L. Bouyer. La Chiesa, volto e vita di Cristo perchè il mondo veda Dio, il Padre




Con l'episcopato e come l'episcopato al quale collabora, secondo la formula del pontificale romano, il presbiterato è un ministero : è cioè un servizio di Dio nella Chiesa, un servizio della Chiesa per Dio. Ciò che però distingue il sacerdozio ministeriale (del vescovo e del sacerdote con lui) dagli altri ministeri, dagli altri servizi nel corpo del Cristo, è il fatto di essere ministero apostolico. Ciò si può intendere in due modi diversi, sebbene inseparabili. Oggi, quando diciamo apostolato, noi subito pensiamo a ciò che si deve fare, nell'apostolato, alle attività con le quali la Chiesa si rende missionaria. D'altra parte, dal punto di vista etimologico, le parole «missione» e « apostolato » sono sinonimi. È proprio l'etimologia che ci spinge a considerare per prima cosa colui da cui scaturisce ogni apostolato, ogni missione. « Mitto », « apostello », in realtà, non vogliono dire se non « inviare ». Quindi ciò che caratterizza il ministero apostolico, la missione della Chiesa e dei suoi ministri, non sono propriamente le attività che questo ministero deve esercitare, ma il fatto che sono svolte da persone inviate appositamente a questo scopo da un Altro.
Per capirlo megIiò bisogna rifarsi al nuovo testamento e all'ambiente ebraico dal quale è nato. L'apostolato è una di quelle realtà che hanno preso un senso cristiano dalla tipologia dell'antico testamento. È vero che l'apostolo cristiano è un'altra cosa dallo «schaliah» ebraico, tuttavia non si capisce a fondo se non nella sua luce. Lo «schaliah», in ebraico « l'inviato », è un procuratore nel quale viene considerato presente colui che lo ha inviato, cosicché tutto ciò che farà l'inviato viene considerato come fatto da colui che egli rappresenta. Il Talmud ripete più di venti volte : « Lo "schaliah" di una persona è un altro sé stesso ». Così avvenne per Eleazaro : egli agì in nome di Abramo e del figlio Isacco nel matrimonio di quest'ultimo, tanto che il matrimonio fu considerato definitivo dal momento in cui Eleazaro scelse Rebecca ed essa acconsentì. Nell'apostolato cristiano del nuovo testamento ciò che prima non era che una finzione giuridica diviene una realtà mistica. Infatti Gesù dirà ai suoi apostoli, nel vangelo di san Giovanni : «Come il Padre ha inviato me, così anch'io invio voi ». E, quasi a conferma, aggiungerà : «Ricevete lo Spirito Santo : a coloro ai quali rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a coloro a cui li riterrete saranno ritenuti... » (20,21-23). In tutto il contesto della teologia e della mistica giovannea, non vi è dubbio sul nuovo senso di questo concetto. Il dono dello Spirito per la remissione dei peccati, è il dono della presenza divina, per l'opera più divina che esista: quella della nuova nascita, della nascita dall'alto, dall'acqua e dallo Spirito (cfr. 3,1-8). La realtà della presenza di Dio nei sacramenti è simile a quella della sua presenza in coloro che sono i suoi ministri. Infatti in san Giovanni è detto che realmente il Padre « dimora » nel Figlio inviato da lui. Poiché a sua volta il Figlio manda come egli è mandato, realmente anch'egli dimora nei suoi « apostoli ». Di conseguenza compie in loro le sue opere, come il Padre compie in lui le sue. Prendono, allora, il loro pieno senso le parole rivolte da Gesù ai suoi apostoli e riportate da san Matteo : « Chi riceve voi riceve me; chi riceve me riceve colui che mi ha inviato » (10,40), e : « Io sono con voi fino alla fine del mondo » (18,20).
Non è esagerato dire che in ciò consiste la grande novità del nuovo testamento : la presenza reale, non fittizia, di colui che invia in colui che e inviato. Qui sta il nodo del mistero di Cristo e della Chiesa.
In questo senso il Cristo è «l'apostolo » per eccellenza : colui che rende presente fra di noi il Padre in forza dell'invio fatto dal Padre a noi. Così la Chiesa, fondata sugli apostoli, incarnazione permanente, si può dire, del loro apostolato, rende presente il Cristo per mezzo dei ministri che egli continuamente si elegge; poiché il ministero dei vescovi e dei sacerdoti loro collaboratori li costituisce « apostoli degli apostoli », come già i primi « apostoli » erano « apostoli del Cristo », e il Cristo « l'apostolo del Padre ».

Meditare, approfondire queste verità fondamentali, vuol dire richiamare automaticamente la teologia tradizionale delle «missioni » divine. In realtà non vi è solo una semplice omonimia fra le «missioni » delle divine persone di cui parla la teologia, e la missione, l'apostolato della Chiesa, esercitato dai ministri successori degli apostoli (i vescovi) e dai loro collaboratori (i sacerdoti) : la « missione » dei ministri del Vangelo non soltanto è analoga alla «missione» del Figlio e dello Spirito : è in diretta continuità con essa e non può essere concepita che per mezzo di essa.
La Trinità, come ce la rivela la Scrittura, come è stata compresa dai Padri, come la esprime e la glorifica la liturgia, non è affatto una verità astratta e statica. Tutto in essa procede, in una eterna e permanente fecondità, dalla persona del Padre che per noi e per qualsiasi altra creatura « dimora in una luce inaccessibile», secondo l'espressione della lettera a Timoteo (6,16). Come si esprimerà sant'Ireneo, egli è per noi l'assolutamente invisibile e poiché mai si manifesta a noi direttamente, ma soltanto attraverso le altre due divine persone che ci prendono, ci afferrano e ci consacrano a lui creandoci e ricreandoci. Perché questo «inaccessibile », questo « invisibile », è nello stesso tempo «la sorgente dell'incorruttibilità», secondo l'espressione di sant'Atanasio, « il corego dell'immortalità », a detta del suo compatriota e contemporaneo san Serapione di Thmuis, questa immortalità cioè, che appartiene a lui e soltanto a lui, egli non la. possiede che donandola.
Senza dubbio questa sorgente, che è il Padre, è un abisso, altrimenti egli non sarebbe Dio; tuttavia l'abisso, incomprensibile, insondabile della divinità è nello stesso tempo sorgent altrimenti non potrebbe essere detto Padre, ultima espressione che Dio ci ha rivelato di sé stesso.
Da ciò nascono le missioni divine del Figlio e dello Spirito. Le missioni che « inviano » fino a noi il Figlio e lo Spirito hanno il loro fondamento nella parte più intima e più essenziale della divinità. Non è sufficiente dire che le « missioni » del Figlio e dello Spirito fino a noi hanno come fondamento le loro rispettive « processioni » in seno al Padre. Anche in Dio, anche per le persone divine, essere inviato e procedere non sono due cose distinte, ma una sola e identica realtà.
In altre parole: la vita propria di Dio, la più interiore, la più trascendente nei nostri riguardi, implica già un'estasi, un uscire da sé nell'amore. La nostra vita non è che un sovrabbondare, o meglio un fulgore di questa effusione « fontale » dell'amore, dell'agapé divina, donazione senza limiti e senza fine.
La prima processione è la generazione del Figlio. Dio è Padre dall'eternità, cioè genera un Figlio eterno come lui, prodotto dallo stesso Amore che costituisce la vita divina. Questo Figlio è l'immagine perfetta del Padre, nel quale egli proietta interamente sé stesso: è il suo verbo, la sua parola viva con cui dice tutto ciò che ha in sé stesso, in cui esprime sé stesso.
Tuttavia, nel Figlio, l'Amore che il Padre ha per lui, che si compiace in lui, ritorna al Padre. Il Padre è amato così dallo stesso Amore con cui egli ama. Il Figlio che procede dal Padre si rivolge a lui, è ricapitolato in lui dallo Spirito.
In tal modo l'unità nella molteplicità corona la molteplicità sorta dall'unità. L'unione del Figlio col Padre nello Spirito « consuma » l'esistenza del Figlio, il prediletto del Padre.
Le prime missioni delle divine persone avvengono al momento della creazione. Esse sono come la rifrazione sul niente delle eterne processioni e si traducono, nella processione delle creature, in un essere distinto da Dio e in un'esistenza in assonanza con Dio.
Il Padre, dall'eternità ha espresso sé stesso nella infinita semplicità del Figlio, suo pensiero increato, sua immagine perfetta, sua parola che riempie il silenzio eterno senza violarlo. Ma ecco che questo pensiero si trasporta in innumerevoli idee, immagini dell'immagine, espressioni della parola indivisibile e completa. Nello stesso tempo, l'Amore del Padre per il suo altro sé-stesso, essendo essi un tutt'uno, si trasporta nella libera esistenza di questi molteplici pensieri, prendendo la forma, della loro libera risposta alla Parola che li ha concepiti.
La loro esistenza autonoma trova la sua perfezione nell'accordo spontaneo con l'Amore che li ha creati. Dato che essi sono nel Verbo, esistono nell'unico Figlio, essi sono ricapitolati, con lui, per mezzo dello Spirito, nel seno del Padre.
Queste sono le prime missioni del Figlio e dello Spirito: missioni che si rivolgono al niente a cui dànno l'esistenza nel Figlio per farlo andare al Padre nello Spirito. Ma a un certo punto interviene la caduta, misteriosa risposta di un essere limitato in seno all'infinito. L'immagine in tal modo ha rifiutato di riconoscere il suo modello e lo Spirito del Figlio si è ritirato da quelli che hanno rinnegato la loro filiazione. È stato però questo rinnegamento della creatura a dare l'occasione a nuove missioni del Figlio e dello Spirito: non più verso il niente ma verso il mondo del peccato.
Ecco quindi il Figlio, il verbo, il pensiero fedele del Padre discendere in soccorso degli infedeli, della creatura che si è fatta sorda al richiamo dell'amore del Padre. Nell'incarnazione, si è fatto simile all'uomo decaduto, nel suo stato di dissomiglianza, di allontanamento, di alienazione. Egli, per così dire, come afferma san Paolo (Fil. 2), si è spogliato, svuotato di sé stesso. In lui - nel Figlio che si fa carne, che prende su di sé la maledizione del peccato, che si fa simile a noi in tutto fuorché nel peccato - l'amore paterno attua l'espressione più toccante della sua generosità, si sarebbe tentati di dire: della sua prodigalità senza limiti. «Dio ha amato talmente il mondo da dare il suo Figlio unigenito, affinché chi crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna » (Gv. 3,16). « In questo modo Dio ha manifestato il suo amore: donando per noi il suo Figlio alla morte, quando noi eravamo dei peccatori... » (Rom. 5,8). Infatti, l'incarnazione del Figlio in una carne di peccato, lo porta a prendere su di sé, a fare sue tutte le conseguenze del peccato. L'amore subirà, farà sua la maledizione del rifiuto di amare. Poiché l'essere creato ha rifiutato la sintonia con l'increato, è proprio l'increato che discende, che si adatta, fino al punto di coincidere con il suo stato di separazione. Quindi l'incarnazione è la vita che accetta la morte, il Dio benedetto che si fa maledizione per i peccatori. La croce non è che l'espressione, l'ultima conseguenza scaturita dalla infinita accondiscendenza per cui il Figlio, che aveva già espresso sé stesso nella creazione, si esprime ora e si realizza nel mondo del peccato. Come conseguenza di questa accettazione, di questa spoliazione, di questa donazione di sé stesso all'obbedienza che lo crocifigge, il Figlio di Dio, il Figlio dell'amore del Padre, colma e supera l'abisso della separazione. La creatura può così ritrovare in la presenza vivificante e glorificante del suo creatore. Non soltanto la resurrezione del Cristo, primizia della nostra resurrezione, seguirà nel tempo la croce, ma già la sua croce brilla nella gloria della resurrezione. Offrendosi al supplizio della croce, Gesù dice al Padre : « Padre : è giunta l'ora! Glorifica il Figlio tuo, affinché il Figlio tuo glorifichi te e, in forza del potere che gli hai donato su tutte le creature, dia la vita eterna a quelli che gli hai dato. Questa è la vita eterna: conoscere te, te solo vero Dio, e colui che hai inviato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato in terra; ho compiuto l'opera che mi avevi dato da compiere. Ma ora, tu Padre, glorifica me presso di te con quella gloria che possedevo presso di te prima che il mondo fosse creato » (Gv. 17,1-5).
Gesù è, dunque, la gloria del Padre irradiatasi nella notte del Golgota, cioè nella maledizione, la vita del Padre che risplende nella morte del peccato. La missione del Figlio nel mondo del peccato si compie in una nuova missione dello Spirito. Nel Figlio che si era identificato all'umanità infedele, lo Spirito riconcilia questa umanità alla divinità. Nella morte di Gesù, la risposta dell'umanità chiamata dal Padre alla filiazione da essa rifiutata, ritorna ad essere operante. Nuovamente, con il Figlio e nel Figlio, per mezzo dello Spirito, essa si riabbandona all'amore paterno, si rivolge al Padre per dargli gloria con un esultante rendimento di grazie, risale a lui nella lode gioiosa dell'obbedienza. Così si esprime san Paolo in due testi molto simili : nella lettera ai Galati dice: « Quando si compirono i tempi, Dio inviò il Figlio suo, nato da una donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge e per farci divenire figli. La dimostrazione che siete dei figli sta nel fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del Figlio suo che grida: Abba!Padre! Allora tu non sei più schiavo, ma figlio, e se sei figlio sei anche erede di Dio » (Gal. 4,4-7).
Nella lettera ai Romani si esprime così : « In realtà coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio. Cosicché non avete ricevuto uno spirito di schiavitù che vi fa vivere nel timore, ma lo spirito di filiazione che vi fa gridare : Abba! Padre! Lo stesso Spirito attesta al nostro animo che noi siamo figli di Dio. Se siamo figli, siamo anche eredi : coeredi del Cristo, perché noi partecipiamo alle sue sofferenze per essere nello stesso modo glorificati con lui» (Rom. 8,14-17). Affermare che noi siamo coeredi col Cristo significa che tutto ciò che egli ha ricevuto dal Padre è anche nostro : prima di tutto e soprattutto il dono di amarlo come ci ama lui, per mezzo dello Spirito che abita nei nostri cuori. Col conoscere il Padre nel Figlio, col riconoscere in lui l'Amore del Padre, noi, nello Spirito che ci dà la capacità di amare, glorifichiamo il Padre come lo glorifica il Figlio.

In ciò sta il nostro ministero: nel comunicare al mondo la conoscenza e la effettiva realtà di queste divine e inseparabili missioni del Figlio e dello Spirito, che scendono dal seno del Padre fino a noi per ricondurci a lui. Per questo il nostro apostolato, la nostra missione, non è null'altro che una partecipazione alla missione del Figlio e a quella dello Spirito. Come sacerdoti di Gesù, in Gesù, resi in modo speciale conformi a lui dal carattere sacerdotale, cioè da questa sua impronta scolpita nella nostra anima il giorno della consacrazione, noi dobbiamo essere Gesù, oltre che portare Gesù al mondo: l'inviato del Padre, colui che lo rende intelligibile.
Noi dobbiamo essere nel medesimo momento non soltanto dei templi viventi, ma dei dispensatori dello Spirito del Padre. Questa è appunto la nostra missione, essere delle immagini vive del Padre, immagini che devono imprimere sugli altri il sigillo della filiazione e riempire questa effigie con lo Spirito che la animerà, come anima il Figlio.
Così vivranno da figli, cioè di una vita in cui conoscendo il Padre lo si ama con lo stess amore che abbiamo scoperto in lui per noi.
In altre parole, noi siamo preti solo in forza dell'invio, della missione del figlio nel mondo, di quella missione che rende Gesù, come dice Pascal, « in agonia fino alla fine del mondo ». Cioè : Gesù deve essere crocifisso in noi come fu crocifisso dal mondo e per il mondo; non nel senso che debba essere vinto dal suo odio, ma in quanto' trionfa su di esso in forza dell'amore del Padre. Con Gesù, in Gesù, noi siamo inviati per l'invio, per la missione finale dello Spirito: affinché Dio sia tutto in tutti, affinché Dio sia da tutti conosciuto come lui tutti ha conosciuto e conosce, affinché il suo amore sia conosciuto e amato.
In noi, sebbene deboli peccatori, in ciò che compiamo come sacerdoti e anche in ciò che siamo in virtù della consacrazione sacerdotale, Dio si offre al mondo. È presente in noi per farsi conoscere agli uomini, per donarsi a loro - per donare loro, nel Figlio, non solo ciò che ha ma ciò che è: lo stesso amore, l'amore di padre, che non guarda al merito per amare, ma che ama già per il fatto stesso di dare l'esistenza.
Nel medesimo tempo è necessario che in noi, per lo Spirito, il mondo si offra, si presenti a Dio: che lo riconosca come padre amantissimo, abbandonandosi senza condizioni (nella crocifissione dell'obbedienza, come nella gioia della lode) al suo amore conosciuto e accettato. Ciò si realizza prima di tutto, in virtù delIa Parola divina rivolta al mondo, poi per la comunicazione della virtú dello Spirito che rende spirito e vita le parole di Cristo, parole del Padre che parla in lui. Perciò noi considereremo come primo tema il sacerdote come predicatore, come araldo della parola divina, vedendolo, necessariamente, come strumento dello Spirito, strumento di quelle sacre azioni per cui la Parola si manifesta come « spirito di vita », come « una rivelazione dello Spirito e della potenza », secondo l'espressione dell'Apostolo.
In tutto questo il sacerdote, come ministro della parola e delle azioni sacre nelle quali essa si dimostra creatrice di una nuova creazione, quella dello Spirito, in tutto questo deve essere fondamentalmente un uomo di preghiera : un uomo che accoglie la Parola nell'intimo del proprio cuore, che si dona ad essa, che corrisponde al suo dono abbandonandovisi. In questa preghiera, deve cercare di attrarre gli uomini alla Parola, intrattenerli nell'esperienza dello Spirito. Perciò considereremo il sacerdote come intercessore. . Predicatore, consacratore, intercessore, il sacerdote è tutto ciò per essere pastore : per manifestare al mondo l'amore compassionevole, l'amore salvatore del « buon Pastore delle pecorelle », che ha lasciato il cielo per « cercare e salvare ciò che era perduto », per ritrovare la pecorella smarrita, riportarla alla casa paterna, al seno Padre. Perciò la nostra meditazione sul senso della vita sacerdotale terminerà considerando il mistero del buon pastore, in cui il Padre manifesta la sua misericordia attiva, onnipotente e nello stesso tempo amantissima. La luce della fede, a ogni punto che toccheremo, ci illustrerà l'influsso che ha la carità nella sua realizzazione. L'una e l'altra virtù saranno preservate dalla tentazione dell'astrazione o della dispersione, considerando le grandi personalità bibliche nelle quali il nostro compito trova la sua prefigurazione o il suo compimento.


Louis Bouyer, Il senso della missione sacerdotale, Torino 1967

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