Autori Medioevali della SS Trinita

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Riccardo di San Vittore

Beatrice di Nazareth

Tommaso d’Acquino

Angela da Foligno

Dante

Giovanni Ruysbroeck

Giuliana di Norwich

Caterina da Siena

Negli autorì medievalì e successivi sono espressamente trinìtarie le esperienze mistiche di Anselmo, Guillaume de St-Thierry, Bernardo, Bonaventura, Tommaso, Metilde di Hackeborn e Geltrude, l'autore della Imitazione di Cristo, Maestro Eckhart, Ruysbroeck, Angela da Folígno, Caterina da Siena, Ignazio di Loyola, Maria Arcangela Biondini, Maria dell'Incarnazione, Ve­ronìca Gìulìanì, Maria Maddalena Martìnengo, la clarìssa Chia­ra Isabella Fornaril.

Forse negli autori medievali e nei contemporanei è prevalente la nostra vita intima con la Trinità più del fascino del mistero trinitario in se stesso, ma sono solo accentuazioni che si comple­tano in un solo mosaico di luci.

Riccardo di San Vittore (+1173)

Inìzìa il suo De Trìnitate col Prologo dove dìce: «Se qualcuno mi ama, sarà amato dal Padre mio, e io l'amerò, e mi manifesterò a lui.

Dalla dilezione dunque la manifestazione, e dalla manifestazio­ne la contemplazione, e dalla contemplazione la cognizione».

Beatrice di Nazaret (1220 c.-1268)

«Quando il suo occhio in contemplazione ebbe seguito con perseveranza ìl corso della corrente fino al luogo dove scaturisce dall'eterna fonte, l'anima fu fatta degna di vedere quello che bramava afferrare del mistero della santa Trinità: il Signore, il Fìglìo dì Dìo generato eternamente dal Padre e generato nel tempo dalla madre alla fine dei tempi, come anche lo Spirito santo, il quale procede analogamente dal Padre e dal Figlio; la diversità delle Persone che permane nell'unica natura della divinità, dell'eternità e della maestà, e ancora i rimanenti divini misteri della Santissima Trinità».

Beatrice di Nazaret contempla la vita delle tre divine persone e le processioni intra-trinitarie, ma non esplora 1'inabitazione della Trinità in noi.

Tommaso d'Aquino (1225-1274)

Scriveva, non ancora trentenne, nel Commento alla Sentenza: «La visione della Trinità nell'unità: ecco il fine supremo e il frutto delizioso di ogni vita umana» (1 Sent. dist. 2, q.1). «Nell'origine delle creature dal primo principio avviene come un giro circolare, in quanto che tutte le cose ritornano, come a fine proprio, a colui da cui uscirono come da loro principio. E perciò bisogna che per le stesse cause si spieghi e l'origine dal principio e il ritorno verso la fine.

Orbene, come è stato detto che la processione delle Persone è la ragione della produzione delle creature dal primo principio, così la stessa processione sarà la ragione del loro ritorno al fine, perché come per il Figlio e lo Spirito Santo siamo stati creati, così verremo congiunti all'ultimo fine... Pertanto la processione delle Persone nelle creature può essere riguardata in due modi: in quanto essa è causa di origine dal principio, ed allora si compie per mezzo dei doni naturali, nei quali viene intessuta la nostra esistenza... Può essere invece considerata come ragione del nostro ritorno al fine, ed allora essa avviene soltanto per mezzo di quei doni che ci congiungono da vicino al fine ultimo, Dio; ed essi sono la grazia santificante e la gloria...

Nella processione dello Spirito Santo, come ora noi la conside­riamo, cioè in quanto comporta il dono dello stesso Spirito Santo, non basta una qualsiasi relazione nuova della creatura a Dio, ma occorre sia tale che la creatura dica verso Dio una relazione di possesso: poiché ciò che viene dato a qualcuno viene ad essere da lui posseduto. Orbene, la Persona divina può essere da noi posseduta o con una fruizione perfetta - e ciò avviene per il dono della gloria -; o con una fruizione imperfet­ta, e ciò avviene per il dono della grazia santificante. Anzi direi che tale possesso è delle Persone in quanto ci congiungono all'oggetto della nostra fruizione, in quanto, cioè, le stesse divine Persone attraverso una certa loro sigillazione nelle nostre anime, ci conferiscono alcuni doni che sono in noi principi intrinseci della fruizione: vale a dire l'amore e la sapienza. E per questo motivo lo Spirito Santo viene chiamato caparra della eredità celeste» (1 Sent. dist. 14, q.l, a.2).

«La Persona divina è posseduta da noi... per il dono della grazia... per mezzo del quale siamo congiunti a lei fruibile, in quanto le stesse persone divine, con una sigillazione di sé stesse nelle nostre anime, lasciano doni, dei quali formalmente fruiamo cioè amore e sapienza». (1 Sent. dist. 14, q.2, a.2, ad 2)... Perché le Persone divine abitino in noi, si richiede che possiamo conoscerle in modo quasi sperimentale e amoroso, fondato sulla carità infusa dallo Spirito Santo, la quale ci dà una connaturalità o simpatia con la vita intima di Dio (o.c. dist. 14, q.2, a.2, ad 3). Sulla missione e sulla presenza delle divine persone in noi, scrive: «è detta missione, in quanto la relazione propria della stessa persona divina è rappresentata nell'anima per una somi­glianza ricevuta, esemplata e originata dalla stessa proprietà della relazione eterna...

le persone divine sono affermate essere in noi, secondo che di nuovo siamo assimilati a loro» (o.c. dist. 15, q.4, a.I, ad 1)4. «Una persona divina ci viene inviata, in quanto essa esiste in noi in un modo nuovo; ci è donata, in quanto la possediamo... Dio è già in tutte le cose in maniera generale, per la sua essenza, potenza e presenza, come la causa negli effetti che partecipano alla sua bontà. Ma oltre a questa presenza generale, vi è una presenza speciale in noi, in quanto che Dio vi è come oggetto conosciuto ed amato in colui che lo conosce e lo ama. E poiché per la sua operazione - vale a dire per la conoscenza e l'amore (soprannaturali) - la creatura ragionevole raggiunge Dio stesso, invece di dire che, seguendo questo modo speciale di presenza, Dio è nell'anima giusta, diciamo che egli abita in essa come nel proprio tempio. Perciò nessun altro effetto all'infuori della grazia santificante può render ragione di questo fatto, che una persona divina sia presente in noi in un modo nuovo...

Allo stesso modo, per avere una cosa si richiede il poterne godere, e il potersene servire. E noi non possiamo godere d'una persona divina che mediante la grazia santificante e mediante la carità» (la, q.43, a.3).

«Dio è presente a quelli che lo amano già in questa vita per mezzo dell'inabitazione di grazia» (Ila Ilae, q. 28 ad 1).

Questa conoscenza quasi sperimentale di Dio, fondata sulla carità, che ci dona una connaturalità alle cose divine, procede soprattutto dal dono della Sapienza, come dice San Tommaso (Ila IIae, q. 45, a. 2).

Ma affinché la SS. Trinità abiti in noi non è tuttavia necessario che questa conoscenza quasi sperimentale sia attuale; basta che ne abbiamo il potere per la grazia delle virtù e dei doni. In tal modo l'abitazione della SS. Trinità perdura nel giusto, anche durante il sonno, e fino a tanto che rimane nello stato di grazia. Di tanto in tanto, però, accade che Dio si fa sentire a noi come l'anima della nostra anima, come vita della nostra vita. L appunto ciò che dice San Paolo nell'Epistola ai Romani (8, 14-16): «Avete ricevuto uno Spirito di adozione, in cui gridiamo: Abba, Padre! Lo Spirito stesso attesta al nostro Spirito che siamo figli di Dio». San Tommaso, nel suo Commentario su questa Epistola, dice «Lo Spirito attesta al nostro spirito per effetto dell'amore filiale che produce in noi»; cfr. «colui che riceve (lo Spirito) lo conosce per qualche esperienza di dolcez­za» (la Ilae, q. 112, a. 5).

Quando si verifica in noi un aumento di carità, le persone divine sono di nuovo inviate - dice San Tómmaso - poiché esse divengono più intimamente presenti in noi secondo un modo nuovo ossia un nuovo grado d'intimità (la, q. 43, a. 6 ad 2).

«Se un mistico dei nostri giorni spiegasse la sua esperienza in linguaggio moderno o con simboli presi dal nostro ambiente, rimarrebbe tale e quale l'oscurità. Se l'esperienza è ineffabile, allora il mistico dovrebbe tacere. Ciò che fece S. Tommaso d'Aquino. Il 6 dicembre del 1272 (festa di S. Nicola) riceve una grazia mistica. Da quel giorno non c'è chi riesca a fargli scrivere ancora una riga. Gode di perfetta salute ed è nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Ha opere già avviate. Alle insistenze del segretario e dei Superiori, che si rendono conto della perdita incalcolabile, fra Tommaso risponde: «Non posso, fra Reginal­do, non posso!». E in questo stato vive un altro anno e mezzo»5. S. Tommaso considera la presenza delle divine persone in noi per la grazia dello Spirito Santo e l'esperienza trinitaria che l'anima ha di loro, ma non espone le divine attività trinitarie in noi, a differenza di Santina.

Angela da Foligno (1248-1309)

"Fu in questo primo periodo di trasformazione spirituale, sotto il magistero della Croce, che portava all'assimilazione quanto più perfetta con Cristo, nell'abbraccio di una povertà totalitaria e professione di fedeltà integrale di vita, che Angela si rivolse al Signore con forti gemiti del suo cuore: «Signore, quanto io faccio non è che per trovarti. Ti troverò quando avrò compiuto questo?».

Si trattava della distribuzione dei suoi beni, ormai quasi alla fine.

Il Signore la confortò con la promessa: «Affrettati, poiché subito che queste cose avrai compiuto, tutta la Trinità verrà in te»... Ancora a fra Arnaldo, che l'aveva interrogata sulla stessa mani­festazione, Angela riferiva, imboccata dall'Alto:

«Gli dirai: quando ti furono dette queste cose, cioè: Io sono lo Spirito Santo - e poi - Io sono che fui crocifisso per te, allora era in te il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo». Anzi più volte le fu ripetuto: «La Trinità era venuta in te». «E m'era detto - continua la Beata - che in quel colloquio erano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. E mi sembra che per tre volte mi si dicesse che la Trinità era una cosa insieme congiunta - res una simul adunata -»...

La Beata parla di sé immersa in Dio, nell'intimità con le Persone divine, come adagiata nella Trinità. Un linguaggio spaziale che va ovviamente inteso nel suo giusto senso, come vedremo. Così, confidando della sua elevazione alla visione di Dio nelle tenebre, dice: «... in quella Trinità che vedo con tanta tenebra, mi sembra stare e giacere nel mezzo». Ed elevata poi alla visione sopra le tenebre... «mi sembrava che fossi in mezzo alla Trinità, più largamente che nel passsato». Altra volta ancora udì ripetersi da Dio: «Figlia della divina Sapienza, Tempio del diletto, delizia delle delizie, e figlia di pace: in te riposa tutta la Trinità, tutta la verità; così che tu mi tieni ed io ti tengo».io Tre brani densi di profondo mistero spirituale, pur articolati in termini immaginosi: «... stare e giacere nel mezzo...»; «...in mezzo alla Trinità, più largamente che nel passato...»; «... in te riposa tutta la Trinità...». Dietro la materialità dei termini va letta un'altissima realtà spirituale: l'assunzione dell'anima a vivere per partecipazione la vita delle Tre Persone divine: «Stare», «giacere», essere «in mezzo alla Trinità...», hanno un senso del tutto soprannaturale e eminentemente dinamico, anche se la terminologia porti un senso statico-locale.

L'anima, introdotta nell'intimità di Dio, vive in Dio, vive la vita di Dio, partecipando, pur in modo passivo, quale si addice allo stato mistico, alle divine operazioni di conoscenza e di amore... «Vide quel benedetto Dio, trino e uno, abitare così per la Sua Maestà la mente dei figli, trasformando in Sé questi figli, diversamente secondo i gradi predetti,n che veramente era per lei un gran Paradiso scorgere in essi questa abitazione divina. E così svisceratamente lo vedeva immedesimato in questi, che non poteva saziarsi di guardarli».

Notevole, nella B. Angela, la frase ripetuta «in te riposa tutta la Trinità» di reminiscenza agostiniana e il suo stare nella Trinità.

Dante (1265-1321)

Per me si va nella città dolente; Per me si va nell'eterno dolore; Per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse'1 mio alto Fattore: Fecemi la Divina Potestate, La Somma Sapienza, e'1 primo amore. Dinanzi a me non fur cose create, Se non eterne, ed io eterno duro: Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate (Inferno, canto III, 1-9)

Matto è chi spera che nostra ragione Possa trascorrer l'infinita via, Che tiene una sustanzia in tre persone. State contenti, umana gente, al quia: Ché se potuto aveste veder tutto, Mestier non era partorir Maria (Purgatorio, canto III, 34-39) Guardando nel suo Figlio con l'amore Che l'uno e l'altro eternalmente spira Lo primo ed ineffabile Valore, Quanto per mente o per occhio si gira Con tanto ordine fa, ch'esser non puote Senza gustar di lui chi ciò rimira... Tal'era quivi la quarta famiglia Dell'alto Padre, che sempre la sazia, Mostrando come spira, e come figlia. (Paradiso, canto X, 1-6. 49-51)

Ciò che non muore, e ciò che può morire, Non è se non splendor di quella idea, Che partorisce, amando, il nostro Sire: Ché quella viva luce, che sì mea Dal suo lucente, che non si disuna Da lui, né dall'amor che in lor s'intrea (Paradiso, canto XIII, 52-57)

Quell'uno e due e tre che sempre vive, E regna sempre in tre e due ed uno, Non circoscritto e tutto circoscrive, Tre volte era cantato da ciascuno

Di quelli spirti con tal melodia, Ch'ad ogni merto saria giusto muno (Paradiso, canto XIV, 28-33) Benedetto sie Tu... trino ed uno (Paradiso, canto XV, 47)

E credo in tre Persone eterne; e queste Credo una essenzia sì una e sì trina, Che soffera congiunto sono ed este. Della profonda congiunzion divina, Ch'io tocco mo, la mente mi sigilla

Più volte l'evangelica dottrina (Paradiso, canto XXIV, 139-144)

Al Padre, al Figlio, allo Spirito santo Cominciò gloria tutto '1 Paradiso,

Sì che m'inebriava il dolce canto.

Ciò ch'io vedeva mi sembrava un riso Dell'universo per che mia ebbrezza Entrava per l'udire e per lo viso.

O gioia! o ineffabile allegrezza! O vita intera d'amore e di pace! O senza brama sicura ricchezza! (Paradiso, canto XXVII, 1-9)

In questo miro ed angelico templo, Che solo amore e luce ha per confine (Paradiso, canto XXVIII, 53.54) Luce intellettual piena d'amore, Amor di vero ben pien di letizia, Letizia che trascende ogni dolzore (Paradiso, canto XXX, 40-42)

O trina luce, che in unica stella Scintillando a lor vista sì gli appaga, Guarda quaggiuso alla nostra procella (Paradiso, canto XXXI, 28-30)

O abbondante grazia, ond'io presunsi Ficcar lo viso per la luce eterna Tanto, che la veduta vi consunsi! Nel suo profondo vidi che s'interna Legato con amore in un volume

Ciò che per l'universo si squaderna... Nella profonda e chiara sussistenza Dell'alto lume parvermi tre giri

Di tre colori e d'una contenenza; E l'un dall'altro, come Iri da Iri, Parea riflesso, e '1 terzo parea fuoco Che quinci e quindi igualmente si spiri. Oh quanto è corto '1 dire e come fioco Al mio concetto! e questo, a quel ch'io vidi, È tanto, che non basta a dicer poco.

O luce eterna, che sola in te sidi, Sola t'intendi, e, da te intelletta Ed intendente, te ami ed arridi! Quella circulazion, che sì concetta Pareva in te, come lume riflesso, Dagli occhi miei alquanto circonspetta, Dentro da sé, del suo colore istesso, Mi parve pinta della nostra effige, Per che il mio viso in lei tutto era messo. Qual è '1 geomètra, che tutto s'affige Per misurar lo cerchio, e non ritrova, Pensando, quel principio ond'egli indige; Tale era io a quella vista nuova:

Veder voleva come si convenne

L'imago al cerchio, e come vi s'indova;... L'Amor che muove il Sole e l'altre stelle (Paradiso, canto XXXIII, 82-87. 115-138. 145)

Dante traduce in lirica il mistero trinitario in versi insuperati. Immerso nel suo Paradiso, nella sua visione beatifica dei Tre, non parla dell'inabitazione trinitaria.

Giovanni Ruysbroeck (1293-1381) e mistici nordici

«Bisogna sapere che il Padre celeste con tutto ciò che esiste in lui, agendo in modo simile a una causa prima vivente, è in rapporto con il suo Figlio come con la sua propria Sapienza e che questa Sapienza, con tutto quello che è in essa, agendo si riferisce al Padre, la causa prima da cui proviene. Dall'incontro tra Padre e Figlio deriva la terza Persona, lo Spirito, amore di entrambi, il quale esiste nella stessa natura di loro. Nel suo agire e nel riposare, questo amore abbraccia strettamente e penetra il Padre e il Figlio e tutto ciò che vive in loro, con una ricchezza e una gioia, le quali sono grandi a tal punto che sprofondano ogni creatura in eterno silenzio».

"Fondandosi qui su un concetto neoplatonico - senza dubbio di capitale importanza per una giusta intelligenza della sua dottrina sull'inabitazione trinitaria -, Ruysbroeck pensa che ogni essere creato ha una pre-esistenza o una esistenza eterna nella mente di Dio, dove «vive» come «idea» dall'eternità. Per entrare nel tempo, per rivestirsi di una esistenza creata, questa «idea» effluisce o «emana» dal Padre nel Verbo, che è la sua più perfetta immagine, e ritorna al Padre nello Spirito Santo. Già per questo movimento «circolare», l'uomo «vive» nella immagi­ne di Dio, partecipando alla sua vita trinitaria. Ma dato che la vita creata, l'esistenza nel tempo, significa emanazione dalla eterna immagine divina e ritorno in essa nel Verbo e con lo Spirito Santo, questa immagine s'imprime nell'anima arricchen­dola di un carattere di somiglianza. Così Ruysbroeck può dire che:

«penetrati dallo splendore dello Splendore (il Verbo), saremo trasformati nella stessa immagine della Trinità Santa», e che «la nostra esistenza creata vive nella nostra immagine eterna, quella che abbiamo nel Figlio. ... E perciò si rinnovano ininterrottamente, nel vuoto della nostra anima, la generazione eterna (del Figlio) e la processione dello Spirito Santo, perché Dio ci ha conosciuti ed amati, chiamati ed eletti eternamente».

Bisogna tuttavia aggiungere che nel linguaggio mistico di Ruy­sbroeck, una tale «trasformazione», un tale «vivere nella nostra eterna immagine», va inteso esclusivamente nell'amore. Nell'a­more, e precisamente «mediante l'Amore (lo Spirito Santo), saremo portati dentro e trasformati nella nostra eterna immagine che è Dio. Là il Padre ci trova e ci ama nel Figlio. E il Figlio ci trova e ci ama, con lo stesso amore, nel Padre. E il Padre e il Figlio assieme ci abbracciano nell'unità dello Spirito Santo, in una beata fruizione che si rinnova eternamente, senza fine, in conoscenza e amore, per mezzo della generazione eterna del Figlio e l'effusione dello Spirito Santo».

È evidente: la dottrina mistica di Ruysbroeck sulla trasformazio­ne dell'anima nell'eterna immagine, è particolarmente ricca e rivela tutta la grandezza dell'anima scelta e chiamata già nel tempo, a toccare le soglie dell'eternità. Ma non si deve dimenti­care che egli raccoglie in gran parte quello che, più poeticamen­te e più riboccante di sentimento mistico, aveva scritto Hade­wijch. Questa, gettandosi in un impeto' d'amore nelle braccia dell'Amato, aveva visto l'anima partecipare «al bacio che unisce le Tre Persone», per «ricevere felicemente là dentro», dove essa possiede »una via segreta» ( =una capacità passiva), «il dolce bacio che l'Amore elargisce, quella dolce vita vivente ( =1a vita intra-trinitaria), che deve dare vita alla vita vivente in noi».

Di questa capacità interiore, per cui l'uomo può rispondere interamente, sino alla consumazione finale, a questo Dio Trinità che dimora in lui e di cui egli è l'immagine, non esiste nessun dubbio per i mistici nordici. Quando l'uomo «tocca Dio con le potenze superiori dell'anima», spiega Eckhart, «Gli diventa simile nella sua immagine».1s Ma la condizione necessaria per un tale «toccare Dio» è che avvenga «sopra i sensi e sopra l'intendere, sopra la conoscenza e sopra la capacità della creatura umana», cioè là, nel fondo dell'anima, dove «nos tota inhabitet Trinitas», come fu messo in luce già da S. Agostino.

Questo fondo è veramente « il nobile specchio in cui Dio ha impresso la sua immagine», «il luogo, dove la vera immagine della Trinità è nascosta». Perciò Eckhart può concludere che solo «quando l'anima vive nel suo intimo fondo, dove è l'imma­gine di Dio, possiede la vera unione che nessuna creatura potrà mai disfare». Non occorre aggiungere che tutto lo sforzo ascetico di questi grandi maestri spirituali è impegnato a «re­staurare» nell'anima la sua eterna immagine, guastata dal pecca­to, e che l'itinerario, da loro indicato, è segnato oltre che dal carattere intellettuale e speculativo, da precise norme per uno spogliamento assoluto dell'uomo. Solo nella fede nuda che diventerà chiara visione, e solo nell'amore disinteressato e libero di se stesso che sfocerà nel totale possesso di Dio Trinità, l'uomo può ricuperare l'immagine perduta.

«Con-vivenza» con la Trinità

La spiritualità trinitaria, quale l'abbiamo vista risplendere in arcana bellezza ed in piena forza divinizzatrice, viene portata alla massima espressione con la partecipazione dell'anima puri­ficata alla vita intima delle Tre Persone. Di esperienze ineffabili riecheggiano le opere dei mistici nordici. Così, Metilde di Mag­debourg conferma con la sua vita inabissata in Dio, di aver ricevuto «il dono del triplice amore che Dio fa di sé», dono, questo, che l'aveva «introdotta nell'amore trinitario», mentre le poesie di Hadewijch cantano l'immenso amore del Verbo Incar­nato che fa vivere, inserita nel continuo movimento della comu­nione intratrinitaria, l'anima, «ornamento e trono di Dio Trino». Ma un posto particolare spetta anche qui a Ruysbroeck. Con stupende parole, egli esalta la grandezza dell'anima che per la sua spiritualità ed immaterialità ha delle capacità incommensu­rabili.

I rani più profondi si trovano nella terza parte delle «Nozze spirituali». Mettendo nuovamente in luce che «l'anima è tutt'uno con l'Immagine della Trinità - la Sapienza divina -, in cui Dio contempla se stesso e tutte le creature in un eterno presente, senza passato e senza futuro», il mistico fiammingo si sprofon­da nelle infinite dimensioni dell'amore e del godimento, dicen­do: «Tutta la ricchezza che Dio ha per natura, noi la possediamo nell'amore, in Dio». Questo possesso arricchisce lo spirito uma­no in modo tale da farlo «partecipare all'unico abbraccio della Trinità: egli è eternamente inserito nell'Unità sovraessenziale di riposo e di fruizione, come è introdotto nella stessa Unità di fecondità, quella per cui il Padre è nel Figlio e il Figlio nel Padre, e tutte le creature in entrambi».

E questo è il settimo ed ultimo grado della vita contemplativa, in cui l'anima, trasfigurata, rapita e consumata, risplende come «un carbone ardente, acceso da Dio nel fuoco del suo amore senza fondo. E tutti insieme siamo una fiamma che arde, che non può mai venir spenta, con il Padre e il Figlio nell'unità dello Spirito Santo, là dove le stesse Persone divine sono rapite nell'Unità della loro Essenza, nell'abisso senza fondo della semplice beatitudine»"

Ruysbroeck è l'autore che più si avvicina alla comunione trinita­ria descritta dalla clarissa. E anche l'autore più citato da Elisa­betta della Trinità nella versione di Hello.

Ma Santina va oltre e ci immerge non solo nell'abbraccio trinitario ma nella vivacità del precipitarsi reciproco delle tre divine persone.

Giuliana di Norwich (1342-1416)

"La beata Trinità che ci ha creato, in Cristo Gesù nostro salvatore, dimora eternamente nella nostra anima, gloriosamen­te regnando e governando tutte le cose, operando con potenza e sapienza la nostra salvezza e custodendoci nell'amore; e noi non saremo sconfitti dal nostro nemico...

Dovremmo grandemente gioire del fatto che Dio abita nella nostra anima; e ancor più grandemente dovremmo gioire del fatto che la nostra anima abita in Dio. La nostra anima è stata creata per essere la dimora di Dio, e la dimora della nostra anima è Dio, che è increato. È una grande intuizione vedere e conoscere interiormente che Dio, nostro creatore, dimora nella nostra anima, ed è un'intuizione ancora più grande il vedere e conoscere più interiormente che la nostra anima, che è creata, dimora in Dio nella sua sostanza, e per questa sostanza divina noi siamo quello che siamo.

E io non vidi differenza alcuna tra Dio e la nostra sostanza, ma era come se tutto fosse Dio: eppure la mia mente intese che la nostra sostanza è in Dio, cioè che Dio è Dio e la nostra sostanza è una creatura in Dio. Poiché l'onnipotente verità della Trinità è nostro Padre, poiché egli ci ha fatti e ci custodisce in lui. E la profonda sapienza della Trinità è nostra Madre, nella quale siamo racchiusi. E l'alta bontà della Trinità è nostro Signore, e in lui noi siamo racchiusi, e lui in noi. Siamo racchiusi nel Padre, e siamo racchiusi nel Figlio, e siamo racchiusi nello Spirito Santo. E il Padre è racchiuso in noi, il Figlio è racchiuso in noi, e lo Spirito Santo è racchiuso in noi, tutta potenza, tutta sapienza e tutta bontà, un solo Dio, un solo Signore...

Anche se le tre persone della beata Trinità sono perfettamente uguali nell'essenza, quello che l'anima capisce di più è l'amore... E la verità è che di tutte le proprietà della Trinità beata quella che per volontà di Dio deve darci maggiore sicurezza e gioia è l'amore"ZS.

Giuliana sottolinea la nostra inabitazione nella Trinità e l'amore trinitario.

Caterina da Siena (1347-1380)

"Il cambio del cuore, le nozze mistiche, le stimmate, sono le tappe della progressiva identificazione di Caterina con il Cristo: giunta al culmine della sua esperienza mistica «lo stesso Salvato­re», dice il biografo Raimondo da Capua, «introduceva la sua anima dentro il proprio costato dove le rivelava il mistero della Trinità». Nel Sangue di Cristo, da lei gustato, ella contemplava le abissali bellezze del mistero trinitario, nel Sangue ella incen­trava la sua esperienza mistica.

Noi troviamo negli scritti della Santa luminosi riflessi delle sue penetranti intuizioni: nell'Epistolario, nel Dialogo e nelle Preghie­re, l'inno che questa anima privilegiata innalza alla Trinità raggiunge talvolta le vette del lirismo, sempre mantenendo una eccezionale precisione terminologica, una perfetta aderenza del­la parola al concetto che vuole esprimere.

Come già è stato osservato, Caterina non intese costruire nei suoi scritti, e segnatamente nel Dialogo, un vero e proprio sistema dottrinale, ma volle trasmetterci la certezza della sua fede, la nitidezza della sua visione, lo slancio del suo amore per questo mare profondo nel quale la sua anima viveva immersa": «Tu, Trinità eterna, sei uno mare profondo che quanto più c'entro più trovo e quanto più trovo più cerco di Te».

«O amore ineffabile, perché tutta la Trinità acconsentisse alla creazione dell'uomo ["Facciamo l'uomo a nostra immagine" Gn 2,1], hai dato all'uomo la forma stessa della Trinità, deità eterna, nelle tre potenze dell'anima sua, ossia la memoria per dargli forma di te, Padre eterno che, come Padre, tieni e conservi ogni cosa in te; e la memoria appunto ritiene e conserva quello che l'intelletto vede, intende e conosce di te, bontà infinita, parteci­pando così anche della sapienza dell'unigenito tuo Figliolo. Gli hai donato, infine, la volontà che partecipa della dolce clemenza dello Spirito Santo, la quale volontà si leva piena dell'amore tuo».

«Questo mare fecondo che Tu, Trinità eterna, mi fai conoscere, è uno specchio che mentre la mano dell'amore tiene davanti agli occhi dell'anima mia, rappresenta me in Te, che sono creatura Tua. Nel lume di questo specchio sei rappresentato a me ed io conosco Te ...».

«Io sono quel Sole, Dio eterno, onde è proceduto il Figliolo e lo Spirito Santo... La potenza mia non è separata dalla sapienza sua (del Figliolo), né il calore, fuoco di Spirito Santo, è separato da me Padre né da lui Figliolo, perocché è una medesima cosa con noi, perché lo Spirito Santo procede da me Padre e dal Figliolo, e siamo uno medesimo Sole».

L'anima umana immagine della Trinità

«O somma Bontà, che per solo amore hai fatto noi a la immagine e similitudine tua, non dicendo "sia fatto" quando creasti l'uomo come quando facesti le altre creature, ma dicesti: facciamo l'uomo immagine e similitudine nostra, o amore ineffa­bile, perché consentisse tutta la Trinità. E gli hai data la forma della Trinità, Deità Eterna, nelle potenze dell'anima sua ...».

«E questo facesti volendo Tu, Trinità Eterna, che l'uomo parte­cipasse tutto Te, alta ed eterna Trinità. Onde gli desti la memoria perché ritenesse i benefici tuoi, nella quale partecipa la potenza di Te, Padre Eterno, e destili l'intelletto a ciò che conoscesse, vedendo, la tua bontà e partecipasse la Sapienza del tuo Figliolo; e destili la volontà a ciò che potesse amare quello che l'intelletto vide e conobbe della tua verità partecipando la clemenza dello Spirito Santo».

«Non solamente creasti l'uomo a la tua imagine e similitudine, ma anco in Te, in alcun modo, hai la similitudine sua. E così Tu sei in lui ed egli in Te».

"L'uomo è un complesso armonico coordinato nell'insieme del­l'universo sulla potenza, sapienza e clemenza di Dio nella Trinità, poiché «nel medesimo suono che sono accordate le corde grandi delle potenze dell'anima, sono accordate le piccole dei sentimenti e strumenti del corpo». Le corde della creazione sono accordate tutte a un suono, cioè a gloria e lode della Trinità divina, e chi è destinato a farle vibrare è l'uomo, in armonia con la potenza, sapienza, clemenza della Trinità creatri­ce".

«O abisso, o Deità eterna, o mare profondo! E che più potevi dare a me che dare te medesimo? Tu se' fuoco che sempre ardi e non consumi; tu se' fuoco che consumi nel calore tuo ogni amore proprio dell'anima; tu se' fuoco che togli ogni freddezza; tu allumini; col lume tuo m'hai fatta conoscere la tua verità; tu se' quello lume sopra ogni lume, col quale lume dài all'occhio dell'intelletto lume soprannaturale in tanta abbondanza e perfe­zione che tu chiarifichi el lume della fede, nella quale fede veggo che l'anima mia ha vita, e in questo lume riceve te, lume. Nel lume della fede acquisto la sapienza nella sapienza del Verbo del tuo Figliuolo; nel lume della fede so' forte, costante e perseverante; nel lume della fede spero: non mi lassa venire meno nel cammino. Questo lume m'insegna la via, e senza questo lume andarei in tenebre; e però ti dissi, Padre eterno, che tu m'alluminassi del lume della santissima fede.

Veramente questo lume è uno mare, perché notrica l'anima in te, mare pacifico, Trinità eterna. L'acqua non è turbida, e però non ha timore, perché cognosce la verità; ella è stillata, ché manifesta le cose occulte; unde, dove abbonda l'abbondantissi­mo lume della fede tua quasi certifica l'anima di quello che crede. Ella è uno specchio, secondo che tu, Trinità eterna, mi fai cognoscere; ché raguardando in questo specchio, tenendolo con la mano dell'amore, mi rappresenta me in te, che so' creatura tua, e te in me, per l'unione che facesti della deità nell'umanità nostra. In questo lume cognosco e rapresentami te, sommo e infinito Bene: Bene sopra ogni bene, Bene felice, Bene incom­prensibile; Bene inestimabile; Bellezza sopra ogni bellezza; Sa­pienza sopra ogni sapienza, anco tu se' essa sapienza. Tu, cibo degli angeli, con fuoco d'amore ti se' dato agli uomini! Tu, vestimento che ricuopri ogni nudità, pasci gli affamati nella dolcezza tua. Dolce se' senza alcuno amaro. O Trinità eterna, nel lume tuo il quale desti a me, ricevendolo col lume della santissima fede, ho cognosciuto, per molte e admirabili dichiara­zioni spianandomi, la via della grande perfezione, acciò che con lume e non con tenebre io serva te, sia specchio di buona santa vita, e levimi dalla miserabile vita mia; ché sempre, per lo mio difetto, t'ho servito in tenebre. Non ho conosciuta la tua verità, e però non l'ho amata.

Perché non ti conobbi? Perché io non ti viddi col glorioso lume della santissima fede, però che la nuvila dell'amore proprio offuscò l'occhio dell'intelletto mio. E tu, Trinità eterna, col lume tuo dissolvesti le tenebre. E che potrà agiognere all'altezza tua rendarti grazie di tanto smisurato dono e larghi benefici quanto tu hai dati a me, della dottrina della verità che tu m'hai data? che è una grazia particulare, oltre alla generale che tu dài all'altre creature. Volesti condescendere alla mia necessità e dell'altre creature che dentro ci si specchieranno. Tu risponde, Signore: tu medesimo hai dato, e tu medesimo risponde e satisfa, infondendo uno lume di grazia in me, a ciò che con esso lume io ti renda grazie. Veste, veste me di te, Verità eterna, sì che io corra questa vita mortale con vera obbedienzia e col lume della santissima fede, del quale lume pare che di nuovo inebbri l'anima mia».

«O Maria Maria, tempio della Trinità. O Maria portatrice del fuoco. Maria porgitrice di misericordia. Maria germinatrice del frutto. Maria ricompratrice dell'umana generazione, perché so­stenendo la carne tua nel Verbo, fu ricomprato il mondo. Cristo ricomprò con la sua passione e tu col dolore del corpo e della mente.

O Maria, mare pacifico, Maria donatrice di pace, Maria terra fruttifera. Tu Maria, sei quella pianta novella, dalla quale abbia­mo il fiore odorifero del Verbo Unigenito Figlio di Dio, perché in te, terra fruttifera, fu seminato questo Verbo. Tu sei la terra, tu sei la pianta. O Maria, carro di fuoco, tu portasti il fuoco nascosto e velato sotto la cenere della tua umanità.

O Maria vasello d'umiltà, nel quale vasello sta e arde il lume del vero conoscimento, col quale tu levasti te sopra di te, e però piacesti al Padre eterno; onde egli ti rapì e trasse a sé amandoti di singolare amore. Con questo lume e fuoco della tua carità, e con l'olio della tua umiltà traesti tu, e inchinasti la divinità sua a venire in te; benché prima fu tratto dall'ardentissimo fuoco della sua inestimabile carità a venire a noi...

Tu oggi, o Maria, sei fatta libro, nel quale è scritta la regola nostra. In te oggi è scritta la sapienza del Padre eterno. In te oggi si manifesta la fortezza e libertà dell'uomo. Dico che si mostra la dignità dell'uomo, peroché se io riguardo in te, Maria, veggo che la mano dello Spirito Santo à scritto in te la Trinità, formando in te il Verbo incarnato Unigenito Figliolo di Dio. Ci scrisse la sapienza del Padre, cioè esso Verbo; ci à scritto la potenza, peroché fu potente a fare questo grande mistero; e ci à scritto la clemenza di esso Spirito Santo, ché solo per grazia e clemenza divina fu ordinato e compiuto tanto mistero...

O Maria, io veggo questo Verbo dato a te, essere in te; e nondimeno non è separato dal Padre, sì come la parola che l'uomo à nella mente, che benché ella sia perfetta di fuori e comunicata ad altri, non si parte però, né è separata dal cuore. In queste cose si dimostra la dignità dell'uomo, per cui Dio ha operato tante e sì grandi cose.

In te ancora, o Maria, si dimostra oggi fortezza e libertà dell'uomo; perché dopo la deliberazione di tanto e sì grande consiglio, è mandato a te l'angelo ad annunciarti il mistero del consiglio divino, e cercare la volontà tua; e non discese nel ventre tuo il Figliolo di Dio, prima che tu consentissi con la volontà tua. Aspettava alla porta della tua volontà, che tu gli aprissi, ché voleva venire in te; e giammai vi sarebbe entrato se tu non gli avessi aperto dicendo: Ecco l'ancella del Signore; sia fatto a me secondo la parola tua (Lc. 1, 38)...

O Maria, dolcissimo amore mio, in te è scritto il Verbo, dal quale noi abbiamo la dottrina della vita. Tu sei la tavola, che ci porgi quella dottrina. Io veggo questo Verbo, subito che egli è scritto in te, non essere senza la croce del santo desiderio, ma subito che egli fu concepito in te, gli fu innestato e annesso il desiderio di morire, per la salute dell'uomo, per la quale egli si è incarnato...

O Maria, benedetta sia tu, tra tutte le donne, in saeculum saeculi: ché oggi tu ci hai dato della farina tua. Oggi la Deità è unita e impastata con l'umanità nostra sì fortemente, che mai non si può separare, né per morte né per nostra ingratitudine, questa unione».

Seguendo Agostino e Tommaso, Caterina vede l'immagine trini­taria immersa nella persona umana, come memoria, intelletto e volontà.

Più vicina al tema dell'inabitazione è la sua elevazione a Maria tempio della Trinità.

La vita della Trinità nell'essere umano e di questi nel Dio vivente, non è che una partecipazione della vita trinitaria di Maria, la creatura più unita al Padre, al Figlio e allo Spirito, colei che maternamente c'immerge nella Trinità del battesimo e vuole fare crescere in noi la vita divina. È questa l'intuizione espressa da S. Caterina da Siena.

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Ignazio di Loyola

Ignazio di Loyola (1491-1556)

"«Alla domanda: - quale fu la grazia propria di sant'Ignazio, si può dare soltanto una risposta: fu una grazia trinitaria». «Ignazio si sentì portato alla Trinità da una forza irresistibile, interna, forte e misteriosa. Lui stesso nel Giornale spirituale rivela come molte volte si sentiva attirato verso la Trinità.

«Un amore che mi tirava alla Trinità»i «Tirandomi [attirandomi] al suo amore». «Tirandomi [mi induceva] a sperare nella santis­sima Trinità».

Attrazione prodotta dall'amore. Lui che così raramente parla dell'amore, quando si tratta della Trinità si sente come invaso da una forza passionale che lo trasforma: l'amore è quello che lo «tira». È la meta dell'attrazione.

«Fui tutto preso di devozione e amore che terminava alla santissima Trinità». «Mi coprivo di lacrime e singhiozzi e di un amore così intenso che pareva unirmi in modo eccessivo al suo amore, tanto lucido e dolce».

E in una delle visioni, che per la sua importanza racchiuse dentro di un quadro di righe, scrive: «Mi accendevo di amore per tutta intera [la Trinità]... godevo di ognuna [delle persone] nel provar consolazione, attribuendola e rallegrandomene perché proveniente da tutte e tre»...

Si metteva davanti alla Trinità come davanti ai Re. Pieno di devozione e riverente, ma vicino, sentendo che aveva un compi­to da svolgere. La prima volta che nel Giomale spirituale parla di «servizio» lo fa in chiave trinitaria. Vuole che si compia in lui «il più grande servizio» della Trinità «e nel modo più convenien­te»5. Studiando anche gli altri riflessi, arriveremo a questa prospettiva dinamica della devozione trinitaria di Ignazio. La vede come ultimo principio. E lui si vede in dipendenza totale dalla Trinità, come riflesso che deve anche a sua volta rispec­chiare negli altri la luce che riceve.

Ignazio non si limita a lodare la Trinità, a pregare. Si sente associato a quella corte divina, chiamato a farne parte. La sua missione trinitaria non è altro che la estensione verso le realtà terrestri dell'ispirazione colla quale il Padre e il Figlio «manda­no» eternamente lo Spirito Santo. La missione di Ignazio è inclusa nella missione dello Spirito. Possiamo dire, per chiarifi­care il pensiero d'Ignazio, che come tutti eravamo in Adamo in modo misterioso ma reale, così gli apostoli, e lui con loro, erano nello Spirito Santo. La missione dello Spirito in qualche maniera non era completa se non con la missione degli apostoli, di tutti gli apostoli di tutti i tempi. Come la Chiesa è il corpo mistico di Cristo e in questo senso Cristo non è completo se non nella Chiesa, così anche la missione dello Spirito culmina e si conclu­de nella missione apostolica.

Perché si sentiva inserito nella corrente trinitaria, non soltanto aveva delle pratiche speciali verso questo augusto Mistero, ma si sentiva consacrato alla Trinità con tutta la vita.

Questa consacrazione di tutto l'essere formava l'essenza della sua devozione. L'intero suo Giornale spirituale è la prova di questo atteggiamento interiore, di questa maniera di vivere la devozione trinitaria: come partecipazione nello Spirito Santo, lo spirito di Gesù, alla missione ecclesiale...

Le persone sono «immagini della Trinità», tempio dello Spirito Santo. La santissima Trinità la vede dappertutto, «camminando per la città», e questo «con grande gioia interiore»...

nel momento nel quale vede Cristo «ai piedi della Santissima Trinità» «fa una preghiera a Gesù e alla Trinità». In una delle giornate di «abbondante assistenza della grazia» terminava dan­dosi «all'adorazione della Santissima Trinità... poiché sentivo un certo amore che mi tirava ad essa... durante il ringraziamento, nuove mozioni interiori, singhiozzi e lacrime, tutto in amore per Gesù».ll Un altro giorno «volendo cominciare da Gesù... mi si presentava la Santissima Trinità un poco più chiaramente»... Benché nel Giornale spirituale le parole «tutto converge nella Santissima Trinità» si riferiscano alle sue mozioni della giorna­ta, sono tuttavia un simbolo di questa convergenza totale di Ignazio verso la Trinità in tutte le cose".

«Durante quella messa, io conoscevo, sentivo o vedevo, Dominus scit, che nel parlare al Padre, nel vedere che egli era una Persona della Santissima Trinità, mi infiammavo d'amore per tutta la Trinità, tanto più che le altre Persone erano in lui essenzialmente. La stessa cosa sentivo nell'orazione al Figlio, la medesima nell'orazione allo Spirito Santo, godendo indifferen­temente dell'una o dell'altra Persona nel sentire le consolazioni riferendole a tutte e tre, e trovando la mia gioia nel fatto che provenivano da tutte e tre».

«Al Te igitur, sentendo e vedendo in modo non oscuro, ma luminoso e molto luminoso, l'essere stesso o essenza divina in forma sferica, un po' più grande del sole apparente, e da questa essenza pareva uscire o derivare il Padre, di modo che, al pronunziare Te, cioè Pater, l'essenza divina mi si presentava prima del Padre; e in questo rappresentarmi e vedere l'essere della Santissima Trinità, senza distinzione o senza visione delle altre Persone, tanta intensa devozione alla cosa rappresentata, con molte mozioni ed effusione di lagrime; continuato così durante la messa a considerare, a ricordarmi, e altre volte a vedere la stessa cosa con molta effusione di lagrime, con amore intensissimo verso l'essere della Santissima Trinità, senza vedere né distinguere le Persone, ma vedendo da esso uscire o derivare il Padre, come ho detto».

«Della Trinità - Nell'orazione abituale, dall'inizio alla fine, ma andando aumentando, grande assistenza di grazia, con una devozione molto chiara, luminosa e calorosa, che dà grande soddisfazione all'anima (...) Incominciata la messa, e per tutto il tempo, molta devozione interiore e calore spirituale».

Il luogo privilegiato della comunione con la Trinità è la messa, fonte dell'apostolato vissuto come dilatazione nel mondo del regno della Trinità.

La sua esperienza trinitaria è presente in uno dei suoi discepoli.

Francesco Borgia (1510-1572)

«Anima mia, quando scopri nella tua memoria il passaggio di immaginazioni cattive e tracce del peccato, ricorri al Padre eterno, chiedendo misericordia. E quando nella tua intelligenza sale la nebbia dell'accecamento, vieni alla vera luce, affinché la nebbia si diradi. E quando sei tormentata dal fuoco delle tue passioni, chiedi l'acqua promessa con la venuta dello Spirito Santo per calmare questo fuoco. Anima mia, quando ti vedi dimentica di Dio, va' al Padre eterno che è l'ospite della tua memoria e digli: "Ricordati, Signore, che mi hai modellata come l'argilla e che la mia vita è come il vento che passa in un soffio". E quando sarà la tua intelligenza ad errare, occupata in pensieri disordinati, dirai al Figlio di Dio: "Dammi, Signore, l'intelligen­za perché io viva". E quando ti vedrai fredda, senza cuore, andrai allo Spirito Santo e gli chiederai un cuore nuovo e uno spirito nuovo»is.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Libri e siti di don Sergio Andreoli
1
Angela da Foligno, Il libro, Introduzione, traduzione e note di Sergio Andreoli, III edizione, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2004 (www.edizionisanpaolo.it);

2
Angela da Foligno, Il Libro, (Memoriale e Lettere), Introduzione, traduzione e note di Sergio Andreoli, I edizione, Periodici San Paolo, Balsamo, Milano 2008 (abbonamenti@stpauls.it).

3
Angela da Foligno maestra spirituale, II edizione, Editrice Franciscanum, Roma 1996 (www.franciscanum.it).

4
Angela da Foligno, Lettere e pensieri, Introduzione, traduzione e note di Sergio Andreoli, I edizione, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1998 (www.edizionisanpaolo.it).

5
Angela da Foligno, III edizione, Gruppo Edicom, Rho (Milano) 1998 (www.gruppoedicom.it).

6
Angela da Foligno, III edizione, Edizioni Cantagalli, Siena 1999 (http://www.edizionicantagalli.com ; info@mesdis.it).

7
Angela da Foligno. Invito alla lettura, I edizione, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1999 (www.edizionisanpaolo.it).

8
Angela da Foligno e il suo culto. I. Documenti a stampa e nel web (1497 ca - 2003), a cura di Sergio Andreoli, Emiliano Degl'Innocenti, Paul Lachance e Francesco Santi, I edizione, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, Firenze 2006 (www.sismel.it).

9
Angela da Foligno «alter Franciscus», II edizione, Editrice Franciscanum, Roma 2008 (www.franciscanum.it ; info@mesdis.it).

10
Angela da Foligno Penitente francescana, III edizione, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2008 (www.edizionimessaggero.it/ita/home.asp).

11
Angela da Foligno, Il Libro, Introduzione, traduzione e note si Salvatore Aliquò, Edizione riveduta e corretta da Sergio Andreoli, Città Nuova Editrice, Roma 2009 (comm.editrice@cittanuova.it).

12
Via Crucis in cammino con Angela da Foligno, Città Nuova Editrice, Roma 2009 (comm.editrice@cittanuova.it).



1
Angela da Foligno Terziaria Francescana
http://www.beataangela.altervista.org/
Maurizio Caudana
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2
Angela da Foligno
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