Speculum caritatis, III, 5, in PL 195, 582.
Non c’è niente che ci spinga ad amare i nemici – ciò che è la perfezione dell’amore fraterno – quanto la dolce considerazione di quella ammirabile pazienza per cui egli, il più bello tra i figli dell’uomo offrì il suo bel viso agli sputi dei malvagi.
Lasciò velare dai malfattori quegli occhi, al cui cenno ogni cosa ubbidisce. Espose i suoi fianchi ai flagelli. Sottopose il capo, che fa tremare i Principati e le Potestà, alle punte acuminate delle spine.
Abbandonò se stesso all’obbrobrio e agli insulti. Infine sopportò pazientemente la croce i chiodi la lancia il fiele e l’aceto, lui in tutto dolce mite e clemente.
Alla fine fu condotto via come una pecora al macello, e come un agnello se ne stette silenzioso davanti al tosatore e non aprì la bocca. Orgogliosa impazienza dell’uomo osserva colui che ha sofferto tutto ciò e considera il modo con cui l’ha sopportato. Ci sarebbe più da meditare che da scrivere! Chi al sentire quella voce meravigliosa piena di dolcezza, piena di carità, piena di inalterabile pacatezza: Padre, perdonali, non abbraccerebbe subito i suoi nemici con tutto l’affetto? Padre, perdonali. Che cosa si poteva aggiungere di dolcezza e di carità a una siffatta preghiera? Tuttavia, il Signore aggiunse qualcosa.
Gli sembrò poco pregare, volle anche scusare. Padre, disse, perdonali, perché non sanno quello che fanno.
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