Giovanni Paolo II. Omelie per la III domenica di Pasqua anno A

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VIAGGIO APOSTOLICO IN PORTOGALLO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

«Praça de Toiros», Isola di Terceira (Azzorre)
Sabato
, 11 maggio 1991

1. “Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24, 31).

Nel Tempo Pasquale, la Chiesa torna frequentemente al Cammino di Emmaus. Oggi, qui nelle Azzorre, anche la Liturgia ci conduce là: le parole dell’Evangelista ci aiutano a ricordare il momento in cui anche i nostri occhi si sono aperti e hanno riconosciuto Gesù Cristo. Sono già passati cinque secoli, cari fratelli e sorelle, da quando i vostri predecessori, discepoli di Gesù, raggiunsero e popolarono queste isole prolungando fin qui il Cammino di Emmaus, con il Signore Risorto come Guida, Verità e Maestro della loro avventura, permeata dal dramma e dalla gloria della Croce. Anche qui riconobbero Gesù, nella frazione del pane. Questa conoscenza è stata poi trasmessa di generazione in generazione, attraverso le famiglie e le comunità cristiane che qui hanno messo radici.

Un sentimento di viva gratitudine si eleva a Dio nel mio cuore, poiché finalmente mi è stato possibile vedervi e percorrere con voi questo Cammino di Emmaus, che ha il suo culmine nell’Eucaristia. Rivolgo un saluto riconoscente alle autorità presenti, particolarmente al Signor Presidente della Repubblica e agli Organi del Potere Regionale, e a tutta la gente che abita in questa Regione Autonoma delle Azzorre, in mezzo all’Oceano Atlantico. Un abbraccio particolarmente affettuoso al Vescovo, Don Aurelio, al quale esprimo viva gratitudine sia per avermi invitato a visitarvi, sia per le cordiali parole con le quali, poco fa, ha interpretato i vostri sentimenti e desideri. Un saluto cordiale e fraterno a tutti voi, cari abitanti delle Azzorre, che siete usciti dalle vostre case per accogliermi e a quanti, da vicino o da lontano, ci seguono attraverso i mezzi di comunicazione sociale. In voi, saluto gli eredi del patrimonio spirituale e culturale che la fede in Cristo Risorto, di generazione in generazione, si è intrisa sempre più della grazia del Vangelo, e che, in questo giorno, vi esorto a preservare, ponendolo come fermento del Regno di Dio, nella città degli uomini.

2. L’episodio di Emmaus prova come la verità della risurrezione aprisse con difficoltà il cammino, anche nella mentalità di coloro che erano i discepoli di Cristo. Essi uscivano da Gerusalemme “e conversavano di tutto quello che era accaduto” (Lc 24, 14); e tutto quello che era successo li colmava di tristezza e di profonda delusione. “Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele” (Lc 24, 21). Le speranze che nutrivano nei confronti di Gesù di Nazaret erano limitate a questo mondo. Lo stesso sentimento provavano anche tutti quelli che vivevano intorno a Lui. La situazione della loro patria, allora dominata dai Romani, li induceva a vedere in quest’ottica la missione del Messia: sarà Lui che libererà Israele dall’oppressore straniero. Si attendevano questo da Gesù, perché avevano visto la forza divina che si era rivelata poderosamente nelle sue opere e nelle sue parole.

Non pensavano forse allo stesso modo le Autorità della Nazione? Basta ricordare la riunione del Sinedrio che approvò la decisione di condannare Gesù a morte: Egli si rivelava un pericolo per loro perché avrebbe potuto causare un disastroso intervento del potere romano. “Non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera” (Gv 11, 50).

3. Conversando con i discepoli che non lo avevano riconosciuto quando Egli si era avvicinato loro lungo il cammino, Cristo cerca in primo luogo di modificare il loro modo di pensare puramente umano. Per questo, invoca “la parola dei profeti” (Lc 24, 25), cominciando da Mosè. L’Antico Testamento mostra che era necessario che il Messia “sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria” (Lc 24, 26). Le Sacre Scritture contengono la Parola di Dio: cercate di comprendere gli avvenimenti degli ultimi giorni, alla luce di questa Parola, non cercate di applicare ad essi la vostra interpretazione umana.

La Parola di Dio preannunciò il Messia come il Servo sofferente, su cui peseranno i peccati di tutti gli uomini. Questa sofferenza espiatoria, portata alla sua dimensione estrema sulla Croce del Golgota, è il pieno compimento della Parola di Dio, scritta nell’Antico Testamento: era necessario che sopportasse tutte queste sofferenze per entrare nella sua gloria.

Qual è la gloria del Messia Crocifisso? È la Gloria della Risurrezione dai morti il terzo giorno, è la Gloria del trionfo sulla morte e sul peccato. Cristo vive già nella gloria, nonostante gli occhi dei discepoli si dimostrino incapaci di riconoscerlo.

Questa situazione di cecità nei discepoli di Emmaus si prolunga fino al momento in cui - dando ascolto alle loro insistenti suppliche perché rimanesse con loro - il Signore entrò, si sedette a tavola e divise il pane con loro. “Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero!” (Lc 24, 31). Essi si resero conto allora di aver parlato con Gesù Risorto e dissero tra loro: “non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24, 32).

4. Nell’episodio dei discepoli di Emmaus si manifesta l’essenza stessa della vita della Chiesa: essa vive dell’Eucaristia e della Parola di Dio. La Parola di Dio è preparazione per vivere più profondamente l’Eucaristia, l’Eucaristia costituisce il Sacramento “degli occhi aperti della fede” al Mistero di Dio, rivelato in Cristo. Questi “occhi della fede aperti” agli orizzonti e ai disegni di Dio vi consentiranno di comprendere e di compiere fino in fondo la vostra vocazione e missione al servizio di Cristo nel mondo, vi riveleranno il compito e il luogo che vi compete come artefici e collaboratori di Dio nella costruzione del suo Regno sulla terra.

Sorelle e fratelli carissimi, vi incoraggio a diventare membri sempre più attivi della vostra comunità ecclesiale. Corrisponderete così alla vostra vocazione di cristiani che riflettono ed approfondiscono i fondamenti della loro fede. I compiti che gravano sui cristiani in quest’epoca sono numerosi: bisogna che tutti noi ci uniamo per dare al mondo una testimonianza credibile del Vangelo, per manifestare visibilmente la comunione alla quale Cristo chiama i membri del suo Corpo.

La narrazione dell’episodio di Emmaus termina con il ritorno dei due discepoli al Cenacolo. Loro che, disillusi, avevano abbandonato la comunità, “partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro . . . Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via . . .” (Lc 24, 33-35). Quei cuori ardenti hanno adesso tanto da raccontare, tanto da offrire! Dai cristiani di oggi, ci si aspetta questo stesso cambiamento di vita. Per questa ragione, mi auguro ardentemente che il vostro Congresso Diocesano dei Laici, verso la metà dell’anno prossimo, sia fedele riproduzione di questa meta del cammino verso Emmaus, modificando energie e mezzi, per impegnarvi insieme nella missione unica e comune di annunciare e vivere il Vangelo.

5. Cari fedeli laici, avete una vocazione specifica che non si esaurisce nell’assolvimento degli obblighi minimi indispensabili di battezzati. Questa è la vostra missione di fedeli laici: essere il sale, la luce, l’anima del mondo. Siete padri e madri di famiglia, operai, professori, studenti, contadini, pescatori o impiegati in qualsiasi altra professione. Così vivono e lavorano tutti gli altri uomini e donne; solo che, nel realizzare la vostra missione, cercate di darle un’apertura all’eternità, di compiere in essa la volontà di Dio, di farla lievitare secondo il Regno dei Cieli e di porla al servizio dell’uomo per riuscire ad arrivare a quella pienezza che le viene da Cristo, superando la frattura tra il Vangelo e la vita. Infatti, “sarà la sintesi vitale che i fedeli laici sapranno operare tra il Vangelo e i doveri quotidiani della vita la più splendida e convincente testimonianza che, non la paura, ma la ricerca e l’adesione a Cristo sono il fattore determinante perché l’uomo viva e cresca, e perché si costituiscano nuovi modi di vivere più conformi alla dignità umana” (Ioannis Pauli PP. II, Christifideles laici, 34).

Dinanzi al progresso materiale che tende a spegnere la voce e il richiamo dello spirito, riaffermate la vostra tradizione ricca di esperienza umana e di sapienza cristiana. Penso al ruolo fondamentale della famiglia, al rispetto per gli anziani, alla cura degli ammalati, all’accoglienza e alla reciproca solidarietà, penso, soprattutto, all’educazione cristiana, alla preghiera in famiglia, alla quotidiana recitazione del Rosario nelle vostre case... Questo patrimonio umano e cristiano ha già plasmato intere generazioni e generato sante vite. Ricordiamo il Patrono della vostra Diocesi, il Beato Giovanni Battista Machado, battezzato nella Sede Cattedrale di Angra, in Giappone egli annunciò il vangelo e lì testimoniò con il martirio, nel 1617. Come non evocare ancora il Fratello Bento de Gois, anch’egli abitante delle Azzorre, e i suoi viaggi da autentico pioniere nelle terre misteriose del Tibet?

6. Quanto è avvenuto sul cammino di Emmaus può essere visto come introduzione a quanto la Prima Lettura della Liturgia di oggi, tratta dagli Atti degli Apostoli, ci dice sulla vita della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli . . . nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2, 42).

Questa comunità si è formata dopo il giorno della Pentecoste, quando lo Spirito Santo aprì gli occhi e il cuore, prima agli stessi Apostoli e, in seguito, mediante la loro testimonianza, ai nuovi discepoli di Cristo. Di essi si dice: “stavano insieme . . . chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (At 2, 44-45). Spinti dal messaggio sociale del Vangelo, essi distribuivano i loro beni tra i poveri, convinti che le parole del Signore - “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40) - non dovessero restare un pio desiderio, ma diventare un concreto impegno di vita. Il Figlio di Dio scelse la morte e salvò tutti gli uomini e al tempo stesso li unì tra loro, rendendoli responsabili gli uni degli altri, poiché nessuno si può considerare estraneo o indifferente alla sorte di ogni altro membro della famiglia umana.

È necessario contrapporre, dinanzi alla mentalità individualista oggi diffusa, il nostro concreto impegno di solidarietà e carità, che ha inizio in seno alla famiglia, con il reciproco appoggio tra gli sposi e, dopo, con le attenzioni che una generazione rivolge all’altra. La famiglia si qualifica come comunità di solidarietà. Spesso, comunque, succede che quando essa si decide ad aderire pienamente alla propria vocazione, si vede privata di risorse sufficienti e di strumenti efficaci di appoggio, sia nell’educazione dei figli, sia nella cura degli anziani, evitando il loro allontanamento dal nucleo familiare e rinforzando i vincoli tra le generazioni (cf. Ioanni Pauli PP. II, Centesimus annus, 49).

Oltre alla famiglia, molte altre società intermedie svolgono funzioni primarie e costruiscono reti specifiche di solidarietà che dinamicizzano il tessuto sociale, impedendogli di cadere nell’anonimato e nella massificazione, purtroppo frequenti nella società moderna, e equilibrando la divisione dei beni a favore degli “ultimi”, i prediletti del Signore Gesù, che, come tali, furono legati alla Chiesa che ne fece la sua opzione preferenziale.

7. “Celebrate il Signore, perché è buono; perché eterna è la sua misericordia” (Sal 118, 1).

Oggi cantiamo insieme, qui nelle Azzorre, questo Salmo pasquale della Chiesa. Lo cantavano i discepoli di Emmaus nei loro cuori, sulla via del ritorno a Gerusalemme, dopo aver riconosciuto il Signore Risorto, al momento della frazione del pane. Lo cantarono, in seguito, i cristiani della prima comunità di Gerusalemme, riunita intorno agli Apostoli, e, dopo di essa, le successive comunità che sorgevano in tutto il mondo allora conosciuto. Di generazione in generazione, questo cerchio si andava allargando. Il cristianesimo giunse nella Penisola Iberica, già dai tempi degli Apostoli e, molti secoli dopo, da essa partirono le missioni verso il Nuovo Mondo, fruttificando prima qui, in queste isole che segnano il punto estremo dell’Europa.

In tanti luoghi della terra, in tante comunità, si rinnova l’incontro del Signore con i discepoli sul cammino di Emmaus. La Chiesa vive della Parola di Dio e dell’Eucaristia: gli occhi del cuore si aprono e riconoscono il Redentore. È con questa apertura al Signore, le voci umane fanno udire all’unisono il canto pasquale di tutta la Chiesa:

“Celebrate il Signore perché è buono; perché eterna è la sua misericordia”.

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