SS TRINITA’. ANTOLOGIA PATRISTICA

http://www.restaurofilippolippi.it/images_archivio/pesellinoTrinita.jpg


Ignazio di Antiochia

Martirio di San Policarpo

Origene

Atanasio Alessandrino

Didimo di Alessandria

Gregorio Nazianzeno

Balai

Gregorio Nisseno

Basilio di Cesarea

Evagrio Pontico

Isacco di Ninive

Giovanni Cassiano

Pseudo-Macario

Ambrogio di Milano

Epifanio di Salamina

Ilario di Poitiers

Giovanni Crisostomo

Agostino di Tagaste

Dionigi Areopagita

Nei Padri è accentuata

1) La mistica dell'immagine e somiglianza della Trinità, impressa nella creatura redenta e incorporata a Gesù Cristo. L'amore di Dio ci trasforma, in una crescita continua, nella Trinità inabitan­te, come in Atanasio, Basilio, Agostino, Gregorio di Nissa.

2) La nascita del Verbo in noi, è un altro tema caro ai Padri, come in Giustino, Origene e in Ambrogio.

3) Il desiderio dell'unione con Cristo sposo è un tema sviluppato specialmente nei commenti alla Cantica dai Padri sia orientali (Gregorio di Nissa) sia occidentali (Ambrogio).

4) La presenza della Trinità nella Chiesa e quindi in ogni singolo membro di essa, poiché la Chiesa è il popolo adunato dall'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, il corpo dei Tre.

5) Forse si può dire che l'età patristica è più tesa a studiare, a seguire e a delineare il mistero della Trinità in sé stessa, contemplandola nella sua trascendenza pur così vicina a noi, più che 1'inabitazione reciproca dei Tre in noi e di noi nei Tre.

Dalla Trinità vissuta nella liturgia e nella fede della Chiesa i Padri salgono alla elaborazione teologica del mistero trinitario definito nei grandi concili dogmatici Niceno, Costantinopolita­no, Calcedonese.

Ai Padri preme, assumendo il valore dell'essere della filosofia greca di Platone, Aristotele e Plotino, convertirlo alla luce della rivelazione cristiana e servirsene per decifrare con precisione l'essere personale, sconosciuto alla filosofia greca, le persone divine dell'unico Dio vivente, la persona umana creata a imma­gine di Dio. Essi elaborano così la teologia e l'antropologia cristiana.

La prima comunione con il Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo, avviene, per la patristica, con la stessa rivelazione della Trinità. L'auto-comunicazione del Dio trinitario è già un atto di amore così grande che abbaglia i Padri e li attira a esprimere con precisione l'ineffabile mistero. Dio ci rivela la sua vita intima perché vuole entrare in comunione con le persone uma­ne. Tale comunione fondamentale con la Trinità

1) è creativa e divinizzante nella creazione "facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza", a immagine della Trinità

2) è redentiva nella redenzione per restaurare in Cristo la vita trinitaria distrutta in noi dal peccato

3) è ecclesiale in quanto ci inserisce in Cristo nella Chiesa col battesimo "battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo", e si sviluppa nella vita liturgica ed eucaristica

4) culmina nella comunione escatologica con la visione e l'amore beatificanti paradisiaci della Trinità

5) è intima per 1'inabitazione trinitaria.

E certo ben presente ai Padri il mistero dell'inabitazione della Trinità in noi, particolarmente dello Spirito Santo divinizzante, ma essi contemplano piuttosto il brano della Genesi (1,26) "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza". Elaborano così una teologia antropologica, cioè una visione dell'uomo a immagine della Trinità creatrice, e conseguente­mente inabitante.

Anche in Agostino l'accento è messo sull'immagine trinitaria nell'uomo-essere, conoscere, volere più che sulla inabitazione. L'inabitazione Trinitaria che divinizza l'essere umano, special­mente la presenza dello Spirito Santo, è contemplato dai Padri piuttosto come prova della divinità delle persone trinitarie. Finita l'epoca delle grandi controversie ed eresie trinitarie e cristologiche, l'epoca successiva vedrà le grandi sintesi, tra le quali emerge la Summa di San Tommaso d'Aquino.

Gli scrittori mistici medievali e quelli dell'epoca moderna e contemporanea, una volta assicurata la verità dogmatica della Trinità, ritornano dal dogma alla descrizione esperienziale della comunione di vita coi Tre.

Possiamo delineare, in uno schema non esauriente, le varie accentuazioni, spesso compresenti, della ricerca sulla Trinità, nei vari autori.

1) Trinità economica o salvifica o missionaria (da oikonomia = legge della casa, la provvidenza trinitaria che guida l'umanità e la Chiesa, casa della Trinità) = la sua azione salvifica e le missioni delle divine persone a partire dal mandato missionario "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole

nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19) (prima epoca patristica I-11 sec.) e risalendo al testo della Genesi sulla Trinità creatrice "Facciamo l'uomo a nostra imma­gine, a nostra somiglianza (Gen 1,26) = Trinità battesimale e creatrice.

2) Trinità immanente, la Trinità in se stessa nella sua vita intima, le persone divine, le relazioni trinitarie, nei testi del prologo di Giovanni e della promessa dello Spirito Santo (Gv 14-16) (secon­da epoca patristica IV-V secolo e dei grandi concili) = Trinità fontale e sviluppo della teologia dell'immagine trinitaria nell'es­sere umano.

3) Trinità inabitante in noi e nella Chiesa, nella vita intima personale ed ecclesiale, seguendo il testo di Giovanni 14,21-23 "verremo a lui e prenderemo dimora presso di Lui" (mistici medievali e contemporanei, specialmente Elisabetta della Trini­tà) = Trinità interiore.

4) Trinità dimora dell'umanità salvata, unificata e coinvolta nella vita dei Tre, -noi nella Trinità - seguendo la preghiera sacerdo­tale di Gesù Gv 17,21 "siano anch'essi in noi una cosa sola" e l'Apocalisse, già dalla vita presente, ma piena nella vita parusia­ca e paradisiaca (Elisabetta nella fase finale ed altri mistici soprattutto contemporanei) = Trinità escatologica.

L'immersione nella Trinità paradisiaca è il compimento dell'im­mersione nella Trinità battesimale.

Così la riflessione patristica e la storia della spiritualità segue le fasi di sviluppo della stessa rivelazione trinitaria.

Scrive Clément (o.c. 66.67):

"Nell'enunciazione della Trinità, san Basilio e san Massimo il Confessore sottolineano che il tre non è un numero (san Basilio ha parlato a questo proposito di «meta-matematica»...). Le Persone divine non si sommano, esistono l'una nell'altra: il Padre è nel Figlio e il Figlio nel Padre, lo Spirito si unisce al Padre insieme con il Figlio e «compie la beata Trinità» come se essa assicurasse la circolazione dell'amore. Codesta circolazione dell'unità i Padri l'hanno denominata «pericoresi» .

Due passi sulla Trinità nel martirio aprono le testimonianze patristiche.

Permettetemi di riprodurre la passione del mio Dio. Se qualcu­no ha in sé Dio, comprenda ciò che io voglio, e abbia compas­sione di me, conoscendo ciò che mi angustia (...). Il mio desiderio terreno è stato crocifisso, in me non c'è più fuoco per amare la materia, ma un'acqua viva che mormora dentro di me: «Vieni al Padre» (...). Ciò che voglio è il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo (...) e per bevanda voglio il suo sangue, che è l'amore incorruttibile.

Ignazio di Antiochia, Ai Romani, 4-7 (SCh 10, pp. 130-137). Alzando gli occhi al cielo, disse:

«Signore, Dio onnipotente, Padre del tuo diletto e benedetto Figlio Gesù Cristo, dal quale abbiamo ricevuto la conoscenza del tuo nome, Dio (...) di tutto il creato (...), io ti benedico per avermi giudicato degno di questo giorno e di quest'ora, per partecipare, nel numero dei tuo martiri, al calice del tuo Cristo, in vista della risurrezione dell'anima e del corpo, nella pienezza dello Spirito Santo (...). Perciò in tutte le cose ti lodo, ti benedico, ti glorifico, per mezzo del gran sacerdote eterno e celeste, Gesù Cristo, tuo Figlio diletto, mediante il quale sia gloria a te, con lui e con lo Spirito Santo, ora e nei secoli, Amen».

(...). In mezzo al fuoco stava non come una carne che brucia, ma come un pane che cuoce.

Martirio di san Policarpo, vescovo di Smirne, 7, 2-8,1;14,1-3; 15, 2 (SCh 10, pp. 250, 252, 260, 262, 264).

«Fatemi entrare nella stanza del vino» (Ct 2, 4). Perché ne resto fuori per tanto tempo? «Ecco, io sono alla porta e busso: se uno mi apre, entrerò da lui e cenerò con lui, e lui con me» (Ap 3, 20). «Fatemi entrare». Ancora adesso il Verbo divino dice la mede­sima cosa (...). A voi egli dice: «Fatemi entrare»: non soltanto nella stanza, ma nella «stanza del vino»: che la vostra anima sia piena del vino della gioia, del vino dello Spirito Santo, e così fate entrare lo Sposo, il Verbo, la Sapienza, la Verità, nella vostra casa. Si può dunque dire, anche a coloro che non sono ancora perfetti: «Fatemi entrare nella stanza del vino».

Origene, Omelie sul Cantico dei Cantici, 2, 7 (SCh 37, p. 92). Poiché il Padre è la fonte, e il Figlio è chiamato fiume, si dice che noi beviamo lo Spirito. Perché è scritto: «Tutti noi siamo stati abbeverati con un solo Spirito» (1 Cor 12, 13). Ma, abbeve­rati dallo Spirito, noi beviamo Cristo (...).

E ancora: mentre Cristo è il vero Figlio, noi, ricevendo lo Spirito, siamo trasformati in figli: «Perché voi non avete ricevuto uno spirito di schiavitù, ma lo Spirito di adozione» (Rm 8, 15). Ma trasformati in figli dallo Spirito, è chiaro che ciò avviene in Cristo (...). Poiché ci è stato dato lo Spirito - in quanto il Signore diceva: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20, 22), Dio è in noi. Ecco infatti ciò che scrive Giovanni: «Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi.

Noi conosciamo che noi restiamo in lui e che egli resta in noi perché ci ha donato il suo Spirito» (1 Gv 4, 12-13). E, Dio essendo in noi, è in noi anche il Figlio, poiché il Figlio stesso dice: «Verremo, io e il Padre, e dimoreremo presso di lui» (Gv 14,23).

E ancora: il Figlio è la vita - poiché dice: «Io sono la vita» (Gv 14, 6) - e noi siamo vivificati nello Spirito, secondo la parola: «Colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche il nostro corpo mortale mediante il suo Spirito che abita in noi» (Rm 8, 11). E quando noi siamo vivificati nello Spirito, Cristo stesso abita in noi: «( ...) Non sono più io che vivo, è Cristo a vivere in me» (Gal 2, 20).

Atanasio Alessandrino, Lettera a Serapione, I, 19 (PG 26, 573­576).

Con un certo lirismo, Didimo, cieco sin dall'eta di quattro anni, parla della luce interiore di cui la Trinità inonda le vergini prudenti nel loro cammino incontro allo Sposo: alla «dottrina luminosa della Trinità... le vergini prudenti, che si son decise di andare incontro allo Sposo, hanno acceso la loro lampada; illuminate dalla luce della scienza, partecipi di Dio [Padre] che è luce senza ombra di male e di ignoranza, della vera luce [che è il Verbo] e dello Spirito Santo, esse danzano in coro portando la loro fiaccola».

Didimo di Alessandria, Zach. 1,279.

Cfr. P. Melchiorre di S. Maria, Mistero trinitario e vita spirituale nel pensiero di Didimo di Alessandria, in Il mistero del Dio vivente, o. c. 165, cfr. 144-245.

Non ho ancora cominciato a pensare all'Unità, che la Trinità mi immerge nel suo splendore.

Non ho ancora cominciato a pensare alla Trinità, che già l'Unità mi riafferra.

Quando a me si presenta uno dei Tre, penso che questo sia il tutto, tanto la mia vista è colmata, tanto il di più mi sfugge. Perché nella mia mente, troppo limitata per comprendere uno solo, non resta più posto. Quando unisco i Tre in uno stesso pensiero, vedo una sola grande fiamma, senza poter dividere o analizzare l'unica luce.

Gregorio Nazianzeno, Discorso 40, sul battesimo, 41 (PG 36, 417). Quando io parlo di Dio, voi vi dovete sentire immersi in un'unica luce e in tre luci (...). Lì c'è divisione indivisa, unità con differenza.

Uno solo nei Tre: è la divinità. I Tre come Uno solo: sono i Tre in cui è la divinità, o, per parlare più esattamente, che sono la divinità.

Discorso 39, 1 (PG 36, 345).

Io sono preso dallo spavento quando penso alla profusione delle denominazioni dello Spirito: Spirito di Dio, Spirito di Cristo, Spirito di adozione. Egli ci rinnova nel battesimo e nella risurre­zione. Soffia dove vuole. Sorgente di luce e di vita, fa di me un tempio, mi deifica (...). Tutto ciò che Dio fa, è lui a farlo. Egli si moltiplica nelle lingue di fuoco e moltiplica i doni, suscita predicatori, apostoli, profeti, pastori, dottori (...). È un altro Consolatore (...) come se fosse un altro Dio.

Quinto discorso teologico, 29 (PG 36, 165).

Quando tre sono adunati nel tuo nome, essi formano già una chiesa. Guarda alle migliaia qui riunite: i loro cuori avevano preparato un santuario, prima che le nostre mani lo costruissero a gloria del tuo nome. Che il tempio di pietra sia altrettanto bello quanto il tempio interiore. Degnati di abitare nell'uno come nell'altro. I nostri cuori, come quelle pietre, sono segnati col tuo nome.

(...) Dio ha costruito l'uomo affinché l'uomo costruisca per lui. Benedetta sia la sua clemenza che tanto ci ha amati!

Egli è infinito, noi siamo limitati. Egli costruisce il mondo per noi. Noi costruiamo a lui una casa. E bello che l'uomo possa costruire una dimora a colui che ovunque è presente (...).

Egli abita in mezzo a noi con tenerezza. Egli ci attira nei vincoli dell'amore. Resta tra noi e ci chiama, perché prendiamo la via del cielo per abitare con lui.

(...) Dio è venuto in mezzo agli uomini affinché gli uomini lo incontrino.

A te il regno dei cieli, a noi la tua casa! (...) Il sacerdote vi offre il pane in tuo nome e tu dai a tutti in cibo il tuo corpo.

(...) Il tuo cielo è troppo alto perché possiamo raggiungerlo. Ma ecco, tu vieni a noi nella chiesa, tanto vicina.

Il tuo trono poggia sulle fiamme, chi oserebbe accostarvisi?

Ma l'Onnipotenza vive e abita nel pane. Chi vuole può avvici­narsi e mangiare.

Balai, Per la consacrazione di una nuova chiesa (Bickell, I, pp. 77-82).

La Sposa dice: «Sono trafitta dall'amore» (Ct 2, 5). Ella designa con questa parola la freccia che si affonda profondamente nel cuore.

L'arciere è l'amore. Ora, l'amore è Dio (...), Dio che lancia la sua freccia eletta, il suo Figlio unigenito, dopo aver umettato con lo Spirito vivificante le tre cuspidi della punta. Ora, la punta è la fede, che fa entrare in quello in cui penetra non soltanto la freccia, ma l'arciere con essa, secondo la parola del Signore: «Il Padre e io siamo uno e verremo a lui, e abiteremo presso di lui» (Gv 14, 23).

Così l'anima innalzata dalle ascensioni divine vede in se stessa la dolce freccia dell'amore dalla quale è ferita, e si gloria della sua trafittura dicendo: «Sono trafitta dall'amore».

Gregorio Nisseno, Omelie sul Cantico dei Cantici, 4 (PG 44, 852). Quando l'amore perfetto avrà escluso il timore, o quando il timore si sarà trasformato in amore, allora tutto ciò che è salvato sarà un'unità, crescendo insieme con l'unica Pienezza, e tutti, l'uno nell'altro, saranno uno, nella Colomba perfetta (...). In tal modo, avvinti dall'unità dello Spirito Santo come dal vincolo della pace, tutti saranno un solo corpo e un solo spirito (...). Ma sarà meglio citare alla lettera le stesse parole del Vangelo: «Che tutti siano uno, come tu, Padre, sei in me, e io in te, che anch'essi siano uno in noi» (Gv 17, 21). Ora, il vincolo di codesta unità è la gloria. Che tale gloria sia lo Spirito Santo, ne converrà chiunque abbia familiarità con la Scrittura, se è attento alla parola del Signore: «La gloria che tu mi hai data, io l'ho trasmessa a loro» (Gv 17, 22). Egli infatti ha realmente dato loro tale gloria, quando ha detto: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20, 22).

Omelie sul Cantico dei Cantici, 15 (PG 44, 116). Ciò che si è attuato fisicamente in Maria, la pienezza della divinità che mediante Cristo risplende nella Vergine, ha luogo in

modo analogo nella tua anima purificata. Il Signore non viene fisicamente, giacché «noi non conosciamo più Cristo secondo la carne», ma abita spiritualmente, e il Padre prende dimora con lui, secondo il Vangelo.

Così Gesù Bambino nasce in ciascuno di noi.

La verginità (PG 46, 324 e 838).

Affinché si sviluppino in noi le disposizioni evangeliche e le cose dello Spirito Santo, è necessario che il loro autore nasca dentro di noi.

Contro Eunomio (PG 45, 585).

Lo Spirito è il luogo dei santi e il santo è il luogo dello Spirito.

Basilio di Cesarea, Trattato sullo Spirito Santo, 26 (PG 32, 184). Il Padre di tutte le cose è un Regno diletto.

Chi è in esso chi in esso pone la sua dimora, questi trova la sua gioia nel vivere come straniero perché ha come cibo delizioso la bellezza del suo volto.

Evagrio Pontico, Centurie, Suppl. 57 (in Hausherr, p. 186) Avere la conoscenza spirituale delle cose è in potere della mente, ma conoscere la Santa Trinità, non solo non è in potere della mente, ma richiede una sovrabbondante grazia di Dio. Centurie, I, 79 (ed. Frankenberg, p. 355).

Il progresso dei pensieri sulle creature è travagliato e faticoso. La contemplazione della Santa Trinità è pace e silenzio indicibi­li. Centurie, I, 65 (ed. Frankenberg, p. 105).

Nel momento in cui l'uomo prega, e supplica Dio e gli parla, facendosi violenza per raccogliere da ogni parte (...) i suoi pensieri, egli si apre a Dio solo e Dio riempie il suo cuore. Egli comprende allora l'incomprensibile. Infatti lo Spirito Santo (...) soffia in lui finché, nella più alta attenzione, si arresti il movi­mento medesimo della preghiera e la mente sia, nel suo stupore, colpita da ammirazione e riempita di amore, e dimentichi il proprio desiderio e la propria domanda. I suoi moti sono immersi in una profonda ebbrezza. Essa non è più nel mondo. Non distingue più tra l'anima e il corpo e la memoria delle cose. Il grande e divino Gregorio l'ha detto: «La preghiera è la purezza dello spirito. Essa cessa da sé quando la luce della Santa Trinità la rapisce nella meraviglia».

Isacco di Ninive, Discorsi ascetici, 32 (ed. Spanos, pp. 139-140). Purìficati, e vedrai il cielo in te. In te vedrai gli angeli e la loro luce, e il loro Signore con loro e in loro (...).

La patria spirituale dell'uomo dall'anima purificata è dentro di lui.

Il sole che in lui brilla è la luce della Trinità. L'aria che respirano i pensieri che vengono a lui è lo Spirito Santo Consolatore. Con lui abitano gli angeli. La loro vita, la loro gioia, la loro festa sono Cristo, luce della luce del Padre. Un tale uomo si rallegra ognora della contemplazione della sua anima, si meraviglia della bellezza che vede, cento volte più splendida del fulgore del sole (...). È il Regno di Dio nascosto dentro di noi, secondo la parola del Signore. Discorsi ascetici, 43 (pp. 176-177).

È questo il momento in cui si realizzerà in noi la preghiera che il nostro Salvatore ha rivolto al Padre per i suoi discepoli: «Affinché l'amore con cui tu mi hai amato sia in loro, e loro in noi» (Gv 17, 20) (...). L'amore assoluto con cui «Dio ci ha amato per primo» (1 Gv 4, 10) entra nel nostro cuore mediante l'adempimento di codesta preghiera del Signore (...). Ed ecco quali ne saranno i segni: Dio sarà il nostro amore e il nostro desiderio, il nostro studio e il nostro pensiero. Egli sarà la nostra vita. L'unità del Padre col Figlio e del Figlio col Padre si impadronisce della nostra sensibilità e della nostra intelligenza. E nello stesso modo in cui Dio ci ama pienamente, così noi gli saremo uniti con un affetto che non verrà mai meno: tanto che respireremo, penseremo e parleremo in lui.

Arriveremo così alla meta che abbiamo detta, e che il Signore desidera per noi nella sua preghiera: «Che tutti siano uno, come noi siamo uno, io in te e tu in me, affinché siano perfetti nell'unità» (Gv 17, 22-23). «Padre, quelli che tu mi hai dati, voglio che dove sono io essi siano con me» (Gv 17,14).

Tale deve essere il nostro scopo: ottenere, fin da questa vita, codesto respirare nell'unità, come una pregustazione della vita e della gloria del cielo. Tale è il fine delle perfezione: (...) che tutta la nostra vita, tutti i moti del nostro cuore, divengano un'unica, ininterrotta preghiera. Giovanni Cassiano, Conferenze, X, 7 (SCh 54, p. 81).

L'anima che è stata giudicata degna di partecipare dello Spirito nella sua luce, e che è stata illuminata dallo splendore della sua gloria ineffabile, quando lo Spirito ha fatto di essa la propria dimora, diventa tutta luce, tutta volto, tutta occhio, e non rimane più di lei parte alcuna che non sia piena di occhi spirituali e di luce. Vale a dire che essa non ha più niente di tenebroso, ma è tutta luce e Spirito, tutta piena d'occhi non avendo più un rovescio, ma essendo viso da tutti i lati, essendo venuta in lei e risiedendo in lei la bellezza indescrivibile della gloria e della luce di Cristo. Come il sole è tutto quanto simile a se stesso, non avendo alcun rovescio, alcun luogo inferiore, ma risplende interamente della sua luce (...) così l'anima che è stata illuminata dall'ineffabile bellezza, gloria e luce del volto di Cristo, e colmata di Spirito Santo, che è stata degna di divenire dimora e tempio di Dio, è tutta occhi, tutta luce, tutta viso, tutta gloria e tutta Spirito, poiché in questo modo Cristo la adorna, la trasporta, la dirige, la sostiene e la conduce, e in tal maniera la illumina e la decora di spirituale bellezza. Pseudo-Macario, Prima Omelia, 2 (PG 34, 451).

Ti è stato chiesto: «Credi tu in Dio, Padre onnipotente?». Hai risposto: «Credo», e sei stato immerso nell'acqua, cioè sepolto. Ti è stato chiesto, una seconda volta: «Credi in Nostro Signore Gesù Cristo e nella sua croce?». Hai risposto: «Credo», e sei stato immerso nell'acqua, e così sepolto con Cristo. Ti è stato chiesto, una terza volta: «Credi anche nello Spirito Santo?». Hai risposto: «Credo», e sei stato immerso una terza volta, affinché la triplice confessione distruggesse le ripetute cadute nel pecca­to. Ambrogio di Milano, I sacramenti, 111, 7, 20 (SCh 25, p. 68).

Epifanio di Salamina (315-403)

"Oh Trinità santa, Trinità nell'unità del nome divino; unità non dualità né unità di singoli separati; unità nella trinità e trinità nell'unità, un solo Dio di un solo ordine e nome, Padre nel Figlio, Figlio nel Padre con lo Spirito Santo!...

Dio ama noi nel Cristo (cioè nel suo diletto vero Figlio unigeni­to), poiché il Padre è Amore come il Figlio è Amore: Amore da Amore...

Questa che chiamiamo Trinità Santa è unica armonia di tre nell'unica divinità di una sola usia, di una medesima divinità, di una stessa sostanza... sono dunque tre in tensione da, per e verso; tensione da pensare in ciascuno dei tre in maniera ad essi degna e secondo il modo in cui si rivelarono, come luce, come fuoco, come vento e - penso - in altre simili apparizioni di cui l'uomo servo di Dio fu trovato degno... Ecco la liturgia delle Tre Persone di una sola usia...

Tutti e tre agiscono insieme, ma non operano ovviamente come creature, perché la divinità non è come le cose create circoscrit­te e commisurate, essendo Dio illimitato, non contenuto né dallo spazio né dalla mente... Tutti e tre sono percepiti dai santi per via di fede...

Conoscere invero la Trinità è di chi gode l'immortalità; credere in essa è di chi ha ottenuto la figliolanza di Dio...

La Trinità prende possesso come in santo abitacolo e in santo tempio solo del giusto in cui siano vive le opere di giustificazio­ne. Viene ad abitare in lui un solo Dio, infinito e incorruttibile, quel solo Dio che la nostra mente non può pensare e compren­dere, ineffabile e invisibile; che solo conosce se stesso e si rivela a chi vuole; che suscita i suoi testimoni, chiamandoli e predeter­minandoli, glorificandoli e a sé innalzandoli dagli inferi".

Ilario di Poitiers (315c.-367)

"il passo contiene le parole nel loro preciso significato, le cose nella loro realtà, i fatti nel loro ordine e la rivelazione della natura. Egli ha comandato di battezzare «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo», cioè con la confessione dell'Au­tore, dell'Unigenito e del Dono. Uno solo è l'Autore di tutte le cose. Uno solo è infatti Dio padre, dal quale sono tutte le cose; uno solo è l'Unigenito Signore nostro, Gesù Cristo, per opera del quale tutte le cose sono state fatte; ed uno è lo Spirito, il Dono che pervade tutte le cose. Tutto è ordinato in relazione agli attributi posseduti ed ai benefici recati: una è la potenza da cui tutte le cose procedono, una è la progenie per opera della quale tutte le cose sono state fatte, uno è il dono che ci elargisce la perfetta speranza. Nè si troverà che manchi cosa alcuna a una tal pienezza che mostra, nei nomi del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, l'immensità nell'Eterno, la manifestazione nell'Im­magine, il godimento nel Dono...

Ascolta il Figlio, che è l'immagine, la sapienza, la virtù, la gloria di Dio ed intendi lo Spirito santo quando proclama: «Chi potrà raccontare la sua generazione?». Poni mente al Signore quando attesta: «Nessuno conosce il Figlio, se non il Padre, e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio abbia voluto rivelarlo». Addéntrati in questo segreto e tùffati nel mistero di questa nascita inspiegabile, fra il solo Dio ingenerato ed il Dio unigenito... tu mi hai istruito alla conoscenza di te, come io penso, a mezzo dei testi sacri scritti dai tuoi servi, cioè da Mosè e dai profeti. Per virtù loro hai rivelato che noi dobbiamo venerarti, ma non come un Dio solitario. Là io ho conosciuto che era con te non un Dio diverso nella natura, ma unico nel mistero della tua sostanza. Ho conosciuto che tu sei Dio in Dio, non per confusio­ne o mescolanza, ma per l'onnipotenza della tua natura, poiché la tua divinità è presente in colui che procede da te: tu sei presente in lui, ma non sei la stessa persona; al contrario, la verità di una nascita perfetta mi insegnava che tu eri in colui che procedeva da te. Tutto questo mi ripetono ancora le voci degli evangelisti e degli apostoli; e le parole, uscite dalla santa bocca del tuo stesso unigenito e conservate nei libri sacri, testimoniano che il Figlio tuo, Dio unigenito, disceso da te, Dio ingenerato, è nato uomo dalla Vergine per il mistero della mia salvezza. Egli contiene te perché tu l'hai realmente generato da te, e tu ritieni lui che abita in te, perché è nato da te nella tua natura".

Giovanni Crisostomo (354-407)

"Effettivamente, di queste due immagini: quella che ci mostra il Figlio seduto alla destra del Padre e quella che ce lo mostra dimorante nel suo seno, è la seconda che ci fa vedere... con la più grande chiarezza la sua prossimità riguardo a Colui che l'ha generato... Dunque, come Figlio, come Unigenito e come abi­tante nel seno del Padre, conosce perfettamente tutti i segreti di suo Padre".

"Tu hai visto l'uguaglianza nell'onore, la concordia più perfetta (la sinfonia), il carattere indivisibile della Trinità".

Agostino di Tagaste (354-430)

Parla incisivamente della nostra comunione con la Trinità nei passi seguenti del Tractatus o Commento al vangelo di Giovanni e nel libro De Trinitate = Sulla Trinità dove ci dona in una riga l'espressione più completa sull'inabitazione "nos tota inhabitet Trinitas".

"Cristo mostrò loro dove abitava; quelli andarono e rimasero con lui. Che giornata felice dovettero trascorrere, che notte beata! Chi ci può dire che cosa ascoltarono dal Signore? Mettia­moci anche noi a costruire nel nostro cuore una casa dove il Signore possa venire, e ci ammaestri, e si trattenga a parlare con noi...

Egli stesso apertamente afferma che fin d'ora noi siamo in lui, quando dice: Io sono la vite, voi i tralci. In quel giorno, dunque, quando vivremo quella vita in cui la morte sarà stata assorbita, conosceremo che egli è nel Padre, e noi in lui e lui in noi; perché allora giungerà a perfezione quanto per opera sua è già comin­ciato: la sua dimora in noi e la nostra in lui...

Gesù gli risponde: Se uno mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole. Ecco spiegato il motivo per cui egli si manifesterà ai suoi e non agli altri, che egli chiama con il nome di mondo; e il motivo è che gli uni lo amano e gli altri no... E’ l'amore che distingue i santi dal mondo, e unanimi li fa abitare in quella casa dove fissano la loro dimora il Padre e il Figlio, che effondono il loro amore su coloro ai quali alla fine si manifeste­ranno.

È su questa manifestazione che il discepolo interrogò il Maestro, in modo che, non solo quanti allora ascoltavano le parole del Signore dalla sua viva voce, ma anche noi, per mezzo del suo Vangelo, potessimo avere la risposta. La domanda verteva sulla manifestazione, e la risposta è sull'amore e sulla dimora che il Signore intende stabilire in noi. Esiste dunque una manifestazio­ne interiore di Dio, assolutamente sconosciuta agli empi, ai quali né il Padre né lo Spirito Santo si manifesteranno mai. Quanto al Figlio, è vero che c'è stata una sua manifestazione, ma solo nella carne; manifestazione diversa da quella interiore, e comunque non duratura ma limitata nel tempo, piuttosto apportatrice di giudizio che di gaudio, piuttosto di tormento che di premio... Anche prima aveva detto riguardo ai discepoli che erano con lui: affinché siano uno come noi. Il Padre è nel Figlio e il Figlio nel Padre, così da essere una cosa sola, perché sono della medesima sostanza divina... Perciò, anche se il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono in noi, non dobbiamo credere che essi appartengono alla nostra stessa natura. Sì, essi sono in noi e noi in loro, ma in modo che essi sono una cosa sola nella loro natura, e noi una cosa sola nella nostra. E precisamente essi sono in noi, come Dio nel suo tempio; noi invece siamo in loro come la creatura nel suo Creatore".

Notevoli i seguenti passi trinitari del De Trinitate, vertice della sua riflessione contemplativa sulla Trinità.

"Ecco che non mostra solo se stesso a chi lo ama, perché viene a lui e vi prende dimora con il Padre" (De Trin. 1, 9, 18, o.c. 38.39).

Il Dio che Agostino cerca e adora è la Trinità (De Trin. 15, 3, 3, o.c. 618, 619; 15, 6, 10, o.c. 632.633).

"Ma in che modo la fede può permetterci di amare questa Trinità che non conosciamo?... O forse possiamo amare, per mezzo della fede, la Trinità che non vediamo e simile alla quale non ne abbiamo mai vista alcuna...

Quando dunque diciamo e crediamo che esiste la Trinità, sap­piamo che cosa sia una trinità, perché sappiamo che cosa è essere tre, ma non è questo che amiamo. Infatti una trinità la possiamo trovare facilmente, quando lo vogliamo, non foss'altro, per non parlare del resto, giocando alla morra con tre dita. Ma cià che amiamo non è ciò che è qualsiasi trinità, ma ciò che è questa Trinità: Dio. Questo dunque amiamo nella Trinità, che essa è Dio" (De Trin. 8, 5, 8, o.c. 340-343).

"la nostra gioia perfetta... è godere di Dio Trinità (=fruì Trinitate Deo) che ci ha fatti a sua immagine" (De Trin. 1, 8, 18, o. c. 36.37).

"E contempleremo Dio Padre, Figlio e Spirito Santo" (De Trin. 1, 10, 20, o.c. 42.43).

"È della Trinità che dobbiamo godere per vivere nella beatitudi­ne" (De Trin. 8, 5, 8, o.c. 340.341).

"Ma questa Trinità, che non è soltanto immateriale, ma anche supremamente inseparabile e veramente immutabile, quando verrà la visione faccia a faccia che ci è promessa, la vedremo con molta maggiore chiarezza e certezza di quanto ora vediamo la sua immagine che noi siamo" (De Trin. 15, 23, 44, o.c. 700.701). Le reciproche relazioni nella Trinità

"il Figlio vede il Padre in modo che il vederlo sia per lui la stessa cosa che essere Figlio" (De Trin. 2, 2, 3, o.c. 72.73).

"quando diciamo: «dono del donatore», e : «donatore del dono», usiamo l'una e l'altra espressione in senso reciprocamen­te negativo. Lo Spirito Santo è dunque una specie di ineffabile comunione tra il Padre ed il Figlio, e forse è chiamato così proprio perché questa stessa denominazione può convenire al Padre e al Figlio. Infatti per lui è nome proprio quello che per gli altri è nome comune, perché anche il Padre è spirito, e spirito è anche il Figlio, anche il Padre è santo e santo anche il Figlio. Affinché dunque una denominazione, che conviene ad ambedue, indichi la loro reciproca comunione, si chiama Spirito Santo il dono di entrambi. Ecco la Trinità, Dio unico e solo, buono, grande, eterno onnipotente: Lui stesso la sua unità, la sua divinità, la sua grandezza, la sua bontà, la sua eternità, la sua onnipotenza...

e così questi Tre (= illa Tria) sono un solo Dio unico, grande, sapiente, santo, beato...

Lo Spirito Santo è dunque qualcosa di comune al Padre e al Figlio, qualsiasi cosa sia, o più precisamente la stessa comunione consustanziale ed eterna; se il nome di amicizia le si addice, la si chiami così, ma è più esatto chiamarla carità. Ed anche questa carità è sostanza, perché Dio è sostanza e Dio è carità, secondo la Scrittura... Di conseguenza non sono più di tre: uno che ama colui che ha origine da lui, uno che ama colui dal quale ha origine, e l'amore stesso...

Sebbene d'altra parte non si veda come si possa parlare di Padre solo e di Figlio solo, perché l'uno è sempre inseparabilmente con il Figlio, l'altro con il Padre; non che siano tutti e due Padre o tutti e due Figlio, ma perché sono sempre l'uno con l'altro, mai solo l'uno né l'altro...

Così quell'ineffabile amplesso del Padre e dell'Immagine non è senza fruizione, senza carità, senza gioia. Questa dilezione, questo diletto, questa felicità o, diciamo, beatitudine, se tuttavia una parola umana può esprimerla adeguatamente, Ilario chiama in maniera concisa «fruizione» ed è nella Trinità lo Spirito Santo che non è generato, ma è la soavità del genitore e del generato e inonda con la sua liberalità, con la sua abbondanza immensa tutte le creature secondo la loro capacità, affinché conservino il loro ordine e riposino nei loro luoghi...

È dunque necessario che, conoscendo il Creatore per mezzo delle sue opere, ci eleviamo alla Trinità, di cui la creazione, in una certa e giusta proporzione, porta la traccia. È nella Trinità infatti che si trova la fonte suprema di tutte le cose, la bellezza perfetta, il gaudio completo. Così, queste tre sembrano determi­narsi da sé vicendevolmente e sono in se stesse infinite. Però quaggiù nelle cose corporee una cosa sola non è uguale a tre cose insieme e due cose sono più di una sola, mentre nella suprema Trinità una cosa sola è tanto grande quanto tre cose insieme, e due non sono maggiori di una. Inoltre sono in se stesse infinite. Così ciascuna di esse è in ciascuna delle altre, tutte sono in ciascuna, ciascuna in tutte, tutte in tutte e tutte sono una sola cosa. Colui che vede ciò anche parzialmente, anche per specchio, in enigma, goda di conoscere Dio, l'onori come Dio e gli renda grazie. Colui che non lo vede, si sforzi di vederlo per mezzo della pietà non di calunniare per la sua cecità. Perché c'è un solo Dio, ma è Trinità. Dunque non bisogna intendere come dette alla rinfusa queste parole: Dal quale, per mezzo del quale, nel quale sono tutte le cose, e non a molti dèi ma: a lui è la gloria nei secoli dei secoli. Amen...

tu vedi la Trinità, se vedi la carità...

Il Padre e il Figlio hanno dunque una conoscenza reciproca, ma il primo generando, il secondo nascendo.

E tutto ciò che è nella loro scienza, sapienza ed essenza, ciascuno di loro lo vede simultaneamente, non separatamente, o isolatamente, come se con il suo sguardo passasse alternativa­mente da un oggetto all'altro, ritornando dal secondo al primo, e poi di nuovo lasciasse questo o quell'altro per fissarsi su questo o su quello, come se non potesse vedere una cosa che cessando di vederne un'altra; ma, come ho detto, vede insieme tutte le cose e non ce n'è alcuna che non sia sempre vista da ciascuno di essi... il Verbo che è Dio.. non parla da se stesso, ma tutto ciò che dice gli viene dal Padre, perché il Padre dice unicamente il suo Verbo...

Questo Spirito Santo, secondo la Sacra Scrittura, non è lo Spirito soltanto del Padre, né soltanto del Figlio, ma di ambe­due, e perciò fa pensare alla carità comune con la quale si amano vicendevolmente il Padre e il Figlio...

Dio è dunque carità. Ma se sia il Padre ad essere carità, se sia il Figlio, se sia lo Spirito Santo, se sia la Trinità stessa - perché la Trinità, anch'essa, non è tre dèi, ma un Dio solo - ecco ciò che costituisce il problema...

non so perché non si possa chiamare carità sia il Padre, sia il Figlio, sia lo Spirito Santo e tutti e tre insieme un'unica carità... E tuttavia non è senza motivo che in questa Trinità si chiama Verbo di Dio solo il Figlio, Dono di Dio lo Spirito Santo solo e Dio Padre quello solo da cui è generato il Verbo e da cui procede primariamente lo Spirito Santo. Ho aggiunto «pimaria­mente» perché si legge che lo Spirito Santo procede anche dal Figlio. Ma anche questo glielo ha dato il Padre, non dopo che già esisteva senza esserne in possesso perché quanto ha dato al Verbo unigenito glielo ha dato generandolo. Egli lo ha dunque generato in modo che il loro dono comune procedesse anche dal Figlio e che lo Spirito Santo fosse lo Spirito di ambedue. Non basta dunque rilevare di passaggio, ma occorre considerare con attenzione questa distinzione nella inseparabile Trinità. È in virtù di essa infatti che il Verbo di Dio è chiamato anche propriamente sapienza di Dio, sebbene siano sapienza anche il Padre e lo Spirito Santo. Se dunque si deve chiamare propria­mente carità una delle tre Persone, a quale questo nome si adatterà meglio che allo Spirito Santo? Però sempre a condizio­ne che in quella semplice e suprema natura non siano due cose distinte la sostanza e la carità, ma la sostanza stessa si identifichi con la carità e la carità stessa con la sostanza sia del Padre, sia del Figlio, sia dello Spirito Santo e tuttavia sia lo Spirito ad essere chiamato propriamente carità" (De Trin. 5, 11, 12; o.c. 252.253; 6, 5, 7, o. c. 276.277; 6, 7, 9, o. c. 280.281; 6, 10, 11.12, o. c. 284-287; 8, 8, 12, o. c. 353.354; 15, 14, 23; 15, 15, 24, o. c. 665-667; 15, 17, 27-29, o.c. 673-677).

"L'amore che è da Dio e che è Dio è dunque propriamente lo Spirito Santo, mediante il quale viene diffusa nei nostri cuori la carità di Dio, facendo sì che la Trinità intera abiti in noi. Per questo motivo lo Spirito Santo, essendo Dio, è chiamato nello stesso tempo molto giustamente anche Dono di Dio. Tale dono che cosa deve designare propriamente se non la carità, che conduce a Dio e senza la quale qualsiasi altro dono di Dio non conduce a Dio?".

Nel testo latino: "Dilectio igitur quae ex Deo est et Deus est, proprie Spiritus Sanctus est, per quem diffunditur in cordibus nostris Dei caritas, per quam nos tota inhabitet Trinitas. Quocir­ca rectissime Spiritus Sanctus, cum sit Deus, vocatur etiam Donum Dei. Quod Donum proprie quid nisi caritas intellegenda est, quae perducit ad Deum, et sine qua quodlibet aliud Dei donum non perducit ad Deum?"

Dionigi Areopagita (V-VI sec.)

" II divino vescovo iniziato avrà la partecipazione di tutte le cose molto sacre che lo riguardano in quanto appunto prende il nome dalla gerarchia. Infatti, come colui che ha parlato della gerarchia ha detto che è in sintesi un ordine contemporaneo di tutte le cose sacre, così colui che parla del vescovo lo definisce un uomo ispirato e divino, esperto di ogni santa conoscenza, nel quale tutta la sua propria gerarchia in maniera pura raggiunge la perfezione e si manifesta. L'origine di una simile gerarchia è la fonte della vita, l'essenza della bontà, è la Trinità, unica causa del creato [373D] dalla quale per sua bontà deriva a tutte le cose l'essere e l'essere bene. Ora, questa felice gerarchia che trascende ogni cosa e che è realmente trina nell'unità, incom­prensibile alle nostre forze, ma che sola conosce se stessa, ha concepito il disegno di salvare razionalmente noi e le sostanze superiori a noi. Ma questa salvezza non può [376A] avvenire in nessun altro modo se non mediante la deificazione di coloro che sono salvati e la deificazione è assimilazione e unione con Dio, per quanto è possibile.

Questo poi è il comune fine di ogni gerarchia, l'amore continuo di Dio e delle cose divine che si esplica santamente sotto l'ispirazione divina e unitivamente, e, prima di questo, l'allonta­namento perfetto ed irrevocabile dalle cose contrarie, la cono­scenza delle cose nel loro giusto valore, la visione e la coscienza della santa verità, la partecipazione divina alla perfezione unifi­cante, il banchetto della contemplazione della stessa unità, come è possibile, banchetto che nutre spiritualmente e deifica chiun­que vi si elevi...

[392A] Noi abbiamo già santamente detto che lo scopo della nostra gerarchia è l'assimilazione e l'unione con Dio, per quanto è possibile. Questa unione, come gli scritti divini insegnano, noi otterremo solo con l'amore e la sacra osservanza dei comanda­menti santissimi. Se uno mi ama, dicono, osserverà la mia parola, e il Padre mio l'amerà, e andremo da lui e presso di lui dimorere­mo. Qual è dunque il primo dei riti sacri prescritti dai santissimi comandamenti? E quello che forma nelle facoltà della nostra anima l'attitudine a ricevere le altre sante parole e sante opera­zioni, è quello che ci apre la strada alla salita verso la quiete sovraceleste, è quello che ci trasmette la sacra e divinissima rigenerazione. Infatti, come afferma il nostro illustre maestro, il primissimo movimento intellettuale verso le cose divine è l'amo­re di Dio, [392B] ma la prima condizione perché il sacro amore possa santamente eseguire i divini comandamenti è 1'ineffabilis­sima creazione del nostro essere divino. Se, infatti, l'essere divino deriva dalla nascita divina, chi non possiede questa esistenza divina mai potrà conoscere qualcuna delle cose tra­mandate da Dio, né potrà operarle...

Il vescovo, stando su di un luogo elevato, dopo che di nuovo i sacerdoti hanno proclamato [396D] alla presenza del vescovo, vicino all'acqua, il nome dell'iniziato, per tre volte lo immerge, invocando nelle tre immersioni e tre emersioni di colui che è iniziato la triplice ipostasi della divina Beatitudine... Quando il candidato attentamente ha acconsentito a tutte queste cose, il sacerdote forma su di lui il segno della croce e gli taglia i capelli invocando la trina sostanza della divina Beatitudine e, dopo avergli tolto l'abito completo, gliene fa indossare un altro e, dopo averlo abbracciato insieme con gli altri santi uomini che gli sono vicini, lo rende [533C] partecipe dei divini misteri...

(131 [589D] A queste cose siamo stati iniziati dai libri divini e, per così dire, tu potrai trovare tutti gli inni sacri dei sacri autori che distinguono i nomi di Dio in modo manifesto e celebrativo secondo i procedimenti benefici della Tearchia. [141 Per cui noi vediamo che quasi in ogni libro della Sacra Scrittura la Tearchia è celebrata santamente: come Monade e Unità a causa della sua semplicità e unità dell'indivisibilità mirabile, che ci unifica come una virtù che ha tale potere di unificazione e, siccome le nostre diversità divisibili sono complicate in maniera sovramondana, ci raccoglie verso la Monade divina [592A] e l'Unità che imita Dio; come Trinità, a causa del manifestarsi della fecondità sopraso­stanziale delle tre persone, dalla quale tutta la paternità esiste ed è così chiamata nel cielo e sulla terra; come Causa degli esseri, perché in seguito alla bontà sua creatrice di sostanze tutte le cose furono create; Causa sapiente e bella, perché tutte le cose che sono e che mantengono incorruttibili le proprietà della loro natura sono piene di ogni armonia divina e sacra bellezza; Causa amante degli uomini in modo straordinario, poiché, in una delle sue ipostasi, secondo verità e totalmente comunicò con noi richiamando a sé, e sollevando la bassezza umana, in conseguen­za della quale in modo ineffabile divenne composto Gesù che è semplice, l'Eterno prese una estensione temporale e penetrò nella nostra natura colui che sta soprasostanzialmente oltre tutto l'ordine della natura nel suo insieme, [592B] conservando immutabili e inconfondibili le sue proprietà".

Nessun commento: