tomba vuota e panni sepolcrali
TOMBA VUOTA E PANNI SEPOLCRALIIl quaderno 137 di «Credere oggi», dedicato a «Giovanni l’evangelista dalle alid’aquila», ha programmato, tra l’altro, uno studio sulla prima parte del cap. 20 diGiovanni. Anche se il riferimento alla Sindone era esplicito, il taglio prevalentementeesegetico dava la possibilità di impostare l’analisi nel modo più spoglio di preoccupazioniestranee al messaggio del testo, che poté seguire così una linea metodologicacompletamente aperta.Un mattino presto, d’inizio settimana, una donna d’Israele si recava a una tomba, postaappena fuori dell’abitato cittadino. Accadeva quasi duemila anni fa e l’episodio avevacome protagonista un personaggio poco conosciuto, proveniente da Magdala: una Mariacomparsa nell’entourage di Gesù di Nazaret solo al termine della vita del Maestro escomparsa dalla scena storica (non dalla leggenda) subito dopo l’incontro con il Risorto.Eppure essa domina gli avvenimenti della prima parte di un lungo racconto (i capitoli 20 e21 del Quarto Vangelo), che si dipana concentrando l’attenzione su alcuni tipiciprotagonisti: dopo Maria nella vicenda intervengono Pietro, il «discepolo che Gesùamava», Tommaso; sullo sfondo restano altri dieci, fra i quali viene ricordato ancoraNatanaele, assieme ai «figli di Zebedeo». Dal buio di quel mattino, nel giardino vicino alGolgota, si passa al buio della sera, in una sala chiusa, nella scansione cronologica di unaintera settimana, e poi all’alba che segue una notte passata sul lago per la pesca, fino a untempo indefinito, che accoglie un discorso orientato anch’esso a un futuro senza chiariconfini. In duemila anni quelle pagine sono state lette innumerevoli volte, con l’attenzioneai più vari interessi e l’applicazione delle metodologie più disparate.Nessun evangelista ha dato, come Giovanni, tanta attenzione a quegli avvenimentiaccaduti dopo la morte di Gesù, che noi usiamo chiamare le esperienze pasquali.Nell’attenzione ad esse si avverte una evoluzione d’interesse: il Marco primitivo siconcentra solo sulle esperienze al sepolcro, che sono ancora predominanti in Matteo e1Luca1, mentre Giovanni concede interesse prevalente alle «grandi» apparizioni di Gesù2.Ciononostante anche le esperienze al sepolcro per Giovanni ricoprono una varietàepisodica notevole e svolgono una funzione inscindibile dal successivo sviluppo delracconto.L’articolazione dei racconti del sepolcroLa mattina del primo giorno della settimana si succedono quattro scene al sepolcro:1) Maria di Magdala viene al sepolcro, vede la pietra rimossa e va ad annunciare a Pietro eal discepolo prediletto che «hanno tolto il Signore e non sappiamo dove lo hanno posto»(20,1-2); 2) i due discepoli corrono al sepolcro e vedono solo i panni sepolcrali, che fannogiungere alla fede il discepolo amato; poi se ne vanno senza altre iniziative (vv. 3-10); 3)Maria, piangente, si china anch’essa e vede nel sepolcro solo due angeli, con i qualiaccenna un breve dialogo (vv. 11-13); 4) Maria è sorpresa dalla presenza di un nuovoprotagonista, Gesù, il quale le rivela la sua nuova condizione e le affida un incarico, cheella subito svolge (vv. 14-18).Ogni scena ha una sua propria comunicazione: silenzio totale nella prima, con unmessaggio indefinito, proveniente dal vuoto, che pure è provocante; ancora silenzio nellaseconda, dove il messaggio è dato dai panni sepolcrali; incontro con gli angeli nella terza,ricevendone domande ma non messaggi; incontro in fine con Gesù, che interpella e suscitauna reazione di totalità di vita. Le reazioni sono discontinue: timida e disorientata, eppurepresente, nella prima scena (reazione di annuncio); reazione parziale di fede e non diannuncio nella seconda; assenza di reazione nella terza (la scena più imperfetta, perchétotalmente aperta e solo in funzione della successiva); reazione di fede equivalente e poi diannuncio perfetto nella quarta.Un confronto intertestuale suscita numerose domande: in questo racconto tutto ènoto e tutto è nuovo. I sinottici conoscono la Maddalena, ma mai sola e mai piangente;Luca conosce un’andata di discepoli al sepolcro, ma non sa nulla del discepolo amato e delsuo cammino solitario verso la fede; figure del mondo celeste sono presenti in tutti i1 Non ci si lasci ingannare dal fatto che dei 53 vv. del c. 24 di Luca solo 12 sono dedicati alle donne alsepolcro: in realtà tutto l’episodio dei discepoli Emmaus (vv. 13-35) si svolge sullo sfondo degli avvenimentidel sepolcro: è il terzo giorno ma, nonostante il sepolcro trovato vuoto dalle donne e dai discepoli che l’hannoverificato, i due discepoli non sanno darsene spiegazione. Occorre l’intervento di Gesù che, in unaapparizione a «privati», come in Matteo (28, 9-10) e in Giovanni (20, 1-2. 11-18), ne risolve definitivamentel’enigma.2 Gv 21 è notoriamente anomalo, perché lo scenario tipico delle «grandi» apparizioni ha lasciato il postoall’incontro con sette interlocutori di Gesù, che poi retrocedono, per non disturbare il lungo dialogo di Gesùcon Pietro (vv. 15-23). Ciononostante il clima è quello dei grandi incarichi, per il futuro della comunità deidiscepoli, anche se su questo sfondo acquistano una particolare funzione pure i destini personali di duesingole vite.2racconti sinottici del sepolcro vuoto, ma con una funzione ben più pronunciata che inGiovanni; Matteo conosce un’apparizione di Gesù alle donne, ma il suo messaggio silimita a fare andare i fratelli-discepoli in Galilea, senza dire nulla di se stesso.La seconda scena è – in certo senso – la più problematica di tutte. Quale funzionehanno i panni mortuari? Perché quegli strani protagonisti? Incominciamo da questi.Certamente le esperienze del sepolcro vuoto non hanno avuto solo le donne perprotagoniste: sembra innegabile, confrontando Luca (24,12.24) e Giovanni (20,3-10). Magli apostoli non ebbero funzione dominante. A differenza della linea marciano-matteana,quella lucano-giovannea segue con più attenzione l’annuncio che le donne danno aidiscepoli circa il sepolcro trovato vuoto e narrano anche una sua conseguenza: Pietro (perLc) o Pietro e il discepolo amato (per Gv) vanno pure essi al sepolcro. Qui però le lorolinee si dividono, perché per Luca questo è il punto più oscuro di tutta l’esperienzapasquale: Pietro torna a casa (soltanto) stupito (v. 12)3; gli «alcuni di noi» costatano solol’assenza del cadavere, «ma lui non lo videro» (v. 24)4. Per Giovanni non c’è molto di più,se si fissa l’attenzione sui vv. 9 e 10: i due avrebbero dovuto «sapere» la Scrittura, «cheegli doveva risuscitare dai morti» (mancano dunque di qualcosa che sarebbe stato atteso) epoi tornano a casa senza che si ricordi una qualsiasi conseguenza della loro esperienza.Tuttavia il v. 8 costituisce un modesto climax, con la fede a cui giunge il discepolo amato;e questo risultato è presentato come frutto del suo «vedere».«Vedere» (horao) è in stretto rapporto con «credere»: una causa che è giànell’ordine del suo effetto. Ora il vedere che ha causato la fede aveva un oggetto; ed è statoquell’oggetto a orientare verso la fede. Il contesto permette di individuare un solo oggetto: i«teli» visti dal prediletto (v.5) e constatati da Pietro, insieme al sudario (vv. 6-7). I pannimortuari diventano, così, indispensabili per la costatazione del sepolcro vuoto e per ladecisione di fede di almeno uno dei presenti.Le tradizioniGli eventi della passione e quelli che seguono la risurrezione sono collegati tra lorodall’episodio della sepoltura di Gesù. Nei sinottici, oltre a Gesù il personaggio principale3 L’attendibilità di Lc 24,12 è testualmente molto discussa. Normalmente le edizioni critiche lo pongono neltesto, indicandone però l’insicurezza. La sinossi di K. Aland lo porta solo in apparato. Il problema nonsarebbe tanto importante, visto che il ricordo è ricuperato al v. 24, se il v. 12 non contenesse il termineothonia, altrimenti ignoto ai sinottici. Mi sembra che i motivi per accettare il versetto siano rilevanti e mimuovo sulla base di questa convinzione.4 Che cosa abbiano visto esattamente quei discepoli non è dato sapere, perché Luca afferma che «hannotrovato come anche le donne avevano detto». Ora le donne avevano avuto «visione di angeli, che dicono cheegli vive» (v. 23). Il contesto però non sembra far pensare che i discepoli abbiano avuto la stessa visione, convalore risolutivo.3nella sepoltura è indubbiamente Giuseppe di Arimatea, ma la sua storia non avrà seguito;oltre a lui ci sono le donne, con atteggiamenti e funzioni di volta in volta non identiche macon un comune rimando alla scoperta del sepolcro vuoto, di cui esse sono protagoniste.Durante la sepoltura l’attenzione è attratta, oltre che dal sepolcro, col suo carattere dieccezionalità5, da un capo di tessuto, che è avvolto sul corpo di Gesù (che probabilmente èdeposto nudo dalla croce). Tutti i sinottici lo chiamano sindón (Mc 15,46; Mt 27,59; Lc23,53); ma per i sinottici il fatto dell’avvolgimento non sarà seguito da nessunaconsiderazione. Fa eccezione Luca, nel veloce cenno alla visita di Pietro al sepolcro (neldiscusso v. 12 del c. 24), dove «vede i teli», othónia.In Giovanni il racconto, pur breve, è più complesso: con Giuseppe di Arimateacompare anche Nicodemo; per la sepoltura il narratore dichiara che nel caso di Gesù è statoseguito il rituale ebraico e difatti viene portata e impiegata una quantità rilevante6 diunguenti per la preparazione del cadavere e poi questo viene «legato» in teli (othónia) eposto nel sepolcro nuovo e vicino7. La presenza degli othónia, accompagnati da unsoudárion, avrà rilievo nella visita al sepolcro da parte dei due discepoli.È naturalmente interessante verificare il significato di queste differenze. Il problemanon è rappresentato tanto dal significato dei termini che indicano i panni sepolcrali,sufficientemente indeterminati da potere assumere sensi molto vicini tra loro o addiritturaidentici8, quanto dalla funzione che essi ricoprono in tradizioni non identiche. Gli othónia9ritornano nei racconti pasquali e acquistano una misteriosa importanza nel cammino versola fede dei protagonisti di quelle esperienze.Tutto ciò dice la singolarità della loro funzione. Le altre esperienze del sepolcrovuoto sono tipiche esperienze del gruppo femminile, mentre nelle scene dei pannisepolcrali i protagonisti sono maschili; nelle scene più note l’efficacia della comunicazioneè garantita dalla voce degli esseri celesti, ‘interpreti’ del senso dell’evento, odall’intervento di Gesù stesso, mentre nelle nostre non c’è nessuna voce che interpreti il5 Sia a causa del fatto che non fosse stato ancora usato per altri cadaveri (solo Marco non accenna alparticolare) sia a causa dell’uso stesso del sepolcro, dato che la morte del delinquente che aveva subitol’esecuzione capitale non era seguita da sepoltura (uso prevalente presso i romani, almeno per i crocifissi) oaveva solo sepoltura in una fossa comune. Si veda G. Ghiberti, La sepoltura di Gesù. I Vangeli e la Sindone(Studia Taurinensia 3), Pietro Marietti, Roma 1982, 27-28.6 Di misura iperbolica: «cento libbre», che nelle nostre misure equivalgono ai 33-35 kg.7 La vicinanza del sepolcro, collegata espressamente alla «parasceve» o preparazione (del sabato), fa pensarealla necessità di accelerare i preparativi del seppellimento per la scarsità del tempo a disposizione, prima cheiniziasse il grande riposo.8 Cf op. cit. in n. 5, pp. 35-47. Si può notare al massimo che sindón porta in sé anche un suggerimento delmateriale usato per il tessuto: telo ‘di lino’, come richiama la documentazione di Maria Luisa Rigato (2003,pp. 198-212). D’altra parte, fra i tre possibili materiali (lana, cotone, lino), è di per sé il lino il più probabile,quando non si tratta di un vestito.9 E non invece la sindón sinottica.4senso del fatto. Le altre scene rimandano esplicitamente all’incontro che ci sarà con Gesùnelle grandi apparizioni, mentre queste hanno una loro forma di autonomia, anche se sirilevava una certa insufficienza (la notavamo sia per Lc 24,12 sia per Gv 20,9-10).Soprattutto in Luca, ma anche in Giovanni, si tratta di scene non risolutive, quasi solosospensive, che acquistano il loro vero senso all’interno di una sequenza che procede e lecompleta.Non è possibile non pensare a una tradizione che incorpora al suo interno questafunzione e che è caratterizzata, tra l’altro, anche da una terminologia differenziante. InGiovanni questa tradizione non si trova allo stato puro, perché in lui si percepiscono altridue elementi determinanti: la sua arte compositiva, che a livello redazionale operainterventi coerenti alle sue caratteristiche di narratore e di pensatore, e una quantitàrilevante di ricuperi che egli fa delle tradizioni sinottiche. Nella presentazione delle scenedel sepolcro sembra essere redazionale la concentrazione sul personaggio dellaMaddalena10 e l’impostazione degli interventi del discepolo amato. Dai sinottici deriva ilmotivo (di tradizione sinottica) delle donne e degli angeli. La scena dell’incontro conGesù, comune a Matteo, sembra provenire da tradizione non propriamente sinottica, maapplicata in modo molto diverso dalla redazione matteana e dalla redazione giovannea. Lascena della scoperta dei panni sepolcrali potrebbe essere parte della scena dell’apparizionedi Gesù, con funzione preparatoria. C’è infatti una certa coerenza tra il vuoto della tomba elo smarrimento di fronte ai panni sepolcrali e l’intervento di Gesù che porta senso al tutto.11Il ritrovamento dei panni sepolcrali può dunque essere di tradizione vicina a Giovanni.Le scene nella raffigurazione giovanneaLe quattro scene della scoperta del sepolcro vuoto sono presentate in linguaggiocomprensibile, pur nello straordinario che esse descrivono. La prima constatazionedell’assenza del cadavere dalla tomba è possibile grazie alla pietra tolta dall’entrata dellatomba ed è seguita dall’andata di Maria al luogo dove si trovano due discepoli. Perché sololoro e dove si trovi quel luogo non interessa alla narrazione12. Le altre due scene con Mariaprotagonista sono certamente sorprendenti, ma facilmente immaginabili: sembra naturale ilriconoscimento degli angeli, all’interno del sepolcro13, ed è naturale interpretare la presenza10 Come, alla fine del capitolo, sul personaggio di Tommaso.11 Qualche cenno alle tradizioni che sembrano identificabili nei racconti del sepolcro vuoto l’ho fatto –seguendo R. Schnackenburg - in Maria Maddalena al sepolcro (Gv 20,1-18), in ParVi 29 (1984) 226-244.12 Anche se interessa per la ricostruzione globale dei fatti: Giovanni vuol suggerire che gli altri fosseroaltrove ? o che solo Pietro e il prediletto avessero interesse così vivo da muoversi subito per andare allatomba?13 Forse per la straordinarietà del vestito? In realtà certo per il lettore la cosa non è fatto normale; non così,però, per il narratore che la dà per scontata.5dello sconosciuto come arrivo del giardiniere, che poi corregge egli stesso l’impressionecol suo intervento.Ma che cosa ci racconta esattamente Giovanni dell’esperienza dei due discepoli?Che essi sono andati di corsa al sepolcro, che uno è stato più veloce dell’altro ma non havoluto sfruttare la precedenza conferitagli dalla sua velocità, che il sepolcro era veramentevuoto del suo cadavere. Questo però non viene esplicitato, perché nel frattempol’attenzione è attratta dai panni sepolcrali. La loro posizione è intuibile, anche se nonriusciamo a tradurla con precisione. I «teli», othónia, sono «giacenti»; il «sudario», «che erastato sulla testa» di Gesù, non è giacente con i teli, ma «diversamente/altrove», «in un(solo/stesso) luogo».La difficoltà della traduzione aggrava la difficoltà della rappresentazione e si prestaa dare la stura a una quantità di suggerimenti, anche arzigogolati. Purtroppo nelladiscussione, in cui intervengono esegeti professionali e studiosi o appassionati dellaSindone, fanno sentire il loro peso sovente interessi estranei al testo.È chiaro che nel sepolcro vi sono (almeno) due tipi di tessuto: i teli e il sudario.Tutto fa pensare che essi abbiano grandezza e funzioni differenti: più grandi i primi (infunzione di tutto il corpo?), più ridotto il secondo (in funzione del solo capo). I teli sono«giacenti»: è evidente che il corpo che essi legavano, con gli aromi dentro (cf 19,40), nonc’è più. È questa la prima intenzione del comunicatore ed è in sintonia con tutti i raccontidel sepolcro vuoto. La specificazione che viene spesso suggerita, «afflosciati»,«abbandonati», non ripiegati, in disordine, può essere lecita, soprattutto se vista in rapportoalla specificazione del sudario, che invece era «avvolto» (forse anche «piegato»).I teli sono dunque giacenti, il cadavere invece no. È assente. Il participio «giacente»(vv. 5.6.7) fa contrasto con due altri particolari descrittivi: con la funzione dei teli descrittain 19,40, di «legare» il corpo senza vita di Gesù, e con la condizione del sudario, che è«avvolto» o piegato. I teli non legano (più) e non sono «avvolti»/piegati. Il primo aspettodice che essi hanno perso la loro forza costrittiva, il secondo suggerisce che essi, quandohanno terminato la loro funzione, non sono stati fatti oggetto di un trattamento attento (masono stati lasciati com’erano, abbandonati).Per la situazione o posizione del sudario si devono affrontare le difficoltàdell’avverbio chorís e della specificazione eis héna tópon. Il primo può essere modale olocale: ‘in altro modo, diversamente’, o ‘in altro luogo, altrove’; per la seconda fa difficoltàsia la preposizione con l’accusativo sia il numerale: ‘in/verso un solo/identico luogo’?14 Le14 Assai più difficile mi sembra la lettura di eis héna tópon come indicante un luogo diverso: forse eis conl’accusativo può supportare il senso di movimento nello spostamento da un luogo all’altro, ma mi sembraquasi impossibile attribuire al numerale heis il significato di «diverso». È molto più naturale pensare a «uno»,6difficoltà non sarebbero così significative, se non ci fosse la tendenza a sovraccaricare dipeso quel particolare descrittivo15. In realtà è più importante il participio entetyligménon, incontrasto intenzionale con il participio keímena, riferito ai teli: i teli sono giacenti oabbandonati, il sudario è in qualche modo ‘fatto su’.Ma questa specificazione si riferisce al modo come era usato il sudario sul cadaveredi Gesù (ad esempio come un fazzoletto arrotolato, con funzione di mentoniera) oppurealla situazione attuale, dopo la scomparsa del cadavere? Era già «avvolto» nel momentodell’uso, oppure venne avvolto quando cessò il suo servizio sul cadavere? Lacontrapposizione ai teli ‘giacenti’ fa pensare che anche per il sudario si pensi alla suasituazione nella stessa circostanza, a cadavere assente. Dunque sarebbe da preferire il sensodi un intervento fatto sul sudario, a differenza dell’assenza di interventi sui teli; e il sensodell’avverbio sarebbe modale. Allora l’indicazione locale potrebbe significare «in un sololuogo». L’accusativo è spiegabile come effetto di un intervento intenzionale: chi ha avvoltoo piegato il sudario lo ha messo in un solo luogo (in cui ci sono pure i teli)16.Dal vedere al credereQuesta interpretazione ha certo aspetti discutibili, ma si appoggia su una coerenzainterna rispettabile e permette di farci una rappresentazione della scena, come l’autore ladescrive per il lettore17: è questa rappresentazione visiva che, nell’economia del racconto,costituisce l’oggetto dell’azione globale del «vide», da cui ha origine il «credette». Ildiscepolo amato ha visto i teli non più nell’esercizio della loro funzione costrittiva, maprivi del cadavere e abbandonati; ha visto pure il sudario, in condizione diversa, perchéfatto oggetto di un intervento per l’uso o per lasciarlo in ordine. Tutto questo puòprovocare o favorire la conclusione di una adesione di fede?«uno solo». Non trovo nemmeno una documentazione che suggerisca «in un certo luogo», che oltre tutto nonfarebbe senso: che cosa significa «in un luogo indeterminato»? Viene pure suggerita una soluzione chesembra conciliare i due possibili significati di chorís (derivante da chorízein: ‘separo…’, al passivo‘differisco’): ‘separatamente, a parte’ (così G. Segalla). Ma in realtà, se modalità è, si tratta di modalità ‘diluogo’.15 Soprattutto da parte di sindonologi, purtroppo spesso improvvisati, che sono ancora più improvvisatifilologi.16 Resta tuttavia la possibilità, che ho proposto una volta in passato (cfr G. Ghiberti, Sindone verso il 2000,Piemme (Religione), Casale Monferrato 1999, 27-28) di tradurre «in un (suo) posto», che potrebbe esserediverso da quello dei teli. Mi sembra più coerente al testo la lettura proposta ora, pur con tutte le incertezze.Occorre però dire che – immaginando la scena – le due letture non danno per risultato grandi divergenze.17 Ciò non significa che l’intenzione storiografica del narratore si impegni su tutti i particolari del suoracconto alla stessa maniera e con la stessa intensità. Alcuni aspetti episodici del racconto possono risalirealla coerenza del racconto, senza risalire invece a un ricordo del particolare specifico. Il problemadell’intenzionalità storiografica di una narrazione si pone sempre e, nel risolverlo, occorre evitare sia lasuperficialità grossolana della negazione indifferente sia una sicurezza ingiustificata su tutti gli aspetti.7Non dobbiamo cedere alla tentazione di fare di quell’atto di fede la conclusione diun ragionamento che matematicamente lascia spazio a una sola conclusione e ne escludeogni altra. La conclusione di un teorema non è una conclusione di fede e un ragionamentodel genere non è nell’intenzione dell’evangelista. Il fatto che tale atto di fede non vengaattribuito a Pietro non significa che l’evangelista non lo ritenga capace di un ragionamentosevero. Ciò che il prediletto vide era certamente eloquente, ma era intanto vissuto in unattore che aveva verso la fede e l’oggetto della fede quel rapporto che lo predisponeva acredere. Il personaggio del discepolo anonimo (e pur dotato della più specifica edesemplare personalità18) è il più spedito nel giungere a credere ed è in grado di concluderelà dove altri non hanno ancora superato il livello dello stupore disorientato.Potremmo arrestare a questo punto il nostro domandare, affacciati come siamo sulmistero del cammino verso una fede che ha una maturazione più esclusiva ancora – sepossibile – di quella più comune di altri discepoli. Ma l’evangelista non è interessato solo aquel cammino, bensì anche a quello dei suoi lettori ed è con essi che egli si pone alle spalledei protagonisti, per scrutarne i movimenti, individuarne le motivazioni e invitare il lettorea farle proprie. Perché il loro atteggiamento è imitabile, anche quello del prediletto; anzi, èproposto da imitare.La scena dei discepoli al sepolcro registra eccezionale abbondanza di visioni: vedeil prediletto, giunto per primo e chinatosi sull’entrata del sepolcro, prima di entrarvi (v. 5:blépei), vede Pietro, con un’attenzione quasi da protocollo (v. 6: theoreî) e vede in fine ilprediletto, che crede (v. 8: eîden). Probabilmente la differenza dei verbi greci dice anchesfumature di significato19: vedere, osservare, forse anche constatare, fino a un vedereprofondo e coinvolgente, come suggerisce l’accoppiata di eîden kaì epísteusen, «vide ecredette». Il prediletto dunque ha colto un messaggio che oltrepassava la superficiedell’osser-vazione che egli stava facendo e che gli permetteva di superare la pluralità deisignificati possibili per giungere e aderire all’unico vero.Uno sguardo intertestuale ci ricorda che il vuoto del sepolcro non solo erainterpretabile in più modi, ma anche che venne di fatto interpretato come prodotto di unfurto di cadavere, a totale danno della «causa» di Gesù20. Il fatto che il prediletto abbia«creduto» ci assicura che egli interpretò nel senso di una consapevole fiducia in Gesù,18 Cf R. Vignolo (2003).19 Ne ho parlato in un lavoro di molti anni fa : G. Ghiberti, I racconti pasquali del capitolo 20 di Giovanniconfrontati con le altre tradizioni neotestamentarie (Studi biblici 19), Paideia, Brescia 1972, 32-44.20 Si pensi anzitutto all’intera impostazione del racconto matteano dei fatti del sepolcro, con le guardie poste avigilare e poi indotte a narrare il falso (Mt 27,62-28,15). Anche l’impostazione del racconto giovanneo non èesente da quella preoccupazione: la Maddalena pensa sempre che il Signore sia stato portato via e solol’incontro finale con lui la convince del contrario.8dunque in senso a lui favorevole, confermando quell’accettazione di Gesù che il Signoreaveva chiesto a tutti in vita e che il prediletto aveva sempre dimostrato di dargli. Nelcontesto questa fede si qualifica come fede nella risurrezione, anche se dobbiamo subitofare precisazioni.Il v. 9 infatti complica un po’ le cose. Normalmente leggiamo, secondo latraduzione a cui siamo avvezzi: «Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che eglicioè doveva risuscitare dai morti». Il senso sembrerebbe pacifico: dunque, ora che hannovisto, hanno anche compreso la Scrittura; la visione ha portato un supplemento diinformazione. Eppure le cose filano meno lisce: la conclusione enunciata ora (ora hannoanche compreso…), coinvolge anche Pietro, il che si allontana dal v. 8; inoltre è propriosicuro che il verbo éideisan sia da tradurre con un piuccheperfetto? Penso che nel contestofaccia più senso l’imperfetto (non: «avevano compreso», ma: «comprendevano»): lasituazione di ambedue non è ancora ottimale, anche se il prediletto è giunto già alla fede. Sideve dire allora che non si tratta di fede totalmente perfetta21: siamo giunti a un momentoimportante, ma non definitivo. Il cammino non è ancora terminato, nemmeno per ilprediletto. Il resto del capitolo ne darà la dimostrazione. I panni sepolcrali sono dunque unsegno, non il grande segno; i discepoli non si sentono inviati e non vanno ad annunziarenulla a nessuno. Tutto questo sarà completato nell’incontro alla sera di quello stessogiorno, «il primo dopo il sabato».La visita dei discepoli al sepolcro ha però anch’essa una testimonianza al serviziodella fede pasquale, ed è resa dalla presenza dei panni sepolcrali. Avevamo notato lesuggestioni dei participi riguardanti i teli, «giacenti», e il sudario, «avvolto»: i primi nonlegano più, il secondo è stato fatto oggetto di un intervento deciso dal suo operatore. Ariguardo di colui che era ricoperto con quei panni ciò significa che Gesù non è più ilcadavere senza vita e che qualcuno (lui stesso? Dio?22) ha voluto lasciare «in ordine» ilpanno che aveva avuto rapporto con la testa di Gesù. È dunque accaduto qualcosa che havisto un trionfo della vita sulla morte, in un ritorno all’esercizio di una sovrana assenza dipaure e condizionamenti.Se vogliamo spingerci avanti in un cammino di lettura profonda del misteriosoevento che ha lasciato dietro di sé questi muti testimoni, rileviamo che nel sepolcro i pannisono separati dal corpo che ricoprivano: colui dunque che ha abbandonato i panni è tornatoin una condizione di nudità che non ha più bisogno di essere schermata. Fra poco21 Che giungerà più tardi, all’incontro con Gesù, nella gioia (20,21: echáresan) «al vedere il Signore» (ancorail verbo horáo).22 La forma medio-passiva del participio entetyligménon può anche suggerire che l’agente non espresso siaDio: sarebbe un caso di «passivo teologico». Il significato cambia sfumatura, se l’agente è Gesù stesso oppureDio, ma agli effetti del cammino verso la fede la diversità non è determinante.9l’evangelista coglierà nell’apparizione serotina di Gesù agli apostoli un intervento cheripete l’atto creatore di Dio, che «soffia» sul primo uomo (20,2223), suggerendo che nellarisurrezione di Gesù e nel dono che egli fa dello Spirito Santo avviene un interventorinnovatore che ripete l’efficacia della creazione. Ma l’economia della creazione rinnovataè già significata nella condizione di Gesù, che mostra in sé stesso, anticipandola per tuttal’umanità, la condizione del pieno equilibrio della natura umana presente nella creazione.Il sudario è più misterioso, ma forse è depositario di un messaggio ancora piùsuggestivo. Un’inchiesta intertestuale ha suggerito una ricerca su presenze analoghe, intradizioni letterarie vicine, di panni che abbiano avuto riferimento col volto di qualchepersonaggio. Il parallelo più suggestivo è forse offerto dalla finale di Es 34: Mosè chescende dal Sinai portando le tavole della testimonianza ha il viso raggiante a causa dellaconversazione avuta con Dio, ma ciò incute timore agli israeliti (vv. 29-30). Mosè riferiscealla sua gente i messaggi del Signore e, «finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso»(v. 33); si toglieva nuovamente il velo per presentarsi a parlare con il Signore e poi «riferireagli israeliti ciò che gli era stato ordinato», salvo poi a rimettersi nuovamente il velo sulviso, fino al nuovo incontro con il Signore (vv. 34-35). La potenza evocatrice di questascena, in riferimento al testo giovanneo, riveste una grande suggestività. La ricerca di unaconferma testuale non ha avuto eccezionale risultato nei testi più noti: il soudárion diGiovanni non è strutturalmente il kálymma dei LXX né il masweh del Testo Masoretico.Ciononostante un collegamento è forse dato di stabilire attraverso letture midrashiche, cheriportavano quel termine in un aramaico che aveva già assunto un prestito dal vocaboloinizialmente latino (sudarium), passato in greco (soudárion) e adattato poi in area semiticacome sudara. Nella misura in cui questo collegamento regge, al punto che possa essereattribuito a un qualche grado di intenzionalità del testo, la «visione» del discepolo amatoacquista una intensità comunicativa unica: il sudario presente con i teli e ripiegatosuggerisce che colui che lo portava «sul capo»24 ora lo ha riposto in ordine (per sempre),avendo ripreso – dopo la pausa della sua permanenza nel regno dell’impotenza – il suodialogo con Dio e con i fratelli.Quanto di tutto questo il narratore vuole suggerire al lettore nel descriverel’esperienza del discepolo amato, e quanto di più, che noi non siamo riusciti a penetrare?Ponendoci anche noi alle spalle degli attori della scena al sepolcro, ci è parso di potere23 Gesù alita (enephýsesen) sugli apostoli, come aveva fatto Dio con Adamo (Gen 2,7). Giovanni usa lo stessoverbo, rarissimo (emphysáo), che è usato dalla LXX nella traduzione dell’originale ebraico.24 Epì tês kephalês, non – come per Lazzaro (Gv 11,44 he ópsis autoû soudaríoi periedédeto) – con il volto«legato attorno» dal sudario.10cogliere alcuni tratti di una «cristologia narrativa», capace di suggerire un’adesione di fedea tutti quanti partecipano di quella esperienza.E la Sindone?Mi sembra che il nostro cammino non sia stato condizionato da preoccupazioni dinatura sindonologica o sindonofila. Ciononostante la presenza della Sindone (di Torino)non era fuori del nostro orizzonte di attenzione e vorrei ora ricuperarla con un discorsoipotetico: se tra i panni mortuari presenti nel sepolcro ci fosse stata la Sindone, che cosaavrebbero visto i discepoli?I teli giacenti sono comunque da immaginare come la somma di ciò che stava soprail corpo di Gesù e ciò che stava sotto. Ora la Sindone è costituita da un lungo telo che èsteso sotto il corpo del crocifisso, gli gira attorno alla testa e gli copre tutta la parteanteriore giungendo fino ai piedi. Se ci fosse stata la Sindone, i discepoli avrebbero visto iltelo di sopra e il telo di sotto posati l’uno sull’altro: due teli, appunto, nonostante in realtàessi non fossero che uno solo. E ciò spiegherebbe il plurale othónia. Sopra di essi, oaccanto a essi, o tra di essi sarebbe stata avvertibile la presenza del sudario. Se questoaveva svolto il servizio della mentoniera, la scena diventa chiara, anche se l’epì têskephalês non favorisce l’idea dell’avvolgimento della mentoniera bensì quello di uncopricapo. Ma Giovanni si impegna in modo rigoroso per la coerenza di tutti i particolari?Con questa domanda si apre il problema dell’intenzionalità storiografica delracconto giovanneo, in tutti i suoi particolari. La nostra lettura ha cercato sempre di seguirela descrizione del narratore nella coerenza dei suoi particolari, ma proprio l’avvertenzadella loro attenta correlazione può a volte suggerire l’ipotesi che questa correlazione efunzionalità reciproca possa avere guidato la scelta di certi particolari episodici altrimentisecondari per il narratore. Il particolare di «sopra il capo» (e non attorno al viso), chepotrebbe ad esempio spiegarsi per rendere plasticamente la rassomiglianza tra il velo diMosè e quello di Gesù, riporta un caso, che non è l’unico.La conclusione spontanea ci permette di dire che, «se nel sepolcro ci fosse stata laSindone», Giovanni avrebbe potuto fare la descrizione che ha fatto. La curiosità di saperedi più difficilmente sarà soddisfatta dal racconto evangelico dei fatti del sepolcro. Nelnostro episodio infatti la Sindone ha svolto ormai la sua prima funzione, di accogliere ilcorpo di un crocifisso e di condividere il suo silenzio nel sepolcro. Inquietante sarà ladomanda sul motivo dell’assenza di ogni traccia di decomposizione del defunto, così comedi ogni forma di abrasione in occasione di un eventuale distacco del lenzuolo dalle feriteche gli aderiscono per il sangue raggrumato. Ma molto di più suggerisce la corrispondenza,11del tutto eccezionale, fra le descrizioni delle sofferenze che hanno portato alla morte Gesù,come ce le descrivono i vangeli, e quelle che hanno portato alla morte l’«uomo dellaSindone», come ce le descrive l’immagine che il lenzuolo sindonico ci mostra.NOTA BIBLIOGRAFICAUna rassegna bibliografica abbastanza rappresentativa di oltre un secolo di ricerca (mancano perògli ultimi dieci anni), è rinvenibile in G. GHIBERTI, Bibliografia sulla Risurrezione di Gesù, in É.Dhanis (a c.), Resurrexit. Actes du Symposium international sur la Résurrection de Jésus (Rome1970), Libreria Ed. Vaticana, Città del Vaticano 1974, 645-764 e in G. GHIBERTI-G. BORGONOVO,Bibliografia sulla risurrezione di Gesù (1973-1992), in «Scuola Cattolica» 121 (1993) 171-287.Per le questioni generali: F. X. DURRWELL, La risurrezione di Gesù mistero di salvezza (Bibliot.Cult. Rel.), Ed. Paoline, Roma 1962 (l’originale francese di quest’opera che ha successo ancora ainostri giorni è del 1950: la sua caratteristica è l’attenzione alla portata teologica di questo mistero);G. GHIBERTI, La risurrezione di Gesù (BMCR 30), Paideia, Brescia 1982; F. G. BRAMBILLA, Ilcrocifisso risorto. Risurrezione di Gesù e fede dei discepoli (BTC 99), Queriniana, Brescia 1998;H. KESSLER, La risurrezione di Gesù Cristo. Uno studio biblico, teologico-fondamentale esistematico (BTC 105), Queriniana, Brescia 1999.Sui racconti giovannei: P. BENOIT, Marie-Madeleine et les disciples au tombeau selon Jo 20,1-18,in Judentum, Urchristentum, Kirche. Fs. J. Jeremias, Töpelmann, Berlin 1960, 141-162; G.GHIBERTI, I racconti pasquali del capitolo 20 di Giovanni confrontati con le altre tradizionineotestamentarie (Studi biblici 19), Paideia, Brescia 1972; ID., Giovanni XX nell’esegesicontemporanea. Rassegna, in «Studia Patavina» 20 (1973) 293-337; J. HEIL, Blood and water. Thedeath and resurrection of Jesus in John 18 - 21 (Catholic biblical quarterly. Monograph series 27),«Cath. Biblical Assoc. of America, Washington DC 1995; C. SETZER, Excellent women: Femalewitness to the resurrection, in «Journal of biblical literature» 116 (1997) 259 – 272; M. THEOBALD,Der johanneische Osterglaube und die Grenzen seiner narrativen Vermittlung (Joh 20), in R.Hoppe und U. Busse (a c.), Von Jesus zum Christus. Christologische Studien. Festgabe für PaulHoffmann zum 65. Geburtstag (Beihefte zur Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaftund die Kunde der älteren Kirche 93), de Gruyter, Berlin (u.a.) 1998, 93 – 123; J. ZUMSTEIN,Narratologische Lektüre der johanneischen Ostergeschichte, in J. Zumstein, Kreative Erinnerung.Relecture und Auslegung im Johannesevangelium, Pano, Zürich 1999, 178-191; L. D. GEORGE,Reading the tapestry. A literary-rhetorical analysis of the Johannine resurrection narrative (John20-21) (Studies in biblical literature 14), Lang, New York 2000; V. MESSORI, Dicono che è risorto.Un’indagine sul sepolcro vuoto (Sestante), SEI, Torino 2000; S. RUSCHMANN, Maria von Magdalaim Johannesevangelium. Jüngerin-Zeugin-Lebensbotin (NTA, NF 40), Aschaffenburg, Münster2002; M.-L. RIGATO, Il titolo della croce di Gesù. Confronto tra i Vangeli e la Tavoletta-reliquiadella Basilica Eleniana a Roma (Tesi Gregoriana. Serie Teologia, 100), P.U.G., Roma 2003 ; R.VIGNOLO, Il doppio letterario tra Giovanni Battista e il discepolo amato. Un approccio narrativo, in«Credere oggi» 23 (5/2003) 83-108. Si veda inoltre uno studio sintetico di G. Ghiberti su Leesperienze pasquali (Gv 20-21), in G. Ghiberti (a c.), La letteratura giovannea (LOGOS VII), LDC,Leumann To, 2003, 293-322.12
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