XXIV Domenica del Tempo Ordinario. Anno A


Ma Dio non si arrende:
Dio trova un nuovo modo per arrivare ad un amore libero,
irrevocabile, al frutto di tale amore...
Non siamo noi che dobbiamo produrre il grande frutto;
il cristianesimo non è un moralismo,
non siamo noi che dobbiamo fare quanto Dio si aspetta dal mondo,
ma dobbiamo innanzitutto entrare in questo mistero ontologico:
Dio si dà Egli stesso.
Il suo essere, il suo amare, precede il nostro agire
e, nel contesto del suo Corpo,
nel contesto dello stare in Lui,
identificati con Lui,
nobilitati con il suo Sangue,
possiamo anche noi agire con Cristo.

Benedetto XVI, Incontro con i seminaristi di Roma, 12 febbraio 2011




Mt 18, 21-35 


In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.
A questo proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».




COMMENTO


Il nostro debito è condonato. Ma, come il servo malvagio, probabilmente siamo così presi da noi stessi che riteniamo di aver ottenuto solo una dilazione e non l'estinzione del debito; così tutti i nostri sforzi sono nervosamente diretti a raccattare in qualsiasi modo quanto ancora crediamo di dover rendere. Abbiamo implorato clemenza e un po' di pazienza per restituire, mentre il Signore ci ha condonato tutto il debito, nulla più da restituire. E' questa l'esperienza che cambia radicalmente la vita. E' il cristianesimo. Un condannato a morte cui gli siano spalancate le porte della cella. Libero. "O felix culpa, felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore!" (Exultet di Pasqua).


10.000 talenti, una somma esorbitante, se si pensa che 1 talento era pari a 6.000 denari e che uno stipendio medio era di 30 denari: per radunare tale cifra un lavoratore dipendente avrebbe dovuto lavorare per una vita e non sarebbe bastato. Il debito con Dio è inestinguibile, se non a prezzo della vita, come la stessa Legge prescriveva. E non solo con la propria, ma anche con quella della moglie e dei figli. Il peccato che rompe con Dio distrugge tutto, la famiglia, il futuro dei figli, si sparge come un'epidemia, rende schiavi e uccide. Ma Cristo ha pagato sino all'ultimo spicciolo - con la sua stessa vita - il prezzo della nostra redenzione. "Egli ha pagato per noi all'eterno Padre il debito di Adamo, e con il sangue sparso per la nostra salvezza ha cancellato la condanna della colpa antica" (Exultet di Pasqua).


Ma il servo spietato non aveva capito, era rimasto nella convinzione di dover rifondere il debito. Egli è immagine di chi non ha fatto l'esperienza del perdono, della totale gratuità dell'amore di Cristo e vive il proprio cristianesimo senza gioia. Regole e leggi, e sforzi per compierle e rispettarle. La vita diviene come una corsa ad ostacoli, senza amore. Esigendo da se stessi e dagli altri. Moglie, marito, figli, colleghi, tutti strapazzati perchè non scappino dai propri rigidi schemi, ogni "prossimo" preso per il collo e imprigionato perchè paghi il dovuto così che si possa pagare il dovuto - i principi, la giustizia della carne - per mettere in pace la coscienza e rimettere in ordine i cocci dell'esistenza. Anche noi viviamo spesso così; il sangue preziosissimo di Cristo Agnello senza macchia sembra non aver segnato gli stipiti delle nostre porte, e viviamo nel terrore che possa giungere da un momento all'altro l'angelo giustiziere. Una vita senza la Pasqua è una vita preda dell'angoscia e dei sensi di colpa, chiusa nell'oscurità del sospetto e dell'insoddisfazione che avvolge ogni relazione. In debito con Dio vediamo creditori ovunque: tutti ci devono qualcosa, ci sentiamo vittime di ingiustizie di ogni tipo, nessuno ci comprende tributandoci gli onori, l'affetto e la gratitudine che ci spettano. Ma dietro ad ogni atteggiamento di esigenza vi è sempre un cuore che non ha conosciuto il perdono, la profonda riconociliazione con Dio. 


Chi non si è sentito perdonato crede di poter rifondere il debito, di poter aggiustare le cose, di eliminare le conseguenze del peccato. Inganno perverso, nessuno potrà riscattare se stesso, ed il male compiuto resta, le ferite stesse del Signore erano ancora lì, dopo la risurrezione. L'unica via è quella di prostrarsi dinanzi a Lui, piangere davvero di fronte al crocifisso, il trono della Grazia, e attendere fiduciosi la sua misericordia. E' Lui che trasforma le piaghe sanguinanti in gioielli luminosi, è Lui che fa sovrabbondare la Grazia laddove è abbondato il peccato. E' Lui che risana, riconcilia, ricrea. In famiglia, al lavoro, ovunque. Lui, nel Mistero Pasquale del suo Figlio. Chi non guarda ora il crocifisso e non si sente preso da una trafittura al cuore, e le lacrime non cominciano a scorrere di pentimento e commozione, non conosce se stesso e non conosce Dio, e la sua vita continuerà ad accumulare debiti e ad esigere dagli altri quanto egli stesso ha frodato a Dio.


Chi invece si è sentito perdonato e riconciliato con Dio, vive in pace, e non pone più limiti all'amore. Perchè la misura dell'amore di Dio è nel non avere misura. Settanta volte sette, cioè infinite volte. Come l'enormità del debito dissolto nella misericordia. Chi ha conosciuto il perdono di Dio vede la sproporzione tra quanto gli è stato condonato e i 100 denari di cui è creditore. Siamo tutti amministratori disonesti, abbiamo rubato a Dio: la bocca affidataci per lodare e annunciare il Vangelo colma di menzogne, maldicenze, mormorazioni, giudizi; gli occhi, per contemplare la sua bellezza e le sue opere nella natura e nelle creature, sporcati dalle concupiscenze; le orecchie, per ascoltare la Buona Notizia ad accogliere pettegolezzi e parole di menzogna contro i fratelli e contro Dio stesso. Il corpo consegnatoci in amministrazione per divenire tempio dello Spirito Santo, e Dio solo sa che cosa ne facciamo ogni giorno, una sentina di ladri e uno strumento di vizi. E così il tempo, i beni, i pensieri, le creature. Abbiamo rubato, ogni giorno, la natura divina che ci è stata donata e abbiamo fatto della nostra vita un cumulo di macerie. E' questo il giudizio più grande, quello lanciato contro Dio, avido e insaziabile, incapace di vedere il suo amore, e per questo pronto a fare la cresta, a pervertire ogni dono, sperperando come il figlio prodigo, sotterrando i talenti come l'amministratore infedele, cogliendo il frutto della menzogna come Adamo. Di questo scrive San Paolo ai Romani: "L'ira di Dio si rivela dal Cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la Verità nell'ingiustizia; pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria, né gli hanno reso grazie come a Dio. E hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile" (Rom. 1, 18 ss). Di tutto questo, ogni giorno, ogni istante, siamo stati perdonati, perchè l'ira gelosa e piena di zelo del Padre ha colpito nel Figlio ogni peccato, ogni furto e perversione. E a noi tutto è stato condonato, senza condizioni, se non quella di lasciarci amare e attrarre nella sua misericordia, abbandonarci alla sua liberazione. Lui è morto ed è risorto perchè non vivessimo più per noi stessi, rubando e frodando per vivere contro natura, perdendo il senso, in un giudizio costante , stringendo il collo alla storia perchè cambi e ci restituisca la gioia e la pace perdute. Ma queste sono il frutto prezioso che scaturisce solo dal suo amore e dal suo perdono. 


Chi ha sperimentato il perdono di Dio ha conosciuto la vera liberazione, sa che il Signore non sottrae nulla, quando toglie qualcosa è per strapparci alla menzogna e farci suoi, per sempre, liberi di amare e donare la vita, senza difendere nulla perchè tutto abbiamo ricevuto gratuitamente. Così gli occhi di chi ha conosciuto il perdono autentico vedono la trave che li appesantisce e non si accorgono della pagliuzza posata sugli occhi del prossimo. Se il nostro debito con Dio è estinto, il debito del nostro prossimo è naturalmente disciolto nelle stesse viscere di misericordia che ci hanno liberato. Un amore senza limiti che risponde ad un debito infinito rompe la catena del male e della rivalsa, e disegna una nuova "economia di misericordia", la follia dell'economia divina: "L'amore appassionato di Dio per l'uomo è nello stesso tempo un amore che perdona. Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia" (Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 10). La pace, la gioia, la vita vera è tutta in questo amore. "O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!" (Exultet di Pasqua).








L'UMILTA'



Allora dico: « Signore, Tu sei misericordioso; l'anima mia Ti conosce; dimmi che cosa devo fare perché la mia anima sia umi­liata».
E il Signore rispose alla mia domanda: «Tieni il tuo spirito agli inferi e non disperare».
Quanto è grande la misericordia di Dio! Io sono un abominio davanti a Dio e agli uomini, ma il Signore mi ha amato tanto, che mi consiglia, mi guarisce ed istruisce. Lui stesso insegna all'anima mia l’umiltà, l'amore, la pazienza e l'obbedienza, e riversa su di me tutta la sua misericordia.
Da allora io tengo il mio spirito agli inferi e brucio nel fuoco tenebroso, e ardo d'amore per il Signore, e lo cerco con le lacrime, e grido: «La fine è vicina, io morirò ed abiterò nella buia prigione dell'inferno: là io, solo, brucerò, e avrò nostalgia del Signore e piangerò: Dove sei, mio Signore, tu che la mia anima conosce? » E da questo pensiero trassi grande giovamento. Il mio spirito venne purificato e l'anima mia trovò riposo.
Che meraviglia: il Signore mi ha ordinato di tenere il mio spirito agli inferi e di non disperare. Quanto è vicino a noi: «Ecco, io sono con voi fino alla fine dei tempi », ed ancora: «Invocami nel giorno dell'afflizione, e io ti libererò e tu mi glorificherai» (Mt 28, 20; Sal 49, 15).
Quando il Signore tocca un'anima, allora essa si rinnova. Ma questo è comprensibile solo a coloro che hanno vissuto questa esperienza, perché senza lo Spirito santo è impossibile la cono­scenza delle realtà celesti.
Questo Spirito è stato mandato dal Signore sulla terra. Chi potrebbe descrivere la gioia di conoscere il Signore e insaziabil­mente tendere a Lui giorno e notte? Oh, come siamo fortunati noi cristiani! Non c'è niente di più prezioso della conoscenza di Dio e niente è peggio che non conoscerlo. Ma beato anche colui che, sebbene non lo conosca, tuttavia crede.
Ho cominciato a fare come mi è stato insegnato dal Signore, e il mio cuore poté conoscere il riposo in Dio, e ora, giorno e notte, io domando a Dio l'umiltà di Cristo.


Oh, umiltà di Cristo!
Ti conosco ma non sono capace di raggiungerti,
Ti conosco per grazia di Dio, ma non riesco a descriverti.
Ti cerco come una perla preziosa e splendente.
Tu sei delizia per l'anima e sei più dolce di ogni cosa al mondo.
Ti ho conosciuta per esperienza.
Non stupitevi di questo, perché:
Lo Spirito santo vive in noi e ci illumina.
O Spirito santo!
Tu ci riveli la conoscenza di Dio.
Tu ci comunichi la forza di amare il Signore.
Tu ispiri i pensieri divini.
Tu ci concedi il dono della parola          
Tu ci rendi capaci di glorificare Dio.      
Tu ci riempi di gioia e di allegrezza.                       
Tu ci fortifichi per la lotta contro i nemici e trionfi su di loro dentro di noi.


Chi può immaginarsi il paradiso? Solo chi porta in sé lo Spi­rito santo può farsene un'idea, anche se parziale, perché il Para­diso è il Regno dello Spirito santo, e lo Spirito santo è lo stesso nei cieli e sulla terra.
Io pensavo: « Sono abominevole e degno di ogni castigo!» Ma il Signore invece di punirmi mi ha dato lo Spirito santo.
O Spirito santo, più dolce di ogni cosa terrena, cibo celeste, gioia dell'anima! Se vuoi avere sensibilmente la grazia dello Spirito santo, umiliati, come i santi Padri. Abba Poemen disse ai suoi discepoli: « Credetemi, figlioli, io sarò gettato nel luogo dove fu gettato Satana ».
Un calzolaio di Alessandria pensava: « Tutti saranno salvati: solo io sarò perduto ». E il Signore rivelò ad Antonio il Grande che non era ancora giunto alla misura della fede di quel calzolaio. I Padri sostenevano una grande lotta contro i nemici e si abitua­rono a pensare umilmente di sé, e per questo il Signore li ha amati.
Anche a me il Signore ha fatto comprendere la forza di queste parole. E quando tengo l'anima mia agli inferi, essa è pacificata; quando me ne dimentico, mi assalgono pensieri non graditi al Signore.
Pensavo: « Io sono terra, e terra peccatrice ». Ma il Signore ha riversato su di me, in modo incommensurabile, la sua mise­ricordia e mi ha dato con abbondanza la sua grazia, e il mio spirito è pieno di gioia, perché, anche se io sono un essere abominevole, il Signore tuttavia mi ama, e perciò l'anima mia tende insazia­bilmente a Lui, e quando lo troverò, dirò alla mia anima: « Custodisci questo dono, affinché non ti succeda qualcosa di peggio».


Silvano del Monte Athos




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