Martedì Santo. Dal Commento al Diatessaron di sant'Efrem il siro

Diatessaron, XX,4.7, in SC 121, 346.348

Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice (Lc 22,42).

Gesù dice questo a motivo della debolezza che ha assunto è perché l'ha assunta realmente, non in apparenza. Se si è fatto piccolo e si è davvero rivestito di fragilità umana, ora nella sua carne non può non tremare ed essere turbato.

Giunto il momento della morte, deve compiere quanto dipende dalla fragilità dei mortali.

Per diffondere con la sua passione il conforto nei discepoli, il Signore volle entrare nei loro sentimenti. Prese in se stesso la loro paura, per mostrar loro attraverso la somiglianza della sua anima che non bisogna gloriarsi della morte prima di averla subita. Se infatti colui che scacciava ogni paura ha provato spavento e ha chiesto la liberazione che pur sapeva impossibile, quanto più noi dobbiamo perseverare nella preghiera prima della tentazione per esserne liberati quando si presenta.

Nell'ora della tentazione il nostro animo è tormentato in tutti i sensi e il pensiero continua a divagare. Ecco perché Gesù è rimasto in preghiera, insegnandoci così che abbiamo bisogno di pregare contro i complotti e le macchinazioni del demonio per padroneggiare con la preghiera fervida, incessante e generosa i dispersi pensieri.

Semplicemente per confortare chi prova spavento della morte, Gesù ha esternato la propria paura, perché ognuno sapesse che tale paura non lo induce in peccato, purché egli tenga duro. Non la mia, o Padre. ma la tua volontà sia fatta (Lc 22,42), egli ha detto, cioè, che muoia per ridare la vita a molti.

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