E’ RISORTO!
Domenica di Pasqua Atti 50, 4-7; Colossesi 2, 6-11; Giovanni 22, 14-23,56 Ci sono uomini – lo vediamo nel fenomeno dei terroristi kamikaze – che muoiono per una causa sbagliata o addirittura iniqua, ritenendo, a torto, ma in buona fede, che sia buona. Anche la morte di Cristo, per sé, non testimonia della verità della sua causa, ma solo del fatto che egli credeva nella verità di essa. La morte di Cristo è testimonianza suprema della sua carità, ma non della sua verità. Questa è testimoniata adeguatamente solo dalla risurrezione. “La fede dei cristiani, dice S. Agostino, è la risurrezione di Cristo. Non è gran cosa credere che Gesù è morto; questo lo credono anche i pagani, tutti lo credono. Ma la cosa veramente grande è credere che egli è risorto”. Noi però, attenendoci allo scopo che ci ha guidato fin qui, siamo costretti a lasciare da parte per il momento la fede per attenerci alla storia. Vorremmo cercare di rispondere alla domanda: Possiamo, o no, definire la risurrezione di Cristo un evento storico, nel senso comune del termine, cioè di “realmente accaduto”? Quello che si offre alla considerazione dello storico e gli permette di parlare della risurrezione, sono due fatti: primo, l'improvvisa e inspiegabile fede dei discepoli, una fede così tenace da resistere perfino alla prova del martirio; secondo, la spiegazione che di tale fede gli interessati, cioè i discepoli, ci hanno lasciato. Nel momento decisivo, quando Gesù fu catturato e giustiziato, i discepoli non nutrivano alcuna attesa di una risurrezione. Essi fuggirono e dettero per finito il caso di Gesù. Dovette quindi intervenire qualcosa che in poco tempo non solo provocò il cambiamento radicale del loro stato d'animo, ma li portò anche a un'attività del tutto nuova e alla fondazione della Chiesa. Questo “qualcosa” è il nucleo storico della fede di Pasqua. La più antica testimonianza della risurrezione è quella di Paolo ed essa dice così: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (1 Cor 15, 3-8). La data in cui furono scritte queste parole è il 56, o il 57 d.C.. Il nucleo centrale del testo, tuttavia, è costituito da un credo anteriore che san Paolo dice di avere egli stesso ricevuto da altri. Tenendo conto che Paolo apprese tali formule subito dopo la sua conversione, possiamo farle risalire a circa il 35 d.C., cioè a cinque, sei anni dopo la morte di Cristo. Testimonianza dunque di raro valore storico. I racconti degli evangelisti furono scritti alcuni decenni più tardi e rispecchiano una fase ulteriore della riflessione della Chiesa. Il nucleo centrale della testimonianza però permane immutato: il Signore è risorto ed è apparso vivo. A ciò si aggiunge un elemento nuovo, forse determinato da preoccupazione apologetica e perciò di minor valore storico: l'insistenza sul fatto del sepolcro vuoto. Anche per i vangeli il fatto decisivo restano le apparizioni del Risorto. Le apparizioni, tuttavia, testimoniano anche la nuova dimensione del Risorto, il suo modo di essere “secondo lo Spirito”, che è nuovo e diverso rispetto al modo di esistere anteriore, “secondo la carne”. Egli, per esempio, può essere riconosciuto non da chiunque lo vede, ma solo da colui al quale egli stesso si dà a conoscere. La sua corporeità è diversa da quella di prima. È libero dalle leggi fisiche: entra ed esce a porte chiuse; compare e scompare. Una spiegazione diversa della risurrezione, avanzata da Rudolf Bultmann e tuttora riproposta da alcuni, è che si trattò di visioni psicogene, cioè di fenomeni soggettivi, del genere delle allucinazioni. Ma questo, se fosse vero, costituirebbe, alla fine, un miracolo non meno grande di quello che si vuole evitare di ammettere. Suppone infatti che persone diverse, in situazioni e luoghi diversi, abbiano avuto tutte la stessa impressione, o allucinazione. I discepoli non poterono ingannarsi: erano gente concreta, pescatori, tutt'altro che portati alle visioni. Sulle prime non credono; Gesù deve quasi sopraffare la loro resistenza: “O tardi di cuore a credere!”. Neppure poterono volere ingannare gli altri. Tutti i loro interessi vi si opponevano; sarebbero stati i primi a sentirsi ingannati da Gesù. Se egli non fosse risorto, a che scopo affrontare la persecuzione e la morte per lui? Quale vantaggio materiale ne traevano? Negato il carattere storico, cioè il carattere oggettivo e non solo soggettivo, della risurrezione, la nascita della Chiesa e della fede, diventa un mistero più inspiegabile della risurrezione stessa. È stato giustamente notato: “L'idea che l'imponente edificio della storia del cristianesimo sia come un'enorme piramide posta in bilico su un fatto insignificante è certamente meno credibile dell'affermazione che l'intero evento – e cioè il dato di fatto più il significato a esso inerente – abbia realmente occupato un posto nella storia paragonabile a quello che gli attribuisce il Nuovo Testamento”. Qual è allora il punto di arrivo della ricerca storica a proposito della risurrezione? Possiamo coglierlo nelle parole dei discepoli di Emmaus: alcuni discepoli il mattino di Pasqua sono andati al sepolcro di Gesù e hanno trovato che le cose stavano come avevano riferito le donne, andate prima di loro, “ma lui non l'hanno visto”. Anche la storia si reca al sepolcro di Gesù e deve constatare che le cose stanno così come i testimoni hanno detto. Ma lui, il Risorto, non lo vede. Non basta constatare storicamente, bisogna vedere il Risorto e questo non lo può dare la storia, ma solo la fede. L'angelo che apparve alle donne, il mattino di Pasqua, disse loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24, 5). Vi confesso che al termine di queste riflessioni sento questo rimprovero come rivolto anche a me. Come se l'angelo mi dicesse: “Perché ti attardi a cercare tra i morti argomenti umani della storia, colui che è vivo e operante nella Chiesa e nel mondo? Va' piuttosto e di' ai tuoi fratelli che egli è risorto”. Se dipendesse da me, vorrei fare solo questo. Ho lasciato da trent'anni l'insegnamento della Storia delle origini cristiane per dedicarmi all'annuncio del regno di Dio, ma in questi ultimi tempi, di fronte alle negazioni radicali e infondate della verità dei vangeli, mi sono sentito obbligato a riprendere in mano i ferri del mestiere. Di qui la decisione di utilizzare questi commenti ai vangeli domenicali per contrastare una tendenza spesso suggerita da interessi commerciali e dare a chi per caso si trova a leggerli la possibilità di farsi una opinione su Gesú meno influenzata dal clamore pubblicitario.
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