XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C). Commenti Patristici



S. Giovanni Crisostomo

Ho descritto molte forme di penitenza per renderti Sii umile facile l'accesso alla salvezza attraverso la varietà delle vie. Qual è dunque la terza via? L'umiltà: sii umile e avrai sciolto i legami del peccato. Anche di questo ci porta una prova la Scrittura nel racconto del pub­blicano e del fariseo. Salirono al tempio, dice, un fa­riseo e un pubblicano per pregare. Il fariseo cominciò a elencare le sue virtù. Io non sono, disse, peccatore come gli altri, né come questo pubblicano. Misera e infelice anima: hai condannato tutto il mondo, per­ché hai contristato anche il tuo prossimo? Non ti bastava tutto il mondo senza voler condannare an­che quel pubblicano? E che fece il pubblicano? Adorò a capo chino con gli occhi fissi in terra, dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore (Le 18, 13); e poiché si mostrò umile fu giustificato. Quando dunque il fariseo uscì dal tempio aveva perduto la sua giustizia. Il pubblicano invece l'aveva ottenuta: le sue parole furono più for­ti delle opere. Quello, nonostante le sue opere perse la giustizia; questo invece con parole di umiltà la conquistò, benché la sua non fosse propriamente umiltà. Infatti è umiltà quando uno che è grande si fa piccolo; l'atteggiamento del pubblicano non fu u-miltà, ma verità: erano vere quelle parole, perché e gli era peccatore.Chi peggiore di un pubblicano? Cercava il suo van­taggio nelle disgrazie del prossimo, approfittava del­le fatiche altrui e senza rispetto per le loro pene giungeva a procurarsi il guadagno. E dunque grandissimo il peccato del pubblicano. Perciò se il pub­blicano, pur essendo peccatore, dando prova di u-miltà ha ricevuto così gran dono, quanto maggiore potrà riceverlo chi sia virtuoso e umile? Se riconosci i tuoi peccati e sei umile, diventi giu­sto. Desideri conoscere chi sia veramente umile? Guarda Paolo. Maestro delle nazioni, predicatore ri­colmo dello Spirito, vaso d'elezione, porto tranquil­lo, che nonostante un fisico modesto girò tutto il mondo e lo percorse quasi avesse le ali: guarda con quanta umiltà e modestia egli si definisce inesperto e amante della sapienza, indigente e ricco. Era umi­le quando diceva: Io sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo ( 1 Cor 15, 9): questa è la vera umiltà, abbassarsi in tutto e chiamarsi il più piccolo. Pensa chi era colui che pronunciava queste parole: Paolo, concittadino del ciclo, sebbene ancora rivestito del corpo, colon­na della Chiesa, uomo celeste. È tale infatti la po­tenza della virtù da trasformare l'uomo in angelo e far sì che l'anima, quasi avesse le ali, si protenda ver­so il ciclo. Questa virtù c'insegni Paolo. Di questa virtù sforziamoci di diventare imitatori.


Dall'Omelia 2



S. Agostino


Qual è la speranza degli uomini, se Dio non ascolta i peccatori? Non salirono in due al tempio a pregare, l'uno Fariseo e l'altro Publicano? E non diceva il Fariseo: Ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ingiusti, ladri, come questo Publicano? Nulla aveva da implorare, era salito come uno ben soddisfatto, dava in rutti da sazietà. Non disse: Soccorrimi; non disse: Abbi pietà di me, poiché mio padre e mia madre mi hanno abbandonato; non disse: Sii il mio aiuto, non lasciarmi. Ma il Publicano si teneva a distanza, e proprio costui si rendeva vicino al Dio del tempio. Era infatti a distanza, e non osava alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: Signore, abbi pietà di me peccatore. Abbiamo avvertito il contrasto: Cristo pronunzi la sentenza. Ecco che parla, ascoltiamo: In verità - egli afferma - quel Publicano si allontanò dal tempio giustificato, a differenza di quel Fariseo. E' certo che Dio non ascolta i peccatori. Quando si batteva il petto puniva i suoi peccati, si rendeva somigliante a Dio giudice. Dio odia infatti i peccati; se anche tu li avrai in odio ti avvicinerai a immedesimarti con Dio e a potergli dire:Distogli il tuo volto dai miei peccati. Distogli il tuo volto: ma da che cosa? Dai miei peccati; non distogliere da me il tuo volto. Che vuol dire, invece, il tuo volto dai miei peccati? Non vederli, non li notare così che tu li possa perdonare. Quindi c'è speranza per il peccatore; preghi Dio, non disperi, si batta il petto, espii in se stesso con la penitenza, per ovviare a che egli proceda a punire con la condanna. Chi si umilia va verso l'Eccelso.

Ma quanto al perché abbia affermato: Quel Publicano si allontanò dal tempio giustificato a differenza di quel Fariseo, il Signore nostro immediatamente su che si fondava, non te lo nascose, quasi gli dicessimo: Com'è questo, asserì infatti: Poichè chi si esalta -disse - sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. Hai udito il perché: se hai udito ed hai compreso, fa' ciò che hai ascoltato, umìliati, prega Dio, di' al Signore Dio tuo che sei peccatore; cosa che egli vede, quantunque tu non lo dica. Tu dici forse: Se lo vede prima che io parli, che bisogno c'è che io dica? Uomo, hai dimenticato che è cosa buona confessare al Signore ? Hai dimenticato:Celebrate il Signore perché è buono ? Anche se non confessi ad un giudice uomo perché è infido, confessa al Signore perché è buono; confessa, gemi, prova pentimento, battiti il petto. Dio si compiace di un tale spettacolo: la vista di un peccatore che accusa il suo peccato. Da parte tua riconosci ed egli non ne fa conto; tu espia ed egli ti risparmia. Ma perché egli ti perdoni non devi indulgere con i tuoi peccati. Rispondi: Non risparmi, cancelli la mia malizia.


Dal Discorso 136/a




Se Dio non avesse ascoltato i peccatori, quel Publicano sarebbe uscito mortificato dal tempio. Si allontanò, invece, giustificato, a differenza di quel Fariseo. Ma com'è che costui si allontanò giustificato? Perché mise in pratica ciò che dice la Scrittura: Ho riconosciuto il mio peccato e non ho nascosto la mia perversità. Ho detto: Confesserò la mia colpa al mio Signore e tu hai rimesso la malizia del mio cuore. E' certo allora che Dio non ascolta i peccatori? Credete dunque quello che credono quanti hanno già ricevuto la luce: Dio ascolta i peccatori. Veramente può turbare molti che non intendono ciò che afferma il Signore che è venuto in questo mondo per il giudizio affinché i ciechi vedano e coloro che vedono diventino ciechi. Cristo è venuto infatti come Salvatore. In un certo passo afferma pure: Il Figlio dell'uomo non è venuto infatti per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Di conseguenza, se è venuto per questo, per salvare, trova pieno consenso l'affermazione che sia venuto perché quelli che non vedono vedano. Quello invece che resiste al buon senso è il perché quelli che vedono diventino ciechi. Se giuniamo a comprendere, non è impenetrabile, è semplice. Ma perché intendiate come sia stato detto in tutta verità, tornate a guardare proprio quei due che pregavano nel tempio. Il Fariseo vedeva, il Publicano era cieco. Che significa: " vedeva "? Si riteneva uno con gli occhi aperti, si vantava della sua vista, cioè della giustizia. Quello, invece, era cieco perché confessava i suoi peccati. Quello vantò i suoi meriti, costui confessò i suoi peccati. Il Publicano si allontanò giustificato, a differenza di quel Fariseo, perché Cristo è venuto nel mondo affinché i ciechi vedano e quelli che vedono diventino ciechi. Pertanto, avendo detto i Farisei che allora ascoltavano il suo dire: Siamo forse ciechi anche noi? senza dubbio erano simili a colui che era salito al tempio e diceva a Dio: Ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini: ingiusti, adùlteri, ladri , quasi a dire: " Ti ringrazio perché non sono cieco, come gli altri uomini del genere di questo Publicano, ma vedo ". Che dissero quelli? Siamo forse ciechi anche noi? E il Signore a loro: Se foste ciechi non avreste alcun peccato, ma per il fatto che ora dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane . Non disse: " entra il peccato ", ma: rimane. C'era infatti. Poiché non confessate, non viene tolto, ma rimane.

DAl Discorso 136/b


1. L’umiltà ottiene il perdono

Poiché la fede non è dei superbi, ma degli umili, "disse per alcuni che credevano di essere giusti e disprezzavano gli altri, questa parabola. Due uomini andarono al tempio a pregare; un fariseo e un pubblicano. Il fariseo diceva: Ti ringrazio, Dio, che non sono come tutti gli altri uomini" (Lc 18,9s). Avesse detto almeno: come molti uomini. Che cosa dice questo "tutti gli altri", se non tutti, eccetto lui? Io, afferma, sono giusto; gli altri son tutti peccatori. "Non sono come tutti gli altri uomini, ingiusti, ladri, adulteri". Ed eccoti dalla vicinanza del pubblicano un motivo di orgogliosa esaltazione. Dice, infatti: "Come questo pubblicano". Io sono solo, dice; questo è uno come tutti gli altri. Non sono come costui, per la mia giustizia, per cui non posso essere un cattivo, io. "Digiuno due volte la settimana, pago le decime su tutte le mie cose". Cerca nelle sue parole, che cosa abbia chiesto. Non trovi niente. Andò per pregare; ma non pregò Dio, lodò se stesso. Non gli bastò non pregare, lodò se stesso; e poi insultò quello che pregava davvero. "Il pubblicano se ne stava invece lontano"; ma si avvicinava a Dio. Il suo rimorso lo allontanava, ma la pietà lo avvicinava. "Il pubblicano se ne stava lontano; ma il Signore lo aspettava da vicino. Il Signore sta in alto", ma guarda gli umili. Gli alti, come il fariseo, li guarda da lontano; li guarda da lontano, ma non li perdona. Senti meglio l’umiltà del pubblicano. Non gli basta di tenersi lontano; "neanche alzava gli occhi al cielo". Per essere guardato, non guardava. Non osava alzare gli occhi; il rimorso lo abbassava, la speranza lo sollevava. Senti ancora: "Si percoteva il petto". Voleva espiare il peccato, perciò il Signore lo perdonava: "Si percuoteva il petto, dicendo: Signore, abbi compassione di me peccatore". Questa è preghiera. Che meraviglia che Dio lo perdoni, quando lui si riconosce peccatore? Hai sentito il contrasto tra il fariseo e il pubblicano, senti ora la sentenza; hai sentito il superbo accusatore, il reo umile, eccoti il giudice. "In verità vi dico". È la Verità, Dio, il Giudice che parla. "In verità vi dico, quel pubblicano uscì dal tempio giustificato a differenza di quel fariseo". Dicci, Signore, il perché. Chiedi il perché? Eccotelo. "Perché chi si esalta, sarà umiliato, e chi si umilia, sarà esaltato". Hai sentito la sentenza, guardati dal motivo; hai sentito la sentenza, guardati dalla superbia.

Agostino, Sermo 115, 2



2. Pensa a te stesso

Mi verrebbe meno il giorno, se volessi elencare gli studi di quelli che s’interessano del Vangelo e quanto esso si adatti a tutti. Pensa a te stesso; sii sobrio, ascolta i consigli, controlla il presente, prevedi il futuro. Non trascurare, per indolenza, il presente e non t’illudere d’aver già in mano cose future, che ancora non sono e forse non si avvereranno mai. Non è questa la malattia propria dei giovani, che per leggerezza dimente credono di avere già le cose che sperano? Infatti in un momento di riposo o nella pace della notte costruiscono delle immagini di cose inesistenti e si ripromettono splendore di vita,illustri matrimoni, figli fortunati, lunga vecchiaia, tributi di onore. Poi, incapaci come sono di fermarsi a una qualsiasi speranza si lasciano trasportare dall’ardore del loro animo alle cose più grandi della terra. Comprano case belle e grandi e le riempiono di preziosa e vaga suppellettile; e aggiungono tutto quanto è fuori del mondo. Aggiungono greggi, folle di servi, magistrature civili, principati, comandi militari, guerre, trofei, regno. Passate queste cose in rassegna, per eccesso di stoltezza, credono presenti queste cose sperate e se le vedono già innanzi ai piedi. È la malattia dell’ignavo, veder nella veglia gli oggetti d’un sogno. Per reprimere questa sfrenatezza di mente, la Scrittura enunzia il sapiente precetto: "Pensa a te stesso" e non promette mai ciò che non esiste e dirige le cose presenti alla tua utilità. Penso che il legislatore si sia servito di questo monito, per eliminare un tal vizio dalle abitudini degli uomini. Perché a noi è più facile curiosare nelle cose altrui, che pesare le proprie cose. Perciò finiscila di andare a scovare nei mali altrui, guardati dal frugare nelle malattie altrui, volgi gli occhi e scruta te stesso. Non son pochi coloro che, secondo la parola del Signore (Mt 7,3), vedono la pagliuzza nell’occhio del fratello e non s’accorgono della trave che è nel loro occhio. Non cessar mai di esaminarti se la tua vita si attiene al precetto; ciò che è intorno a te, non lo guardare, perché non ti si presenti l’occasione di imitare quel fariseo, che giustificava se stesso e disprezzava il pubblicano (Lc 18,11). Chiediti sempre se hai peccato in pensieri, se la lingua sia stata troppo facile, se la mano sia stata temeraria. E se troverai che hai peccato molto (e lo troverai, perché sei uomo), usa le parole del pubblicano: "Dio, abbi pietà di me peccatore" (Lc 18,13). Bada a te stesso. Questa parola ti starà bene nel felice successo, quando la tua nave è portata dalla corrente, e ti gioverà nei momenti difficili, in modo che non diventi orgoglioso nel fasto e non disperi nell’avversità. Ti senti grande perché sei ricco? T’inorgoglisci per la nobiltà dei tuoi antenati? Ti glorii della tua nazione, bellezza, onori ricevuti? Pensa a te stesso: Sei mortale; vieni dalla terra e tornerai nella terra (Gn 3,19)

Basilio di Cesarea, Hom. «Attende tibi ipsi», 5


3. Dio non preferisce il peccatore a chi non ha peccato

Dato che egli aggiunge: «Perché dunque questa preferenza accordata ai peccatori?» e cita opinioni analoghe, per rispondere dirò: il peccatore non è assolutamente preferito a chi non ha peccato. Capita che un peccatore che ha preso coscienza della sua colpa, e per tal motivo progredisce sulla via della conversione umiliandosi per i suoi peccati, venga preferito ad un altro che si riguarda come meno peccatore, e che, lungi dal credersi peccatore, si gonfia di orgoglio per certe qualità superiori che crede di possedere. È quel che rivela a chi legge lealmente il vangelo la parabola del pubblicano che dice: "Abbi pietà di me peccatore", mentre il fariseo, con sufficienza perversa, si gloriava dicendo: "Ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri, e neppure come quel pubblicano". Gesù, infatti, conclude il suo discorso sui due uomini: "Il pubblicano scese a casa sua giustificato, al contrario dell’altro, poiché chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato" (Lc 18,13 Lc 1,14).

Siamo ben lontani, perciò, «dal bestemmiare Dio e dal mentire», insegnando ad ogni uomo, chiunque esso sia, a prendere coscienza della propria umana piccolezza in rapporto alla grandezza di Dio, e a chiedere incessantemente ciò che manca alla nostra natura a colui che solo può colmare le nostre insufficienze.

Origene, Contra Celsum, 3, 64


4. Il fariseo e il pubblicano (Lc 18,9-14)

Il fariseo della Legge,

Nella sua preghiera al Tempio,

In mostra metteva il ben compiuto

Agli occhi tuoi che tutto scrutano.

S’inorgoglisce l’anima insensata,

Se stessa comparando all’uman genere

Lontano, ed al vicino pubblicano,

Che, nello stesso istante, supplicava.

Non sol non ebbe quel che domandava

Per il magniloquente suo linguaggio,

Ma le antecedenti opre di giustizia,

Perse per il suo dire vanitoso.

Ma allora che farò io alla mia anima,

Affezionata al vizio totalmente,

Del tutto disattenta al buon oprare,

E attenta ad ammassar cattive azioni?

Le buone azioni, in effetti, io non compio

Di cui si gloriava il fariseo;

Eppure di gran lunga io lo supero

Nel vezzo del vanto e dell’orgoglio.

Del pubblicano dona bensì la voce

Capo di pubblicani, all’anima guarita,

Per gridare di sua propria voce:

«Mio Dio, perdona i miei peccati!».

Con lui, Signor, giustificami,

Con un sol verbo come facesti a lui;

Lo spirito mio umilia dal di dentro,

Perché dalla tua grazia sia esaltato.

Nerses Snorhali, Jesus, 659-665


San Gregorio Magno (circa 540-604), papa, dottore della Chiesa
Moralia, 76

Una breccia aperta


Con quale attitudine il fariseo, che saliva al Tempio per farvi la sua preghiera, e aveva fortificato la cittadella della sua anima, si disponeva a digiunare due volte la settimana e pagare le decime di quanto possedeva. Dicendo « O Dio, ti ringrazio » , è ben chiaro che aveva messo in atto tutte le precauzioni immaginabili per premunirsi. Ma lascia una breccia aperta ed esposta al suo nemico aggiungendo : « Che non sono come questo pubblicano ». Così, con la vanità, ha concesso al suo nemico di poter entrare nella città del suo cuore, che purtuttavia egli aveva chiuso con i chiavistelli dei suoi digiuni e delle sue elemosine.

Tutte le altre precauzioni sono dunque inutili, quando rimane in noi qualche apertura attraverso la quale il nemico possa entrare... Questo fariseo aveva vinto la gola con l'astinenza ; aveva superato l'avarizia con la generosità... Ma quanti sforzi in vista di questa vittoria sono stati annientati da un solo vizio ? dalla breccia di una sola colpa ?

Per questo, bisogna non soltanto pensare a praticare il bene, ma anche vegliare con cura sui nostri pensieri, per tenerli puri nelle nostre opere buone. Perché se sono fonte di vanità o di superbia nel nostro cuore, combattiamo allora soltanto per vana gloria, e non per la gloria del nostro Creatore.

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