Fa che io non dimentichi mai
che Tu hai stabilito in terra un regno che è Tuo,
che la Chiesa è opera Tua,
da Te stabilita, il Tuo strumento;
che noi siamo soggetti alle Tue regole, alle Tue leggi, al Tuo sguardo,
che quando la Chiesa parla, sei Tu che parli.
John Henry Newman, Meditations and Devotions
Mt 21,33-43.45
In quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: “Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò.
Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono.
Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero.
Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?”. Gli rispondono: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”.
E Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: ‘‘La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri’’? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare”.
Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta.
IL COMMENTO
Nel Vangelo di questa domenica il Signore ci parla di noi, della nostra famiglia e della sua storia, per illuminarla e così poter annunciarci la Buona Notizia. Essa è buona davvero solo quando incontra qualcosa di cattivo, la schiavitù secondo l'etimologia della parola cattivo; la notizia del Vangelo è buona perchè infonde speranza laddove questa è perduta, e annuncia un cambiamento radicale, un sovvertimento. Il cuore del cristianesimo - il Discorso della Montagna - descrive il paradosso del Regno dei Cieli, la vigna che produce frutto a suo tempo: "ma io vi dico" ripete il Signore, sospingendo il nostro sguardo a guardare più in là, laddove non avremo mai pensato, ad una pietra scartata, al fallimento, al disprezzo, ai criteri di Dio: "Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio" (1 Cor. 1, 26-29). Dio ha scelto una vigna perchè gli dia gloria, peso e sostanza nel mondo. Una vigna che dia i frutti: i segni inequivocabili della sua esistenza e della sua presenza, annunciando e autent
E' lo stile di Dio, come ripente sovente Benedetto XVI: "Dov'è il sapiente? Dov'è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1 Cor. 1, 20-25). I frutti di cui il Signore parla nel Vangelo di oggi sono quelli che fruttificano dalla stoltezza e dalla debolezza di Dio, il paradosso che ha smascherato la malizia dello stile del mondo: l'amore folle e infinito rivelato nell'ultimo degli uomini, Cristo crocifisso, scandalo e stoltezza e per questo perseguitato, maltrattato, rifiutato e infine ucciso: il frutto nel quale anche gli altri acquistano sapore e fragranza, l'unico che permette ad ogni altro frutto di nascere, crescere e giungere a maturazione: "Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto: "Chi si vanta si vanti nel Signore" (1 Cor. 1, 30-31). In Lui il vanto diviene testimonianza della sua potenza che si manifesta pienamente nella debolezza, frutto squisito e rigenerante preparato per ogni fame e sete di giustizia.
Non a caso il Vangelo, nella descrizione della vigna, seguendo il famoso Cantico della Vigna di Isaia, pone al centro un frantoio: la croce sulla quale il Signore ha versato il suo sangue, il frutto che lava il peccato. Nel cuore della vigna la vite preparata per dar frutto: la Croce. Ed il frutto benedetto, il Signore Gesù Cristo Crocifisso. Per entrare nella vigna, nell'assemblea santa eletta e convocata, il Popolo chiamato a dar frutto, occorre accogliere la Vite. I riti che inaugurano il battesimo infatti iniziano con l'assunzione del neofita da parte dei padrini e poi dal suo venire interamente ricoperto dal segno della Croce compiuto dai padrini e dal ministro. E' la vigna che "sin dall'inizio prende, in certo qual modo, possesso del catecumeno tracciando sopra di lui il segno della Croce. Non soltanto egli ne verrà interamente avvolto, ma ognuno dei suoi sensi ne riceverà l'impronta" (L. Bouyer, Invito alla Parola di Dio). All'inizio del rito il ministro dice:
Ricevete la croce sulla fronte:
Cristo stesso vi protegge
con il segno della sua vittoria.
Imparate ora a conoscerlo e a seguirlo.
Poi, Mentre si segnano gli orecchi:
Ricevete il segno della croce sugli orecchi
per ascoltare la voce del Signore.
Mentre si segnano gli occhi:
Ricevete il segno della croce sugli occhi,
per vedere lo splendore del volto di Dio.
Mentre si segnano la bocca:
Ricevete il segno della croce sulla bocca,
per rispondere alla parola di Dio.
Mentre si segnano il petto:
Ricevete il segno della croce sul petto,
perché Cristo abiti
per mezzo della fede nei vostri cuori.
Mentre si segnano le spalle:
Ricevete il segno della croce sulle spalle,
per sostenere il giogo soave di Cristo.
Poi il celebrante segna da solo contemporaneamente tutti i catecumeni tracciando su di essi il segno della croce, senza toccarli, mentre dice:
Vi segno tutti
nel nome del Padre
e del Figlio e dello Spirito Santo,
perché abbiate la vita nei secoli dei secoli.
Al termine il ministro prega così:
Dio onnipotente,
che per mezzo della croce
e della risurrezione del tuo Figlio,
hai donato la vita al tuo popolo,
concedi che questi catecumeni,
che abbiamo segnato con il segno della croce,
seguendo gli esempi del Cristo,
attingano da essa la forza che salva
e con l’esempio della loro vita
ne rendano testimonianza.
Per Cristo nostro Signore.
Per entrare a far parte della Vigna occorre dunque ricevere la vera Vite, la Croce sulla quale il Signore ha disteso le sue braccia per offrire ad ogni uomo i frutti del suo amore sino alla fine. Per dar frutto è necessario essere crocifissi con Cristo, perchè la nostra vita nella sua totalità, nel cuore, nella mente e nel corpo, sia un frutto da consegnare a suo tempo occorre imparare a restare innestati nella vera vite. Perchè senza di Lui non possiamo far nulla, non possiamo dar frutto. Per questo il catecumeno è accompagnato, istruito, corretto, scrutato; come è stata la storia del Popolo di Israele, una lunga formazione per poter accogliere il Figlio e a Lui finalmente dare i frutti coltivati. Così anche dopo il battesimo la Chiesa accompagna i suoi figli perchè diano i frutti a suo tempo. "Piantare la vigna è un lavoro paziente e intelligente, che esige impegno e fatica. Bisogna cercare il terreno giusto, adeguatamente solatio, scavarlo profondamente e drenarlo, scegliere e piantare ogni vitigno. Il contadino fa questo con gioia, pensando al frutto. «Piantare la vigna» sintetizza l'azione di Dio per il popolo eletto, dai patriarchi ai Giudici, dalla promessa all'eredità della terra, attraverso la liberazione dall'Egitto e il dono della Parola" (S. Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Matteo). La siepe era un muretto a secco eretto a protezione della vigna: era il simbolo della Legge, che santificava il Popolo di Israele, lo separava dagli altri popoli, proteggendolo dalle contaminazioni: era il sigillo dell'Alleanza, la cifra della presenza divina, ne indicava il cammino della vita, disegnava profeticamente i frutti che avrebbe dato. La torre era una costruzione posta all’interno della vigna, per difenderla dai ladri e dalle bestie selvatiche, nella stagione dei frutti: era il segno del Tempio dove raccogliere i frutti. Il frantoio era infine segno dell'altare dei sacrifici, laddove i frutti, venivano offerti in sacrificio, di comunione o di supplica. Il frantoio altare dove guardare a Dio e ricevere misericordia, la siepe della Parola e la Torre della liturgia: Dio aveva fatto tutto perchè la sua vigna desse frutto a suo tempo. Così come ha fatto tutto perchè la Chiesa, il Popolo della Nuova Alleanza, dia il frutto che salvi le generazioni. Così come ha fatto con ciascuno di noi: quanto amore, quanta pazienza, quante grazie: il perdono dei peccati, la predicazione, i sacramenti, la comunità, i pastori e i catechisti. Tutto perchè potessimo dar frutto, l'amore stesso rivelato nella Croce.
E invece Invidia. Violenza. Concupiscenza. Nel Vangelo di oggi appare un parossismo di violenza senza fine. I vignaioli sono preda di una carne schiava, imprigionata dalle passioni. E tutto esplode al momento del raccolto, quando si debbono fare i conti. Dare e avere. Questo l'angusto limite nel quale i vignaioli avevano chiuso il loro rapporto con il padrone. Immagine di un rapporto sterile, giocato sulle convenienze, senza amore. E dove non c'è amore, le passioni, qualunque esse siano, alla lunga si scatenano. E i frutti? Probabilmente v'erano dei frutti. Ma i coltivatori se ne volevano appropriare, e, con essi, volevano far propria tutta l'eredità. L'inganno più profondo, quello sussurrato dal serpente ai piedi dell'albero della vita. tu dio! Appropriarsi dei doni, non capendo che sono donati. E allora bisognerà uccidere e fare violenza; lottare e conquistarsi un posto, una posizione; sgomitare per un traguardo, e compromessi, sotterfugi, astuzie, furbizie. Offrire tutto a se stessi e in tutto ed in tutti scorgere un nemico da cui difendersi e da combattere. Oppure atteggiamenti serissimi, intransigenti, tutti-dun-pezzo per avere quello che si ritiene spetti di diritto. E si uccidono i messaggeri. E si uccide il Figlio, Lui, che viene a donare. Lui che viene ad amare. Gli occhi accecati dall'inganno più feroce, che Dio non è amore, solo leggi, e sbarramenti, e tabù, e ingiustizie. Se Dio non è amore, allora niente amore in nessuno, l'equazione è fin troppo semplice. E giù violenza, apparentemente senza senso, senza moventi, se non quelli d'un veleno che scorre impazzito nelle vene, nei cuori e nelle menti.
Tutto è avvelenato. La verità è amore, innanzi tutto. L'amore pervertito, il dono, il gratuito dono d'amore è trasformato in vile commercio, in violenta rapina. E, alla fine, il Figlio giace appeso ad una Croce. Lì, fuori della città. E tutta la violenza, i peccati, gli inganni vengono caricati sulle Sue carni. Eccolo muto, come un agnello di fronte ai suoi tosatori. Ecco la pietra scartata dai costruttori di imperi di carta. Solo. Gettato in preda all'inferno. L'amore consumato. E compiuto, nel perdono, di cui la risurrezione ne è la prova. L'ultimo divenuto primo, il rigettato divenuto testata d'angolo. E' questa l'opera di Dio, ed è una meraviglia. La malizia del nostro peccato, quella violenza che giace sotto la cenere dei giorni che sembrano sempre uguali, passati a mormorare, a giudicare, tramando rivincite e riscatti, il fuoco che s'impenna alla resa dei conti, quelle fiamme d'ira che ci travolgono finalmente spente nelle viscere di misericordia di chi ci ama davvero. Per questo la santa umiltà di Cristo è la salvezza. In Lui germoglia il frutto più dolce: l'amore che sconvolge. Al male ecco la risposta inaspettata. Al nostro male, ai nostri inganni, la risposta del suo amore: questa è la verità. Noi, vecchi coltivatori fraudolenti e assassini rinnovati nel Suo sangue per consegnare i frutti a suo tempo. I frutti del Suo amore, frutti gratuiti. Il cristianesimo e la nostra vita hanno senso solo in questo amore gratuito.
In Cristo, e solo in Lui, possiamo oggi vedere distrutto l'uomo vecchio simboleggiato dai vignaioli assassini e rinascere come un uomo nuovo, entrare a far parte degli altri cui è data la vigna, la primogenitura. "Il Discorso della montagna è una cristologia nascosta. Dietro di essa c'è la figura di Cristo, di quell'uomo che è Dio, ma che proprio per questo discende, si spoglia, fino alla morte sulla croce. I santi, da Paolo a Francesco d'Assisi fino a madre Teresa, hanno vissuto questa opzione mostrandoci così la giusta immagine dell'uomo e della sua felicità. In una parola: la vera "morale" del cristianesimo è l'amore. E questo, ovviamente, si oppone all'egoismo - è un esodo da se stessi, ma è proprio in questo modo che l'uomo trova se stesso" (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Vol. I). Cristo, l'Uomo Nuovo che fa di ciascuno di noi uomini nuovi, cosicchè possiamo offrire tutto di noi come un frutto maturo della fede adulta: l'amore che brilla nel Discorso della Montagna, compiuto da Cristo nell'ora della Croce e in ciascuno di noi, nelle ore delle nostre croci.
Quando Gesù sente che i Greci, i pagani, lo vogliono vedere, riconosce in questo il segno che è giunta l'ora di glorificare il Padre, di dare frutto. "Se il chicco di grano caduto in tera non muore rimane solo. Ma se muore produce frutto. Per questo sono giunto a quest'ora!". E' questo il criterio che il Signore vuole donarci, quello degli amministratori fedeli che consegnano il frutto a suo tempo. Immersi nell'amore di Dio, aggrappati ai suoi doni, riconoscere in ogni persona, in ogni evento, l'ora in cui dare frutto. Il tempo è già compiuto, ora! Il frutto non consiste in un programma realizzato, neanche in un'opera missionaria che abbia successo. Il frutto non è cambiare gli eventi e neanche le persone che ci sono accanto. Il frutto è l'amore qui ed ora, riconoscere l'ora e glorificare, nella Croce, nel fallimento, nell'avversione, nel nemico che si fa prossimo, nella malattia, in ogni evento. E' questa la pienezza della vita, essere crocifissi con Cristo e illuminare e salvare il mondo attraverso la sua presenza viva in noi. La stoltezza e la debolezza di Dio incarnata nella nostra storia per salvare ogni debolezza e ogni stoltezza che avvelena l'uomo. E' questo momento quello favorevole per dare frutto, Lui ha già preparato tutto, basta solo aprire una fessura nel nostro cuore, lasciare che Egli operi e abbandonarci al suo amore.
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Omelia 5 sull' Hexameron, 6 ; SC 26, 304
Portare frutto
I Signore non cessa di paragonare l'anima degli uomini a delle vigne: «Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle» (Is 5,1); «Ho piantato una vigna e l'ho circondata con una siepe» (cfr Mt 21,33). Sono evidentemente chiamate da Gesù come sua vigna, le anime, che egli ha circondate, con i suoi comandamenti e con la custodia dei suoi angeli, come con una siepe. Infatti «l'angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono» (Sa 33,8). Poi ha piantato attorno a noi una specie di supporto, stabilendo alcuni nella Chiesa «in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri» (1 Cor 12,28). Inoltre, con gli esempi dei santi che ci hanno preceduto, eleva i nostri pensieri senza lasciarli cadere a terra dove meriterebbero di venire calpestati. Vuole che gli abbracci della carità, come i viticci di una vigna, ci attacchino al prossimo e ci facciano riposare su di lui. Così, tenendo sempre il nostro slancio diretto verso il cielo, ci eleveremo come delle vigne rampicanti, fino ai più alti vertici.
Ci chiede ancora di consentire ad essere sarchiati. Ora un'anima è sarchiata quando si allontana dalle preoccupazioni del mondo che sono un fardello per i nostri cuori. Così colui che allontana da sé l'amore carnale e l'attaccamento alle ricchezze o che ritiene detestabile e disprezzabile la passione per questa miserabile vana gloria è per così dire stato sarchiato, e nuovamente respira, sgombrato dal fardello inutile delle preoccupazioni del mondo.
Ma, per rimanere nella linea della parabola, non occorre produrre soltanto del legno, cioè vivere con ostentazione, né ricercare la lode di quelli di fuori. Occorre portare frutto, riservando cioè le nostre opere per mostrale al vero vignaiolo (Gv 15,1).
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