Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

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(Disc. 8 nell'ottava di Pasqua 1, 4; Pl 46, 838. 841)

Rivolgo la mia parola a voi, bambini appena nati, fanciulli in Cristo, nuova prole della Chiesa, grazia del Padre, fecondità della Madre, pio germoglio, sciame novello, fiore del nostro onore e frutto della nostra fatica, mio gaudio e mia corona, a voi tutti che siete qui saldi nel Signore.
Mi rivolgo a voi con le parole stesse dell'apostolo: «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri» (Rm 13, 14), perché vi
rivestiate, anche nella vita, di colui del quale vi siete rivestiti per mezzo del sacramento. «Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più Giudeo, né Greco; non c'è più schiavo, né libero; non c'è più uomo, né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 27-28).
In questo sta proprio la forza del sacramento. E' infatti il sacramento della nuova vita, che comincia in questo tempo con la remissione di tutti i peccati, e avrà il suo compimento nella risurrezione dei morti. Infatti siete stati sepolti insieme con Cristo nella morte per mezzo del battesimo, perché, come Cristo è risuscitato dai morti, così anche voi possiate camminare in una vita nuova (cfr. Rm 6, 4).
Ora poi camminate nella fede, per tutto il tempo in cui, dimorando in questo corpo mortale, siete come pellegrini lontani dal Signore. Vostra via sicura si è fatto colui al quale tendete, cioè lo stesso Cristo Gesù, che per voi si è degnato di farsi uomo. Per coloro che lo temono ha riservato tesori di felicità, che effonderà copiosamente su quanti sperano in lui, allorché riceveranno nella realtà ciò che hanno ricevuto ora nella speranza.
Oggi ricorre l'ottavo giorno della vostra nascita, oggi trova in voi la sua completezza il segno della fede, quel segno che presso gli antichi patriarchi si verificava nella circoncisione, otto giorni dopo la nascita al mondo. Perciò anche il Signore ha impresso il suo sigillo al suo giorno, che è il terzo dopo la passione. Esso però, nel ciclo settimanale, è l'ottavo dopo il settimo cioè dopo il sabato, e il primo della settimana. Cristo, facendo passare il proprio corpo dalla mortalità all'immortalità, ha contrassegnato il suo giorno con il distintivo della risurrezione.
Voi partecipate del medesimo mistero non ancora nella piena realtà, ma nella sicura speranza, perché avete un pegno sicuro, lo Spirito Santo. «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria» (Col 3, 1-4).

Dai Discorsi di sant'Agostino.
Sermo Guelferbytanus,12,1-3. PLS 11,568-572.

La risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo è lo specifico della fede cristiana. Noi crediamo che egli è uomo, nato dall'uomo in un dato momento
e Dio, nato da Dio fin dall'eternità. Nascendo in una carne mortale simile a quella del peccato, egli conobbe l'infanzia e i suoi umili inizi, passò per la giovinezza e giunse alla morte. Questo itinerario umano condusse il Signore alla risurrezione, giacché per risorgere bisognava che morisse e come avrebbe potuto morire senza prima essere nato? Perciò nascita e morte erano ordinate alla sua risurrezione.
Che il Signore sia uomo nato dall'uomo, molti "lontani", anche malvagi, lo credettero, pur ignorando la sua nascita verginale. Amici e nemici credettero che era uomo, che fu crocifisso e morì; però soltanto i suoi amici seppero che risuscitò, perché Cristo volle nascere e morire per risorgere, far così della risurrezione l'oggetto della nostra fede.
Nella nostra condizione umana conoscevamo soltanto due poli: nascita e morte. Per insegnarci uno stato a noi ignoto, Cristo ha assunto quello che conoscevamo.
In realtà solo una parte dell'universo è soggetta alla legge della nascita e della morte: il mondo celeste l'ignora, perché là tutto è definitivo. Certamente, il principe degli angeli decadde dalla sua dignità e fu precipitato in terra con i suoi; però sono subentrati gli uomini e hanno preso in cielo il posto di quelli.
Il diavolo intuì che l'uomo sarebbe stato destinato al cielo, da cui lui era stato bandito. Lo vide e lo invidiò. Così fece cadere l'uomo, come lui stesso era caduto. Ma importa poco che il demonio sia precipitato nell'abisso e vi abbia precipitato pure l'uomo, perché colui che ha vinto la morte non è caduto dal cielo: ne è disceso e si è fatto uomo.
Questo mondo, ove regnano la nascita e la morte, è una terra di miseria. eppure proprio qui gli uomini sperano la felicità: cercano l'eternità nel paese della morte. Ce lo dice il Signore, ce lo insegna la Verità: la felicità che cercate, non sta qui, perché non è di qui. E' bello vivere, è bene bramare la vita terrena, ma quaggiù nasciamo per morire.
E' venuto il Signore nostro Gesù Cristo ed è come se ci avesse parlato così: Di che cosa avevate paura, o uomini? Vi ho creato, ma non vi ho abbandonato. La creazione è opera mia, la caduta viene da voi. Perché avevate paura di morire? Ecco, muoio io; ecco, patisco io; ecco, quel che temevate non temetelo più, perché io vi faccio vedere quello che dovete sperare.
Cristo infatti si è mostrato a noi, risuscitato per l'eternità. Gli evangelisti ce lo certificarono nei loro scritti, e gli apostoli lo proclamarono su tutta la terra. I santi martiri non paventarono la morte, forti della loro fede nella risurrezione di Cristo. Temevano soltanto di rinnegarlo, giacché rinnegare Cristo è rinnegare la vita e quale follia sarebbe rinnegare la vera vita per amore della vita terrena!
La risurrezione di Cristo è determinante per la nostra fede. Ecco perché, l'Antico e il Nuovo Testamento ci invitano a pentirci e ad accogliere il perdono per la fede in Cristo, perché Dio ha dato a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti. (At 17.31)
Poiché bisogna morire,e non ci è neppure concesso di vivere a lungo (c'è appena il tempo per passare dall'infanzia alla vecchiaia), non ci resta che rifugiarci presso colui che è morto per noi e risorgendo ci ha donato la speranza. Poiché la morte è il traguardo della nostra corsa, e non possiamo rendere eterna questa vita che tanto amiamo, rifugiamoci presso colui che ci ha promesso l'eternità.Ecco fratelli, quanto il Signore ci promette: la vita eterna e beata. La nostra è davvero miserabile: lo sappiamo e va riconosciuto. Quanto c'è da fare e da sopportare, nostro malgrado! Liti, discordie, prove, incomprensioni, al punto che ci capita senza volerlo di abbracciare un nemico e temere l'amico. Ora fame e povertà, ora freddo, ora caldo, e poi stanchezza, malattia, rivalità... E' proprio una vita grama la nostra! Eppure se potesse farsi eterna, chi non se ne compiacerebbe, esclamando:
“Mi accontento di questa esistenza, pur di non morire”? Se desideri restare in questa misera vita, chi ti potrà dare quella eterna e beata? Però, se vuoi raggiungere la vita eterna e beata, comportati bene in questa esistenza fugace. Se essa sarà buona nelle opere, riceverà la ricompensa beata.

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