«E’ arrivata l’“ora” di Gesù, verso la quale il suo operare era diretto fin dall’inizio. Ciò che costituisce il contenuto di quest’ora, Giovanni lo descrive con due parole: passaggio ed agape - amore. Le due parole si spiegano a vicenda; ambedue descrivo insieme la Pasqua di Gesù: croce e risurrezione, crocifissione come elevazione, come “passaggio” alla gloria di Dio, come un “passare” dal mondo al Padre. Non è come se Gesù, dopo una breve visita nel mondo, ora semplicemente ripartisse e tornasse al Padre. Il passaggio è una trasformazione. Egli porta con sé la sua carne, il suo essere uomo. Sulla Croce, nel donare se stesso, Egli viene come fuso e trasformato in un nuovo modo di essere, nel quale ora è sempre col Padre e contemporaneamente con gli uomini. Trasforma la Croce, l’atto dell’uccisione, in un atto di donazione, di amore sino alla fine. Con questa espressione “sino alla fine” Giovanni rimanda in anticipo all’ultima parola di Gesù sulla Croce: tutto è portato a termine, “è compiuto” (19,30). Mediante il suo amore la Croce diventa trasformazione dell’essere uomo nell’essere partecipe della gloria di Dio. In questa trasformazione Egli coinvolge tutti noi, trascinandoci dentro la forza trasformatrice del suo amore al punto che, nel nostro essere con Lui, la nostra vita diventa “passaggio”, trasformazione. Così riceviamo la redenzione - l’essere partecipi dell’amore eterno (della vita eterna, della speranza affidabile, della meta grande e sicura da giustificare la fatica del cammino), una condizione a cui tendiamo con l’intera nostra esistenza» [Benedetto XVI, Omelia della Santa Messa nella Cena del Signore, 20 marzo 2008].
Attraverso il gesto simbolico della lavanda dei piedi Giovanni espone il significato della vita e della morte di Gesù. In questa visione scompare la frontiera tra vita e morte del Signore, che appaiono come un unico atto, nel quale Gesù, il Figlio, lava i piedi sporchi di ogni uomo. Il Signore accetta e compie il servizio dello schiavo, esegue i lavori umili, i lavori più bassi del mondo, per renderci accettabili alla tavola, comunicabili tra di noi e con Dio, per abilitarci al culto, alla vicinanza, alla familiarità sacramentale con Dio.
L’atto della lavanda dei piedi diviene per Giovanni la rappresentazione di ciò che è tutta la vita di Gesù: l’alzarsi da tavola, il deporre l’indumento di gloria, il chinarsi verso di noi nel mistero del perdono, il servizio della vita e della morte umana. La vita e la morte di Gesù non stanno l’una accanto all’altra; nella morte di Gesù si mostra soltanto la sostanza, il vero contenuto della sua vita. Vita e morte diventano trasparenti e rivelano l’atto dell’amore sino alla fine, un amore infinito, che è l’unica lavanda di ogni uomo, l’unica lavanda capace di abilitarlo per la comunione con Dio, cioè capace di farlo libero, capace a sua volta di amare in modo divino. Il contenuto della narrazione del deporre le vesti della sua gloria, del cingersi col “panno” dell’umanità, del farsi schiavo lavando i piedi sporchi dei discepoli per rendersi capaci di accedere al convito divino è il compenetrarsi, anche con sofferenza, nell’atto divino-umano dell’amore, che come tale è purificazione, cioè liberazione, salvezza, vita veramente vita di ogni uomo.
Il Signore rende puro ogni uomo mediante la Sua Parola e i Suoi gesti da risorto nella Chiesa per tutti cioè i sacramenti
“Voi siete già mondi per la parola che vi ho annunziato” (Gv 15,3). Sempre di nuovo ci lava con la sua parola. Sì, se accogliamo le parole di Gesù in atteggiamento di meditazione, di preghiera e di fede, esse sviluppano in noi la loro forza purificatrice. Giorno dopo giorno siamo ricoperti di sporcizia multiforme, di parole vuote, di pregiudizi, di sentimenti cattivi, di immagini sporche, di sapienza ridotta e alterata; una molteplice semifalsità o falsità aperta s’infiltra continuamente nel nostro intimo. Tutto ciò offusca e contamina la nostra anima, il nostro cuore, il nostro io, ci minaccia con l’incapacità per la verità e per il bene. Ma se accogliamo, ruminiamo, preghiamo le parole di Gesù con il cuore attento, esse si rivelano veri lavaggi, purificazioni dell’anima, della mente, dell’uomo interiore. E’ questo, ciò a cui ci invita il Vangelo della lavanda dei piedi: lasciarsi sempre di nuovo lavare da quest’acqua pura, lasciarci rendere capaci di comunione conviviale di amicizia con Dio e con i fratelli.
Ma dal fianco di Gesù, dopo il colpo di lancia del soldato, uscì non solo acqua, bensì anche sangue (Gv 19,34; I1 Gv 5,6.8). Gesù non ha solo parlato, non ci ha lasciato solo parole. Egli dona se stesso. Ci lava con la potenza sacra del suo sangue, cioè con il suo donarsi “sino alla fine”, sino alla Croce. La sua parola è più di un semplice parlare; è carne e sangue, è sua Presenza “per la vita del mondo” (Gv 6,51). Nei santi Sacramenti, Battesimo di acqua, di lacrime o Penitenza ed Eucaristia in particolare, la Persona del crocifisso risorto sempre di nuovo s’inginocchia davanti ai nostri piedi e ci purifica e con il dono del suo amore veniamo sempre più profondamente penetrati e così veramente purificati.
La lavanda dei piedi è Sua azione con il compito di fare la stessa cosa gli uni e gli altri
Nell’avvenimento della lavanda dei piedi sono in connubio due aspetti diversi. La lavanda che Gesù dona ai suoi discepoli è semplicemente azione sua - il dono della purezza, della “capacità di Dio” offerta a loro. Ma il dono diventa poi possibilità, modello, compito, responsabilità di fare la stessa cosa gli uni per gli altri. I Padri hanno qualificato la duplicità di aspetti della lavanda dei piedi con le parole sacramento e modello. Non significa uno dei sette sacramenti, ma il mistero di Cristo nel suo insieme, dall’incarnazione fino alla passione, alla croce, alla risurrezione: questo insieme diventa la forza risanatrice e santificatrice, la forza trasformatrice per ogni uomo e per il mondo, diventa la nostra trasformazione in una nuova forma di essere, nell’apertura per Dio e nella comunione con Lui. Ma questo nuovo Essere che Egli, senza nostro merito, semplicemente ci dà è possibilità, quindi responsabilità di trasformarsi in noi nella dinamica di una nuova vita. L’insieme, lo stretto connubio di dono ed esempio, che troviamo nella pericope della lavanda dei piedi, è caratteristico per la natura del cristianesimo. Il cristianesimo, in rapporto al moralismo sempre in agguato, è di più ed una cosa diversa. All’inizio non sta la nostra idea, il nostro fare, la nostra capacità morale, quindi la nostra autosufficienza, il nostro vantarsi. Cristianesimo è anzitutto dono, gratuità, presa di coscienza e quindi responsabilità: Dio si dona a noi - non da qualcosa, ma se stesso. E questo avviene non solo all’inizio, nel momento della nostra conversione. Egli resta continuamente Colui che dona in ogni avvenimento di incontro. Sempre di nuovo ci offre i suoi doni. Sempre ci precede. Per questo l’atto centrale dell’esser cristiani è l’Eucaristia: la gratitudine per essere stati gratificati, la gioia per la vita nuova che Egli ci dà, la responsabilità di rafforzarla donandola.
L’amore donato è la dinamica dell’“amare insieme”, vita nuova in noi non senza di noi a partire da Dio, un amare fraternamente insieme con Colui che ci ha amati per primo
Così comprendiamo la parola che al termine del racconto della lavanda dei piedi, Gesù dice ai suoi discepoli e a tutti noi: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io ho amato (in modo divino), così (in modo divino) amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Il “comandamento nuovo” non consiste in una norma nuova e difficile, che fino ad allora non esisteva. Il comandamento nuovo consiste nell’amare insieme con Colui che ci ha amati per primo. Così va compreso anche il Discorso della montagna. Esso non significa che Gesù abbia allora dato precetti nuovi,, esigenze di un umanesimo più sublime di quello precedente. Il Discorso della montagna è un cammino di allenamento nell’immedesimarsi, assimilarsi con i sentimenti di Cristo (Fil 2,5), un cammino di purificazione interiore che ci conduce a un vivere insieme con Lui, ad amare in modo divino con Lui cioè a essere santi. La cosa nuova è il dono che ci introduce progressivamente nella mentalità di Cristo, ci assimila a Lui, ci fa amare con Lui. Percepiamo quanto lontani siamo spesso con la nostra mentalità, con la nostra vita da questa novità del Nuovo testamento; quanto poco facciamo notizia chiara e pulita di amare in modo divino col suo amore e così restiamo debitori della prova di credibilità della verità cristiana, che si documenta nell’amore. Occorre pregare il Signore di renderci, mediante la sua purificazione, maturi sempre più per il nuovo comandamento.
La grandezza di Dio e quindi di ogni uomo è diversa dalla nostra idea di grandezza
Pietro non aveva voluto lasciarsi lavare i piedi dal Signore: che il maestro - Gesù - lavasse i piedi, che il padrone assumesse il servizio dello schiavo, contrastava totalmente con il timore reverenziale di Pietro verso Gesù, con il suo concetto del rapporto tra maestro e discepolo. “Non mi laverai mai i piedi”, dice a Gesù con la sua solita passionalità (Gv 13,8). E’ la stessa mentalità che, dopo la professione di fede In Gesù, Figlio di Dio, a Cesarea di Filippo, lo aveva spinto ad opporsi a Lui, quando aveva predetto la riprovazione e la croce: “Questo non ti accadrà mai!””, aveva dichiarato Pietro categoricamente (Mt 16,22). Il suo concetto di Messia, di presenza spettacolare di Dio che costringe tutti al rapporto con lui senza il rischio della libertà e quindi senza la possibilità di amore, comportava un’immagine di maestà, di grandezza divina. Doveva apprendere sempre di nuovo che la grandezza di Dio non consiste nel presentarsi in modo irresistibile, ma può essere cercato e trovato solo attraverso lo slancio del cuore, liberamente, con il rischio del rifiuto e quindi la sua idea di grandezza è diversa dalla nostra; essa consiste proprio nel discendere, nell’umiltà del servizio, nella radicalità dell’amore fino alla totale auto - spoliazione. E una tentazione desiderare un Dio del successo e non della Passione. Il pastore viene come agnello che si dona e conduce al pascolo giusto.
Anche nella nuova identità di battezzati è possibile peccare e quindi c’è bisogno del Sacramento della Riconciliazione
Quando il Signore dice a Pietro che senza la lavanda dei piedi egli non avrebbe potuto aver parte alcuna con Lui, Pietro subito chiede con impeto che gli siano lavati anche il capo e le mani. A ciò segue la parola misteriosa di Gesù: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi” (Gv 13,10). Gesù allude a un bagno che i discepoli, secondo le prescrizioni rituali, avevano già fatto; per la partecipazione al convito pasquale familiare occorreva ora soltanto la lavanda dei piedi. Ma attraverso la narrazione di questo fatto storico Giovanni allude a un significato più profondo. La lavanda dei piedi non indica un singolo specifico sacramento ma il Sacramento di Cristo nel suo insieme, il suo servizio di salvezza, la sua discesa fino alla croce, il suo amore sino alla fine, che ci purifica e ci rende capaci di Dio. Ma qui, con la distinzione tra bagno e lavanda dei piedi è percepibile un’allusione alla vita della comunità dei discepoli, alla vita nella comunità della Chiesa che Giovanni vuole consapevolmente trasmettere alla comunità del suo tempo. Il bagno che ci purifica definitivamente, che ci rende per sempre figli nel Figlio e che non deve essere ripetuto è il Battesimo - l’essere immersi nella morte e risurrezione di Cristo, un fatto che cambia la nostra vita profondamente, dandoci una nuova identità, un nuovo orizzonte e quindi la direzione decisiva. Ma per la comunione conviviale, eucaristica con Gesù abbiamo bisogno della “lavanda dei piedi”. Di che cosa si tratta? Benedetto XVI trova la chiave per comprenderlo nella Prima Lettera di san Giovanni: “Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa” (1,8ss.). Abbiamo bisogno della “lavanda dei piedi”, della lavanda dei peccati di ogni giorno finché il peccato ritorna, e per questo abbiamo bisogno di quello che in seguito verrà chiamato secondo Battesimo, Battesimo di lacrime cioè abbiamo bisogno della confessione dei peccati. In quale modalità rituale avvenisse nelle comunità giovannee non lo sappiamo. Ma la direzione indicata dalla parola di Gesù a Pietro è ovvia: per essere capaci di partecipare alla comunità conviviale, eucaristica con Gesù Cristo dobbiamo essere sinceri. Dobbiamo riconoscere che anche nella nuova identità di battezzati, di figli nel Figlio, pecchiamo. Abbiamo bisogno della confessione come essa ha preso forma nel Sacramento della riconciliazione. In questo incontro con il Signore Egli lava a noi sempre di nuovo i piedi sporchi e noi possiamo sederci, in grazia di Dio, a tavola con Lui e riceverlo nella comunione eucaristica.
Non lasciare che il rancore verso l’altro diventi nel profondo un avvelenamento dell’anima
“Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,14). Dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri nel quotidiano servizio vicendevole dell’amore. Ma dobbiamo lavarci i piedi anche nel senso che sempre di nuovo perdoniamo gli uni agli altri. Il debito che il Signore ci ha condonato è sempre infinitamente più grande di tutti i debiti che altri possono avere nei nostri confronti (Mt 18,21-35). A questo si porta ciò che ha vissuto Gesù a Gerusalemme il giovedì santo: non lasciare che il rancore verso l’altro diventi nel profondo un avvelenamento dell’anima e quindi occorre purificare continuamente la nostra memoria, perdonandoci a vicenda di cuore, lavando i piedi gli uni gli altri, per poterci così recare amichevolmente insieme al convito di Dio, per amare insieme in modo divino, con Lui.
Attraverso il gesto simbolico della lavanda dei piedi Giovanni espone il significato della vita e della morte di Gesù. In questa visione scompare la frontiera tra vita e morte del Signore, che appaiono come un unico atto, nel quale Gesù, il Figlio, lava i piedi sporchi di ogni uomo. Il Signore accetta e compie il servizio dello schiavo, esegue i lavori umili, i lavori più bassi del mondo, per renderci accettabili alla tavola, comunicabili tra di noi e con Dio, per abilitarci al culto, alla vicinanza, alla familiarità sacramentale con Dio.
L’atto della lavanda dei piedi diviene per Giovanni la rappresentazione di ciò che è tutta la vita di Gesù: l’alzarsi da tavola, il deporre l’indumento di gloria, il chinarsi verso di noi nel mistero del perdono, il servizio della vita e della morte umana. La vita e la morte di Gesù non stanno l’una accanto all’altra; nella morte di Gesù si mostra soltanto la sostanza, il vero contenuto della sua vita. Vita e morte diventano trasparenti e rivelano l’atto dell’amore sino alla fine, un amore infinito, che è l’unica lavanda di ogni uomo, l’unica lavanda capace di abilitarlo per la comunione con Dio, cioè capace di farlo libero, capace a sua volta di amare in modo divino. Il contenuto della narrazione del deporre le vesti della sua gloria, del cingersi col “panno” dell’umanità, del farsi schiavo lavando i piedi sporchi dei discepoli per rendersi capaci di accedere al convito divino è il compenetrarsi, anche con sofferenza, nell’atto divino-umano dell’amore, che come tale è purificazione, cioè liberazione, salvezza, vita veramente vita di ogni uomo.
Il Signore rende puro ogni uomo mediante la Sua Parola e i Suoi gesti da risorto nella Chiesa per tutti cioè i sacramenti
“Voi siete già mondi per la parola che vi ho annunziato” (Gv 15,3). Sempre di nuovo ci lava con la sua parola. Sì, se accogliamo le parole di Gesù in atteggiamento di meditazione, di preghiera e di fede, esse sviluppano in noi la loro forza purificatrice. Giorno dopo giorno siamo ricoperti di sporcizia multiforme, di parole vuote, di pregiudizi, di sentimenti cattivi, di immagini sporche, di sapienza ridotta e alterata; una molteplice semifalsità o falsità aperta s’infiltra continuamente nel nostro intimo. Tutto ciò offusca e contamina la nostra anima, il nostro cuore, il nostro io, ci minaccia con l’incapacità per la verità e per il bene. Ma se accogliamo, ruminiamo, preghiamo le parole di Gesù con il cuore attento, esse si rivelano veri lavaggi, purificazioni dell’anima, della mente, dell’uomo interiore. E’ questo, ciò a cui ci invita il Vangelo della lavanda dei piedi: lasciarsi sempre di nuovo lavare da quest’acqua pura, lasciarci rendere capaci di comunione conviviale di amicizia con Dio e con i fratelli.
Ma dal fianco di Gesù, dopo il colpo di lancia del soldato, uscì non solo acqua, bensì anche sangue (Gv 19,34; I1 Gv 5,6.8). Gesù non ha solo parlato, non ci ha lasciato solo parole. Egli dona se stesso. Ci lava con la potenza sacra del suo sangue, cioè con il suo donarsi “sino alla fine”, sino alla Croce. La sua parola è più di un semplice parlare; è carne e sangue, è sua Presenza “per la vita del mondo” (Gv 6,51). Nei santi Sacramenti, Battesimo di acqua, di lacrime o Penitenza ed Eucaristia in particolare, la Persona del crocifisso risorto sempre di nuovo s’inginocchia davanti ai nostri piedi e ci purifica e con il dono del suo amore veniamo sempre più profondamente penetrati e così veramente purificati.
La lavanda dei piedi è Sua azione con il compito di fare la stessa cosa gli uni e gli altri
Nell’avvenimento della lavanda dei piedi sono in connubio due aspetti diversi. La lavanda che Gesù dona ai suoi discepoli è semplicemente azione sua - il dono della purezza, della “capacità di Dio” offerta a loro. Ma il dono diventa poi possibilità, modello, compito, responsabilità di fare la stessa cosa gli uni per gli altri. I Padri hanno qualificato la duplicità di aspetti della lavanda dei piedi con le parole sacramento e modello. Non significa uno dei sette sacramenti, ma il mistero di Cristo nel suo insieme, dall’incarnazione fino alla passione, alla croce, alla risurrezione: questo insieme diventa la forza risanatrice e santificatrice, la forza trasformatrice per ogni uomo e per il mondo, diventa la nostra trasformazione in una nuova forma di essere, nell’apertura per Dio e nella comunione con Lui. Ma questo nuovo Essere che Egli, senza nostro merito, semplicemente ci dà è possibilità, quindi responsabilità di trasformarsi in noi nella dinamica di una nuova vita. L’insieme, lo stretto connubio di dono ed esempio, che troviamo nella pericope della lavanda dei piedi, è caratteristico per la natura del cristianesimo. Il cristianesimo, in rapporto al moralismo sempre in agguato, è di più ed una cosa diversa. All’inizio non sta la nostra idea, il nostro fare, la nostra capacità morale, quindi la nostra autosufficienza, il nostro vantarsi. Cristianesimo è anzitutto dono, gratuità, presa di coscienza e quindi responsabilità: Dio si dona a noi - non da qualcosa, ma se stesso. E questo avviene non solo all’inizio, nel momento della nostra conversione. Egli resta continuamente Colui che dona in ogni avvenimento di incontro. Sempre di nuovo ci offre i suoi doni. Sempre ci precede. Per questo l’atto centrale dell’esser cristiani è l’Eucaristia: la gratitudine per essere stati gratificati, la gioia per la vita nuova che Egli ci dà, la responsabilità di rafforzarla donandola.
L’amore donato è la dinamica dell’“amare insieme”, vita nuova in noi non senza di noi a partire da Dio, un amare fraternamente insieme con Colui che ci ha amati per primo
Così comprendiamo la parola che al termine del racconto della lavanda dei piedi, Gesù dice ai suoi discepoli e a tutti noi: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io ho amato (in modo divino), così (in modo divino) amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Il “comandamento nuovo” non consiste in una norma nuova e difficile, che fino ad allora non esisteva. Il comandamento nuovo consiste nell’amare insieme con Colui che ci ha amati per primo. Così va compreso anche il Discorso della montagna. Esso non significa che Gesù abbia allora dato precetti nuovi,, esigenze di un umanesimo più sublime di quello precedente. Il Discorso della montagna è un cammino di allenamento nell’immedesimarsi, assimilarsi con i sentimenti di Cristo (Fil 2,5), un cammino di purificazione interiore che ci conduce a un vivere insieme con Lui, ad amare in modo divino con Lui cioè a essere santi. La cosa nuova è il dono che ci introduce progressivamente nella mentalità di Cristo, ci assimila a Lui, ci fa amare con Lui. Percepiamo quanto lontani siamo spesso con la nostra mentalità, con la nostra vita da questa novità del Nuovo testamento; quanto poco facciamo notizia chiara e pulita di amare in modo divino col suo amore e così restiamo debitori della prova di credibilità della verità cristiana, che si documenta nell’amore. Occorre pregare il Signore di renderci, mediante la sua purificazione, maturi sempre più per il nuovo comandamento.
La grandezza di Dio e quindi di ogni uomo è diversa dalla nostra idea di grandezza
Pietro non aveva voluto lasciarsi lavare i piedi dal Signore: che il maestro - Gesù - lavasse i piedi, che il padrone assumesse il servizio dello schiavo, contrastava totalmente con il timore reverenziale di Pietro verso Gesù, con il suo concetto del rapporto tra maestro e discepolo. “Non mi laverai mai i piedi”, dice a Gesù con la sua solita passionalità (Gv 13,8). E’ la stessa mentalità che, dopo la professione di fede In Gesù, Figlio di Dio, a Cesarea di Filippo, lo aveva spinto ad opporsi a Lui, quando aveva predetto la riprovazione e la croce: “Questo non ti accadrà mai!””, aveva dichiarato Pietro categoricamente (Mt 16,22). Il suo concetto di Messia, di presenza spettacolare di Dio che costringe tutti al rapporto con lui senza il rischio della libertà e quindi senza la possibilità di amore, comportava un’immagine di maestà, di grandezza divina. Doveva apprendere sempre di nuovo che la grandezza di Dio non consiste nel presentarsi in modo irresistibile, ma può essere cercato e trovato solo attraverso lo slancio del cuore, liberamente, con il rischio del rifiuto e quindi la sua idea di grandezza è diversa dalla nostra; essa consiste proprio nel discendere, nell’umiltà del servizio, nella radicalità dell’amore fino alla totale auto - spoliazione. E una tentazione desiderare un Dio del successo e non della Passione. Il pastore viene come agnello che si dona e conduce al pascolo giusto.
Anche nella nuova identità di battezzati è possibile peccare e quindi c’è bisogno del Sacramento della Riconciliazione
Quando il Signore dice a Pietro che senza la lavanda dei piedi egli non avrebbe potuto aver parte alcuna con Lui, Pietro subito chiede con impeto che gli siano lavati anche il capo e le mani. A ciò segue la parola misteriosa di Gesù: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi” (Gv 13,10). Gesù allude a un bagno che i discepoli, secondo le prescrizioni rituali, avevano già fatto; per la partecipazione al convito pasquale familiare occorreva ora soltanto la lavanda dei piedi. Ma attraverso la narrazione di questo fatto storico Giovanni allude a un significato più profondo. La lavanda dei piedi non indica un singolo specifico sacramento ma il Sacramento di Cristo nel suo insieme, il suo servizio di salvezza, la sua discesa fino alla croce, il suo amore sino alla fine, che ci purifica e ci rende capaci di Dio. Ma qui, con la distinzione tra bagno e lavanda dei piedi è percepibile un’allusione alla vita della comunità dei discepoli, alla vita nella comunità della Chiesa che Giovanni vuole consapevolmente trasmettere alla comunità del suo tempo. Il bagno che ci purifica definitivamente, che ci rende per sempre figli nel Figlio e che non deve essere ripetuto è il Battesimo - l’essere immersi nella morte e risurrezione di Cristo, un fatto che cambia la nostra vita profondamente, dandoci una nuova identità, un nuovo orizzonte e quindi la direzione decisiva. Ma per la comunione conviviale, eucaristica con Gesù abbiamo bisogno della “lavanda dei piedi”. Di che cosa si tratta? Benedetto XVI trova la chiave per comprenderlo nella Prima Lettera di san Giovanni: “Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa” (1,8ss.). Abbiamo bisogno della “lavanda dei piedi”, della lavanda dei peccati di ogni giorno finché il peccato ritorna, e per questo abbiamo bisogno di quello che in seguito verrà chiamato secondo Battesimo, Battesimo di lacrime cioè abbiamo bisogno della confessione dei peccati. In quale modalità rituale avvenisse nelle comunità giovannee non lo sappiamo. Ma la direzione indicata dalla parola di Gesù a Pietro è ovvia: per essere capaci di partecipare alla comunità conviviale, eucaristica con Gesù Cristo dobbiamo essere sinceri. Dobbiamo riconoscere che anche nella nuova identità di battezzati, di figli nel Figlio, pecchiamo. Abbiamo bisogno della confessione come essa ha preso forma nel Sacramento della riconciliazione. In questo incontro con il Signore Egli lava a noi sempre di nuovo i piedi sporchi e noi possiamo sederci, in grazia di Dio, a tavola con Lui e riceverlo nella comunione eucaristica.
Non lasciare che il rancore verso l’altro diventi nel profondo un avvelenamento dell’anima
“Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,14). Dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri nel quotidiano servizio vicendevole dell’amore. Ma dobbiamo lavarci i piedi anche nel senso che sempre di nuovo perdoniamo gli uni agli altri. Il debito che il Signore ci ha condonato è sempre infinitamente più grande di tutti i debiti che altri possono avere nei nostri confronti (Mt 18,21-35). A questo si porta ciò che ha vissuto Gesù a Gerusalemme il giovedì santo: non lasciare che il rancore verso l’altro diventi nel profondo un avvelenamento dell’anima e quindi occorre purificare continuamente la nostra memoria, perdonandoci a vicenda di cuore, lavando i piedi gli uni gli altri, per poterci così recare amichevolmente insieme al convito di Dio, per amare insieme in modo divino, con Lui.
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