spirito che contengono? Ho detto che la Scrittura è una realtà teandrica, cioè divino-umana. Ora la legge di ogni realtà teandrica (come sono, per esempio, Cristo e la Chiesa) è che non si può scoprire in essa il divino, se non passando attraverso l'umano. Non si può scoprire in Cristo la divinità, se non attraverso la sua concreta umanità.

Quelli che, nell'antichità, pretesero fare diversamente caddero nel docetismo. Disprezzando, di Cristo, il corpo e i contrassegni umani come semplici “apparenze” (dokein), smarrirono anche la sua realtà profonda e, al posto di un Dio vivente fatto uomo, si ritrovarono in mano una loro distorta idea di Dio. Allo stesso modo, non si può, nella Scrittura, scoprire lo Spirito, se non passando attraverso la lettera, cioè attraverso il concreto rivestimento umano che la parola di Dio ha assunto nei diversi libri e autori ispirati. Non si può scoprire in esse il significato divino, se non partendo dal significato umano, quello inteso dall'autore umano, Isaia, Geremia, Luca, Paolo ecc. In ciò trova la sua piena giustificazione l'immenso sforzo di studio e di ricerca che circonda il libro della Scrittura.

Ma questo non è il solo pericolo che corre l’esegesi biblica. Di fronte alla persona di Gesù non c'era solo il pericolo del docetismo, cioè di trascurare l'umano; c'era anche il pericolo di fermarsi ad esso, di non vedere in lui che l'umano e di non scoprire la dimensione divina di Figlio di Dio. C'era, insomma, il pericolo dell'ebionismo. Per gli ebioniti (che erano dei giudeo-cristiani), Gesù era, sì, un grande profeta, il più grande profeta, se si vuole, ma non di più. I Padri li chiamarono “ebioniti” (da ebionim, i poveri) per dire che erano poveri di fede.

Così avviene anche per la Scrittura. Esiste un ebionismo biblico, cioè la tendenza a fermarsi alla lettera, considerando la Bibbia un libro eccellente, il più eccellente dei libri umani, se si vuole, ma un libro solo umano. Purtroppo, noi viviamo il rischio di ridurre la Scrittura a una sola dimensione. La rottura dell'equilibrio, oggi, non è verso il docetismo, ma è verso 1'ebionismo.

La Bibbia viene spiegata da molti studiosi volutamente con il solo metodo storico-critico. Non parlo degli studiosi non credenti, per i quali ciò è normale, ma di studiosi che si professano credenti. La secolarizzazione del sacro in nessun caso si è rivelata tanto acuta, come nella secolarizzazione del Libro sacro. Ora, pretendere di comprendere esaurientemente la Scrittura, studiandola con il solo strumento dell'analisi storico-filologica è come pretendere di scoprire il mistero della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, basandosi su un'analisi chimica dell'ostia consacrata! L'analisi storico-critica, anche quando dovesse essere spinta al massimo della perfezione, non rappresenta, in realtà, che il primo gradino della conoscenza della Bibbia, quello riguardante la lettera.

Gesù afferma solennemente nel Vangelo che Abramo “vide il suo giorno” (cf. Gv 8, 56), che Mosè aveva “scritto di lui” (cf. Gv 5, 46), che Isaia “vide la sua gloria e parlò di lui” (cf. Gv 12, 41), che i profeti e i salmi e tutte le Scritture parlano di lui (cf. Lc 24, 27.44; Gv 5, 39), ma oggigiorno una certa esegesi scientifica esita a parlare di Cristo, non lo scorge praticamente più in nessun passo dell'Antico Testamento, o, almeno, ha paura di dire che ve lo scorge, per tema di squalificarsi “scientificamente”.

L'inconveniente più serio di una certa esegesi esclusivamente scientifica è che essa cambia completamente il rapporto tra l'esegeta e la parola di Dio. La Bibbia diventa un oggetto di studio che il professore deve “padroneggiare” e davanti al quale, come si addice a ogni uomo di scienza, deve rimanere “neutrale”. Ma in questo caso unico non è permesso rimanere “neutrali” e non è dato di “dominare” la materia; bisogna piuttosto lasciarsi dominare da essa. Dire di uno studioso della Scrittura che egli “padroneggia” la parola di Dio, a pensarci bene, è dire quasi una bestemmia.

La conseguenza di tutto ciò è il chiudersi e il “ripiegarsi” della Scrittura su se stessa; essa torna ad essere il libro “sigillato”, il libro “velato”, perché - dice S. Paolo - quel velo viene “eliminato in Cristo”, quando c'è “la conversione al Signore”, cioè quando si riconosce, nelle pagine della Scrittura, Cristo (cf. 2 Cor 3, 15-16). Avviene, della Bibbia, come di certe piante sensibilissime che serrano le loro foglie, appena sono toccate da corpi estranei, o come di certe conchiglie che serrano le loro valve per proteggere la perla che hanno dentro. La perla della Scrittura è Cristo.

Non si spiegano altrimenti le tante crisi di fede di studiosi della Bibbia. Quando ci si chiede il perché della povertà e aridità spirituale che regnano in alcuni seminari e luoghi di formazione, non si tarda a scoprire che una delle cause principali è il modo con cui è insegnata in essi la Scrittura. La Chiesa è vissuta e vive di lettura spirituale della Bibbia; troncato questo canale che alimenta la vita di pietà, lo zelo, la fede, allora tutto inaridisce e langue. Non si capisce più la liturgia che è tutta costruita su un uso spirituale della Scrittura, oppure la si vive come un momento staccato dalla vera formazione personale e smentito da quello che si è imparato il giorno prima in classe.

3. Lo Spirito dà la vita

Un segno di grande speranza è che l’esigenza di una lettura spirituale e di fede della Scrittura comincia ormai ad essere avvertita proprio da alcuni eminenti esegeti. Uno di essi ha scritto: “È urgente che quanti studiano e interpretano la Scrittura si interessino di nuovo all'esegesi dei Padri, per riscoprire, al di là dei loro metodi, lo spirito che li animava, l'anima profonda che ispirava la loro esegesi; alla loro scuola dobbiamo imparare a interpretare la Scrittura, non solo dal punto di vista storico e critico, ma parimenti nella Chiesa e per la Chiesa” (I. de la Potterie). Il P.H. de Lubac, nella sua monumentale storia dell'esegesi medievale, ha messo in luce la coerenza, la solidità e la straordinaria fecondità dell'esegesi spirituale praticata dai Padri antichi e medievali.

Ma bisogna dire che i Padri non fanno, in questo campo, che applicare (con gli strumenti imperfetti che avevano a disposizione) il puro e semplice insegnamento del Nuovo Testamento; non sono, in altre parole, gli iniziatori, ma i continuatori di una tradizione che ha avuto tra i fondatori Giovanni, Paolo e lo stesso Gesù. Costoro, non solo hanno praticato tutto il tempo una lettura spirituale delle Scritture, cioè una lettura in riferimento a Cristo, ma hanno anche dato la giustificazione di tale lettura, dichiarando che tutte le Scritture parlano di Cristo (cf. Gv 5, 39), che in esse era già “lo Spirito di Cristo” che era all'opera e si esprimeva attraverso i profeti (cf. 1 Pt 1, 11), che tutto, nell'Antico Testamento, è detto “per allegoria”, cioè in riferimento alla Chiesa (cf. Gal 4, 24), o “per ammonimento nostro” (1 Cor 10, 11).

Dire, perciò, lettura “spirituale” della Bibbia non significa dire lettura edificante, mistica, soggettiva, o, peggio ancora, fantasiosa, in opposizione alla lettura scientifica che sarebbe, invece, oggettiva. Essa, al contrario, è la lettura più oggettiva che ci sia perché si basa sullo Spirito di Dio, non sullo spirito dell'uomo. La lettura soggettiva della Scrittura (quella basata sul libero esame) ha dilagato proprio quando si è abbandonato la lettura spirituale e là dove tale lettura è stata più chiaramente abbandonata.

La lettura spirituale è dunque qualcosa di ben preciso e oggettivo; è la lettura fatta sotto la guida, o alla luce, dello Spirito Santo che ha ispirato la Scrittura. Essa si basa su un evento storico e cioè sull'atto redentore di Cristo che, con la sua morte e risurrezione, compie il disegno di salvezza, realizza tutte le figure e le profezie, svela tutti i misteri nascosti e offre la vera chiave di lettura dell'intera Bibbia. L’Apocalisse esprime tutto ciò con l’immagine dell’Agnello immolato che prende in mano il libro e ne rompe i sette sigilli (cf. Ap. 5, 1ss.)

Chi volesse, dopo di lui, continuare a leggere la Scrittura prescindendo da questo atto, somiglierebbe a uno che continuasse a leggere uno spartito musicale in chiave di “fa”, dopo che il compositore ha introdotto nel brano la chiave di “sol”: ogni singola nota darebbe, a quel punto, un suono falso e stonato. Ora, il Nuovo Testamento chiama la chiave nuova “lo Spirito”, mentre definisce la chiave vecchia “la lettera”, dicendo che la lettera uccide, ma lo Spirito dà la vita (2 Cor 3, 6).

Contrapporre tra di loro “lettera” e “Spirito” non significa contrapporre tra di loro Antico e Nuovo Testamento, quasi che il primo rappresenti solo la lettera e il secondo solo lo Spirito. Significa piuttosto contrapporre tra di loro due modi diversi di leggere sia l'Antico che il Nuovo Testamento: il modo che prescinde da Cristo e il modo che giudica, invece, tutto alla luce di Cristo. Per questo, la Chiesa può valorizzare l'uno e l'altro Testamento, perché entrambi le parlano di Cristo.

4. Ciò che lo Spirito dice alla Chiesa

La lettura spirituale non riguarda soltanto l'Antico Testamento; in un senso diverso riguarda anche il Nuovo Testamento; anch'esso dev'essere letto spiritualmente. Leggere spiritualmente il Nuovo Testamento significa leggerlo alla luce dello Spirito Santo donato a Pentecoste alla Chiesa per condurla a tutta quanta la verità, cioè alla piena comprensione e attuazione del Vangelo.

Gesù ha spiegato egli stesso, in anticipo, il rapporto tra la sua parola e lo Spirito che egli avrebbe inviato (anche se non dobbiamo pensare che lo abbia fatto necessariamente nei termini precisi che usa, a questo riguardo, il vangelo di Giovanni). Lo Spirito - si legge in Giovanni - “insegnerà e farà ricordare” tutto ciò che Gesù ha detto (cf. Gv 14, 25 s.), cioè lo farà comprendere a fondo, in tutte le sue implicazioni. Egli “non parlerà da se stesso”, cioè non dirà cose nuove rispetto a quelle dette da Gesù, ma - come dice Gesù stesso - prenderà del mio e ve lo rivelerà (Gv 16, 13-15).

In ciò è dato vedere come la lettura spirituale integra e oltrepassa la lettura scientifica. La lettura scientifica conosce una sola direzione che è quella della storia; spiega infatti ciò che viene dopo, alla luce di ciò che viene prima; spiega il Nuovo Testamento alla luce dell'Antico che lo precede, e spiega la Chiesa alla luce del Nuovo Testamento. Buona parte dello sforzo critico intorno alla Scrittura consiste nell'illustrare le dottrine del Vangelo alla luce delle tradizioni veterotestamentarie, dell'esegesi rabbinica ecc.; consiste, insomma, nella ricerca delle fonti (Su questo principio è basato il Kittel e tanti altri sussidi biblici).

La lettura spirituale riconosce in pieno la validità di questa direzione di ricerca, ma ad essa ne aggiunge un'altra inversa. Essa consiste nello spiegare ciò che viene prima alla luce di ciò che viene dopo, la profezia alla luce della realizzazione, l'Antico Testamento alla luce del Nuovo e il Nuovo Testamento alla luce della Tradizione della Chiesa. In ciò la lettura spirituale della Bibbia trova una singolare conferma nel principio ermeneutico di Gadamer della “storia degli effetti” (Wirkungsgeschichte), secondo cui per capire un testo bisogna tener conto degli effetti che esso ha prodotto nella storia, inserendosi in questa storia e dialogando con essa 5.

Solo dopo che Dio ha realizzato il suo piano, si capisce pienamente il senso di ciò che lo ha preparato e prefigurato. Se ogni albero, come dice Gesù, si riconosce dai suoi frutti, anche la parola di Dio non si può conoscere appieno, prima di aver visto i frutti che ha prodotto. Studiare la Scrittura alla luce della Tradizione è un po' come conoscere l'albero dai suoi frutti. Per questo Origene diceva che “il senso spirituale è quello che lo Spirito dà alla Chiesa”6. Esso si identifica con la lettura ecclesiale o addirittura con la Tradizione stessa, se intendiamo per Tradizione non solo le dichiarazioni solenni del magistero (che riguardano, del resto, pochissimi testi biblici), ma anche l'esperienza di dottrina e di santità in cui la parola di Dio si è come nuovamente incarnata e “spiegata” nel corso dei secoli, per opera dello Spirito Santo.

Quello che occorre non è dunque una lettura spirituale che prenda il posto dell'attuale esegesi scientifica, con un ritorno meccanico all'esegesi dei Padri; è piuttosto una nuova lettura spirituale corrispondente all'enorme progresso registrato dallo studio della “lettera”. Una lettura, insomma, che abbia l'afflato e la fede dei Padri e, nello stesso tempo, la consistenza e la serietà dell'attuale scienza biblica.

5. Lo Spirito che soffia dai quattro venti

Davanti alla distesa di ossa aride, il profeta Ezechiele udì la domanda: “Potranno queste ossa rivivere?” (Ez 37, 3). La stessa domanda ci poniamo noi oggi: potrà 1'esegesi, inaridita dal lungo eccesso di filologismo, ritrovare lo slancio e la vita che ebbe in altri momenti della storia della Chiesa? Il Padre de Lubac, dopo aver studiato la lunga storia dell'esegesi cristiana, conclude piuttosto mestamente, dicendo che mancano a noi moderni le condizioni per poter risuscitare una lettura spirituale come quella dei Padri; ci manca quella fede piena di slancio, quel senso della pienezza e dell'unità che avevano essi, per cui voler imitare oggi la loro audacia sarebbe un esporsi quasi alla profanazione, mancandoci lo spirito da cui procedevano quelle cose 7.

Tuttavia, egli non chiude del tutto la porta alla speranza e dice che “se si vuole ritrovare qualcosa di quel che fu nei primi secoli della Chiesa l'interpretazione spirituale delle Scritture, bisogna riprodurre anzitutto un movimento spirituale”8. A distanza di qualche decennio, e con il Concilio Vaticano II di mezzo, a me sembra di riscontrare, in queste ultime parole, una profezia. Quel “movimento spirituale” e quello “slancio” hanno cominciato a riprodursi, ma non perché degli uomini l'avessero programmato o previsto, ma perché lo Spirito si è messo a soffiare di nuovo, inaspettatamente, dai quattro venti sulle ossa aride. Contemporaneamente alla ricomparsa dei carismi, si assiste al ricomparire anche della lettura spirituale della Bibbia ed è, anche questo, un frutto, dei più squisiti, dello Spirito.

Partecipando a incontri biblici e di preghiera, resto stupito nell'ascoltare, a volte, riflessioni sulla parola di Dio del tutto analoghe a quelle che facevano a loro tempo Origene, Agostino o Gregorio Magno, anche se in un linguaggio più semplice. Le parole sul tempio, sulla “tenda di David”, su Gerusalemme distrutta e riedificata dopo l'esilio, vengono applicate, con tutta semplicità e pertinenza, alla Chiesa, a Maria, alla propria comunità o alla propria vita personale. Ciò che si narra dei personaggi dell'Antico Testamento induce a pensare, per analogia o per antitesi, a Gesù e ciò che si narra di Gesù viene applicato e attualizzato in riferimento alla Chiesa e al singolo credente.

Molte perplessità nei confronti della lettura spirituale della Bibbia nascono dal non tener conto della distinzione tra spiegazione e applicazione. Nella lettura spirituale, più che pretendere di spiegare il testo, attribuendogli un senso estraneo all’intenzione dell’autore sacro, si tratta, in genere, di applicare o attualizzare il testo. È ciò che vediamo in atto già nel Nuovo Testamento nei confronti delle parole di Gesú. A volte si nota che, di una stessa parabola di Cristo, vengono fatte applicazioni diverse nei sinottici, a seconda dei bisogni e dei problemi della comunità per cui ognuno scrive.

Le applicazioni dei Padri e quelle di oggi non hanno evidentemente il carattere canonico di queste applicazioni originarie, ma il processo che porta ad esse è lo stesso e si basa sul fatto che le parole di Dio non sono parole morte, “da conservare sott’olio”, direbbe Péguy; sono parole “vive” e “attive”, capaci di sprigionare sensi e virtualità nascosti, in risposta a domande e situazioni nuove. È una conseguenza di quella che ho chiamato la “ispirazione attiva” della Scrittura, cioè del fatto che essa non è solo “ispirata dallo Spirito”, ma “spira” anche lo Spirito e lo spira in continuazione, se letta con fede. “La Scrittura, ha detto san Gregorio Magno, cum legentibus crescit, cresce con coloro che la leggono”9. Cresce, rimanendo intatta.

Termino con una preghiera che ho sentito fare una volta da una donna, dopo che era stato letto l'episodio di Elia che, salendo al cielo, lascia a Eliseo due terzi del suo spirito. È un esempio di lettura spirituale nel senso che ho appena spiegato: “Grazie, Gesù, che salendo al cielo non ci hai lasciato soltanto due terzi del tuo Spirito, ma tutto il tuo Spirito! Grazie che non l'hai lasciato a un unico discepolo, ma a tutti gli uomini! “.

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1 Testi in H. de Lubac, Histoire de l’exégése médiévale, I,1, Paris,Aubier 1959, pp. 119 ss.

2 S. Ambrogio, De Spiritu Sancto, III, 112.

3 S. Agostino, Conf . IV, 12, 18.

4 Dei Verbum, 21.

5 cf. H.G. Gadamer, Wahrheit und Methode, Tbingen 1960.

6 Origene, In Lev. hom. V, 5.

7 H. de Lubac, Exégèse médiévale, II, 2, p. 79.

8 H. de Lubac, Storia e spirito, Roma 1971, p. 587.

9 S. Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, 20,1 (CC 143A, p. 1003).

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