Capitolo VI. Le feste cristiane
La Pasqua
Nel breviario romano la liturgia del triduo sacro è strutturata con una cura particolare; la Chiesa nella sua preghiera vuole per così dire trasferirci nella realtà della passione del Signore e, al di là delle parole, nel centro spirituale di ciò che è accaduto.
Se si volesse tentare di contrassegnare in poche battute la liturgia orante del sabato santo, allora bisognerebbe parlare soprattutto dell’effetto di pace profonda che traspira da essa. Cristo è penetrato nel nascondimento (Verborgenheit), ma nello stesso tempo, proprio nel cuore del buio impenetrabile egli è penetrato nella sicurezza (Geborgenheit), anzi egli è diventato la sicurezza ultima. Ormai è diventata vera la parola ardita del Salmista: e anche se mi volessi nascondere nell’inferno, anche là sei tu. E quanto più si percorre questa liturgia, tanto più si scorgono brillare in essa, come un’aurora del mattino le prime luci della Pasqua. Se il venerdì santo ci pone davanti agli occhi la figura sfigurata del trafitto, la liturgia del sabato santo si rifà piuttosto all’immagine della Croce cara alla Chiesa antica: alla croce circondata da raggi luminoso, segno, allo stesso modo, della morte e della risurrezione.
Il sabato santo ci rimanda così a un aspetto della pietà cristiana che forse è stato smarrito nel corso dei tempi. Quando noi nella preghiera guardiamo alla croce, vediamo spesso in essa soltanto un segno della passione storica del Signore sul Golgota. L’origine della devozione alla croce è però diversa: i cristiani pregavano rivolti a Oriente per esprimere la loro speranza che Cristo, il sole vero, sarebbe sorto sulla storia, per esprimere quindi la loro fede nel ritorno del Signore. La Croce è in un primo tempo legata strettamente con questo orientamento della preghiera, essa viene rappresentata per così dire come un’insegna che il re inalbererà nella sua venuta; nell’immagine della Croce la punta avanzata del corteo è già arrivata in mezzo a coloro che pregano. Per il cristianesimo antico la croce è quindi soprattutto segno della speranza. Essa non implica tanto un riferimento al Signore passato, quanto al Signore che sta per venire. Certo era impossibile sottrarsi alla necessità intrinseca che, con il passare del tempo, lo sguardo si rivolgesse anche all’evento accaduto:
contro ogni fuga nello spirituale, contro ogni misconoscimento dell’incarnazione di Dio, occorreva che fosse difesa la prodigalità costernante dell’amore di Dio che, per amore della misera creatura umana, è diventato egli stesso un uomo, e quale uomo! Occorreva difendere la santa stoltezza dell’amore di Dio che non ha scelto di pronunciare una parola di potenza, ma di percorrere la via dell’impotenza per mettere alla gogna il nostro sogno di potenza e vincerlo dall’interno.
Ma così non abbiamo dimenticato un po’ troppo la connessione tra croce e speranza, l’unità tra Oriente e la direzione della croce , tra passato e futuro esistente nel cristianesimo? l’ Lo spirito della speranza che alita sulle preghiere del sabato santo dovrebbe nuovamente penetrare tutto il nostro essere cristiani. Il cristianesimo non è soltanto una religione del passato, ma, in misura non minore, del futuro; la sua fede è nello stesso tempo speranza, giacchè Cristo non è soltanto il morto e il risorto ma anche colui che sta per venire.
O Signore, illumina le nostre anime con questo mistero della speranza perché riconosciamo la luce che è irraggiata dalla tua Croce, concedici che come cristiani procediamo protesi al futuro, incontro al giorno della tua venuta.
da "Imparare ad amare. Il cammino di una famiglia cristiana", Raccolta di scritti di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI a cura di Elio Guerriero, Libreria Editrice Vaticana, 2007.
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