Apparvero Mosè ed Elia nella loro maestà e parlavano della sua dipartita che si sarebbe realizzata a Gerusalemme. Perciò Mosè ed Elia che sul monte parlarono col Signore della sua passione e risurrezione significano le predizioni della Legge e dei profeti che si sono realizzate nel Signore, come ora è evidente a ogni persona dotta e ancora più evidente risulterà in futuro a tutti gli eletti. E giustamente Luca dice che quelli apparvero nella loro maestà, poiché allora si vedrà più apertamente con quanto decoro di verità siano stati proferiti i discorsi divini, non solo quanto al senso ma anche quanto alla forma. In Mosé ed Elia si possono anche comprendere tutti quelli che regneranno col Signore ... Concorda anche il fatto che essi parlavano della dipartita di Gesù, che si sarebbe realizzata a Gerusalemme, perché unica materia di lode per i fedeli diventa la passione del Redentore, e quanto più essi tengono a mente che non si possono salvare senza la sua grazia, tanto più forte conservano sempre in petto la memoria di questa grazia e l’attestano con devota confessione.
Ma quanto più ciascuno di noi gusta la dolcezza della vita celeste, tanto più prova disgusto di tutto ciò che di terreno ci dilettava: perciò giustamente Pietro, vista la maestà del Signore e dei suoi santi, dimentica subito tutto ciò che di terreno aveva appreso, e gode di aderire per sempre alla sola realtà che vede, dicendo: Signore è bene che noi stiamo qui; se vuoi innalziamo qui tre tende, una per te, una per Mosè, e una per Elia.
Certo Pietro non sapeva quello che diceva quando nel mezzo della conversazione celeste pensò di fare delle tende. Infatti non sarà necessaria alcuna casa nella gloria della vita celeste, dove nella completa pace, nella luce della contemplazione celeste non resterà da temere alcuna avversità, come testimonia l’apostolo Giovanni che descrivendo lo splendore di questa città superna, dice tra l’altro: Non ho visto tempio in essa perché sono tempio il Signore onnipotente e l’Agnello (Ap 21, 22).
Ma Pietro ben sapeva che cosa diceva quando disse: Signore, è bene che noi stiamo qui, perché in realtà per l’uomo il solo bene è entrare nel gaudio del Signore e stargli vicino contemplandolo in eterno. Perciò a ragione riteniamo che non abbia goduto mai di un vero bene chi, a causa della sua colpa, non ha mai potuto contemplare il volto del suo Creatore. Che se Pietro, contemplata l’umanità glorificata di Cristo, è preso da tanta gioia da non voler più essere distolto da tale visione, quale beatitudine pensiamo, fratelli carissimi, che abbiano raggiunto coloro che hanno meritato di contemplare l’eccellenza della sua divinità? E se quello considerò sommo bene contemplarne l’aspetto trasfigurato sul monte insieme soltanto con Mosè ed Elia, quale parola può spiegare, quale concetto comprendere quale sarà la gioia dei giusti quando si avvicineranno al monte Sion, alla città del Dio vivente, Gerusalemme, e alla moltitudine degli angeli (cfr. Eb 12, 22), e quando contempleranno Dio, creatore di questa città non attraverso uno specchio, per enigma, ma a faccia a faccia (1 Cor 13, 12)? Di questa visione proprio Pietro parla ai fedeli a proposito del Signore: Nel quale ora credete pur non vedendolo; e quando lo vedrete esulterete di letizia inenarrabile e glorificata (1 Pt 1, 8)
Segue: Mentre egli ancora parlava ecco una nube lucente li adombrò, ed ecco dalla nube una voce che disse: "Questo è il Figlio mio diletto nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo". Poiché chiedevano di innalzare le tende, vengono ammoniti dalla copertura della nube splendente che non sono necessarie case nella dimora celeste, dove il Signore protegge tutto con l’ombra eterna della sua luce. Colui infatti che per quaranta anni stese una nube a loro protezione perché il sole o la luna non scottassero né di giorno né di notte il popolo che marciava nel deserto, quanto più protegge nei secoli col velo delle sue ali quelli che dimorano nelle tende del regno celeste? Sappiamo infatti, per insegnamento dell’apostolo che se la nostra casa in cui abitiamo sulla terra viene distrutta, noi abbiamo un altro edificio che è opera di Dio, una dimora eterna, che non è stata costruita dalla mano dell’uomo e che si trova in cielo.
Poiché desideravano contemplare il volto risplendente del Figlio dell’uomo, venne il Padre ad affermare con la sua voce che quello era il suo Figlio diletto nel quale si era compiaciuto, perché dalla gloria della sua umanità, che vedevano, imparassero a sospirare di contemplare la presenza della divinità, che è uguale a quella del Padre. Ciò poi che la voce del Padre dice del Figlio: Nel quale mi sono compiaciuto, lo attesta altrove anche il Figlio: Colui che mi ha mandato è con me e non mi lascerà solo, perché io faccio sempre quello che gli è gradito (Gv 8, 29). E aggiungendo ascoltatelo, il Padre ha manifestato che quello era proprio colui del quale Mosè parlava al popolo al quale aveva dato la legge: Il vostro Dio vi susciterà un profeta dai vostri fratelli, che ascolterete come me stesso, secondo tutto quanto vi avrà detto (Dt 18, 15). Non vieta infatti di ascoltare Mosè ed Elia, cioè la Legge e le profezie, ma fa capire a tutti costoro che si deve preferire l’ascolto del Figlio che è venuto ad adempiere la Legge e i Profeti, e comanda di anteporre la luce della verità del Vangelo a tutti i simboli e all’oscurità dell’Antico Testamento. Con provvidenziale disposizione viene rafforzata la fede dei discepoli perché non vacilli, a causa della crocifissione del Signore, perché nell’imminenza della croce si dimostra come la sua umanità sarebbe stata sublimata dalla luce celeste in virtù della risurrezione; e la voce del Padre attesta che il Figlio è per divinità coeterno a lui, perché al sopraggiungere dell’ora della passione quelli si dolessero meno della sua morte, ricordando che era sempre stato glorificato da Dio Padre nella divinità colui che, subito dopo la morte, sarebbe stato glorificato nell’umanità.
Ma i discepoli che, in quanto carnali, erano ancora di debole consistenza, udita la voce di Dio, per timore caddero faccia a terra. Il Signore perciò, autorevole maestro in tutto, li consola parlando loro e toccandoli li fa alzare.
(Dall’Omelia I, 24 passim)
Ma quanto più ciascuno di noi gusta la dolcezza della vita celeste, tanto più prova disgusto di tutto ciò che di terreno ci dilettava: perciò giustamente Pietro, vista la maestà del Signore e dei suoi santi, dimentica subito tutto ciò che di terreno aveva appreso, e gode di aderire per sempre alla sola realtà che vede, dicendo: Signore è bene che noi stiamo qui; se vuoi innalziamo qui tre tende, una per te, una per Mosè, e una per Elia.
Certo Pietro non sapeva quello che diceva quando nel mezzo della conversazione celeste pensò di fare delle tende. Infatti non sarà necessaria alcuna casa nella gloria della vita celeste, dove nella completa pace, nella luce della contemplazione celeste non resterà da temere alcuna avversità, come testimonia l’apostolo Giovanni che descrivendo lo splendore di questa città superna, dice tra l’altro: Non ho visto tempio in essa perché sono tempio il Signore onnipotente e l’Agnello (Ap 21, 22).
Ma Pietro ben sapeva che cosa diceva quando disse: Signore, è bene che noi stiamo qui, perché in realtà per l’uomo il solo bene è entrare nel gaudio del Signore e stargli vicino contemplandolo in eterno. Perciò a ragione riteniamo che non abbia goduto mai di un vero bene chi, a causa della sua colpa, non ha mai potuto contemplare il volto del suo Creatore. Che se Pietro, contemplata l’umanità glorificata di Cristo, è preso da tanta gioia da non voler più essere distolto da tale visione, quale beatitudine pensiamo, fratelli carissimi, che abbiano raggiunto coloro che hanno meritato di contemplare l’eccellenza della sua divinità? E se quello considerò sommo bene contemplarne l’aspetto trasfigurato sul monte insieme soltanto con Mosè ed Elia, quale parola può spiegare, quale concetto comprendere quale sarà la gioia dei giusti quando si avvicineranno al monte Sion, alla città del Dio vivente, Gerusalemme, e alla moltitudine degli angeli (cfr. Eb 12, 22), e quando contempleranno Dio, creatore di questa città non attraverso uno specchio, per enigma, ma a faccia a faccia (1 Cor 13, 12)? Di questa visione proprio Pietro parla ai fedeli a proposito del Signore: Nel quale ora credete pur non vedendolo; e quando lo vedrete esulterete di letizia inenarrabile e glorificata (1 Pt 1, 8)
Segue: Mentre egli ancora parlava ecco una nube lucente li adombrò, ed ecco dalla nube una voce che disse: "Questo è il Figlio mio diletto nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo". Poiché chiedevano di innalzare le tende, vengono ammoniti dalla copertura della nube splendente che non sono necessarie case nella dimora celeste, dove il Signore protegge tutto con l’ombra eterna della sua luce. Colui infatti che per quaranta anni stese una nube a loro protezione perché il sole o la luna non scottassero né di giorno né di notte il popolo che marciava nel deserto, quanto più protegge nei secoli col velo delle sue ali quelli che dimorano nelle tende del regno celeste? Sappiamo infatti, per insegnamento dell’apostolo che se la nostra casa in cui abitiamo sulla terra viene distrutta, noi abbiamo un altro edificio che è opera di Dio, una dimora eterna, che non è stata costruita dalla mano dell’uomo e che si trova in cielo.
Poiché desideravano contemplare il volto risplendente del Figlio dell’uomo, venne il Padre ad affermare con la sua voce che quello era il suo Figlio diletto nel quale si era compiaciuto, perché dalla gloria della sua umanità, che vedevano, imparassero a sospirare di contemplare la presenza della divinità, che è uguale a quella del Padre. Ciò poi che la voce del Padre dice del Figlio: Nel quale mi sono compiaciuto, lo attesta altrove anche il Figlio: Colui che mi ha mandato è con me e non mi lascerà solo, perché io faccio sempre quello che gli è gradito (Gv 8, 29). E aggiungendo ascoltatelo, il Padre ha manifestato che quello era proprio colui del quale Mosè parlava al popolo al quale aveva dato la legge: Il vostro Dio vi susciterà un profeta dai vostri fratelli, che ascolterete come me stesso, secondo tutto quanto vi avrà detto (Dt 18, 15). Non vieta infatti di ascoltare Mosè ed Elia, cioè la Legge e le profezie, ma fa capire a tutti costoro che si deve preferire l’ascolto del Figlio che è venuto ad adempiere la Legge e i Profeti, e comanda di anteporre la luce della verità del Vangelo a tutti i simboli e all’oscurità dell’Antico Testamento. Con provvidenziale disposizione viene rafforzata la fede dei discepoli perché non vacilli, a causa della crocifissione del Signore, perché nell’imminenza della croce si dimostra come la sua umanità sarebbe stata sublimata dalla luce celeste in virtù della risurrezione; e la voce del Padre attesta che il Figlio è per divinità coeterno a lui, perché al sopraggiungere dell’ora della passione quelli si dolessero meno della sua morte, ricordando che era sempre stato glorificato da Dio Padre nella divinità colui che, subito dopo la morte, sarebbe stato glorificato nell’umanità.
Ma i discepoli che, in quanto carnali, erano ancora di debole consistenza, udita la voce di Dio, per timore caddero faccia a terra. Il Signore perciò, autorevole maestro in tutto, li consola parlando loro e toccandoli li fa alzare.
Nessun commento:
Posta un commento