Egon Sendler. Trasfigurazione e icona: una presenza dell'indicibile che scaturisce dalla materia.

La visione religiosa

Considerare l'arte bizantina come il riflesso della civiltà e delle sue forme sociologiche e politiche, significherebbe passare sotto silenzio le sue origini profonde, la sua spiritualità, la sua visione filosofica e religiosa del mondo. E se la civiltà nataa Bisanzio ha servito di modello agli Stati dell'Europa orientale che si stavano formando, fino alla Russia, la civiltà bizantina implica in primo luogo l'eredità delle idee religiose dell'ortodossia. Indubbiamente, come la Chiesa d'Occidente, la Chiesa bizantina è fondata sulla ttadizione biblica, la dottrina dei primi concili e la teologia dei Padri greci; tuttavia, dal V secolo, differisce notevolmente dagli altri patriarcati e Chiese locali. Innanzitutto, malgrado i molti conflitti, essa si considera comela Chiesa dell'impero che è il regno di Dio sulla terra. Pertanto doveva percepire gli sforzi della Chiesa romana per difendere i suoi diritti divini alla successione di Pietro come un tradimento. Entrare nelle differenze dogmatiche e cercarne le ripercussionisull'arte, ci porterebbe troppo lontano; a noi interessano le idee ogli atteggiamenti che si esprimono nell'arte e danno delle indicazioni specifiche sul carattere dell'arte bizantina. Anche se, durante il Medio Evo, la maggior parte dei valori fondamentali delmondo cristiano è comune al mondo orientale ed occidentale, sipuò cercare di specificare i caratteri propri del mondo bizantino. La concezione del mondo a Bisanzio deriva dalla Scrittura, maessa è interpretata con i termini di una filosofia che deve molto alneoplatonismo e particolarmente a quello di Plotino. In questaconcezione l'universo è costituito da due mondi separati: il mondo sensibile e il mondo intelligibile. All'origine vi era il mondo intelligibile nel quale regnava un'armonia perfetta. Tutto quantoesiste nel mondo corporeo ha il suo modello perfetto nelle idee, che sono i pensieri del Dio Creatore. L'uomo partecipa a questidue mondi: la sua natura sensibile è legata al mondo materiale ela sua natura intelligibile, l'anima, è offuscata dal contatto con la materia. Pertanto lo scopo finale della vita è di vincere il mondo sensibile per uscire da questa condizione di peccato. Dio è considerato come un sovrano, posto al vertice di innumerevoli gerarchie; l'uomo, preso dal timore del peccato e della morte, pone tutta la sua speranza nella vita eterna.

Contemplazione e ascesi

In questa concezione dell'universo, il mistero dell'Incarnazione acquista un significato particolare e specifico. Con l'Incarnazione, il peccato e la morte non sono solamente vinti, ma l'uomo è innalzato verso Dio più di ogni altra creatura: «II Verbo, che è Dio, si è fatto uomo perché noi potessimo essere divinizzati», dice sant'Atanasio. Così il corpo, che Platone aveva definito come tomba dell'anima, diviene il tempio dello Spirito Santo. Tuttavia l'antico dualismo non è totalmente superato: malgra-do sia stato riabilitato con l'Incarnazione, il mondo sensibile restaostile. Il peccato e la morte pesano sulla coscienza dell'uomo, anche su coloro che conducono una vita esemplare. La sola via verso il regno dei cieli è la fede in Cristo e la sua imitazione con la preghiera e l'ascesi. Con la fede si apre la porta di questo mondo sensibile verso il mondo intelligibile e la comunicazione divienepossibile. Si comprende allora l'importanza della contemplazione, di cui l'ascesi è vista come una preparazione. La natura sensibile deve liberarsi da ogni legame con il mondo e il peccato, come pure daogni influsso esteriore, deve immergersi nella notte mistica e attendere l'illuminazione divina.
Non siamo nati per mangiare e bere, ma per risplendere con le nostre virtù a gloria del nostro Creatore. Ci nutriamo per necessità, perché la nostra vita conservi le sue energie per la contemplazione per la quale, a dire il vero, siamo nati.
Si comprende allora l'importanza del movimento monastico. Fra gli asceti si trovavano membri di grandi famiglie e persino degli imperatori come Niceforo Foca, Michele IV e l'imperatriceTeofano. Nei secoli XIV-XV, vivevano nei numerosi monasteri dell'impero circa 180.000 monaci e monache. Non è quindi percaso che le prime icone non siano state quelle di Cristo, ma le icone degli stiliti che erano «le forme terrestri dell'angelo». Solamente dopo aver ricordato il posto importante che occupava la contemplazione, possiamo parlare del culto bizantino e coglierne l'importanza e le caratteristiche.

Il culto

Nel culto l'anima si eleva verso la sfera trascendente di Dio. La bellezza dei dipinti e delle decorazioni, l'espressività dei canti, la solennità dei riti, concorrono a commuovere l'uomo per i misteriresi presenti. Ogni gesto, ogni simbolo è già una presenza dell'eternità. Il culto è dunque innanzitutto celebrazione davanti al trono del Re del cielo. Gli altri aspetti, come l'insegnamento o la partecipazione dei fedeli, gli sono subordinati. Così, durante la liturgia, i celebranti raffigurano la gerarchia celeste: «Noi che misticamente rappresentiamo i cherubini e cantiamo alla Trinità che dona la vita l'inno tre volte santo, deponiamo ogni preoccupazione terrestre» (Inno dei cherubini della liturgia). Tale concezione della liturgia conduce a un fenomeno strano, che si osserva ancora nel secolo XVII in Russia, la «mnogoglassia»: l'abitudine cioè di celebrare in una chiesa diversi uffici nello stesso tempo. Di conseguenza la lingua di questi uffici si riveste di un carattere glossolalico o esoterico per la deformazione della pronuncia. Ciò che conta è compiere il servizio davanti al trono di Dio e tutto deve contribuire alla sua gloria. Pertanto gli stranieri che assistevanoalle cerimonie nella cattedrale di Santa Sofia erano impressionati dalla loro bellezza: «Non sapevamo se eravamo in cielo o sulla terra...». In questo mondo affascinante per la ricchezza materiale, le forze spirituali dovevano avere un dinamismo ancora più potenteper innalzare l'uomo verso la bellezza del mondo intelligibile,quello di Dio. In questa armonia relativa delle ricchezze materiali e della vita spirituale, l'arte doveva avere un ruolo fondamentale. La funzione dell'immagine consiste nel mostrare il mondo della gloria di Dio, nel trasformare questo mondo in visione. «Attraverso l'immagine visibile il nostro pensiero deve gettarsi con uno slancio spirituale verso la grandezza invisibile della divinità».

L'immagine

Un occidentale potrebbe domandarsi perché i bizantini eranocosì affascinati dall'immagine. Indubbiamente il fascino è dovuto al posto che questa ha nell'antichità greca ed inoltre, dopo la crisiiconoclastica, sono potuti intervenire motivi polemici. Ma, essenzialmente, è la teologia dell'Incarnazione che ha dato all'immagine il suo volto originale nella Chiesa bizantina. Pertanto, durante un millennio, l'arte bizantina ha comepreoccupazione principale la spiritualizzazione delle forme e deisoggetti. Non vuole rappresentare l'episodio passeggero, ma l'idea religiosa, la verità di fede. Questi dipinti non sono la meditazione individuale di un artista, ma sono teologia in immagini. Per questa ragione il pittore stava sottomesso al magistero della Chie-sa: egli non era che un interprete e il suo nome appare sulle iconesolamente in un'epoca tardiva. Tuttavia ciò non impediva né il livello artistico, né la ricerca di nuove forme, né l'introduzione dinuovi temi, ma queste creazioni restavano sempre nel quadro della dottrina della Chiesa che sorvegliava da vicino i lavori, come è dimostrato dai canoni dei concìlì e dei sinodi. La tradizione ha trovato la sua forma definitiva dopo l'iconoclastia, nel secolo IX. Nella teologia dell'immagine, quest'ultima è divenuta uno dei principi fondamentali per la dottrina del prototipo. Pertanto ogni icona è un'interpretazione fedele del prototipo. Pur non escludendo i lineamenti ritrattistici di un santo, essa lo rappresenta nella sua dimensione spirituale: così il volto di san Pietro mostra i tratti caratteristici che conosciamo dai Vangeli e si distingue nettamenteda san Paolo o da sant'Andrea. Le descrizioni dei santi si sono trasmesse per mezzo della tradizione orale, molto viva durante i primi secoli. Dapprima le troviamo nei libri liturgici, più tardi nei manuali dei pittori. Anchel'arte occidentale ha conservato questi tratti caratteristici, ma li ha interpretati più liberamente perché non era legata alla teologia bizantina. Ora, per molti santi, non si conoscono le origini storiche della loro figura. In questo caso, la loro santità specifica dà all'immagine una realtà spirituale. I numerosi martiri formano una catego-ria particolare nella gerarchia dei santi con i loro colori e gesti tipici, poiché tutti hanno in comune la testimonianza data con il dono della vita. Così il loro carattere individuale è assorbito dall'idea teologica, che è l'essenziale della loro esistenza. Ciò vale in modo particolare per le icone di Cristo e della Vergine. Cristo è soprattutto il Logos che si è fatto uomo per la nostra salvezza: i suoi attributi, il gesto di benedizione, il libro, i colori delle vesti esoprattutto l'aureola con la scritta «Io sono colui che sono», esprimono il mistero del Pantocràtor. Egli è Dio e uomo e regna sull'universo. L'uomo trasfigurato La fedeltà della pittura bizantina all'antropologia greca non èdovuta solamente all'influenza dell'ellenismo, ma è anche unaconseguenza della teologia dell'Incarnazione. In Cristo e nei santi si è realizzata l'idea dell'umanità nella sua pienezza: essa oltrepassa il simbolo che può esprimere solo un'idea astratta. In effetti, l'antica immagine dell'uomo è radicalmente trasformata. Avendo la preoccupazione di spiritualizzare il mondo, l'immagine di una bellezza materiale era inadatta ad esprimere la nuova creatura: tutto ciò che richiamava il mondo sensibile doveva essere trasfigurato. Se nell'arte ellenistica, il cui campo d'azione è soprattutto la scultura, il busto è la parte più significativa,nell'arte bizantina il corpo umano perde il suo aspetto naturalistico. Pertanto i corpi degli asceti dimagriti per le penitenze e persi-no quello di Cristo al battesimo, possono essere rappresentati nu-di senza urtare la sensibilità dei fedeli. Ma ordinariamente il corpo scompare sotto le vesti, con delle linee fini che danno un'impressione irrazionale e astratta. Nell'iconografia bizantina, il volto diventa il centro della rap-presentazione: esso è il luogo della presenza dello Spirito di Dio,perché la testa è la sede dell'intelligenza e della saggezza. La carnagione rosea dell'antichità fa posto a dei toni che danno sull'ocra. Il calore della carne diviene calore dello spirito: rifiutandosi di dare l'illusione di un corpo nello spazio naturale, la modellatura diventa una evocazione interiore. Così sotto questitoni piuttosto smorti, risplende la luce, come i raggi di un sole interiore che, con un fine tratteggio, danno l'impressione di una vita intensa. Anche le parti del volto sono spiritualizzate perché, secondo Giovanni Mauropode, un buon artista non deve solamente rappresentare ill corpo, ma anche l'anima. Tutta l'attenzione è concentrata sullo sguardo che irradia verso lo spettatore (cfr.tav. 30). All'inizio i grandi occhi aperti, smisurati, affascinano colui che guarda e s'impongono ad esso. Più tardi, dopo l'iconoclastia, quando l'icona ha trovato un certo equilibrio tra l'umano e ildivino e soprattutto sulle icone russe dal secolo XIV, questosguardo diviene più dolce, pur conservando la sua fermezza. Forse è un'espressione dell'esicasmo, la forza nuova nella vita reli-giosa, anche in Russia. Pertanto il tipo iconografico del Salvatore dallo sguardo corrucciato perde il suo aspetto ostile e diventa «l'amico degli uomini» dei testi liturgici, pur conservando la caratteristica della sua composizione. Al di sopra delle arcate sopracciliari che circondano gli occhi erafforzano l'espressione dello sguardo, si eleva la fronte, sededella sapienza, sovente molto alta, convessa ed espressione dellapotenza dello spirito. Il naso, che ha la radice nella fronte, è spesso allungato, il che dona ai volti una grande nobiltà. All'e-stremità del naso, le narici sottili, come vibranti sotto il movi-mento dello Spirito, esprimono l'amore appassionato del santoper Dio. Né troppo bombate, né troppo piatte, le gote attornianoarmoniosamente la bocca. Solamente le gote degli asceti, dei monaci e dei vescovi, mostrano rughe profonde, tracce del digiuno e delle veglie di preghiera. La bocca, la parte sensuale del volto, è molto fine, spesso dise-gnata in modo geometrico. Essa è sempre chiusa nel silenzio della contemplazione; san Giovanni Evangelista pone inoltre il ditosu di essa poiché, nel mondo della gloria, tutto è visione. Persino i santi intorno al trono di Cristo, malgrado le indicazioni della Scrittura, hanno le bocche chiuse. (In Occidente, invece, il Beato Angelico rappresenta angeli che cantano). Il movimento del volto termina in un mento energico, ma nonvolitivo, segnato anche attraverso la barba che scende nel ritmodelle sue ciocche. Il capo è sempre circondato da un'aureola, simbolo della gloriadi Dio, che completa questo processo di spiritualizzazione delpersonaggio. La tendenza a spiritualizzare si mostra forse ancor più chiara-mente nei dettagli dell'icona. Nonostante varie fluttuazioni, incerte epoche, l'arte bizantina evita di rappresentare la natura co-me ci appare: così le rocce dei paesaggi sembrano sfuggire allapesantezza. Le architetture spesso sontuose e gli oggetti non sonosubordinati allo spazio, ma hanno ciascuno la propria prospettiva. Analogamente i colori non sono quelli della natura, ma assumono un significato e obbediscono alle esigenze della composizione. Il tutto viene poi penetrato da una luce che non getta ombre: è la luce della divinità che è comunicata attraverso le gerarchie celesti e terrestri per riflettersi, in ultimo grado, nella materia dell'icona.

Immagine e realtà

Queste particolarità dell'arte bizantina ci pongono una domanda: l'uomo del Medio Evo identificava quest'arte con la realtà incui viveva? È probabile che vedesse la natura come la vediamooggi. Bisogna dunque cercare le ragioni delle forme particolari diquest'arte, non nell'osservazione, ma nelle idee che guidavano questa stilizzazione. In effetti, fin dai primi secoli, l'arte religiosarinuncia sempre più alla bellezza terrestre dell'antichità e creaforme nuove. Così, dopo un'evoluzione di vari secoli, appare ilmondo iconografico di Bisanzio. Le forze di questa evoluzioneartistica erano le idee religiose e filosofiche dell'epoca. Nello stesso tempo, esse preparavano i fedeli a vedere nell'immagine la vera realtà, che è al di sopra di tutte le apparenze. Pertanto, malgrado l'erudizione e l'interesse dei bizantini perle scienze, la questione della somiglianza con la natura non si poneva, perché l'immagine doveva rappresentare le verità eterne.Per esprimere il loro carattere misterioso, doveva servirsi di unlinguaggio pure misterioso, diverso da quello del nostro mondo.

L'immagine come segno

Secondo l'aristotelismo, l'uomo ha una duplice possibilità per conoscere il mondo: il pensiero diretto, in cui l'oggetto si presenta senza intermediario alla percezione, per esempio nella sensazione, e il pensiero indiretto, in cui un segno determinato si pone tra la realtà e lo spirito. Anche se questa distinzione non è mai molto netta, poiché la coscienza dispone di diversi ordini di immagini, la rappresentazione indiretta è fondata sul segno che include necessariamente due elementi: il significante e il senso che annuncia, cioè il significato. Questi due elementi, che sono due aspetti di una stessa realtà, costituiscono il segno. Pertanto, nel segno, il mondo spirituale si unisce al mondo materiale. Come rappresentazione indiretta, il segno può essere una semplice rappresentazione adeguata alla realtà, che, come tale, rende presente l'oggetto. Esso rappresenta l'oggetto come una copia stilizzata o è fondato su delle convenzioni. A questa categoria appartengono i segnali della vita quotidiana, i cartelli stradali, i segni e gli algoritmi delle scienze, come pure le parole di una lingua. La loro funzione è di esprimere delle definizioni in modo più chiaro e pratico, ma restano nei limiti del loro dominio, sono come chiusi in se stessi. Quando un segno non presenta più una cosa sensibile, ma un senso astratto, cioè quando il significato non è più rappresentabile, allora appare una dimensione che oltrepassa il significante: il segno diventa simbolo. Quindi, nel simbolo, il significante e il significato sono intimamente uniti, ma il modo della loro unione è un'analogia e non un'equazione. Vi è un rapporto tra il segno concreto, materializzato e una realtà assente, impossibile a percepire. Tuttavia, nonostante i suoi limiti, il significante rappresenta il senso pieno del significato. Inoltre, per l'influenza del significato, il significante partecipa all'apertura sull'infinito: pertanto il simbolo è centripeto, mediante il significato tende versol'indicibile, diviene epifania. Tale interazione allarga le qualitàdel segno; esso può esprimere valori non raffigurabili e persinoantinomici. (Così il simbolo «fuoco» può avere una gamma disignificati che va dal «fuoco purificatore» fino al «fuoco infernale»). Un'altra conseguenza dell'estensione dei simbolo è che non sipuò facilmente determinarne il senso. Il simbolo può avere persi-no sensi diversi e, per l'interpretazione derivata dalla visione particolare di un artista o sotto l'influsso di circostanze storiche, essopuò ricevere una portata nuova. Così l'orante delle catacombepuò essere un simbolo dell'anima di un defunto, della preghieraed anche della Chiesa. Il carattere trascendente del simbolo esige pure un modo diespressione che oltrepassi quello del segno: limitandosi a un senso diretto, esso rappresenta il contenuto con una certa enfasi, amplifica la forza di espressione ed agisce per ridondanza. A ciò si aggiunge la ripetizione, che permette di approfondire l'irraggiamento del simbolo. Così in campo religioso, con una ripetizione di parole e di gesti, i fedeli sono invitati ad aprirsi al mondo dell'aldilà. Alla categoria del simbolo appartengono anche le sue altre forme: l'emblema, l'allegoria, la parabola ed anche il segno sotto i suoi diversi aspetti nella filosofia moderna. Tutto ciò mostra laricchezza e le potenzialità del simbolo, ma non cambia la sua essenza, il suo carattere trascendente. Il pensiero cristiano, che tende ad esprimere i misteri della fede, utilizza largamente il simbolo. Inizialmente si serve di simboliche, nonostante la loro origine pagana, rappresentano valori trascendenti dell'umanità. Essi sono approfonditi, arricchiti, con unsenso specificatamente cristiano (la colomba, il pavone, l'ancora). In seguito, il senso originale scomparirà per far posto a nuove creazioni, come il pesce o l'agnello, simboli di Cristo. Alla fine di questa evoluzione, quando la teologia avrà elaborato la dottrina dell'Incarnazione, l'immagine propriamente detta sostituirà il simbolo per divenire la rappresentazione privilegiata dei misteri. Pur conservando tutte le proprietà del segno e del simbolo,l'immagine sacra aggiunge l'elemento umano. Trascendente ed astratto, il simbolo diviene immagine trascendente ma concreta. Pertanto l'infinito si riflette nel finito, l'indicibile si lascia esprimere.

L'immagine come partecipazione al divino

Nella sua analisi delle diverse specie di immagini (Adversus eosqui sacras imagines abiciunt, verso il 730), Giovanni Damasceno applica le categorie neoplatoniche di Dionigi l'Areopagita. Per lui l'immagine è partecipazione al modello, al prototipo. Essa non è solamente poetica, ma ontologica; la partecipazione è somiglianza ontologica. Per sua natura, la partecipazione nell'ordine della creatura non è mai adeguata, ma include sempre una deficienza. Pertanto san Giovanni Damasceno definisce l'immaginecome «una somiglianza che caratterizza il prototipo, pur essendodifferente in qualche cosa». Il grado di somiglianza dipende dalgrado della sua partecipazione al prototipo. E il principio della classificazione di san Giovanni Damasceno. Partendo dall'immagine consostanziale che è il Verbo, arriva all'icona, il riflesso delle realtà invisibili nella materia.
L'immagine, nella sua forma perfetta, egli dice, non esiste che nella SS.ma Trinità: è il Verbo eterno generato dal Padre, che possiede in sé la pienezza della natura divina. Tutto ciò che possiede il Padre, lo possiede pure il Figlio. Il Verbo è partecipazione perfetta, senza deficienze, somiglianza perfetta: la sua natura è la natura stessa del prototipo. Il grado seguente di questa gerarchia è l'immagine che Dio ha delle cose create da lui: il mondo così come esiste nel «consiglio eterno di Dio». San Giovanni Damasceno riprende qui l'espressione di Dionigi che le aveva qualificate «predeterminazioni». Prima della loro esistenza, dall'eternità, le cose sono presenti nel pensiero di Dio come un modello, come un'immagine. Il terzo genere di immagini sono le cose visibili in quanto rappresentano le cose invisibili, «senza figura, affinché, raffigurandole corporalmente, ne abbiamo una conoscenza velata». La ragione è che l'uomo non può elevarsi alla contemplazione delle cose invisibili senza la mediazione delle cose visibili. Anche la Scrittura si adatta all'insufficienza del nostro spirito, per risvegliare innoi il desiderio di Dio. Analogamente la natura rivela i misteridella fede: nel sole, nella sua luce e nei suoi raggi si riflette il mistero della Trinità e per somigliare a Dio, l'uomo ha ricevuto l'intelligenza, la parola e il respiro. Il quarto genere di immagini è vicino al precedente: sono le cose future che possono essere prefigurate con una cosa o un avvenimento presente: così il roveto ardente evoca la Madre di Dio,l'acqua e la nube evocano lo Spirito che battezza. Il quinto genere di immagini è quello delle cose passate che sono fatte per conservare la memoria di un personaggio o di un avvenimento. Queste immagini sono espresse con la parola nei librio sono riprodotte su quadri per essere contemplate da noi. «Grazie ad esse, evitiamo il male e aspiriamo al bene». E’ a questo punto che san Giovanni Damasceno menziona le icone: «Noi pure, oggi, dipingiamo immagini (icone) di coloro che sono stati eminenti in virtù, per richiamarceli alla memoria, imitarli e per l'amore che portiamo loro». San Giovanni Damasceno non va più lontano nella sua analisi dell'immagine. In questa gerarchia che va dalla somiglianza per-fetta per l'identità sostanziale tra il Padre e il Figlio, fino alle cose sensibili, l'immagine occupa il gradino più basso. Qui l'analogia èla meno perfetta. San Giovanni Damasceno non distingue l'immagine naturale, la sola capace di partecipare alla sostanza del prototipo, e l'immagine artificiale, che partecipa con la sola somiglianza. La sua concezione dell'immagine si fonda piuttosto su una partecipazione ontologica.
La ragione di queste ambiguità è dovuta indubbiamente al fatto che Giovanni Damasceno doveva far fronte all'obiezione fondamentale dell'iconoclastia, cioè che la materia è cattiva, incapace di rappresentare le realtà spirituali. Per rivalorizzare la materia, egli resta nelle categorie del neoplatonismo di Dionigi e cosìdà alla partecipazione ontologica un nuovo aspetto, fondandosi sulla cristologia: «Non cesserò di venerare la materia per la quale mi è venuta la salvezza, ma non la venero come Dio. Come potrebbe essere Dio ciò che ha avuto l'esistenza dal nulla? Anche se il corpo di Dio è Dio, essendo divenuto per l'unione ipostaticasenza cambiamento ciò che dà l'unzione, pur rimanendo ciò che èper natura, e cioè carne animata da un'anima ragionevole, creatae non increata? Ma venero pure il resto della materia mediante laquale mi è venuta la salvezza, come riempita di energia divina edi grazia (...). Non disprezzare la materia: essa non è disonorevo-le, perché nulla di ciò che Dio ha fatto è disonorevole». Da questo testo risulta bene il carattere dell'immagine nellasua ricchezza, anche se appartiene all'ultimo gradino della gerarchia. Il principio fondamentale di questa concezione deriva dall'Incarnazione del Verbo. Nell'unione del Verbo con la natura umana, il corpo di Cristo è divenuto santo, pieno di grazia; Giovanni lo chiama persino homótheos, uguale a Dio. E, nel suo corpo, tutta la materia è stata santificata. «Sembra che nel pensiero del Damasceno vi sia l'idea di una comunicazione diffusa della santità del corpo di Cristo alle altre materie, a una partecipazioneontologica tra il corpo di Cristo e la sua effige. Pertanto l'icona può divenire mediatrice di grazia». Queste due analisi dell'immagine, l'una nello spirito e nel metodo dell'aristotelismo, l'altra seguendo lo schema del neoplatonismo di Dionigi, sembrano a prima vista opposte, ma in fondovengono a coincidere. L'analisi del segno parte dalla forma piùsemplice per elevarsi fino al simbolo con il suo carattere epifanico. L'analisi dell'icona comincia con l'immagine consostanziale nella divinità, per scendere fino alla più grande materializzazione. Indubbiamente, la seconda concezione è più ricca, suppone la Rivelazione ed è più abituale al mondo bizantino, tuttavia esse hanno in comune il tratto essenziale dell'icona: una presenza dell'indicibile che scaturisce dalla materia.

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