XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. ANNO C


l martirio di Rabbi Akiva

Secondo il Talmud, per cercare di eliminare per sempre l'Ebraismo, il governo Romano proibì ai Maestri Ebrei di insegnare la Torah. Tuttavia, Rabbi Akiva si rifiutò di seguire questo decreto e fu catturato e condannato a morte.
Mentre il torturatore gli bruciava la pelle, il Rabbino sorrideva e recitava le preghiere
della sera, collegandosi così con il sacrificio serale nel Tempio di Gerusalemme. I suoi discepoli volevano risparmiargli quell'ultimo sforzo: "Maestro, ora però sei dispensato!".
Ma 
Rabbi Akiva disse: «Per tutta la vita mi sono tormentato a causa del verso:"Amerai il Signore tuo Dio con tutta l'anima", 
con il mio ultimo respiro, 
e mi sono sempre chiesto quando sarei stato capace di adempiere questo precetto, ed ora che finalmente posso adempierlo, non dovrei farlo?»
Allora egli cominciò a recitare lo Shemà: "Ascolta Israele, Hashem è il nostro Dio, Hashem è uno" (Shemà Yisrael, Hashem Elohenu Hashem echad) e morì mentre pronunciava l'ultima parola.
Si racconta che in quel momento una voce dal Cielo proclamò: «Tu sei beato Akiva, il tuo respiro si è spento con "Echad". Tu sei beato Akiva, avrai una parte nel Mondo Avvenire.»

(Questo racconto si trova nel Talmud Bavlì, Berachot 61b)



Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 22,34-40. 

Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 
e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 
«Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». 
Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 
Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. 
E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. 
Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti»


IL COMMENTO


In noi si nasconde il fariseo dottore della Legge che mette alla prova Gesù. Anche quando le domande circa gli eventi che non comprendiamo sono avvolte nel mantello della preghiera, occorre fare molta attenzione. I Padri del deserto ci insegnanoa chiedere ai pensieri che si affacciano in noi: siete dei nostri o del nemico? I farisei erano i più religiosi, conoscevano la Scrittura e la Tradizione, vivena una vita impeccabile. Ma proprio questa profonda dimestichezza con le cose di Dio celava il pericolo dell'ipocrisia, la doppiezza che sbarra la strada alla conversione e alla felicità. Così in noi. Ci avviciniamo al Signore chiedendo quale sia il comandamento più grande in questa concreta situazione che siamo chiamati a vivere; cerchiamo la chiave per risolvere le questioni e vivere nella pace, secondo la volontà di Dio, ma, spesso, proprio dentro a queste domande si nasconde un cuore perverso che tenta Dio. Un cuore attaccato alla propria volontà, ai propri criteri, religiosi e quindi umani, alle proprie pre-comprensioni che in fondo non sono che pregiudizi. Preghiamo, ci consultiamo, chiediamo aiuto, ma in fondo si tratta solo di un vano mormorare contro Dio, rivestito - ipocritamente - di pietà, per indurre le circostanze a prendere la piega che desideriamo e crediamo essere l'unica giusta e ragionevole; e tutto questo legittimito dall'autorità dell'imprimatur religioso di chi, umilmente, ha cercato e trovato la via per compiere la Legge, la volontà di Dio.



E' l'atteggiamento di quanto si avvicinano a Gesù chiedendogli quale sia il comandamento più grande. Il termine comandamento, secondo le sfumature dell'ebraico, rappresenta una parola che affida un incarico, un comando fissato come un ordine di servizio; è la legge "incisa" che orienta e dirige il compimento di una missione. Il comandamento, secondo la tradizione di Israele, è sempre una parola di vita. Osservare, compiere i comandamenti è la via alla riuscita della vita, perchè la vita è una missione affidata a ciascun uomo: "Vi ho costituiti perchè andiate e portiate frutto, ed il vostro frutto rimanga". E' quanto chiede il dottore della Legge, e quello che chiediamo oggi nella concreta situazione nella quale ci troviamo. Ma stiamo tentando Gesù. Per questo, accanto allo Shemà Gesù affianca l'amore al prossimo: fa rimbalzare la domanda su di noi. Ce la restituisce con la risposta celata dentro. Ecco il comandamento più grande: Ascoltare - obbedire - amare Dio con tutto se stessi. E il prossimo come se stessi. La risposta circa la Parola fondamentale sulla vita, è nell'amore al prossimo. Lo Shemà era per qualunque Israelita il più grande comandamento. La novità che rende unica la risposta di Gesù sta nell'amore al prossimo. E proprio in questo la tentazione cui il dottore della Legge sottopone Gesù si trasforma in chiamata a conversione per egli stesso. Chi sei? Per chi e per che cosa vivi? Che ne è delle tue relazioni, delle persone che ti sono accanto? Che ne è di Abele? Ami o no?


La questione è davvero cruciale, decisiva. Ci smaschera: vorremmo piegare le circostanze a nostro favore, fare della nostra volontà quella di Dio. Non siamo liberi ma schiavi di noi stessi. E il Signore oggi viene a liberarci con la sua Parola di Verità: non amiamo nessuno e per questo tentiamo Dio. Non vogliamo lasciar nulla di noi stessi, gli altri sono un ingombro, al punto che dovrebbero rendersi conto che l'unica forma di essere amati è quella che noi abbiamo pensato per loro. MArito, moglie, figli, fidanzati, tutti come marionette amate dal nostro egoismo. Ma il Signore oggi ci illuimina: Cerchi Dio e la sua volontà? Vai a chiamare il tuo prossimo. Fammi vedere come ami chi ti è accanto. Per questo Gesù ha mostrato in se stesso il fondamento di questo comandamento: lo ha mostrato sulla Croce, nell'annientamento totale, subendo l'ingiustizia più grande, facendo sua l'umiliazione di Giobbe. Laddove la carne non aveva più risposte, infilzate tutte le ipotesi e le soluzioni, Gesù ha compiuto lo Shemà, offrendo se steso al Padre nella consegna ad ogni uomo, ai suoi stessi carnefici. E' solo al capolinea delle possibilità, nel fallimento completo di noi stessi che la vita comincia ad essere autentica. Laddove non abbiamo più argomenti con cui tentare Dio ha inizio la libertà di accogliere l'unicità di Dio, la sua Verità e il suo amore come uniche possibilità. Ed in essi abbandonare la nostra vita, pensiero, anima, e forze. Arrenderci a Lui infatti è la soglia dischiusa sull'amore al prossimo. Amarlo come se stessi significa infatti amarlo come siamo stati amati dall'unico amore; amarlo senza riserva alcuna, in una consegna a Colui che ci ha amato che non difende e risparmia nulla. L'assurdo di un amore che supera ogni limite, e per questo, entra nel Cielo, nel compimento della missione e della vita.

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