IV Domenica del Tempo di Quaresima (Anno C)

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Benedetto XVI: La relazione con Dio si costruisce attraverso una storia di libertà, cadute e misericordia.







IL COMMENTO


La famosa parabola di questa domenica è, nel contesto proprio della quaresima, una chiamata a conversione. Non è un caso che sia proclamata nella domenica Laetare, dove la gioia è protagonista. Il frutto della conversione infatti è la gioia del ritrovamento. Quella del Padre che ritrova suo figlio, la stessa della donna che ritrova la sua dramma perduta, e quella del pastore che ritrova la pecora smarrita. La gioia del Signore risorto che riverbera in quella dei discepoli al ritrovarsi dopo le angosce e i dolori della Croce.

La conversione è legata al
ritrovare. Presuppone dunque una ricerca, che in questo Vangelo, a differenza di altri, è meno evidente. Il Padre cerca il figlio con il cuore vigile alla finestra di casa. Ma la vera ricerca è quella che riguarda il figlio. Innanzi tutto egli cerca la pienezza della vita e parte tagliando con suo padre e allontandosi dalla sua casa. Si avvia però su un cammino di morte e la ricerca si risolve nel completo fallimento, nella solitudine e nella fame che, dopo averlo mosso, si fa ancor più stringente perchè inappagata.

Ma quel che a prima vista sembra un esito tragico e definitivo si rivela il momento decisivo per il suo cuore inquieto. La ricerca della felicità, del compimento si infrange sulla rivelazione cruda e amara della menzogna che lo aveva sedotto. E rientra in se stesso.
Ritrova se stesso. S'era perduto progressivamente tagliando i legami con suo padre e la sua casa, e, avendone esaurito l'eredità ricevuta, aveva perduto la sua stessa identità. Non si riconosce più neanche come figlio.

Ma ritrova qualcosa, quel se stesso che s'era sbriciolato nella stessa misura in cui aveva dilapidato le sostanze, che sono molto più dei beni materiali. In casa era figlio, poteva aprire il frigorifero e mangiare a sazietà, la sua dignità di figlio ne costituiva l'essere e il ruolo,
era ed ora non è più. Ma ritrova un brandello di quella dignità, qualcosa di confuso vibra al fondo di se stesso e lo muove al ritorno, una consapevolezza misteriosa che lo fa sperare d'essere riaccolto, almeno come un servo. E' l'immagine dell'uomo ferito dal peccato. Per quanto possa essere infangata l'immagine di Dio, per quanto un uomo possa cadere nell'abisso e la distanza dal suo Creatore possa dilatarsi, il seme di vita eterna deposto in lui, la dignità di figlio di Dio non può esser cancellata. Scive il Catechismo: "la natura umana non è interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all'ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato (questa inclinazione al male è chiamata «concupiscenza») (N. 405).

Il figlio minore, stretto dai morsi della fame, nudo e ridotto a nulla, macchiato e impuro dal contatto con i porci, lontano dal Padre, dalla sua casa, dalla stessa religione e dal Popolo eletto, ai margini della vita, come l'uomo incappato nei briganti e gettato sul ciglio della strada mezzo morto, incontra un misterioso samaritano, qualcuno che, rompendo gli schemi della giustizia umana e religiosa, proprio lì nel fango immondo, ha compassione di lui, e gli versa sulle ferite olio e vino. No, non appare nulla di tutto questo nella parabola odierna, ma è tutto nascosto come in filigrana nelle pieghe dell'animo di quel giovane. La misericordia di Dio non lo aveva abbandonato. Lo sguardo del Padre era andato ben oltre l'orizzonte dove giunge l'occhio umano. Quello sguardo d'amore e gravido di misericordia lo aveva accompagnato con una pazienza a noi sconosciuta. La misericordia di Dio non ha misura, è ben oltre quella dei farisei, i più puri e intransigenti religiosi. La lettera non giunge agli abissi del cuore. La carne ed il sangue non rivelano quello che solo lo Spirito può testimoniare. Il buon samaritano piegato sul figlio prodigo è lo stesso sguardo di Dio che ha atteso, con la pazienza che rivela la sua infinita misericordia, l'esito della libertà. Gli occhi del Padre erano ora posati su quel suo figlio perduto, e si facevano memoria e nostalgia in quel letamaio in cui era precipitata la sua vita.

Quel ragazzo aveva percorso un cammino di discesa verso la verità. Ed ora essa si disvela, ma non si risolve in disperazione. Olio e vino, lo Spirito Santo e lo stesso sangue di Cristo sono lì ad accarezzare le ferite, ed è dolcezza e dolore, un'eco di quell'amore geloso e indistruttibile che non lo aveva mai lasciato. Rientrando in se stesso aveva ritrovato la traccia di quell'amore, un'ombra forse di quello sguardo paterno che lo riattirava a sè. Confuso nel deserto della sua anima il ragazzo percepisce la voce che parla al suo cuore, la carne straziata dal peccato diventava il pertugio da dove la misericordia aveva cominciato a riappropriarsi di quel che il demonio le aveva sottratto.

Il bruciore del vino e la dolcezza dell'olio lo fanno
levare, risuscitare secondo l'originale greco, per tornare da suo padre. Non si riconosce più figlio, ma riconosce il Padre. La conversione è ormai innescata, ha ritrovato quel che aveva perduto, la fonte della vita, suo Padre. Di se stesso ha ritrovato solo quell'ultimo brandello di dignità che lo lega alla vita, ma tanto basta. Non è più importante chi egli sia quanto chi sia il Padre, la radice dalla quale aveva reciso la sua esistenza.

E così può incominciare il suo esodo, il passaggio da una vita incentrata su se stesso ad una vita fondata su suo Padre. S'è levato, è risorto ed ora può tornare a casa sua. Il ritrovamento, la conversione, si fanno immediatamente cammino di ritorno,
Teshuvà secondo la spiritualità ebraica.

L'esperienza del figlio minore, abbiamo visto, è l'esperienza di Adamo ed Eva. Vive nella casa del Padre, possiede tutto come poi questi dirà al figlio maggiore. Eppure dal cuore scaturisce un'esigenza, una rivendicazione che, avendo davanti il quadro completo della parabola con il suo compimento, appaiono irrazionali. Ma come, aveva tutto e reclama solo una parte? Adamo ed Eva avevano il Paradiso completo a loro disposizione e si intestardiscono sull'unico albero che gli era vietato? Il dramma dell'uomo è tutto qui, in questo mistero che alberga nel suo cuore, quella porta socchiusa che si chiama libertà e che può volgersi tragicamente in un baratro oscuro di morte.

Il limite di un figlio è ontologico, non può che essere dipendente da suo padre. Nella stessa natura la crescita dell'uomo passa attraverso il difficile snodo del passaggio dalla dipendenza all'autonomia. Ma proprio al bivio decisivo dell'esistenza il grande mistero della libertà afferra e obbliga ad una scelta. Per questo uno dei mali più perniciosi e devastanti di quest'epoca è l'abbandono dei giovani a se stessi proprio in questo momento, che, tra l'altro, viene ogni volta più anticipato al fine di lasciare ancor più soli e disarmati gli adolescenti. Pensiamo alle esperienze di sesso indotte tra adolescenti sempre più giovani. Ma non solo.

Torniamo alla parabola. Il figlio minore non conosce suo padre, al pari del maggiore. Covano entrambi un sentimento di insoddisfazione che si traduce nell'uno in una concupiscenza manifesta, nell'altro in un sentimento d'ingiustizia che nasconde lo stesso appetito malsano. Per entrambi la carne ha il sopravvento. Il rapporto con il Padre, con la casa è profondamente malato, acerbo, immaturo. Non si è dato il passaggio trasfigurante capace di orientare lo sguardo oltre i limiti imposti dalle esigenze carnali. E' il dramma del mondo che vive di impulsi e istinti, dove la carne governa il pensiero e gli affetti. San Paolo insiste su questo in tutte le sue lettere. E' l'antropologia cristiana che evidenzia la verità sull'uomo, ferito intrinsecamente dal peccato originale. I suoi effetti sono quelli che appaiono nei due fratelli della parabola. Il graffio del demonio che penetra nell'intimo dell'uomo insinuando la menzogna primordiale. Dio non ti ama, ti limita, vuol fare di te una marionetta nelle sue mani.

Cedendo a questa menzogna il gioco per il demonio è fatto. Ogni pretesto sarà buono per irretire il malcapitato. Un fatto della propria vita, una tentazione, la famiglia, i genitori, i fratelli, il lavoro. In ogni evento si cela l'albero della conoscenza del bene e del male, inevitabilmente ogni uomo, come Adamo ed Eva, come i fratelli della parabola odierna, vi sbatteranno contro. Ed il serpente è lì, accovacciato, astuto, pronto con parole suadenti ed avvelenate. Dio è un padre che stringe d'assedio l'esistenza dei suoi figli, occorre tagliare, e prendere in mano la propria vita. Ma son mani bucate, incerte, orgogliose, incapaci di trattenere il bene e la Grazia. Reclamano autonomia, si ritrovano vuote, nude, capaci solo di male e peccato. Come Adamo ed Eva si sono accorti d'essere nudi, il figlio prodigo s'accorge del fallimento e della sua nudità interiore. Esattamente come il figlio maggiore, ancora cieco ma inesorabilmente solo e rinchiuso nell'egoismo ipocrita di chi mai ha gustato la dolcezza dell'amore di suo Padre.

Su entrambi brilla però la misericordia celeste. Il Padre che accorre ad abbracciare e accogliere il figlio smarrito e ritrovato, morto e ritornato in vita. Il Padre che si piega sulla durezza del figlio maggiore sciogliendosi in una preghiera mite e tesa ad aprire il suo cuore all'amore e alla misericordia. La misericordia è l'unica e reale origine della festa, della gioia che non passa, che nessuno può rapire. La misericordia di Dio è il segno del Cielo dischiuso sul mondo ingannato e preda della morte. La misericordia è il mistero che attira e muove il cuore alla conversione, creata da Dio, secondo i Maestri rabbini, ancor prima del mondo, in vista del pentimento dell'uomo. La misericordia che conduce e accompagna l'uomo nella sua discesa all'acqua battesimale, dove, nudo d'ogni ipocrisia e schiavitù della carne, seppellisce l'uomo vecchio e ritrova la dignità perduta; risorto a vita nuova può rivestirsi della veste più bella, la veste bianca battesimale, il candore sfogorante di Cristo risorto; e rinnovare, per pura Grazia, l'alleanza spezzata nel tradimento orgoglioso, e ricevere l'anello della nuova ed eterna alleanza nel sangue preziosissimo di Cristo; è la Pasqua compiuta, il vitello grasso, il banchetto celeste che può gustare solo chi ritorna nella casa del Padre. Tutto questo è opera della misericordia divina, il cuore stesso di Dio lacerato dal peccato ma invincibile nel suo amore geloso ed infinito.

Resta la durezza del fratello maggiore. E' una parola per ciascuno di noi, invitati a far festa per l'amore sconvolgente di Dio. La conversione passa anche per abbandonare atteggiamenti pseudo-religiosi, legalistici, moralistici e giustizialisti. Abbandonarsi alla misericordia di Dio, implorare da Dio la conoscenza profonda del proprio intimo, dell'estrema indigenza che ci caratterizza e del bisogno quotidiano del suo perdono. L'umiltà che è innanzi tutto verità. Per incontrare l'unica verità capace di salvarci e donarci una vita piena: l'amore infinito e misericordioso di Dio nostro Padre fattosi carne e vita in Cristo Gesù morto e risorto per noi.







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