Si sforza di entrare, lo impedisce la superbia...
Prenda il farmaco dell'umiltà.
Beva, antidoto alla superbia, la pozione amara, ma salutare....
Quasi infatti che il superbo sia a chiedere: “Per dove entrerò?”
“Io sono la via”, dice Cristo.
“Entra per me: volendo entrare per la porta,
non puoi camminare che per me.
Poiché, come ho detto: Io sono la via, così: Io sono la porta.
E che vai cercando per dove far ritorno,
dove tornare, per dove entrare?”
Perché tu non vada a smarrirti in qualche luogo,
egli si è fatto tutto questo per te.
Perciò ti dice in breve: “sii umile, sii mite”.
S. Agostino
Dal Vangelo secondo Luca 13,22-30.
Passava per città e villaggi, insegnando, mentre camminava verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Rispose:
«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete.
Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze.
Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità!
Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio.
Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi».
Il commento
Una «porta stretta» ci separa dalla felicità: “la porta della fede che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma” (Benedetto XVI). La “porta” della Chiesa è quella “stretta” alla quale hanno bussato generazioni di pagani che volevano vivere come i cristiani.
In questi avevano visto le primizie di una vita diversa. Sapevano che, dietro quella “porta”, vi era un Regno che non aveva eguali sulla terra. La luce che risplendeva in questo Popolo nuovo offriva a tutti una nuova speranza di “salvezza”, diversa dalle religioni, dalle filosofie, dalla politica e dai divertimenti: “quando irruppe il cristianesimo, la sua superiore capacità di affrontare i problemi cronici dell’Impero Romano diventò presto evidente e giocò un grande ruolo nel suo definitivo trionfo” (Rodney Stark).
Crollavano certezze e, nella decadenza politico-morale dell’Impero Romano, la giovane Chiesa emergeva come una roccia indistruttibile. La testimonianza che spesso diveniva martirio spalancava il Cielo in una terra che odorava di morte. Se i cristiani potevano offrire gratuitamente la vita per un nemico, allora significava che la vita eterna da loro predicata era l’unica speranza attendibile. E poi lo si vedeva nei loro volti, in quegli sguardi capaci di cantare sereni davanti agli aguzzini e ai leoni che ne ghermivano la vita.
Per questo, nel “tale” che “chiede” a Gesù se “sono pochi quelli che si salvano”, possiamo riconoscere tutti gli uomini di ogni generazione che hanno cercato nei cristiani la risposta al senso della propria vita. E la Chiesa, con Gesù, non cessa di rispondere annunciando una “porta stretta”: gli apostoli predicano da sempre Cristo crocifisso, perché la Croce è la porta attraverso la quale il Signore è entrato nel Cielo, conquistando per tutti la “salvezza”. Al Signore e ai suoi discepoli non interessa la contabilità dei salvati. Egli ha dato la vita per tutti, e con il Padre, vuole che tutti siano salvati. Ma mai violentando la libertà.
Non vi è allora altro cammino che quello, angusto, della Croce, dove la libertà dell’uomo incontra quella di Dio. Su di essa il Padre offre la “salvezza” e l’uomo può liberamente accoglierla: essa corrisponde a tutto quello che ci umilia, che vorremmo cambiare della nostra vita. La Croce è quello che agli occhi della carne è morte, da sfuggire. Ma su di essa vi è Gesù ad abbracciarci; è Lui la “porta” attraverso la quale si giunge alla “salvezza”: “attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del Signore Gesù” (Benedetto XVI).
Nelle parole di Gesù vi è rappresentato proprio questo cammino: esso è sintetizzato dal suo inizio - quando si bussa per la prima volta alla porta stretta della Chiesa - e dalla sua fine – quando si bussa alla porta altrettanto stretta del Cielo. Il cammino tra queste due porte è riassunto nella “conoscenza”, che significa relazione intima d’amore. Attraverso il catecumenato la Chiesa gestava nei catecumeni l’uomo rinnovato ad immagine di Cristo. Un cristiano, infatti, “viene da” Cristo, e con Lui “lotta per entrare” nella vita attraverso la porta stretta della Croce. La traduzione "sforzatevi" ha una sfumatura volontaristica e moralistica che non rende giustizia all'originale. Non si tratta di fare di tutto per passare attraverso la porta, immaginandoci sovrappeso... Il greco dice "lottate": lottare nella preghiera, lottare contro gli attacchi del demonio che ci mostra la porta stretta come un assurdo; si lotta prima di entrare, "per" avvicinarci alla soglia ed entrare. Come e con Gesù nel Getsemani: aggrappati a Lui possiamo ripetere al Padre l'Abbà che consegna la nostra volontà alla sua; allora, con Cristo, entreremo nella Passione preparata per noi. Così, al termine di ogni giorno come alla sera della vita, sulla soglia del Regno, saremo “conosciuti” da Colui del quale abbiamo conservato l’immagine, "lottando" in mezzo a mille battaglie e cadute; il Padre saprà "di dove verremo", perché saremo con il suo Figlio.
Anticamente, all’interno della porta grande di una città ve ne era una di servizio, più piccola, che veniva chiusa per ultima. Ad essa si riferisce Gesù, come a un’immagine fedele della Croce: essa attendeva Gesù a «Gerusalemme», come ogni suo discepolo nella propria «città». Solo attraverso di essa possiamo entrare ogni giorno nel “Regno di Dio” e trovare pascolo. Solo la sapienza della Croce, infatti, sa andare oltre a quella carnale e vedere la resurrezione e la salvezza nella “città” dove viviamo, anche quando ci sembra una condanna a morte. Al banco di scuola o dietro la scrivania dell’ufficio, a pranzo e a cena con moglie e figli, o di notte, distesi sul talamo nuziale: ovunque è preparata per noi la Croce attraverso la quale giungere al prossimo e “servirlo”.
Viviamo in un tempo di Grazia donatoci per convertirci, sino al giorno in cui la porta sarà «chiusa». Forse lambiamo la serietà della vita, non accettiamo che vi sia un giudizio e che vi siano momenti irripetibili per amare che si aprono e si chiudono: su di essi saremo giudicati. Dio, infatti, apre ogni giorno delle porte strette, con la forma del carattere della moglie o del marito, o dei difetti di chiunque è accanto a noi; occasioni uniche di amare, ascoltare, perdonare.... Quello che ci è offerto oggi, non tornerà mai più dinanzi al nostro cuore. Certo, donarsi non è facile, anzi, la carne si ribella, eppure dall'altra parte della "porta stretta" vi è il Regno, la comunione, la gioia infinita da assaporare con chi ci è accanto. Se sfuggiamo queste "porte strette" che si aprono per noi, perderemo l’intimità con Cristo e con i fratelli, “allontanati” da Lui e dalla “salvezza”, la felicità che non si corrompe.
Forse, chiedendoci “quanti” si salvino, cerchiamo una spiegazione allo scandalo dell’amore di Dio che fa sorgere il sole su buoni e cattivi e non estirpa il male; mentre questa domanda dovrebbe incendiare il cuore di zelo per la salvezza di tutti. La Chiesa non può restare indifferente anche a uno solo che si perda. Forse ci indigniamo anche noi, ed è un modo per eludere la questione fondamentale: non importa “quanti si salvino”, ma se io sarò tra di loro.
La storia ci dice che non siamo salvi affatto. Quante volte abbiamo «cercato» di «entrare» nella comunione e nella pace con i fratelli ma «non ci siamo riusciti»; la sapienza della carne ci ha abituato a passare per la porta larga della soddisfazione del proprio “io”; così, di fronte all’urgenza di donarci per salvare il matrimonio o per non perdere nostro figlio, non sappiamo da dove cominciare. Il peccato ci ha fatto sperimentare la morte e, come i progenitori «scacciati fuori» dalla casa del «Padrone», «non abbiamo forza» di «lottare» per amare.
Allora ci affrettiamo a «bussare», pregando e chiedendo consigli, ma è solo il tentativo di giustificarci con le nostre «opere», perché la "porta stretta" l'abbiamo vista solo da lontano. Certo Gesù ha «insegnato» nelle nostre chiese, è stato «presente» quando «abbiamo mangiato e bevuto» nelle liturgie; ma non saremo giudicati in base al numero di messe a cui abbiamo partecipato: dinanzi alla «porta stretta» della Croce, infatti, scopriamo di aver sepolto “iniquamente” nella superbia l’immagine di Gesù, nonostante i riti e gli impegni in parrocchia. Il Padre non può riconoscere chi non ama come il suo Figlio, anche se ha il suo nome sempre tra le labbra…
Ma è ancora giorno, e Gesù “passa” accanto a noi “insegnando” come convertirci, perché il «pianto e lo stridore di denti» che sperimentiamo oggi a causa dell’orgoglio, non ci accompagnino domani e per l’eternità. La salvezza è dischiusa dinanzi a noi oltre la «porta stretta» del sepolcro del Signore. La forza dirompente della sua risurrezione ha rotolato via la pietra che ci impauriva e ci attira verso di Lui.
Lasciamo che il Signore tagli via quanto in noi è troppo grande e ci impedisce di passare per la "porta stretta"; che, attraverso persone ed eventi, ci faccia scendere dai «primi» posti della superbia, all’«ultimo» dell’umiltà che ci salva. Il suo amore può “allontanare” da noi l’uomo vecchio “operatore di iniquità”, per farci entrare nel Regno di Dio e sederci a «mensa» in compagnia dei Patriarchi e dei “profeti”, sperimentando con loro la stessa fedeltà di Dio. Le parole di Gesù sono una chiamata decisa all'evangelizzazione. Essa si compie innanzitutto entrando per la "porta stretta". La "lotta" è il seno dove è gestato l'annuncio del Vangelo. Come accadde nella Chiesa primitiva, coloro che varcavano la "porta stretta", attraverso il "combattimento" del catecumenato prima e della vita cristiana poi, erano la primizia delle Nazioni che sarebbero state raggiunte dal vangelo. Dietro alla "porta" vi sono tutte le generazioni dei salvati, attirati dai cristiani, raggiunti dal Vangelo e accolti nella Chiesa. Siamo chiamati a "lottare" non solo per salvarci, ma per portare con noi le moltitudini che Dio ha legato a noi, “da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno”; perché nel Regno, potremo godere insieme a tutti quelli che, ad ogni estremo confine della terra, l’annuncio del Vangelo li ha “salvati” come ha “salvato” noi.
Nessun commento:
Posta un commento