Il Vangelo di questa Domenica è la parabola del fariseo e del pubblicano. Chi in questa domenica va in chiesa sentirà fare un commento più o meno di questo tipo. Il fariseo rappresenta il benpensante che si sente a posto con Dio e con gli uomini e guarda con disprezzo il prossimo. Il pubblicano è la persona che ha sbagliato, però lo riconosce e ne chiede umilmente perdono a Dio; non pensa di salvarsi per i meriti propri ma per la misericordia di Dio. La scelta di Gesù tra queste due persone non lascia dubbi, come indica il finale della parabola: quest'ultimo va a casa giustificato, cioè perdonato, riconciliato con Dio; il fariseo torna a casa come ne era uscito: tenendosi stretta la sua giustizia, ma perdendo quella di Dio.
A forza di sentirla, e di ripeterla io stesso, questa spiegazione però ha cominciato a lasciarmi insoddisfatto. Non che essa sia errata, ma non risponde più ai tempi. Gesù diceva le sue parabole per la gente che l'ascoltava in quel momento. In una cultura satura di fede e religiosità come quella della Galilea e Giudea del tempo, l'ipocrisia consisteva nell'ostentare osservanza della legge e santità, perché queste erano le cose che attiravano il plauso.
Nella nostra cultura secolarizzata e permissiva, i valori sono cambiati. Ciò che si ammira e apre la strada al successo è piuttosto il contrario di una volta: è il rifiuto delle norme morali tradizionali, l'indipendenza, la libertà dell'individuo. Per i farisei la parola d'ordine era "osservanza" delle norme; per molti oggi la parola d'ordine è "trasgressione". Dire di un autore, di un libro o di uno spettacolo che è "trasgressivo" è fargli uno dei complimenti più ambiti.
In altre parole, oggi dobbiamo rovesciare i termini della parabola, per salvaguardarne l'intento originale. I pubblicani di ieri sono i nuovi farisei di oggi! Oggi è il pubblicano, il trasgressore, che dice a Dio: "Ti ringrazio, Signore, che non sono come quei farisei dei credenti, ipocriti e intolleranti, che si preoccupano del digiuno, ma nella vita sono peggiori di noi". Pare che ci sia anche chi prega paradossalmente così: "Ti ringrazio, o Dio, che sono un ateo!"
La Rochefoucauld diceva che l'ipocrisia è il tributo che il vizio paga alla virtù. Oggi essa è spesso il tributo che la virtù paga al vizio. Si tende infatti, specie da parte dei giovani, a mostrarsi peggiori e più spregiudicati di quello che si è, per non sembrare da meno degli altri.
Una conclusione pratica, valida sia nell'interpretazione tradizionale accennata all'inizio che in quella sviluppata qui, è questa. Pochissimi (forse nessuno) sono o sempre dalla parte del fariseo, o sempre dalla parte del pubblicano, cioè giusti in tutto o peccatori in tutto. I più abbiamo un po' dell'uno e un po' dell'altro. La cosa peggiore sarebbe comportarci come il pubblicano nella vita e come il fariseo nel tempio. I pubblicani erano dei peccatori, uomini senza scrupoli che mettevano il denaro e gli affari al di sopra di tutto; i farisei, al contrario, erano, nella vita pratica, molto austeri e osservanti della Legge. Noi somigliamo, dunque, al pubblicano nella vita e al fariseo nel tempio, se, come il pubblicano, siamo dei peccatori e, come il fariseo, ci crediamo giusti.
Se proprio dobbiamo rassegnarci ad essere un po' l'uno e un po' l'altro, allora che sia almeno il rovescio: farisei nella vita e pubblicani nel tempio! Come il fariseo, cerchiamo di non essere nella vita ladri e ingiusti, di osservare i comandamenti e pagare le tasse; come il pubblicano, riconosciamo, quando siamo al cospetto di Dio, che quel poco che abbiamo fatto è tutto dono suo ed imploriamo, per noi e per tutti, la sua misericordia.
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