F. Manns. Gerusalemme ci ricorda il dono dello Spirito

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Secondo il volere del S. Padre il 1998 è l’anno consacrato allo Spirito Santo. La Chiesa Madre di Gerusalemme, nata nel Cenacolo il giorno della Pentecoste, non poteva ignorare questa data. Alla Chiesa Latina è stato rimproverato di aver ignorato lo Spirito per troppo lungo tempo, ma l’avvicinarsi del Giubileo del Duemila la porta a tornare alle sorgenti. E la sorgente della Chiesa è lo Spirito.



Gerusalemme è un microcosmo unico nel suo genere. Non solo vi sono rappresentate tutte le Chiese, ma anche tutti i figli di Abramo. Essere Chiesa a Gerusalemme significa lavorare concretamente al dialogo ecumenico e interreligioso. Lo Spirito di Gesù è Spirito di unità, che egli ha donato morendo sulla croce per radunare i figli di Dio dispersi.

L’anno scorso la Chiesa di Gerusalemme ha cercato di rispondere alla domanda di Gesù: Chi sono io per voi? Quest’anno utilizza del tempo pasquale per prepararsi in modo speciale alla Pentecoste e al dono dello Spirito. La riflessione che si farà dal 30 aprile fino al 2 maggio seguirà una triplice direzione: dopo aver interrogato le Scritture, passerà all’approfondimento patristico e quindi all’esame delle varie liturgie. Infatti nella diversità delle liturgie lo Spirito continua a pregare e a parlare alle Chiese. Tale diversità presenta inoltre l’esegesi vissuta della Chiesa Madre.

Le Scritture insegnano che lo Spirito non è solo un soffio cosmico, ma è capace di ispirare i profeti e i saggi. Una lettura anche rapida della Bibbia mostra che una grande inclusione letteraria delimita il Libro sacro. All’inizio della Genesi lo Spirito di Dio aleggia sopra le acque e alla fine dell’Apocalisse risuona l’invocazione: “Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni, Signore Gesù”.

Così la fine dell’Apocalisse corrisponde all’inizio della Genesi e tutta la Scrittura è posta sotto il patrocinio dello Spirito. Anzi tutta la storia della salvezza è illuminata dallo Spirito di Dio. E’ lo Spirito la chiave che apre le Scritture e la storia della salvezza, così come per conoscere lo Spirito bisogna scrutare le Scritture. Spirito e Parola sono legati da un rapporto speciale.

La tradizione cristiana guidata dallo Spirito ha approfondito incessantemente le Scritture. Origene, fondatore della scuola biblica di Cesarea, nei suoi commenti così ricchi e istruttivi apre una linea di pensiero che sarà ripresa in Oriente, mentre Agostino è il caposcuola della tradizione occidentale. La Chiesa respira con due polmoni ed è a Gerusalemme che lo si scopre concretamente.

Per la tradizione orientale lo Spirito è estasi e dono. E’ l’apertura, il dinamismo della carità divina che si manifesta nella creazione, nella profezia e nell’Incarnazione del Figlio di Dio. Il Padre è la sorgente, il Figlio la Parola uscita dal silenzio di Dio e lo Spirito è il dinamismo divino. Il Padre opera nella creazione per mezzo delle sue Due Mani che sono il Figlio e lo Spirito, secondo l’espressione di S. Ireneo (Adv. haer. 1,22,1; 5,6,1). Queste Due Mani sono inseparabili nella loro azione rivelatrice del Padre e tuttavia sono ineffabilmente distinte. Il Verbo è in qualche modo la Mano che sbozza l’opera e lo Spirito è la Mano che la perfeziona.

Lo Spirito inonda la terra come un’acqua benefica che amalgama i fedeli in un’unica pasta, che rinfresca il suolo e fa crescere dappertutto il frumento di Cristo. La Chiesa diffusa su tutta la terra deve la sua coesione allo stesso Spirito che ispirò i profeti e che per mezzo dei quattro evangelisti dissemina il Vangelo ai quattro angoli della terra. Dio, gloria dell’uomo, si compiace di fare di lui il ricettacolo della sua sapienza. La vita presente non è che un tirocinio della vita incorruttibile data dallo Spirito.

Per la tradizione occidentale, rappresentata da S. Agostino, lo Spirito è vincolo di unità tra l’amato e l’amante, essendo lui stesso l’amore. E’ il silenzio della comunione divina. Il Padre e il Figlio sono l’uno per l’altro, relativi l’uno all’altro, mentre lo Spirito è colui che li unisce.

La tradizione orientale gli ha riconosciuto un ruolo creatore e dinamico. Lo Spirito apre la comunione dinamica a chi non è divino; è abitazione di Dio là dove Dio si trova in qualche modo fuori di se stesso. Per questo è chiamato amore. E’ l’estasi di Dio verso il suo altro, la creatura. Lo Spirito è in Dio il termine della comunicazione sostanziale.

Queste diverse teologie dello Spirito sono vissute nelle liturgie delle Chiese orientali e occidentali. La liturgia utilizza la simbolica dei colori quando prega lo Spirito; La veste liturgica secondo la tradizione armena richiama che “il culto esteriore è l’immagine di un ornamento spirituale luminoso” (Nerses Shorali). Lo Spirito riveste colui che si avvicina a Dio.

Il cristianesimo medievale ha costruito intorno al colore rosso una teologia popolare dello Spirito. Il colore è anzitutto luce tanto sul piano teologico che su quello della sensibilità. Il rosso è il colore del sangue e del vino, che è il sangue della vite. E’ anche il colore del fuoco che arde e divampa nella notte. Suggerisce la passione di Cristo e insieme simboleggia lo Spirito. In qualche modo è lo stesso mistero che si comunica col colore rosso. Cristologia e pneumatologia sono associate, benché lo Spirito sia oltre il Verbo. “Il Cristo si è offerto in uno Spirito eterno”, afferma l’autore della lettera agli Ebrei (9,14). Nel mistero della Pentecoste il rosso evoca le lingue di fuoco che scesero sui discepoli. Così lo Spirito li rende capaci di parlare. Il rosso è insieme luce e soffio, potenza e calore; brilla, illumina e purifica.

Le liturgie orientali che celebrano la divinizzazione dell’uomo, evocano un altro simbolo dello Spirito: quello dell’acqua. Nel Cristo Dio ha radunato l’umanità dispersa la quale diviene il corpo di Cristo. Il sangue sgorgato dal costato del Cristo inebria l’uomo di questo grande amore. All’unità del sangue fa riscontro la diversità del fuoco; ma di fatto il fuoco brucia già nel sangue. Il sangue è caldo; lo Spirito è fuoco. Ecco perché il diacono prima della comunione versa nel vino un po’ di acqua calda per simbolizzare il fuoco dllo Spirito.

La riflessione della Chiesa di Gerusalemme vuole essere ecumenica dato che ne fanno parte vescovi greci, armeni, latini, copti, siriani e melchiti. Vuole essere ugualmente interreligiosa e per questo un ebreo e un musulmano parteciperanno alle tavole rotonde. Il giudaismo conosce una teologia dello Spirito molto varia mentre l’Islam somiglia in parte al giudeo-cristianesimo.

Lo Spirito è la memoria della Chiesa e anche il Maestro che la istruisce. Il dono messianico dello Spirito è stato annunciato sotto forma di unzione. Questa unzione viene fatta su ogni cristiano al momento della confermazione e su chi accetta a nome della Chiesa il sacerdozio ministeriale. Il cristiano fa parte di un popolo sacerdotale che per mezzo del Cristo può offrire sacrifici spirituali a Dio graditi. È lo Spirito che gli assegna il compito di annuniare le meraviglie che Dio ha realizzato facendolo passare alla vera libertà dei figli di Dio.

Lo Spirito conferito per mezzo del simbolo dell’unzione fa del cristiano un lottatore che annuncia il Vangelo anche in mezzo ai più grandi ostacoli. Cirillo di Gerusalemme nella Catechesi 18,3 richiama che “come il pane eucaristico dopo l’epiclesi non è più pane ordinario ma il cropo di Cristo, così il santo crisma non è più un olio ordinario”.

Come ricorda lo stesso Cirillo, “la grazia dello Spirito è necessaria se vogliamo parlare dello Spirito Santo. Poiché non possiamo parlare di lui in modo adeguato, possiamo farlo senza degenerare limitandoci a quello che ne dicono le divine Scritture” (Catechesi 16,1).

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