Sermo LXXXII, 2-5. PL 54, 423-425.
Il Signore, buono e giusto e onnipotente, mai aveva negato la sua misericordia al genere umano, sempre anzi con la generosità stessa dei suoi doni aveva parlato a tutti gli uomini, senza eccezione, perché lo conoscessero. Egli ebbe compassione della loro colpevole cecità, della loro malizia sicuramente peggiorativa, dei loro errori.
A tal fine, secondo un disegno misterioso e profondo, con un atto di sublime pietà, inviò loro il suo Verbo, a lui uguale e coeterno. Ed il Verbo incarnandosi congiunse la natura divina alla natura umana in modo tale che il suo abbassamento estremo si risolse nella nostra elevazione suprema. Perché poi gli effetti di questa grazia ineffabile potessero diffondersi in tutto il mondo, la divina Provvidenza predispose l’impero romano e ne favorì lo sviluppo, dilatando i suoi confini fino a raggiungere tutte quante le genti.
Rispondeva perfettamente al piano dell’azione divina l’associazione dei diversi regni in un unico impero, in quanto più rapida e facile sarebbe riuscita l’opera universale di evangelizzazione tra i popoli, grazie all’unità del regime politico di Roma.
Sennonché questa città, ignorando il vero autore della sua grandezza, quantunque avesse esteso il suo dominio su quasi tutte le genti, si era in realtà resa schiava dei loro stessi errori; pensava di possedere addirittura una grande religione, perché non aveva mai rifiutato nessuna falsa dottrina. Perciò quanto più tenaci erano i vincoli con cui l’aveva legata il demonio, tanto più magnifica fu la liberazione che le ottenne il Cristo Signore.
Quando, infatti, i dodici Apostoli, dopo aver ricevuto dallo Spirito Santo il dono delle lingue (cf At 2,4), cominciarono la loro missione per educare il mondo al vangelo e a questo scopo si divisero la terra in settori particolari, ecco che san Pietro come capo del collegio apostolico viene destinato alla prima sede dell’impero romano.
In questo modo la luce della verità, la cui manifestazione era in funzione della salvezza universale delle genti, si sarebbe più efficacemente diffusa come dal capo in tutto l’organismo mondiale.
Non c’erano forse allora in questa città uomini di ogni nazione? C’erano forse in qualche luogo popoli che ignoravano quel che Roma conosceva? Era qui che bisognava schiacciare certe teorie filosofiche e spazzar via le frivolezze della sapienza terrena e abbattere il culto dei demoni e distruggere l’irriverenza sacrilega di tutti i sacrifici; proprio qui, infatti, si ritrovava raccolto ad opera della superstizione più diligente tutto quanto altrove avevano elaborato gli errori più disparati.
Tu dunque, o santissimo apostolo Pietro, non hai paura di metter piede in questa nostra città; mentre l’apostolo Paolo, colui che avrai compagno nella gloria, è ancora occupato nell’opera di organizzazione delle altre chiese, fai il tuo ingresso in questa giungla di animali ruggenti, in quest’oceano agitato e profondo, certo con più coraggio di quando camminasti sopra le acque (Cf Mt 14, 28-31). E non hai timore di Roma, la dominatrice del mondo, tu che nel palazzo di Caifa provasti spavento dinanzi alla serva del sacerdote (cf Mt 26,69-70).
Che forse il potere di un Claudio e la crudeltà di un Nerone erano minori in confronto del giudizio celebrato da Pilato o dal furore dimostrato dai Giudei? Era dunque la forza del tuo amore a vincere tutto quel che poteva alimentare la paura, e non pensavi certo di dover temere coloro che già avevi accolto nella corrente del tuo affetto.
Non c’è dubbio che tale sentimento di carità a tutta prova si destò nel tuo cuore, o Pietro, fin da quando ti fu rivolta la triplice e arcanamente significativa interrogazione; che ti confermò nel dichiarare il tuo amore al Signore. E se questo fu allora l’atteggiamento del tuo spirito, ti fu chiesto solo che nel pascere il gregge di colui che amavi procurassi loro quel cibo, di cui eri ricchissimo.
A darti maggiore fiducia c’erano anche i tanti prodigi e miracoli, i tanti doni e carismi, i tanti poteri di cui avevi dato prova. In precedenza avevi catechizzato i fedeli provenienti dall’ambiente giudaico; avevi fondato la Chiesa di Antiochia, dove per la prima volta fu usato il nome glorioso di cristiano; avevi poi iniziato alle leggi proprie del messaggio evangelico le regioni del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell’Asia e della Bitinia.
Proprio così, sicuro del buon esito della tua fatica, ma cosciente anche dei limiti della tua età, tu portavi l’emblema trionfale della croce di Cristo nella roccaforte della potenza romana. Ti precedevano per disposizione provvidenziale di Dio, l’onore dell’alto potere e la gloria del santo martirio.
Il Signore, buono e giusto e onnipotente, mai aveva negato la sua misericordia al genere umano, sempre anzi con la generosità stessa dei suoi doni aveva parlato a tutti gli uomini, senza eccezione, perché lo conoscessero. Egli ebbe compassione della loro colpevole cecità, della loro malizia sicuramente peggiorativa, dei loro errori.
A tal fine, secondo un disegno misterioso e profondo, con un atto di sublime pietà, inviò loro il suo Verbo, a lui uguale e coeterno. Ed il Verbo incarnandosi congiunse la natura divina alla natura umana in modo tale che il suo abbassamento estremo si risolse nella nostra elevazione suprema. Perché poi gli effetti di questa grazia ineffabile potessero diffondersi in tutto il mondo, la divina Provvidenza predispose l’impero romano e ne favorì lo sviluppo, dilatando i suoi confini fino a raggiungere tutte quante le genti.
Rispondeva perfettamente al piano dell’azione divina l’associazione dei diversi regni in un unico impero, in quanto più rapida e facile sarebbe riuscita l’opera universale di evangelizzazione tra i popoli, grazie all’unità del regime politico di Roma.
Sennonché questa città, ignorando il vero autore della sua grandezza, quantunque avesse esteso il suo dominio su quasi tutte le genti, si era in realtà resa schiava dei loro stessi errori; pensava di possedere addirittura una grande religione, perché non aveva mai rifiutato nessuna falsa dottrina. Perciò quanto più tenaci erano i vincoli con cui l’aveva legata il demonio, tanto più magnifica fu la liberazione che le ottenne il Cristo Signore.
Quando, infatti, i dodici Apostoli, dopo aver ricevuto dallo Spirito Santo il dono delle lingue (cf At 2,4), cominciarono la loro missione per educare il mondo al vangelo e a questo scopo si divisero la terra in settori particolari, ecco che san Pietro come capo del collegio apostolico viene destinato alla prima sede dell’impero romano.
In questo modo la luce della verità, la cui manifestazione era in funzione della salvezza universale delle genti, si sarebbe più efficacemente diffusa come dal capo in tutto l’organismo mondiale.
Non c’erano forse allora in questa città uomini di ogni nazione? C’erano forse in qualche luogo popoli che ignoravano quel che Roma conosceva? Era qui che bisognava schiacciare certe teorie filosofiche e spazzar via le frivolezze della sapienza terrena e abbattere il culto dei demoni e distruggere l’irriverenza sacrilega di tutti i sacrifici; proprio qui, infatti, si ritrovava raccolto ad opera della superstizione più diligente tutto quanto altrove avevano elaborato gli errori più disparati.
Tu dunque, o santissimo apostolo Pietro, non hai paura di metter piede in questa nostra città; mentre l’apostolo Paolo, colui che avrai compagno nella gloria, è ancora occupato nell’opera di organizzazione delle altre chiese, fai il tuo ingresso in questa giungla di animali ruggenti, in quest’oceano agitato e profondo, certo con più coraggio di quando camminasti sopra le acque (Cf Mt 14, 28-31). E non hai timore di Roma, la dominatrice del mondo, tu che nel palazzo di Caifa provasti spavento dinanzi alla serva del sacerdote (cf Mt 26,69-70).
Che forse il potere di un Claudio e la crudeltà di un Nerone erano minori in confronto del giudizio celebrato da Pilato o dal furore dimostrato dai Giudei? Era dunque la forza del tuo amore a vincere tutto quel che poteva alimentare la paura, e non pensavi certo di dover temere coloro che già avevi accolto nella corrente del tuo affetto.
Non c’è dubbio che tale sentimento di carità a tutta prova si destò nel tuo cuore, o Pietro, fin da quando ti fu rivolta la triplice e arcanamente significativa interrogazione; che ti confermò nel dichiarare il tuo amore al Signore. E se questo fu allora l’atteggiamento del tuo spirito, ti fu chiesto solo che nel pascere il gregge di colui che amavi procurassi loro quel cibo, di cui eri ricchissimo.
A darti maggiore fiducia c’erano anche i tanti prodigi e miracoli, i tanti doni e carismi, i tanti poteri di cui avevi dato prova. In precedenza avevi catechizzato i fedeli provenienti dall’ambiente giudaico; avevi fondato la Chiesa di Antiochia, dove per la prima volta fu usato il nome glorioso di cristiano; avevi poi iniziato alle leggi proprie del messaggio evangelico le regioni del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell’Asia e della Bitinia.
Proprio così, sicuro del buon esito della tua fatica, ma cosciente anche dei limiti della tua età, tu portavi l’emblema trionfale della croce di Cristo nella roccaforte della potenza romana. Ti precedevano per disposizione provvidenziale di Dio, l’onore dell’alto potere e la gloria del santo martirio.
Nessun commento:
Posta un commento