Chi ha letto la passione del Signore secondo il racconto della mistica Katerina Emmerich comprende maggiormente tutta la pregnanza e la gravità di quelle parole. «Fu uno spettacolo terribile e straziante, che per un momento pietrificò i presenti in cupo orrore e profondo silenzio: il Figlio di Dio appariva loro tutto sanguinante sotto la corona di spine, e chinava sulla folla ondeggiante i suoi occhi spenti, mentre Pilato lo segnava a dito e gridava ai Giudei: “Ecco l’uomo”».
Il Signore Gesù se ne andava con piena consapevolezza dell’ora che gravava sulla storia, un’ora che si ripropone continuamente nei secoli.
Quei mille anni, di cui canta il Salmo, che davanti al Signore sono come un giorno solo, Cristo li vide nei giorni della sua passione. Li vide e contò le sofferenze dei giusti, dei piccoli, dei martiri, dei suoi pontefici.
Troppo spesso guardiamo la storia con lo sguardo cinico del cronachista, ormai avvezzo all’idea che nulla di nuovo v’è, davvero, sotto il sole.
E invece per il credente il nuovo c’è, palpita dietro le pagine dei giornali, dietro le dispute dei perdigiorno, dietro le immagini stanche dei nostri telegiornali.
C’è qualcosa di nuovo nella serena determinazione di un Papa, Benedetto XVI, che incurante delle prospettive anguste che lo circondano compie determinato la traversata del suo pontificato. C’è qualcosa di nuovo nel volto di un popolo, la Chiesa, che a dispetto di tanto metamorfismo, di tanta mistificazione, di tanta tracotanza dentro e fuori dei suoi confini, segue fragile e ferma le tracce del Suo Signore, ponendo i passi nelle orme del successore di Pietro.
Non ci stupiscono perciò tante vuote parole, oggi, come ieri nel pretorio, di chi grida con farisaica estraneità uno scandalo montato artificiosamente, o di chi lancia oscure minacce e non sa - forse - di prestare voce e fianco al mysterium iniquitatis.
E chiamiamolo qualche volta con il suo nome senza camuffarlo, vestendolo magari di concetti altisonanti come libertà di pensiero, rispetto delle differenze, dialogo e così via.
In realtà gli animi più puri, quelli che hanno gli occhi più tersi, credenti o non credenti che siano lo riconoscono subito.
Si sono levate voci per le inopportune parole del Papa, si sono levate voci contro i suoi presunti silenzi. Ma non si levano voci di fronte allo scandalo di un’Italia che ancora una volta apre da se stessa le porte a suoi carnefici, si trastulla davanti alla buca di aspidi velenosi e conduce i suoi piccoli nei cortili di Erode.
E quelle che si sono levate, poche ma ferme, sono state conculcate dal rumore assordante del nulla.
Quella del Papa è fra queste. Grida anche quando tace. Siamo fieri di scrivere con Lui, segno di contraddizione, minacciato dai farisei e dai carnefici di oggi, questa pagina del Vangelo nella storia del XXI secolo.
Non siamo pessimisti di fronte alla realtà, ma vogliamo guardarla con coraggio in tutta la sua verità certi di un’appartenenza a un popolo nei cui volti è disegnata l’immagine dell’Eterno che della storia è Signore e Padre. Un popolo che con la sua vita è la testimonianza più grande della Resurrezione.
Questa sia per noi la Pasqua: alzare lo sguardo verso lo scandalo della croce per vedere più acutamente, per scorgere più lontano l’alba del terzo giorno, il sorgere della salvezza. Che c’è, ed è nuova, per una potenza che non è la nostra, dentro le nostre vecchie cose.
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