Anche oggi Gesù ci spiazza e ci sconcerta, su un tema di cui si parla tanto, quello della "moralità": chi è veramente giusto davanti a Dio? cioè davanti al giudizio imparziale e definitivo? "Il Signore è giudice e non v'è presso di lui preferenze di persone; non è parziale con nessuno" (I lett.).
Uno dice: la mia coscienza non mi rimprovera nulla. Si, qualche sbaglio o errore, ma non cattiverie, né con Dio né con gli uomini. Non ho bisogno di confessarmi, non ho niente di cui chiedere perdono a Dio. E' il concetto di "moralità laica".
Un altro dice: vado a messa, prego, faccio il mio dovere, anche qualche carità..., cosa si vuole di più? non posso neanche! Del resto è quello che mi si chiede, mi pare di essere un buon cristiano praticante! E' il concetto di "moralità religiosa".
"Il pubblicano invece si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro".
Ma allora, cosa è essere giusti? Cosa è "moralità", secondo Gesù? Cosa è la "moralità cristiana"? L'unica ormai che salva davanti a Dio.
1) "ALLONTANATI DA ME CHE SONO PECCATORE"
Un giorno Pietro era a pescare; quella notte non prese nulla. Poi al comando di Gesù gettò le reti e fece grande pescagione. Allora si gettò ai suoi piedi e disse: "Allontanati da me, Signore, perché sono un uomo peccatore" (Lc 5,8). Percepì una grande distanza, intuì di essere davanti alla grandezza di Dio. Ecco: solo mettendoci davanti a Dio si può misurare la sua grandezza e la nostra pochezza. Solo in riferimento a Lui, intuendo il rapporto che ci lega, di creazione e d'amore, si può parlare di peccato in quanto atteggiamento che ci svelle dalla nostra radice e dal nostro destino. Il peccato come rifiuto della nostra verità, e quindi - direbbe sant'Agostino - menomazione di noi stessi, insufficienza e incapacità ad essere uomini.
Di una cosa si dice riuscita o meno, giusta o non giusta, quando è conforme al progetto per il quale è stata fatta. La misura dell'uomo è il suo destino di essere fatto a immagine di Dio, di essere stato "predestinato ad essere conforme all'immagine del Figlio suo" (Rm 8,29): quella è la sua identità più profonda, il modello cui deve identificarsi. Ogni dissomiglianza dal "Primogenito" che è Gesù di Nazaret, è dissomiglianza dalla propria autentica verità, è "ingiustizia" e "peccato" per usare il linguaggio di Paolo, è l'essere fuori posto nei confronti di Dio e del suo sogno su di noi.
Non c'è allora da misurarsi sugli altri, di fronte ai quali troviamo sempre qualcosa di meglio da registrare in noi; da qui la facile tentazione del fariseo di sempre che dice: "Io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano"; la tentazione odiosa del disprezzo! Non c'è da misurarsi neanche con un ipotetico nostro progetto di noi, che non esiste, che non può esistere, perché non ci siamo fatti noi. Ben più grande di noi, del nostro cuore e del nostro sogno, è il progetto iscritto in noi da Dio, solo attuando il quale l'uomo si trova riuscito e soddisfatto. Solo puntando su questo si danno le dimensioni giuste entro le quali misurare giustizia o meno dell'uomo. Dimensioni che ci sembrano certo sproporzionate al nostro breve orizzonte, quando ci viene detto: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48).
2) "TORNO' A CASA GIUSTIFICATO"
Ma chi ce la fa a vivere una tale giustizia? A realizzare un tale progetto? Nessuno, appunto! Il primo Adamo - che siamo ognuno di noi tentati di fare a meno di Dio - non ce la fa', necessariamente pecca, inesorabilmente è incapace - nonostante lo voglia - di realizzare quel bene cui il suo cuore aspira con nostalgia. E' scritto nella Lettera ai Romani: "Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio" (Rm 3, 23). E in una pagina drammatica, molto personale, Paolo scrive: "Io sento che in me, cioè, nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di compierlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio" (Rm 7,17-19). Tutti siamo peccatori, e non è da noi la capacità di una salvezza di fronte al proprio destino ultimo. Non c'è opera che ci possa giustificare.
L'unica "opera" che salva è stata compiuta da un uomo - il secondo Adamo - Cristo - Dio stesso cioè che si fa uomo per essere - come uomo - uno che ha finalmente la capacità di rimettersi nella posizione giusta davanti a Dio: il Giusto sofferente che si abbandona con estrema fiducia al Padre è l'atto di un uomo che finalmente riesce nella vita perché si fida totalmente di Dio, e ottiene una VITA non più come conquista propria ma come esclusivo dono gratuito da Dio. La "giustizia" dell'uomo è stata fatta da Dio, coll'assumersi Lui l'espiazione del peccato e ponendosi Lui come il Primogenito d'una nuova umanità di salvati, di uomini cioè capaci di realizzare in pieno quel progetto di umanità sognato da Dio per ognuno di noi.
La nostra personale giustizia allora non sarà che il trovarci, per mezzo della fede, partecipi di quell'atteggiamento interiore di Cristo, di lasciarci giustificare da Lui, riconciliare da Lui, per avere la forza poi di vivere come Lui da figli di Dio. Prosegue san Paolo: "Tutti sono giustificati gratuitamente per la sua grazia in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia" (Rm 3,24-25). La nostra fede, cioè il nostro legame con Cristo nei sacramenti, ci rende prima riconciliati e giusti davanti a Dio, e poi capaci finalmente di compiere le opere di bene che sono secondo il suo disegno. Le opere allora non sono causa di giustizia, ma frutto ed effetto della grazia che ci rende giusti. Nessuno ha quindi da vantarsi di una sua giustizia, perché tutto è regalo di Dio.
Se Dio ha una preferenza, evidentemente è per chi riconosce questi dati di fatto e si fa umile, senza presunzioni davanti a Lui o disprezzo di fronte agli uomini. Dio è giusto, cioè fedele alle sue promesse di salvezza, quindi Dio è misericordioso. E quando trova un uomo che sente tutto il bisogno di questa misericordia, non può non avere preferenze. "Il Signore - ci fa pregare oggi il Salmo responsoriale - è vicino a chi ha il cuore ferito, egli salva gli spiriti affranti. Il Signore riscatta la vita dei suoi servi, chi in lui si rifugia non sarà condannato". Per questo Luca conclude, proprio in riferimento al giudizio finale: "Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato".
Facciamo nostra allora la preghiera del pubblicano: "Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo" (Salmo 50).
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