Nessun profeta è bene accetto in patria. don Romeo Maggioni

Gesù si è presentato ufficialmente come Messia a Nazaret, ed ecco le reazioni, dei suoi compaesani, ma in sostanza di tutto Israele, e forse di tanti uomini di sempre: ad un primo entusiasmo succede una contestazione e poi un rifiuto; fino al tentativo di ucciderlo. "Dio è morto" ha già gridato Nietzsche un po' di tempo fa!
Ma il vangelo non si ferma: in sostituzione di chi lo rifiuta, è dato spazio ad altri, capaci di accoglierlo e di divenirne credenti, appunto i pagani rispetto ai giudei.

1) IL RIFIUTO

Quello del rifiuto è un dramma permanente, e pur sempre inspiegabile. Adamo aveva tutto - tranne un alberello! -, non gli mancava niente, e non si è fidato di Dio. Qui a Nazaret la gente accoglie con entusiasmo "le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca", sente cioè che sono verità, intuisce che è qualcosa di grande e bello questo mistero di un Dio che si china sull'uomo per salvarlo; eppure dubita, contesta, rifiuta, lo vuole morto. Anche oggi basta vedere un telegiornale: la Chiesa parla a nome di Dio, si sente sinceramente che dice cose vere, giuste, che esprimono i valori più profondamente umani, e la si contesta, la si fa tacere, la si vuole morta! "Verrà giorno - scrive san Paolo - in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole" (2Tm 4,3-4).

Allora, perché il rifiuto? "Non è il figlio di Giuseppe?", dicevano quelli di Nazaret. Non è uno di noi, uno qualunque? Chi pretende di essere! Certo, la mediazione umana fa problema, il fatto che Dio s'incarni in un uomo, in una Chiesa, entro una storia fatta anche di debolezze e tradimenti sconcerta, suscita difficoltà e reazioni. Ma è scelta di Dio quella dell'incarnazione. A ben pensarci però si trovano alla fine molte più ragioni positive di questo farsi vicino di Dio che non pericoli. Oppure il rifiuto è di un Dio che non è proprio secondo sempre nostri schemi e voglie. "Quanto abbiamo udito accadere a Cafarnao, fallo anche qui". Cercano miracoli quelli di Nazaret, cercano un Dio a proprio immediato comodo e interesse.

Ma Dio non si può catturare, Dio non lo si può piegare alle proprie misure; come non si può piegare la Chiesa al mondo, alle sue vedute, che segua i sondaggi d'opinione, che divenga più accomodante. Troppo più grande è il sogno di Dio sull'uomo, troppo più che umano, troppo più esaltante ed esigente perché l'uomo non vi arricci il naso e dica.. mi accontento di meno! E' tutto qui il dissapore nei confronti di Dio, nel "troppo" che Egli ci offre fino a volerci "simili a Lui". "Noi ci saremmo accontentati di tre locali più servizi, mentre Dio ci propone le eterne praterie del cielo".

Alla fine però in sostanza è rifiuto di un Dio che sta sopra di noi. E' inutile cercare altrove: il cuore del peccato è solo qui, nel rifiuto di Dio semplicemente, nel rifiuto di una verità superiore, nel rifiuto di accettare una dipendenza comunque da un Altro. Il peccato di Adamo è quello di voler fare da sé, di voler essere da sé, di farsi lui Dio, conoscitore del bene e del male, cioè unico arbitro di sé e del mondo. La tentazione è sempre quella: di autosufficienza, di soggettivismo, di autodeificazione. Oggi si usano tante parole inutili e bugiarde come pluralismo, libertà d'opinione, tolleranza, rispetto della coscienza..., ma in sostanza è rifiuto di una ricerca e di un confronto con una verità che ci precede, ci determina, ci giudica.

2) IL DONO DATO AD ALTRI

Ma Dio non si ferma. Né qui a Nazaret, dove Gesù "passando in mezzo a loro, se ne andò"; né a Gerusalemme, quando fu messo in croce, perché dopo tre giorni risuscitò iniziando tra noi una presenza e una azione ben più efficace e universale. "La pietra che i costruttori hanno scartato, è diventata testata d'angolo" (Lc 20,17): Dio non è fermato dall'uomo, prosegue la sua opera con chi ci sta. "Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare" (Mt 21,43). Così del resto, conclude Gesù, era già capitato ad Elia e ad Eliseo di trovare fuori più accoglienza e fede al loro operare che non in Israele.

Ecco il punto: la fede. Nel passo parallelo di Marco è scritto che Gesù "si meravigliava della loro incredulità". Gesù ha contrapposto spesso l'incredulità dei Giudei alla fede genuina di alcuni pagani: è il caso del centurione di Cafarnao, della donna cananea di Tiro, dell'unico lebbroso tornato a ringraziare per la guarigione, ed era samaritano. Non conta essere del giro, non serve avere il nome scritto nel registro di battesimo, o anche avere qualche abitudine di preghiera: ci vuole la fede, cioè l'accoglienza di Gesù come Signore e Salvatore, e saperci fidare di Lui anche quando ci si presenta con un volto e una esigenza diversa da quello che immediatamente vogliamo noi. Anche quando la fedeltà a lui implica prove, persecuzioni e un dover andare controcorrente.
Geremia - richiamatoci dalla prima lettura - è uno che ha resistito andando controcorrente.

Ma proprio qui è messo in evidenza che tale fedeltà non è opera sua ma forza che gli deriva da Dio: "Non spaventarti: ecco io faccio di te come una fortezza, come un muro di bronzo; ti muoveranno guerra ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti". La nostra capacità di fede e resistenza viene da Dio. Dio si dona, e dona anche di saper accettare il suo dono. La fede è dono, non nostro merito e conquista. Per questo ci rende umili dinanzi a Dio, senza pretese, con la costante preoccupazione della preghiera per ottenere tale dono e perseveranza; e ci rende umili anche davanti agli uomini, impedendoci di giudicare alcuno essendo noi credenti per puro regalo di Dio.

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Ecco, proprio una fede rispettosa di tutti è la fede giusta, che oggi Paolo ci richiama nella seconda lettura. "Se anche possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla". Solo una fede umile, che s'arrende a Dio, è poi capace di non prevaricare sull'uomo.
L'atteggiamento opposto è quello dell'uomo che pretende di farsi lui un Dio, che rifiuta Dio con l'incredulità supponente e autosufficiente: questa sfocia immediatamente nella prevaricazione, nella violenza, nell'oppressione dell'uomo. Solo la fede fonda l'autentica fraternità. S'è ormai da tempo costatato che "la morte di Dio" genera inesorabilmente "la morte dell'uomo"!

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