E chi è quel Samaritano se non lo stesso Salvatore?
O chi fa maggiore misericordia a noi,
quasi uccisi dalle potenze delle tenebre
con ferite, paure, desideri, furori, tristezze, frodi, piaceri?
Di queste ferite solo Gesù è medico;
egli solo sradica i vizi dalle radici
Clemente Alessandrino, Quis dives 29
Dal vangelo secondo Luca 10, 25-37
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Il commento
“Noi non possiamo volere cosa alcuna, se essa non è
conosciuta” (San Tommaso). Così, per
chiedersi “cosa fare per ereditare la vita eterna” occorre crederci, conoscerla
e desiderarla. Ma forse anche noi “ci alziamo”
con superbia per “mettere alla prova Gesù” sulla questione decisiva per la
nostra vita.
Gesù ci invita allora ad aprire la Torah e
cercare “Cosa vi è scritto”. Con il Dottore della Legge, probabilmente troveremo
le parole dello Shemà, l’amore a Dio e al prossimo, sintesi della Legge. E’ la
risposta giusta, chi “fa questo vivrà”. Gesù non dice che se ameremo
erediteremo poi la vita eterna, ma che amando
si comincia già a sperimentarla. La prospettiva è rovesciata: non si tratta
di “un fare” a cui spetta una ricompensa, perché desidera ereditare la vita
eterna solo chi ha già cominciato a gustarla.
L’eredità, infatti, non si conquista, è un diritto
naturale, spetta al figlio come un dono dell’amore paterno. Per un israelita l’eredità
consisteva nella Terra, il compimento delle promesse
di Dio contenute nell’Alleanza stipulata sul monte Sinai: “Mosè prese il libro
dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto il Signore
ha ordinato, noi lo faremo e lo ascolteremo!». Prima fare e poi ascoltare, ma la contraddizione è solo apparente: si ascolta quando si ama; e si ama Dio quando si ha l’esperienza della sua misericordia e
ascoltarlo diviene un bisogno “vitale”.
Ma qui inciampiamo tutti perché, scoprendo di non
saper amare, capiamo di aver dimenticato l’amore che ci ha salvato tante volte;
allora iniziamo a “giustificarci” chiedendoci “chi sia il nostro prossimo”.
“I Farisei escludevano i non farisei; gli esseni
pretendevano che si odiassero tutti i “figli delle tenebre”; i rabbini
dichiaravano che si dovevano “sotterrare” tutti gli eretici, i delatori e gli
apostati e non estrarli da sotto terra” (J. Jeremias). Lo scriba prova Gesù per
vedere chi considera come prossimo e
trasgredisce la tradizione: per mostrarsi giusto fa
di Gesù un eretico; come accade a noi quando selezioniamo accuratamente il prossimo da amare, mentre
coviamo rancore da anni per la suocera.
Ma Gesù smaschera l’inganno rivelando che il
prossimo da amare come se stessi è proprio il samaritano: “Chi
ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?”. Quell’uomo “gettato mezzo morto” è lo scriba e ciascuno di noi, mentre il suo prossimo è il
samaritano, un eretico! E il samaritano è Gesù, che ci ha amato al punto di farsi maledizione e morire come un
bestemmiatore ed eretico per noi, eretici mille volte al giorno; allontanandoci
da “Gerusalemme”, siamo incappati negli inganni del demonio, il “brigante” che
ci ha “spogliato” di tutto, lasciandoci “mezzo morti” sul ciglio della vita: “All’uomo
che giaceva in tali condizioni portò aiuto il nostro Samaritano, cioè Gesù, che
i Giudei chiamarono Samaritano, che significa custode” (S. Agostino).
Il “sacerdote” e il “levita” non si avvedono delle
sofferenze dei propri fratelli, perché chi non riconosce il prossimo nel
Samaritano, non lo potrà vedere nel fratello e proprio coloro che
dovrebbero custodire il popolo, come una madre e un padre, un
marito e una moglie, non si curano del fratello: “siamo disorientati, non siamo più attenti, non curiamo, non
siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri… siamo caduti nella globalizzazione
dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci
riguarda, non ci interessa, non è affare nostro” (Papa Francesco, Omelia a Lampedusa).
Al “samaritano”, invece, interessa
la sofferenza, conosce il dolore dal di dentro, sa che cosa significa
essere rifiutato, come Gesù che ha conosciuto sino in fondo le conseguenze del
male. Lui è il buon pastore che prende sulle spalle la pecora perduta per
ricondurla alla “locanda”. Si “prende cura” di lei con il “vino”, il sangue
sgorgato dalle sue ferite, e “l’olio”, il suo Spirito Santo. Paga il prezzo del
nostro riscatto con la sua vita, le “monete” lasciate al locandiere. “Ci
affida alle cure” della Chiesa, la madre premurosa che per noi “spende più” di
ogni ricchezza umana, in attesa del “ritorno” del Signore che la sazierà di
consolazioni.
Gesù “scende” anche oggi nel suo giardino cercando l’amata e
il suo nardo, come quando “Israele emise la sua fragranza davanti al monte
Sinai e disse: Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo e lo ascolteremo” (Cantica Rabah 1,12.1). E’ paradossale, ma dalle
sue ferite, l’uomo “mezzo morto” ha emesso la sua fragranza, e di quella
povertà Gesù si è innamorato. Così anche noi, proprio quando siamo prostrati e
incapaci dinanzi al matrimonio che fa acqua, ai figli che si ribellano, alla
disoccupazione e alle malattie, feriti dal peccato, possiamo fare e ascoltare: quando siamo deboli e l’uomo vecchio e
orgoglioso è ormai sepolto, siamo forti perché caricati sull’unico che ha
compiuto sino in fondo lo Shemà.
Per questo Gesù è l’unico Dio, l’unico Signore, da
amare con tutto il cuore, con tutta la mente, e con tutte le forze. In
Lui ogni uomo diviene prossimo, l’eredità dove l’amore a Cristo si traduce
spontaneamente in amore all’uomo, che rende ogni istante, ogni pensiero, ogni
moto del cuore, ogni opera delle nostre forze un frammento della vita eterna.
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