Per comprendere il filo di queste Domeniche sarà buona norma rifarsi alla Domenica precedente, ma anche dare una scorsa alle Domeniche che seguono, cercando di possedere mentalmente la logica sviluppata da testi di eccezionale importanza.
1) Ant. ingr.: Sal 26,8-9a, « Salmo di fiducia individuale ». La meditazione costante del Salmista fedele, che sale dal suo « cuore », ossia dal centro della sua anima, è « cercare il Volto » del Signore. Il «volto » indica la persona. Il fedele vive nell'impegno della sua vita, che viene dalla promessa del Signore di farsi trovare se sarà cercato. Si è visto che il luogo propizioper cercare il Signore è il suo santuario (Es 33,7). L'Orante dunque è teso al conseguimento di questa promessa (v. 8b). Né egli si dimentica che il Volto divino indica anche l'aspetto nuziale: la Sposa desidera con ogni sua forza di vedere il Volto dello Sposo, preludio dell'unione nuziale trasformante.È il medesimo desiderio dello Sposo, di Ct 2,14: « Mostra a me il volto tuo - fa che io ascolti la voce tua » (cfr anche Ct 8,13). Perciò l'Orante innalza la sua epiclesi ansiosa, in forma negativa, affinché mai il Signore cessi di mostrare il Volto suo (v. 9a). Infatti se il Signore distoglie la sua Presenza e la sua cura benevola, la povera realtà umana resta immersa nella tristezza del peccato (Sal 50,13), dell'abbandono di morte (Sal 21,2; 68,18; 101,3; 142,7; Ger 7,15). L'Orante invece desidera solo vivere alla luce di questo Volto divino.
2) V/ Ev.: Mt 17,5, adattato, la Voce del Padre nella Trasfigurazione. Il testo orienta la lettura che segue, e dunque va riletto nel contesto. L'imperativo del Padre a noi è a dare ascolto totale al Figlio. La teologia simbolica ci dice che stessa, la presenza concreta; l'occhio vuole sempre vedere il volto, come l'orecchio vuole sempre ascoltare la voce e questo in Dio stesso: Ct 2,14, Orante vuole sempre godere di questa visione trasformante, del Volto-Presenza, Volto d'amore e di bontà (v. 8a).
3) EVANGELO: Mt 17,1-9, la santa Trasfigurazione del Signore. Per due eventi essenziali della Vita del Signore, Matteo non presenta la «formula d'adempimento »: il Battesimo e laTrasfigurazione, benché essi con la Croce e la Resurrezione siano le massime operazioni del Disegno divino per il Figlio. Essi vanno dunque riletti sempre come un unico determinante contesto. In sé, la Trasfigurazione è così importante, che seguendo i Padri che la trattarono a fondo, le Chiese orientali ne fannoil cardine capitale della loro spiritualità. Per la comprensione del fatto, occorrerà sempre rifarsi alloschema di Marco, il quale appare meno incisivamente in Matteo e Luca. La Trasfigurazionesta dunque in uno schema preciso, con le sue anticipazionie le sue riprese, come si vede ponendo a confronto Marco e Matteo:
Mc8,27-30: Pietro confessa la fede messianica 31: il Signore predice la Passione e Resurrezione per la 1a volta 32-33: antifede di Pietro, il «satana » 34-37: il vero discepolo del Signore 38: il Figlio dell'uomo viene nella gloria 9,1: con lui viene il Regno 9,2-8: IL SIGNORE È TRASFIGURATO 9: il Figlio dell'uomo risorge dai morti, Elia è tornato, la fede del padre del lunatico, il Signore gli guarisce il figlio, la fede dei discepoli, il Signore predice la Passione e Resurrezione per la 2a volta, il Signore istituisce gli apostoli. Lo schema è decisivo, e va compreso così, battezzato dal Padre con lo Spirito, al Battesimo riceve il' suoprogramma battesimale nelle 3 Parole del Padre: « Il Figlio mio - il Diletto - in te Io già mi compiacqui »; sul suo Battesimo è tentato (Dom. Ia di Quaresima); svolge il suo Programma nello Spirito, annunciando l'Evangelo ed operando le opere del Regno. Come annota con più rigore Marco,ad un certo punto sul piano umano la sua missione è fallita; il Signore, non ha potuto radunare intorno a sé un popolo discepolo e missionario. Gli restano solo 12 discepoli, numero simbolico del «resto» delle tribù d'Israele. Adesso per proseguireha bisogno di una duplice «confermazione»: della fede di questi discepoli; e della Presenza del Padre con lo Spirito.Solo allora il suo Programma battesimale può proseguire finoalla Croce. D'altra parte, «intorno alla Trasfigurazione» si ha, prima e dopo, con la fede dei discepoli, con la figura del vero disce-polo, la Venuta del Figlio dell'uomo e la sua gloria del Regno, il 1° e 2° annuncio della Passione e Resurrezione, i veri fini della Trasfigurazione; e di nuovo l'istruzione dei discepoli. Gli esegeti annotano che per l'evento sulla Montagna il Signore prende con sé i 3 discepoli consueti, Pietro, Giacomo e Giovanni (v. 1; già quando guarisce la figlia di Giairo, Mc. 5,37; poi al Getsemani, Mt 26,37); li prende come testimoni,secondo la Legge (Dt 17,6; 19,15), sicché l'evento è vero, storico, testimoniabile da persone ben conosciute nella Comunità, e di immenso prestigio, non solo per allora, ma anche fino a noi ed oltre. Il Signore li « conduce in alto » (ana-phére), sul Monte elevato, « in privato ». I Padri qui hanno visto con acutezza che questo è l'inizio della « vita con Cristo », la vita mistica, essere innalzati a vivere solo con lui. E davanti ad essi (v. 2) « fu trasfigurato », metamorphósi, mutare forma; ed in specie attraverso i segni di una teofania: il Volto suo sfolgora come il sole (Sal 35,10; Ap 1,14; 10,1), le vesti diventano bianche come la luce (Sal 28,3; 103,2); è il Figlio dell'uomo nella sua gloria (Dan 7,9, l'Antico di giorni, il Dio eterno, che trasmette la sua gloria al Figlio dell'uomo). La Luce del Volto del Signore è la Luce increata di Dio, manifestatasi nel Verbo Dio (Gv 1,1-5), propriamente nella sua Umanità mortale. Questa per un istante riceve la Gloria trinitaria, che è l'esperienza della Resurre- zione, quella che poi sfolgorerà in Cristo (2 Cor 3,18). Le vesti bianche, indizio della Maestà infinita di Dio, sono qui personaggi celebri, Mosè ed Elia, che si mostrano ai due disepoli. L'A.T. al completo, la Legge ed i Profeti, testimoniano adesso il N.T. per intero. Le spiegazioni sui due personaggi sono varie ed interessanti. Ambedue avevano ricevuto la teofania divina sul Monte, il Sinai e l’ Horeb. Ambedue erano stati attratti in alto dal Signore, «in privato». Ambedue "erano restati soli di fronte all'apostasia del popolo. Ambedue avevano ricevuto la Parola divina da portare ai loro popolo. Ambedue erano morti misteriosamente, di Mosè non si co-nosceva il luogo della sepoltura, Elia era salito sul carro difuoco. Soprattutto, ambedue erano stati gelosi dei diritti delloro Signore, per cui avevano sofferto angosce mortali. Adesso i due «parlano con» Gesù. Il colloquio è indicibile, certoha come contenuto la realizzazione della Promessa antica, ma sotto il «segno » terribile della Croce (esplicitato da Lc 9,31: l'esodo che Cristo deve fare a Gerusalemme). Entra come sempre per primo in azione Pietro, un pocoper sua iniziativa sempre impetuosa, un poco a nome deiconfratelli intimoriti (v. 4). Al Signore dice che è il segno della Vittoria eterna, che si mostra a tutti gli uomini chiamandoli a contemplarla ed a viverla. Al v. 3 la teofania del Figlio di Dio nella teofania trinitaria che si espliciterà tra poco è visitata ossia buono restare lì, e si offre di drizzare 3 tende, perl Gesù, per Mosè, per Elia. Si tratta delle skénai, tende. E dunque della grande festa delle Tende o Tabernacoli, propriamente « delle Capanne » (cfr Es 23,16; descrizione in Lev23,33-43), la festa del raccolto finale d'autunno, la più solenne dell'anno, in quanto si era caricata di significato messianico ed escatologico, ed aveva come « segni » la luce e l'acqua, come centro l'altare del santuario, come tensione il dono dello Spirito Santo. Ancora una volta, come nel deserto i pani dalle pietre avrebbero anticipato il convito messianico senza la Croce, così Pietro, il « satana » (Mt 16,23, dunque poco prima),tenta di far inaugurare dal Signore l'era escatologica senza giungere a Gerusalemme ed alla Croce. È l'inconsapevole opposizione al Disegno divino. Pietro non può «porre le tende ». Lo può, solo il Padre, che pure aveva rivelato a Pietro che Gesù è « il Figlio del Dio Vivente » (ancora una volta,poco prima, in 16,16 e 17). Adesso (v. 5a) interviene con il seguito della teofania, che smentisce radicalmente ogni opposizione alla Croce: la Nube luminosa fa ombra su tutti loro. Il verbo qui è episkiàxó, il medesimo usato in Lc 1,35 per lo Spirito Santo, che fa nascere da Maria il Figlio di Dio. Si aprono così altre prospettive, e decisive. La teologia simbolica ci insegna che la Nube della divina Gloria si posa sul Sinai dopo l'alleanza (Es 24,16), e successivamente prende possesso del santuario (Es 40,18), mentre accompagna il popolo nel suo esodo verso la terra, protezione permanente, di giorno, mentre di notte assume la forma della colonna di Fuoco (Es 13,21-22); la spiegazione è che « il Signore in forma di Nube e di Fuoco li precedeva » (ivi). E mentre è chiaro che i servitori del santuario antico, del culto geloso al Dio Vivente erano Mosè ed Elia, è chiaro che i servitori del Santuario nuovo, quello futuro, sono i discepoli del Signore.Poiché questo Santuario annunciato, dove dall'Alto discenderà per abitare ed officiare la divina Sapienza (Eccli 24,1-11), è il Tempio nuovo (Gv 2,17-22), il Corpo del Risorto(ivi), che dalla terra, attraverso la Croce, raggiungerà il Cielodove sta la sua dimora eterna. Perciò i suoi discepoli potranno esclamare: «E noi contemplammo la Gloria di Lui, Gloria dell'Unigenito del Padre! » (Gv 1,14), dove inabita in eterno il Pléróma per intero (Col 1,19), il Pléroma intero,della Divinità (Col 2,9), lo Spirito Santo, che deve riversarsi con supereffluenza da questo Santuario, sua unica inesauribile Fonte (At 2,32-33). Al v. 5 le due formule solenni: « ecco la Nube luminosa », inattesa e temibile; e « ecco la Voce ». Questa parla, e ripetela proclamazione del Giordano, di cui è la confermazione. La Nube della divina trascendenza dunque nasconde qualunque visione corporea, tuttavia la rivela potentemente quale Presenza indicibile ed efficace, onnipotente. Il Padre che parla adesso ha un'unica parola da rivolgere al Figlio, e mediante lui a tutti gli uomini, e questa parola ha come unico contenuto il Figlio. Matteo (e Lc 9,35) fa rivolgere questa parola ai discepoli, come anche a Mosè e ad Elia (Mc 9,7: invece il Padre si rivolge al Figlio): « Questo è, il Figlio mio - il Diletto in cui Io già mi compiacqui - ascoltate lui! ». Si ha così una duplice confermazione: a) del Battesimo, dell'investitura messianica, del Dono dello . Spirito, della missione di Figlio Re Popolo Servo Profeta (Is 42,1; Sal 88,3; Is 49,7, etc.); si veda anche la Dom. 1° per l'anno; b) della fede dei discepoli, i quali l'avevano proclamata sinceramente poco prima per bocca di Pietro (16,16-18); essi per ora non potranno comprendere; comprenderanno quando riceveranno lo Spirito del Risorto. Intanto però debbono operare il massimo atto verso Dio: ascoltare il Figlio suo, il Promesso come Profeta grande che parlerà le realtà di Dio (Dt 18,15), le quali si avvereranno dimostrandone l'autenticità (Dt 18,16-22). La predicazione apostolica dopo la Pentecoste se ne renderà molto bene conto (At 3,22). Intanto il Figlio, « il Diletto » (respingere qui l'ignoranza delle versioni moderne, che banalizzano più o meno così « il Figlio prediletto », distruggendo tutta una teologia), l'Isacco nuovo dunque (Gen 22,1-2) dovrà essere « ascoltato ». Ora, il gr. akoúo, l'ebr. shama`, indicano molto di più che l'ascolto materiale: ascoltare e obbedire, seguire, fare come. Il Figlio deve essere « ascoltato » dunque fino sulla Croce; e si sa che i discepoli tutti l'abbandoneranno (27,56b). La Luce, la Nube, la Voce sono dunque « visione e parola », le due componenti della Rivelazione biblica, qui prodottesi nella teofania. Se ne può dare uno schema assai istrut-tivo:A) visione teofanica: a) Trasfigurazione; b) splendore; c)sole; d) vesti di luce; e) appaiono Mosè ed Elia; B) parola teofanica: a) la Voce; b) parlante; c) le 3 Parole. Accanto a questo si pone la reazione dei discepoli (Pietro): « rispose » senza essere interpellato direttamente (v.4a); ancora parlava quando dalla Nube viene la Voce (v. 5a);e questo alla visione. Dopo la Voce, essi « ascoltano» e cadono in terra. Nelle chiese che vogliono essere cristiane debbono starele sante icone (non gli orribili quadri naturalistici, né le statue paganeggianti). Le sante icone si compongono di lucel'oro), di visione del Volto, della Parola biblica che individua l'icona: « Iésoús Christós - ho On », Gesù Cristo (Mc 1,1),Colui che è (Es 3,14). La visione deve essere controllata dallaParola. I discepoli dunque ascoltando la Voce cadono in terra; è la reazione umana alla teofania divina (cfr Gen 17,3.17; Ez1,28; Ap 1,17). Così sarà per le Donne fedeli al sepolcro vuoto del Signore. La causa è il terrore dell'Immane che si accosta alla fragilità. Tale terrore è sempre salutare, non schiaccia l'uomo, ma lo rigenera (v. 6). Gesù lo sa. Con grande benevolenza si accosta ad essi e li tocca per confortarli (cfr Dan 8,18; 9,21; 10,10.18), e gli porge parole dense di significato: « Rialzatevi e non temete! » (v. 7). Il primo verbo è egéire, che si usa per la resurrezione: dalla prostrazione estrema di chi si sente annullato dalla Divinità, allo stare in piedi davanti alla medesima Divinità. Il timore è dunque rimosso, e lo dovrebbe essere persempre. Ma questo avverrà a causa della Resurrezione, quan-do tutti noi al battesimo riceviamo « lo Spirito della filiazione », non « del timore » né « della schiavitù » (Rom 8,15;cfr Gal 4,6). Rialzatisi, i discepoli vedono ormai davanti ad essi solo Gesù. La teofania per ora è terminata con l'effetto voluto.La visione del Signore resta per sempre negli occhi dei discepoli. Hanno visto la sua Divinità, da adesso vedranno la suaUmanità. Che sanno che è portatrice della Divinità. È la Divinità (v. 8). Adesso discendono dal Monte, per tornare alla missione del Signore, missione battesimale che termina alla Croce. Il Signore raccomanda di non parlare della « visione » « finché il Figlio dell'uomo dai morti risorga » (anistknó) (v. 9). In- fatti, la Resurrezione che altro è, se non la Trasfigurazione resa eterna nell'Umanità del Signore? E se a lui, dunque anche a noi (Rom 8,11). Così i discepoli nella Trasfigurazione e Resurrezione realmente « videro la Gloria di Lui» (Gv 1;14). 4) Ant. com.: Mt 17,5, adattato, « Ascoltate lui! ». « Questo è il Figlio mio - il Diletto - ascoltate lui! » è la rivelazione permanente che lo Spirito del Padre fa a noi oggi qui » per l'eccesso superabbondante della divina Bontà. È la confermazione battesimale perenne per noi, come lo fu per il Signore, come lo fu per la fede di Pietro e dei discepoli di allora. E noi oggi qui ascoltiamo il Signore in questa sua divina Parola, in questa sua divina Mensa dei Misteri,in questa divina Sposa che è la Chiesa Madre nostra unica.E « ascoltando » obbediamo e seguiamo il Signore dovunque vada, a partire da questa triplice unitaria comunione alla suaParola, alla sua Mensa, alla sua Sposa, comunione donatacidallo Spirito. Solo così noi anche siamo tutti « figli del Pa-dre », i « diletti del Padre », l'oggetto del Compiacimentodel Padre. E i catecumeni presenti ascoltano le realtà inimmaginabili che essi stessi si apprestano a ricevere ed a vivere, anzi, ad essere.
5) A.T.: Gen 12,1-4a, «Abramo!... e Abramo parti.». La tentazione a cui Adamo soggiace provoca negli uominisuoi discendenti catastrofi a catena, da Caino e Lamek, dallaperdita dello Spirito di Dio al diluvio, fino alla Torre di Babele (cfr Gen 4,1-15; 4,19-24; 6,1-3; 6,4-7; 6,8 - 9,17; 11,1-9). Di fronte a tanta rovina, il Disegno di Dio, che sembraimpedito, in realtà opera sapientemente, e « riassume » la realtà per condurla al fine predecretato in forza della legge biblica della « selezione regressiva », o concentrazione regressiva, ossia tra tutti scegliere i pochi, o uno. Dopo Caino, Dio sceglie Set. Poi sceglie Noè. Poi sceglie Abramo. Questo uno,lo scelto, sarà lo strumento della salvezza per gli altri. È la teologia del « resto santo ». Con il « Regno » infatti il Signore opera la « sussunzione progressiva » o « riassunzione universale » degli uomini, raggiunti tutti dalla Grazia divina concentrata sul Resto affinché sia donata a tutti quelli che tale Resto vorranno accettare. Solo così si comprende la concentrazione finale, il Figlio di Dio, dichiarata nelle Genealogie (cfr ancora Dom. 4a d'Avvento). Lo Spirito Vivificante all'ultimo dei tempi è portato infatti agli uomini solo dal Figlio Risorto. La lunga Preparazione a questo, assume un'importanza nodale con Abramo. In Gen 10 la « Tavola dei popoli » èelencata ai vv. 1-5, come una meraviglia, poiché il Signore crea tante stirpi, tante culture, tanti volti, tutti ad « immagine e somiglianza » sua. Ma ai vv. 6-20 comincia una prima approssimazione concentrazionale, con la genealogia di Cani; la quale è seguita da quella più vicina ad Abramo, la genealogia di Sem, vv. 21-31, dove l'universalità è dichiarata al v.32: tutti discendono da Noè, come tutti discendevano da Adamo, e tutti debbono discendere da Abramo. Non solo, la Torre di Babele (11,1-9) e la sua catastrofe universale, la dispersione « delle lingue » per il peccato di superbia auto-idolatra, porta solo una frattura. Ai vv. 10-26 torna più da vicino la genealogia di Sem, la quale finalmente ai vv. 27-32 si concentra in quella di Terah (Tare), il padre d'Abramo. Ecco il tempo divino. Il Signore chiama Abramo, a comin-ciare da un imperativo duro ed irreversibile: « Vatti viadalla terra tua » (12,1). E questo è ribadito: « e dalla parentela tua », di più: « e dalla casa del padre tuo ». È lo strappo definitivo dalla patria e dalla cultura, dal gruppo parentale che è la protezione, come una madre, per ogni uomo, dalla famiglia più stretta, padre e fratelli, con cui si vive il medesimo destino e la medesima speranza. Una lacerazioneche attraverso tutta l'esistenza. Tanto più che il versetto è completato da una meta singolare poiché è ignota: « verso la terra che Io ti farò vedere », ti mostrerò. Questa analisiresterebbe, come piace tanto a noi moderni, alla psicologia ed al ripiegamento « sull'uomo ». Ma alziamo finalmente gli occhi! Chi era Abramo? Un idolatra: « Così parla il Signore: “I padri vostri, Tare padre di Abramo e di Nahor, abitavano al principio oltre il Fiume, e servivano gli dèi stranieri » (Gios 24,2). La dichiarazione di Giosuè a Sichem, prima delladivisione delle tribù per occupare ciascuna la terra assegna-tale, è brutale. Tuttavia essa è temperata dal seguito: « Tuttavia, Io presi Abramo padre vostro di là dal Fiume, e loguidai per tutta la terra di Canaan, e moltiplicai la sua discendenza, e gli donai Isacco » (Gios 24,3). Significa che il Signore opera tutta la sua Bontà. Per formarsi il Resto deve schiantare intorno a lui tutto, come faràper il Re messianico di Is 11,1 (Dom. 2a d'Avvento). Una chirurgia dolorosa, ma a lungo andare benefica. Il Padre è il divino Contadino, che sa usare divinamente l'arte della po-tatura, affinché i rami residui producano molto frutto, dirà il Signore nella Cena (Gv 15,1-2). La potatura dolorosa chiede di più: la fede immediata ecerta. Il Signore non comunica ad Abramo se non le linee del suo Disegno: « la terra che dopo Io, quando sarà il tempo,ti mostrerò ». Così la fede chiede l'abbandono del vecchio,e l'abbandono nel Signore. La dote con cui il Signore accompagna il suo Abramo è tuttavia di inaudita abbondanza, e si può distinguere in 4 linee confluenti: a) la terra; il « luogo » normale dove il futuro popolo d'Abramo vive con il Signore; b) Abramo stesso, reso « benedizione » dalla divina benedizione. E qui ancora una volta vale richiamare il biblico significato di questo atto supremo: « la benedizione torna sul Benedicente ed unisce a Lui il benedetto »; cfr qui anche Gen14,18-20, la benedizione di Malkisedeq, la prima realizzazione; poi 24,1.35; 27,9; quindi Num 24,9; Dt 26,5; 1 Re3,8. È la prosecuzione in crescendo della divina benedizione nella creazione, Gen 1,28 e 2,3. Da questa benedizione il nome, l'essenza d'Abramo, sarà magnificato tra gli uomini, ma anche davanti al Signore stesso; c) la discendenza, « un popolo grande », che deriverà da Abramo (v. 2);d) la «benedizione di fraternità »: in Abramo si benediranno, si riconosceranno benedette dal Signore tutte le « stirpi » (mishpehet, termine di difficile traduzione) della terra; è l'aspetto universale che il Signore ricostituisce nell'uomoche ha prescelto. E questo avverrà così: le stirpi si benedi-ranno per riconoscersi sotto la discendenza d'Abramo, equeste allora saranno benedette dal Signore. Le benedizioni,atti di comunione, si incrociano indissolubilmente. Ma il Si-gnore pone come centro e mediatore universale solo Abra-mo. Per questo dà una sanzione severa: quanti non benedi-ranno Abramo, lo « malediranno », ossia si desoliderizze-ranno da lui, il Signore li « maledirà », ossia li rigetterà, sidesolidarizzerà da loro (cfr Es 23,22). Già in Gen 18,18; 22,18 comincia la ratifica di questabenedizione universale. L'elogio sarà cantato in Eccli 44,21. Il N.T. richiamerà con insistenza Abramo e la sua storiache termina in crescendo nella sua Discendenza, Gesù Cri-sto (Gal 3,8.16.18). In Rom 4 tutto il capitolo, centratoinizialmente su Abramo, termina poi con la « benedizione »abramitica realizzata, Cristo Risorto, il Figlio della Promessa(Gal 3,6), già presente in Abramo nell'episodio delle decime di Malkisedeq (Gen 14,20b, perciò Sommo Sacerdote perfetto. Infatti questa Promessa d'Abramo discesa adesso sui pagani(Gal 3,14), così che « se voi siete di Cristo, dunque siete discendenza d'Abramo, perciò voi siete eredi secondo la Promessa » (Gal 3,29). Ad opera esclusiva dello « Spirito del Figlio » di Dio, effuso nei cuori, « il quale grida Abbi'!, Padre! » (Gal 4,6; Rom 8,15). Insomma, « fratelli, voi siete figli della Promessa, come Isacco » (Gal 4,28). Immensa teologia della storia, che investe noi battezzati fedeli, e sta per investire anche i catecumeni, chiamati « di là dal Fiume », dalle loro patrie e lingue e culture e parentele, a formare l'unica Famiglia di Dio. Questo è possibile solo per un gesto decisivo di Abramo, narrato con la totale semplicità biblica: « Allora, andò Abramo » (v. 4a). È l'accettazione non contrattata, ma incondizionata. Totale e silenziosa. Umile e fidente. L'epistola agli Ebrei ne farà l'elogio, quando parlerà così: « Per la fede, chiamato, Abramo obbedì per uscire verso il luogo che stava per ricevere in eredità, ed uscì non sapendo dove va. Per lafede abitò nella terra della promessa come straniera, in tende avendo abitato, insieme con Isacco e Giacobbe, i coeredi della promessa medesima » (Ebr 11,8-9). E la spiegazione splendida segue subito: « Si aspettava infatti la città avente le fondamenta, della quale Artèfice e Creatore è Dio »(v. 9). La fede senza luce d'Abramo, sarà poi provata e tentata con la richiesta del sacrificio dell'unico figlio, Isacco, « il diletto » suo. La Notte della Resurrezione questa sarà una Lettura risonante.
6) Sal 32,4-5.18-19.20 e 22, « Inno di lode ». Questo Salmo per i vv. 6 e 9, dove si canta dell'operadivina con la Parola e con lo Spirito, ha formato l'oggettodi profonde e suggestive riflessioni dei Padri. I vv. 1-3 è un seguito di « imperativi innici » ad esultare, lodare, celebrare, inneggiare, cantare al Signore il « cantico nuovo » (cfr Es15,1-18: cantico antico e sempre « nuovo », sempre il medesimo). Il v. 4 ne dà la motivazione, che prosegue pertutto il corpo del Salmo. Il Signore dunque va celebrato, poiché la Parola sua è « retta », giusta. Essa proclama solo la Bontà divina, l'inflessibile intervento soccorritore, causato dalla Fedeltà di-vina che non deflette (v. 4a). Di qui discende che in questa Fedeltà indicibile provengano opere perfette (v. 4b; Dt32,4; Dan 4,34; Ap 15,3), come riconosce l'Orante. Infatti, per il bene degli uomini che ama, il Signore può esserefedele solo a se stesso, alla Parola che esce dal Cuore suo,Parola creante ed operante, Parola trasformante. Egli non può né deve essere « fedele all'uomo », con tutti i suoi peccati e apostasie e ripensamenti e capricci e viltà. L'antropolatria che pare abbia investito i cristiani del nostro secolo (ma le radici lontane stanno nell'eterno oscillare agostinista e pelagiano di tutto l'Occidente, così povero in teologia, in spiritualità ed in religiosità) usa l'espressione « fedele all'uomo » come una bandiera dietro cui sta il nulla. Se cosìvogliamo esprimere che vogliamo servire tutti i nostri fratelli, allora occorrerà tornare, o cominciare forse, a proclamare che vogliamo essere « fedeli solo al Signore ». La motivazione della glorificazione del Signore prosegueal v. 5a con l'acclamazione grata al Signore che ama solo« giustizia e giudizio », due termini analoghi per indicare il suo intervenire per la salvezza, e sempre con amore, in specie a favore dei poveri e degli oppressi a causa del Nome suo. È un tratto biblico costante (cfr Sal 10,8; 36,28; 44,8; 98,4; 145,9; e Mt 23,23), che sarà poi trasmesso conlo Spirito al Re messianico (Is 61,1; vedi la Messa crismale). E la misura di questo non può essere data, bensì solo di-chiarata, poiché l'immensa Bontà del Signore, la Misericordia che è la « morale dell'alleanza » da Lui rigorosamente rispettata, riempie la terra (Sal 103,24; 118,64), e consi-ste d'altra parte nella sua Gloria (Is 6,3 ), che trasmetterà anche da questa parte al Re messianico (Is 11,9; vedi Dom.2a d'Avvento). È la Misericordia, istanza ultima e prima di ogni salvezza (Ab 3,3). motivo grande, dunque, della lode al Signore (v. 5b). Chi «teme il Signore », ossia vuole con tutto il cuore adempiere alla sua Volontà rivelata, adesso sa dall'Oranteche ha il privilegio unico, meraviglioso, della costante perenne Presenza del Signore con lui. La metafora è bellissima, gli Occhi del Padre buono sono fissati con amore struggente sui piccoli figli bisognosi di tutto. Quel Volto divino si volge sempre e solo verso i figli si preoccupa di essi, pronto ad intervenire per esaudirli (Sal 33,16;10,5; 140,8). Lo sa bene chi soffre (Giob). Lo ripete il sapiente ai giovani (Eccli 15,20; 34,19; Sap ). Lo canta tutta Sion, a questo invitata (Sal 146,11). E lo conferma la fede apostolica (1 Pt 3,12). Chi spera solo nella divina Misericordia, si trova confermato (v. 18b). Il primo effetto di questi Occhi divini è dunque l'intervento misericordioso. Ed anzitutto questo produce lo scampo dalla morte che sta sempre in agguato (v. 19a), poi siconfigura come il Convito divino, con il Cibo che salva dallafame e porta alla vita (v. 19b; 38,10-11; 36,19.25; 110,5;Giob 5,20; Lc 1,53, il Magnificat). La risposta dell'Orante a nome di tutta la comunità diventa adesso proclamazione. l'adesione volenterosa,di fede, al Signore, tante volte dal Salmista (20a; 24,3; 61,2; 105,13; 129,4), e gioiosamente ma ferreamente ribadita dai Profeti (Is 8,17). E non può essere altrimenti, poiché solo nel Signore si trova l'Aiuto ed il Protettore (v. 20b; 113,9-11), non esistendo negli uomini nes-suna speranza, neppure nei capi dei popoli (145,2d; 117,9 ),dagli uomini non parte mai la salvezza (117,8; Is 2,22).Così che, smentendo l'ottimismo pelagiano moderno che sifonda « sull'uomo », Geremia dirà la parola più forte dell'A.T.: « maledetto l'uomo che confida nel geber », nell'eroe forte (Ger 17,5). Il Salmo termina con un'epiclesi: a quanto speriamo noi, corrisponda sempre la divina Misericordia (v. 22). Così ècompletato lo schema stupendo di questo inno, che a rileggerlo sì presenta così. La Misericordia divina dell'alleanza opera: a) con la Parola, v. 4; b) con la Parola e lo Spirito, v. 6; c) con la Parola creatrice, v. 9; d) attuando il Disegno eterno, v. 11; e) con l'assiduo sorvegliare gli eventiumani, v. 13; f) con la Mente divina fissa sugli uominiamati, v. 15; g) con gli Occhi provvidenti, v. 18. In tutto questo l'unica nota: l'Amore divino fedele, permanente, efficace. R/ v. 22: l'epiclesi del v. 22 serve oggi da splendido ritornello.
7) Apostolo: 2 Tim 1,8b-10, il Signore chiama e dona laluce sua. Nei vv. 6-7 l'Apostolo richiama il discepolo diletto, Timoteo, a tenere sempre in opera la Grazia divina ricevuta con l'imposizione delle mani di Paolo; attraverso questa egli ricevé lo Spirito della carità, e la sobrietà, ossia la presenza integra ed operante. Adesso Paolo si pone come l'esempio vivente per Timoteo, e mediante lui per tutta la comunità. Egli si gloria, non si vergogna, di essere stato chiamato per testimoniare il Signore Risorto, neppure nella situazione oppressiva, miserabìle, di stare prigioniero a causa dell'Evangelo. Anzi esorta Timoteo a non mettere in uso gli sforzi umani, ma al contrario a mettere fiducia nella Grazia che proviene dalla Potenza divina che è stata conferita, lo Spirito Santo. È lo spiegamento di tutto il Disegno divino, che adesso Paolo riassumerà per linee rapide. Infatti Dio già ci salvò, operazione terminata con irreversibilità totale (Gal 4,21;5,1; Tit 3,5; Rom 8,28; Ebr 3,1), ed il segno finale di questa salvezza è che, donandoci la vocazione a formare la Ekklésis hagía, fece di noi questa «Santa Convocazione ». Non si tratta della santità della vocazione personale, come si potrebbe leggere a prima vista, ma di elezione ed innalzamento a vivere davanti al Signore quale Ekklésía, la Chiesa, la Santa Convocazione, termini ricorrenti nel vocabolario paolino: 1 Cor 1,2; 2 Cor 1,2; Rom 1,7. Da questa inserzione salvifica nella Comunità dei santi, ovviamente sono escluse le « opere previe » in base alle quali gli uomini po-trebbero acquisirsi dei meriti da rivendicare davanti a Dio (v. 9b), poiché nessun uomo è giusto, semmai potrà essere solo « giustificato » da Dio (Rom 3,28). Ma questa inserzione salvifica deriva esclusivamente dal Progetto e Grazia,ossia dal Disegno prestabilito da Dio, che opera secondo laGrazia dello Spirito. E la Grazia ci venne come esclusivoed immeritabile Dono del Padre « in Cristo Gesù », il che significa che occorre vivere ormai « in lui » per beneficiarne (cfr Rom 8,9). Viene la descrizione dell'indicibile Disegno divino. Questa Grazia fu concessa a noi dal Disegno eterno divino, dunque dall'eternità beata, « prima dei tempi dei secoli », ossia prima della creazione delle ere, le quali perciò furono create in funzione di quella Grazia (v. 9c). Tratto paolino tipico: Rom 16,25; Efes 1,4; Tit 1,2. Tuttavia la rivelazione divina finale (verbo phaneróó, un termine tecnico della rivelazione) fu manifestata « adesso », quando si ebbe l'epifania che è la Resurrezione di Cristo Gesù, così costituito come il Salvatore (Rom 16,26; Tit 2,11; 1 Cor 15,55), avendo calpestata, conculcata la morte ed avendo illuminato la vita e l'immortalità incorruttibile (cfr Sal 55,13;Giob 33,30). Ma tutto questo in concreto per noi avviene nella predicazione dell'Evangelo portata dagli Apostoli (v. 10).Coll.: il Padre ci comanda di obbedire al Figlio suo Unico,e noi gli rivolgiamo l'epiclesi, affinché nutra il nostro spi-rito con la Parola sua, e purifichi le nostre facoltà al fineche possiamo gioire della Visione trasformante di Lui.
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