Jean Galot. Il Sacrificio Eucaristico in relazione all'identità presbiterale

A - Itinerario storico

Per determinare il significato del sacrificio eucaristico in relazione all'identità del presbitero, seguiremo lo sviluppo di questa relazione attraverso tre tappe della dottrina dei rapporti tra sacrificio e sacerdozio: nella lettera agli Ebrei il mistero di Cristo sacerdote trascendente; nel concilio di Trento, il vincolo fra il sacerdozio della nuova alleanza e il sacrificio propiziatorio; nel concilio Vaticano II, il sacrificio eucaristico riconosciuto come il vertice del ministero sacerdotale.

1 - Cristo sacerdote, secondo la lettera agli Ebrei

a - La lettera agli Ebrei fa discernere il mistero che si esprime nel sacerdozio, sottolineando nella definizione del sommo sacerdote una relazione essenziale con Dio, che gli permette di esercitare un influsso sul comportamento divino: "Ogni sommo sacerdote, preso dagli uomini, viene stabilito per il bene degli uomini nelle cose che sono verso Dio, per offrire doni per i peccati "( 5,1).
I sacrifici operano la riconciliazione dell'umanità con Dio; alle relazioni che implicavano per motivo del peccato una separazione nell'ostilità si sostituiscono relazioni di pace e di mutua amicizia. L'ira divina scompare dinanzi alla misericordia. L'accesso "verso Dio" viene ristabilito.
Il disegno divino di alleanza può essere compiuto. Nell'A.T. questo disegno si era attuato con Mosè nel sacrificio, e adesso la nuova alleanza viene assicurata dal sacrificio personale di Cristo. Questo sacrificio è il sacrificio perfetto, che ottiene ogni bene, ogni grazia. I sacrifici nella religione giudaica erano sempre imperfetti e avevano soltanto un valore simbolico: non potevano raggiungere il loro scopo che consisteva nella remissione dei peccati. Solo il sacrificio di Cristo ottiene una riconciliazione totale, con il perdono definitivo di tutte le colpe.

b - Parlando di "sommo sacerdote" (archiereus), l'autore della lettera pensa a Cristo, anche se la definizione ha un carattere generale. Egli pure non vuole dire che Cristo è uno dei sacerdoti o sommi sacerdoti; attribuisce a Cristo un volto unico di sacerdote. Gesù non è sommo sacerdote "secondo l'ordine di Aronne", cioè in virtù dell'appartenenza al sacerdozio ufficiale del popolo giudaico, che è il sacerdozio levitico. Viene presentato come colui che, a seguito del suo sacrificio, è proclamato sommo sacerdote "secondo l'ordine di Melchisedek"(5,10). Melchisedek non è nemmeno un Ebreo; è un re straniero, "re di Shalom", secondo il libro della Genesi (14,18-20), e sacerdote del Dio altissimo, che fa una offerta di pane e vino. Egli da una benedizione a Abramo e riceve da lui il pagamento della decima. Appare dunque anteriore e superiore a Abramo.
Questa superiorità viene sottolineata e sfruttata nella lettera agli Ebrei, come segno della trascendenza del sacerdozio di Cristo. Il silenzio della Genesi sull'origine di Melchisedek è interpretato come indicazione che supera ogni origine umana: "Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, e rimane sacerdote in eterno"(7,3) . Si riconosce così nella figura biblica di Melchisedek il mistero del Figlio di Dio come supremo sacerdote.

c - Nel prologo della sua lettera, l'autore aveva posto in luce il passaggio dall'antica alleanza alla nuova, dicendo che Dio che," nei tempi antichi, molte volte e in diversi modi, aveva parlato ai padri attraverso i profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. Egli (il Figlio) è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e sostiene tutto con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, si è posto a destra della maestà nell'alto dei cieli"(1,1-3).
La nuova rivelazione è molto superiore all'antica: viene dal Figlio come parola unica e completa, Figlio che porta in se tutta la potenza divina, manifesta nell'opera creatrice e nell'opera redentrice di "purificazione dei peccati". Sedendo a destra del Padre, il Figlio condivide il suo potere.
L'espressione: "seduto alla destra" fa riferimento al salmo 110, citato poco dopo più letteralmente: "Siedi alla mia destra", come parola che significa una elevazione superiore a quella degli angeli. Questo salmo affermava una misteriosa figliolanza celeste e l'associava a una eterna dignità sacerdotale: "Il Signore ha giurato irrevocabilmente: Tu sei sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedek".
Questa associazione di figliolanza divina e di sacerdozio è stata ripresa e confermata dalle parole di Gesù stesso, nel contesto del sacrificio. Il sommo sacerdote Caifa rivolge a Gesù la domanda fondamentale: "Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio"(Mt 26,63). Nella sua risposta affermativa, Gesù annuncia che i suoi avversari riceveranno la dimostrazione della verità che egli proclama: "D'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della potenza di Dio e venire sulle nubi del cielo"(Mt 26,64). Annuncia così il compimento delle parole: "Siedi alla mia destra", parole che introducevano la proclamazione di un sacerdozio nuovo: "Tu sei sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedek". Senza riprendere queste ultime parole, Gesù mostra che si attribuisce questa dignità; lo mostra nella testimonianza suprema sulla propria identità , con il suo impegno nel sacrificio. Si è definito come sacerdote nuovo, e ha definito così tutto il sacerdozio che viene da lui.
Se egli si considera come "sacerdote per sempre", possiamo chinerei se l'eternità di questo sacerdozio era anteriore al momento dell'incarnazione del Figlio, cioè se dall'eternità Gesù era sacerdote. La lettera agli Ebrei risponde a questo interrogativo, affermando che "ogni sommo sacerdote è preso dagli uomini" in vista di contribuire al bene degli uomini. Per diventare sacerdote, il Figlio si è fatto solidale degli uomini con l'incarnazione.

d - Anche se il Verbo nella sua eternità non era sacerdote, dobbiamo riconoscere l'armonia tra l'atteggiamento eterno del Figlio, dal principio rivolto verso il Padre, e l'atteggiamento sacerdotale definito nella lettera agli Ebrei. Gli stessi termini greci servono a designare i due atteggiamenti: secondo il prologo di Giovanni, il Verbo era "verso Dio" (pros ton Theon) ; secondo la lettera agli Ebrei il figlio è divenuto, nella relazione "verso Dio" un sommo sacerdote misericordioso e degno di fiducia(2,17). Infatti il sacerdote è stabilito per intervenire in "favore degli uomini, nelle cose che sono "verso Dio"(5,l). Nell'eternità il Figlio aveva la disposizione di orientamento verso il Padre, che al momento dell'incarnazione diventa disposizione sacerdotale.
La figliolanza divina si esprime nel sacerdozio; l'intenzione filiale eterna si concretizza nell'atteggiamento sacerdotale: Il sacrificio consiste in un ritorno del Figlio verso il Padre; Gesù sa "che è venuto da Dio e ritorna a Dio"; alla Cena, "la sua ora è venuta di passare da questo mondo al Padre suo"(Gv 13,1-3; cf. 16,28).
In Cristo si è formato un legame molto intimo fra la figliolanza divina e il sacerdozio: ambedue si esprimono in un movimento teso verso il Padre.
Il sacrificio è l'atto di sommo amore con il quale il Figlio incarnato offre se stesso al Padre per ricevere dalle mani del Padre tutti i beni della salvezza per il mondo peccatore. Egli assume con la sua immensa compassione tutto il peso dei peccati del mondo e rivolge al Padre una implorazione unica per il perdono di tutte le colpe. E' l'atto filiale per eccellenza, perché esprime un abbandono totale all'amore sovrano del Padre, ed è l'atto sacerdotale perfetto, che manifesta la bontà misericordiosa verso l'umanità peccatrice. E* l'offerta che ottiene la trasformazione dell'umanità con la sua elevazione alla vita divina: l'umanità riceve un nuovo orientamento che la rivolge "verso Dio", "verso il Padre", e opera la sua conversione.

2 - Sacerdozio e sacrificio secondo il concilio di Trento

a - Nel concilio di Trento, l'esposizione dottrinale del sacrificio della messa viene data partendo dal nuovo sacerdozio che si è rivelato in Cristo. "Poiché sotto l'antica alleanza (secondo la testimonianza dell'apostolo Paolo), per l'insufficienza del sacerdozio levitico, non era possibile la perfezione, fu necessario, e così dispose Dio, Padre di misericordia, che sorgesse un altro sacerdote secondo l'ordine di Melchisedek (Sal.110,4; Eb 5,6.10;7,11.17; cf. Gn 14,18), il Signore Gesù Cristo, che potesse condurre ad ogni perfezione tutti quelli che dovevano essere santificati (Cf. Eb 10,14)" (DS 1739).
Il sacerdozio levitico non poteva, nell'antica alleanza, procurare la perfezione della santità. Un altro sacerdozio, di natura superiore, era necessario per raggiungere questo scopo. Solo colui che era Dio, il Figlio, poteva assicurare una santificazione completa.
Inoltre, non bastava nemmeno il sacrificio offerto una volta per tutte sulla croce. Verità che potrebbe sembrare molto sorprendente, perché questo sacrificio unico è stato offerto per ottenere tutte le grazie di salvezza per ogni uomo e per l'intera umanità. Non manca niente all'efficacia totale e universale del sacrificio che ha raggiunto con sovrabbondanza il suo scopo. Ma secondo il disegno divino, il sacrificio sacerdotale è destinato a prolungare e rinnovare senza sosta la sua offerta in forma sacramentale. Il sacerdozio di Cristo manifesta il suo carattere perpetuo e rende più concreto il suo valore universale con la sua applicazione alla vita cristiana quotidiana. Il sacrificio eucaristico permette al sacrificio della croce di rinnovare sempre la sua attualità.
Il concilio di Trento spiega questa necessità, necessità postulata da un amore divino gratuito che vuole dispiegarsi fino nel fondo: "Questo Dio e Signore nostro, anche se si sarebbe immolato a Dio Padre una sola volta morendo sull'altare della croce (cf. Eb 7,27) per compiere per loro una redenzione eterna, poiché tuttavia, il suo sacerdozio non doveva estinguersi con la morte (cf. Eb 7,24), nell'ultima cena, "la notte in cui fu tradito" (1 Cor 11,23), per lasciare alla Chiesa, sua amante sposa, un sacrificio visibile (come esige l'umana natura), con cui venisse significato quello cruento che avrebbe offerto una volta per tutte sulla croce, prolungandone la memoria fino alla fine del mondo, e applicandola sua efficacia salvifica alla remissione dei peccati quotidiani, egli dunque, proclamandosi sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedek, offrì a Dio Padre il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino e sotto gli stessi simboli li diede, perché li prendessero, agli apostoli (che in questo momento costituiva sacerdoti della nuova alleanza) e comandi loro e ai loro successori nel sacerdozio che l'offrissero, con queste parole: "Fate questo in memoria diurne" (Le 22,19; 1 Cor 11,24), ecc., come la Chiesa cattolica ha sempre creduto e insegnato" (DS 1740).

b - La perpetuità del sacrificio eucaristico è legata alla perpetuità del sacerdozio di Cristo, sacerdozio ministeriale comunicato agli apostoli e ai loro successori.
Il sacrificio eucaristico è un sacrificio rituale, distinto dal sacrificio cruento della croce, che è stato unico, offerto una volta per tutte. Pur essendo rituale, è un vero sacrificio che produce un effetto propiziatorio. Il concilio di Trento ha reagito contro l'opinione di coloro che riconoscono soltanto un sacrificio di lode e di ringraziamento senza valore propiziatorio o una pura commemorazione del sacrificio compiuto sulla croce, o ancora un sacrificio senza utilità per i vivi e i defunti (DS 1753). "Poiché in questo divino sacrificio, che si compie nella messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che si offerse una sola volta in modo cruento sull'altare della croce (Eb 9, 14.27s), il santo sinodo insegna che questo sacrificio è propriamente propiziatorio e che per mezzo di esso, se con cuore sincero e retta fede, con timore e rispetto, ci accostiamo a Dio contriti e pentiti, possiamo ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento propizio (Eb 4,16) Placato, infatti, da questa offerta, il Signore, concedendo la grazia e il dono della penitenza, perdona i peccati e le colpe, anche le più gravi" (DS 1743).

c - Il valore del sacrificio eucaristico appare più specialmente ne suo rapporto con il sacrificio della croce, rapporto precisato dal concilio a un triplice punto di vista: "C'è una sola e identica vittima; è lo stesso che offre per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno si è offerto se stesso sulla croce; diverso è solo il modo di offrirsi" (DS 1743) .
Nella cena e nel sacrificio della croce, Cristo è l'unica vittima e l'unico sacerdote offerente. Il concilio di Trento si limita a questa affermazione, senza voler dare una risposta ad alcune domande.
Identità della vittima
Dicendo; "una sola e identica vittima", il concilio non ha voluto escludere che il pane e il vino fossero considerati come offerte. Non sono offerta principale; non c'è nella messa una duplice offerta, che costituirebbe un duplice sacrificio. Pane e vino vengono offerti come doni destinati a diventare corpo e sangue di Cristo: sono convertiti in Cristo, e l'offerta ha come termine finale solo Cristo.
L'identità della vittima non esclude nemmeno che nella messa la Chiesa venga in qualche modo offerta: La Chiesa può essere considerata come vittima associata a Cristo, anche se Cristo solo sia contenuto sostanzialmente sotto le specie e sia sempre vittima principale.
Identità del sacerdote
Un sacerdote identico non esclude l'azione del ministro nell'offerta sacerdotale della messa, né la partecipazione dei fedeli e di tutta la Chiesa al sacrificio ministeriale. Modo di offrire diverso
L'espressione ;"ratio offerendi" non viene precisata, ma significa che nella messa l'oblazione non è cruenta e viene fatta dal ministero dei sacerdoti.
La messa è sacrificio sacramentale: questa proprietà sacramentale impedisce ogni affermazione di semplice identità con il sacrificio della croce; l'affermazione di una identità numerica, fatta da O. Casel, non sembra conforme alla dottrina del concilio di Trento.
Il sacrificio della messa rappresenta il sacrificio della croce, lo commemora e applica il suo valore salvifico. Il sacrificio della croce è molto più vasto e più fondamentale; il sacrificio eucaristico attinge nella croce la forza spirituale per farne beneficiare tutti i credenti.

d - Nell'esposizione dottrinale elaborata nel concilio di Trento per reagire alle critiche che emanavano dai Riformatori, osserviamo il vincolo molto forte fra sacerdozio e sacrificio. Il sacrificio eucaristico è stato possibile perché un nuovo sacerdozio, diverso da quello dell'Antico Testamento, formato. Essendo sacerdote secondo l'ordine di Melchisedek, Gesù ha potuto dare alla sua offerta sacerdotale un valore infinito nel tempo e nello spazio, un valore eterno e onnipresente. E' la sua identità nuova di sacerdote supremo che gli ha permesso d'istituire un sacrificio rituale che riproduceva l'unico sacrificio della croce e di moltiplicare in modo indefinito l'offerta che aveva segnato il momento più drammatico della storia dell'umanità.
L'identità del sacerdote svolgeva così un ruolo decisivo nello sviluppo del sacrificio: era l'origine del valore più alto e della più ampia efficacia che potevano essere attribuiti al sacrificio eucaristico. Senza Cristo sacerdote, non ci sarebbe stata l'Eucaristia.
Possiamo aggiungere, in riferimento alla nostra prospettiva che considera il sacrificio prelazione non solo all'identità ma alla spiritualità e al ministero del presbitero, che la dottrina di Trento chiarisce anche l'influsso della spiritualità e della missione di Cristo sacerdote sull'istituzione del sacrificio eucaristico. Nella spiritualità che anima il sacerdozio di Cristo, è fondamentale la consapevolezza di essere il buon pastore. Per adempiere i requisiti della qualità di buon pastore, era necessario di procurare ai credenti la possibilità di unirsi intimamente all'offerta redentrice partecipando al sacrificio e al pasto eucaristico. Diffondendo generosamente la sua ricchezza spirituale, Cristo compiva anche la sua missione di sacerdote: con l'eucaristia, invitava i suoi a nutrirsi del suo corpo e del suo sangue per accogliere meglio l'abbondanza della sua vita divina. Con l'eucaristia, egli poteva raggiungere in pienezza lo scopo della sua venuta fra gli uomini.

3 - Il sacrificio eucaristico, esercizio supremo della funzione di presbitero, secondo la dottrina del Vaticano II

a - Vaticano II ha potuto trattare del sacerdozio ministeriale in un quadro più sereno di quello del concilio di Trento, perché non aveva la preoccupazione prevalente di respingere degli errori. Considerandosi come concilio pastorale, ha potuto enunciare in modo pacifico la dottrina del sacerdozio. Ha riflettuto ampiamente sul sacerdozio dei vescovi, ma ha anche formulato delle osservazioni fondamentali sul sacerdozio dei presbiteri.
L'origine del presbiterato viene brevemente indicata: i vescovi, successori degli Apostoli, "hanno legittimamente affidato, secondo diversi gradi, l'ufficio del loro ministero a vari soggetti nella Chiesa. Così il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini, da quelli che già anticamente sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi. (Lumen gentium 28). I presbiteri hanno dunque ricevuto dai vescovi la loro funzione; partecipano al loro ministero, che ha la sua prima origine negli Apostoli, che furono mandati da Cristo, come Cristo stesso fu mandato dal Padre.
La fonte dell'autorità pastorale dei presbiteri viene chiarita. Nella descrizione delle loro funzioni, il concilio sottolinea particolarmente la loro dipendenza dal vescovo, ma pone anche in luce la loro dignità e la loro partecipazione al sacerdozio ministeriale di Cristo.
"I presbiteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio e dipendendo dai vescovi nell'esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro uniti nell'onore sacerdotale e in virtù del sacramento dell'ordine, a immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote (cf, Eb 5,1-10; 7,24; 9,11-28), sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento. Partecipando, secondo il grado proprio del loro ministero, alla funzione dell'unico Mediatore Cristo (cf. 1 Tira 2,5), essi annunziano a tutti la divina parola. Ma soprattutto ("maxime") esercitano la loro funzione sacra nel culto o assemblea eucaristica, dove agendo in persona di Cristo, e, proclamando il suo ministero, uniscono i voti dei fedeli al sacrificio del loro capo e nel sacrificio della messa rendono presente e applicano, fino alla venuta del Signora (cf, 1 Cor 11,26), l'unico sacrificio del Nuovo Testamento, il sacrificio cioè di Cristo, che una volta per tutte si offrì al Padre quale vittima immacolata (cf. Eb 9,11-23)".

b - Da questo insegnamento del concilio riteniamo una affermazione molto significativa: la principale funzione dei presbiteri è l'offerta del sacrificio eucaristico. Il valore dell'affermazione merita di essere approfondito.
Il concilio si era dato, come obiettivo di riflessione e di elucidazione, il significato e il valore della funzione episcopale. I Padri hanno posto in luce il ruolo essenziale del collegio episcopale, che deriva dal collegio apostolico. Vaticano II ha procurato così un complemento auspicabile alla dottrina del potere affidato al Sommo Pontefice, dottrina ampiamente esposta da Vaticano I: Infatti, era necessario equilibrare la giusta affermazione dei poteri assegnati a Pietro e ai suoi successori con l'affermazione dei poteri attribuiti da Gesù agli Apostoli per essere trasmessi ai vescovi.
Vaticano II ha avuto dunque il merito di mostrare meglio l'origine dell'autorità concessa ai vescovi, il ruolo essenziale della collegialità episcopale nel governo della Chiesa, la sacramentalità dell'ordinazione episcopale, la conciliazione dei poteri vescovili con il potere del capo della Chiesa. Ha anche spiegato le funzioni affidate ad ogni vescovo, e precisato il modo e lo spirito che animano il loro esercizio.
Questa concentrazione dell'attenzione del concilio aveva il vantaggio di provvedere a un approfondimento della dottrina del ministero, ma poteva anche dar l'impressione che i vescovi erano l'elemento più importante nella vita della Chiesa e che i semplici presbiteri erano di molto meno valore. Un malcontento si è manifestato, al momento del concilio, e si è espresso in rimproveri amari da parte di presbiteri che si sentivano trascurati o disprezzati. Alcuni Padri del concilio accolsero queste proteste e tentarono di preparare un messaggio specialmente indirizzato ai presbiteri, ma il tempo non permise loro di redigere e mandare questo messaggio. Più tardi, il decreto Presbyterorum ordinis fu elaborato per potere offrire ai presbiteri un insegnamento dottrinale conforme alla loro dignità.
Nella Costituzione Lumen gentium. la dottrina che li concerne è breve, condensata nel n.28. Ma l'accento è posto sulla funzione più alta dei presbiteri, funzione che testimonia un valore eminente, quello del culto eucaristico. Quando celebrano questo culto, i presbiteri portano l'immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote. Operano "quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento". Tutta la dignità sacerdotale è impegnata in questo culto.
Nell'offerta del sacrificio eucaristico, il presbitero esercita un potere simile a quello del vescovo, potere di consacrare il pane perché diventi corpo di Cristo e il vino perché diventi sangue dello stesso Cristo. Si tratta del potere più alto che possa essere riconosciuto a un uomo. Definendo questo potere come la proprietà più caratteristica del presbitero, il concilio attribuisce ad ogni sacerdote la funzione più elevata.

c - Vaticano II afferma con maggiore chiarezza l'origine divina del ministero ecclesiastico. Il concilio di Trento aveva definito l'esistenza di una "gerarchia, istituita per ordinazione divina, che si compone di vescovi, presbiteri e ministri"(DS 1776), ma non aveva voluto affermare, con queste parole, l'istituzione divina dei vescovi. Vaticano II afferma esplicitamente questa istituzione divina: "Il ministero ecclesiastico, di istituzione divina, viene esercitato in diversi ordini , da quelli che già anticamente sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi". In particolare, i vescovi sono stati voluti da Cristo: questa volontà si è manifestata nella missione affidata agli Apostoli, missione che richiedeva dei successori. Per quanto riguarda i presbiteri, non c'è affermazione parallela di una volontà di Cristo per la loro istituzione. In Lumen gentium (28) viene detto che i vescovi hanno legittimamente trasmesso l'ufficio del loro ministero a vari soggetti; in Presbyterorum ordinis (2) leggiamo che la funzione ministeriale dei vescovi "fu trasmessa in grado subordinato ai presbiteri, affinché questi, costituiti nell'ordine del presbiterato, fossero cooperatori dell'ordine episcopale per il retto assolvimento della missione apostolica affidata da Cristo". Sull'origine storica del presbiterato, il concilio dice soltanto che gli Apostoli "ebbero vari collaboratori nel ministero"(LG 20) e che, in seguito, i vescovi hanno conferito ai presbiteri un ufficio ministeriale; non allude a una volontà specifica di Cristo per l'istituzione dei presbiteri.
L'episodio evangelico della missione assegnata ai settantadue discepoli, distinta dalla missione affidata ai Dodici ma analoga a questa (Le 10,1-12; 9,1-6) avrebbe potuto costituire un punto di partenza per l'affermazione della volontà d'istituire dei presbiteri impegnati nella cooperazione con i vescovi, ma Vaticano II non ha posto il problema, essendo più dedicato all'elaborazione della dottrina sul ministero dei vescovi. Il bisogno di precisare l'origine del ministero presbiterale non era abbastanza sentito; si può nondimeno prevedere che questo problema sarà nel futuro l'oggetto di una riflessione più approfondita.
Se il ruolo di Cristo nell'istituzione del presbiterato non è stato chiarito da Vaticano II, il ruolo di Cristo nell'esercizio del ministero presbiterale è stato pure posto in luce: "La funzione dei presbiteri, in quanto strettamente vincolata all'ordine episcopale, partecipa dell'autorità conia quale Cristo stesso fa crescere ,santifica e governa il proprio Corpo". Per mezzo del sacramento dell'ordine, i presbiteri vengono configurati a Cristo sacerdote e resi atti ad agire in nome di Cristo capo in persona. I presbiteri "partecipano, da parte loro, alla funzione degli Apostoli"( PO 2).il ruolo di Cristo nell'istituzione del presbiterato non è stato chiarito da Vaticano II, il ruolo di Cristo nell'esercizio del ministero presbiterale è stato pure posto in luce: "La funzione dei presbiteri, in quanto strettamente vincolata all'ordine episcopale, partecipa dell'autorità quale Cristo stesso fa crescere ,santifica e governa il proprio Corpo". Per mezzo del sacramento dell'ordine, i presbiteri vengono configurati a Cristo sacerdote e resi atti ad agire in nome di Cristo capo in persona. I presbiteri "partecipano, da parte loro, alla funzione degli Apostoli"( PO 2).
Il valore del presbiterato viene così riconosciuto. Partecipare all'azione di Cristo che "fa crescere, santifica e governa il proprio Corpo" significa essere elevato al livello più alto dell'attività spirituale. Agire in nome di Cristo capo in persona significa esercitare il ministero di pastore mediante una profonda unione con la persona di Cristo.
Il Vaticano II non afferma soltanto questa azione in nome di cristo capo in persona, ma sottolinea che i presbiteri esercitano soprattutto la loro funzione sacra nell'offerta del sacrificio eucaristico. Il momento in cui il presbitero, con la sua attività personale d'offerta sacrificale fa crescere, santifica e governa la Chiesa, per assimilazione all'offerta personale di Cristo, è il momento della più ampia fecondità concessa al ministero sacerdotale. I presbiteri, dice il concilio, "uniscono i voti dei fedeli al sacrificio del loro capo". Tutti i desideri dell'umanità vengono portati sull'altare: il gesto dell'offerta sacerdotale si estende ai più intimi pensieri che si nascondono nei cuori umani, ma assumono il loro pieno valore quando sono accolti e presentati al Padre nell'offerta personale di Cristo stesso. E tutta l'anima della comunità umana che si esprime in questa offerta e che si apre alla trasformazione totale in vita divina che Cristo opera per mezzo dello Spirito Santo.

d - Osservando che i presbiteri esercitano soprattutto il loro sacro ministero nel culto eucaristico, Vaticano II risponde a un problema che era stato sollevato poco prima sulla natura del ministero sacerdotale. Un movimento dottrinale si era sviluppato per esaltare l'importanza del ministero della parola. In reazione alle dichiarazioni del concilio di Trento, che avevano affermato con insistenza il legame fra sacerdozio e sacrificio, questo movimento poneva l'accento sulla connessione fra sacerdozio e parola: II sacerdote veniva concepito come l'uomo della parola, e il sacrificio era interpretato come il caso più evidente dell'efficacia della parola pronunziata nella celebrazione eucaristica. Diversi tentativi erano stati fatti per ridurre le tre funzioni sacerdotali di predicazione, di culto e di cura pastorale al solo ministero della parola.
Il Vaticano II conserva l'affermazione delle tre distinte funzioni per il sacerdozio. Riconosce la priorità del ministero della parola per i vescovi e i presbiteri: "Tra i principali doveri dei vescovi, eccelle la predicazione del Vangelo"(LG 25) "I presbiteri, nella loro qualità di cooperatori dei vescovi, hanno anzitutto il dovere di annunciare a tutti il Vangelo di Dio"(PO 4). Ma un altro primato viene espressamente enunciato: un valore superiore deve essere attribuito al sacrificio eucaristico: i presbiteri esercitano soprattutto il loro sacro ministero nel culto eucaristico (LG 28); "nel ministero eucaristico, i presbiteri svolgono la loro funzione principale" (PO 3).
Nell'ordine cronologico, la funzione di predicazione è prima, perché il primo compito della missione sacerdotale è di diffondere la parola di Dio; la celebrazione dell'eucaristia si rivolge a coloro che hanno già ascoltato questa parola. Ma nell'ordine del valore spirituale, il sacrificio eucaristico è più elevato, perché comunica pienamente ai credenti la vita divina, con la forza necessaria a una esistenza umana che risponda generosamente a tutte le esigenze divine.


B - Riflessione dottrinale

1-11 sacrificio eucaristico in relazione all'identità del presbitero

1A - Eucaristia e identità sacerdotale di Cristo

a - Il sacrificio eucaristico manifesta nel modo più sorprendente la potenza del sacerdozio di Cristo.
Nell'ultima cena Gesù ha istituito l'eucaristia, e con questa istituzione ha dato al sacerdozio ministeriale una nuova dimensione, dimensione che non avrebbe potuto esistere nel compito sacerdotale della religione giudaica. Il ritualismo giudaico si estendeva a molti sacrifici e molti pasti, ma non comportava niente di simile al sacrificio eucaristico e al banchetto eucaristico. L'eucaristia appare come una grande novità, una invenzione meravigliosa.
Nella vita sacramentale della nuova alleanza, l'eucaristia ha un posto molto importante, unico. Procura la presenza di Cristo, mentre gli altri sacramenti procurano soltanto una grazia speciale, un dono determinato che emana dalla persona del Salvatore e viene comunicato dallo Spirito Santo. Il sacramento del perdono, per esempio, comunica la grazia della remissione delle colpe, ma non comporta, sotto segni sensibili, la presenza di questa persona. La presenza viene data dall'eucaristia, con le parole della consacrazione del pane e del vino: il Salvatore stesso si rende presente, e non compie soltanto una azione salvatrice. L'eucaristia è specialmente destinata a fare apprezzare il dono divino più essenziale, quello della presenza di Cristo.
E' anche destinata a sviluppare la partecipazione all'offerta del sacrificio. Cristo è sacerdote che esercita il suo sacerdozio prima di tutto con questa offerta. Si tratta dell'offerta che è stata compiuta una volta per tutte nel sacrificio della croce. Tutte le offerte che hanno seguito nella storia l'offerta del Calvario hanno riprodotto ritualmente, sacramentalmente l'unica offerta fatta sul Calvario e hanno attinto in essa tutta la loro realtà. Il sacerdozio del Salvatore si è concentrato nell'offerta drammatica che ha meritato la salvezza per l'umanità, prima di moltiplicarsi in numerose offerte rituali, compiute mediante il ministero di molti sacerdoti per i bisogni di tutto il mondo.

b - Moltiplicandosi per operare con la cooperazione di molti sacerdoti, il sacerdozio di Cristo non perde niente della sua potenza salvatrice. Cristo sviluppa in ogni sacerdote la consapevolezza di agire nel suo nome, e fa scoprire la sua identità di sommo sacerdote attraverso le parole pronunziate in ogni celebrazione eucaristica. Il presbitero che pronunzia queste parole riconosce che tutta la potenza dell'eucaristia viene da Cristo, e che il suo sacerdozio personale opera soltanto come sacerdozio di Cristo. La parola rivolta a tutti i cristiani, come a tutti gli uomini: "Fuori di me non potete far nulla" (Gv 15,5) vale più particolarmente per i sacerdoti, Un sacerdote non può sperare nessuno frutto se è separato dal sacerdozio di Cristo. Deve identificarsi con il Salvatore nel compimento della sua missione e più specialmente nella sua attività sacramentale. Scoprendo sempre più la presenza operante di Cristo nel mistero dell'eucaristia, può sperare una efficacia superiore con frutti sempre più abbondanti che sorgono dalla presenza del Sacerdote supremo, dal suo sacerdozio onnipotente.

c - Nell'ultima cena, il sacerdozio di Cristo non si è soltanto affermato come munito di tutta la potenza del Figlio ma come animato dal più ampio amore. L'evangelista Giovanni pone l'accento su questa disposizione fondamentale di Gesù al momento dell'istituzione dell'eucaristia: "Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine"(Gv 13,1).Passare da questo mondo al Padre significava il grande atto sacerdotale dell'offerta della sua vita. Gesù conosceva la via che doveva condurlo fino al Padre: prima dell'evento doloroso, conosceva i particolari dell'itinerario che si sarebbero manifestati molto presto nella notte che si avvicinava. Avrebbe potuto temere questo itinerario, ma siccome si trattava di passare dal mondo al Padre, egli sapeva che il traghetto penoso doveva terminare con l'accoglienza da parte del Padre, cioè con un'immensa gioia che avrebbe succeduto a un intenso dolore.
Ma ciò che importava soprattutto era l'amore che illuminava e desiderava questo cammino. Cristo aveva sempre fatto del suo viaggio sulla terra, che lo conduceva dal Padre al Padre, un viaggio pieno di amore per gli uomini. Il passo ultimo del viaggio doveva essere necessariamente un vertice dell'amore: amare fino alla fine non solo voleva dire che egli era deciso ad amare fino all'ultimo dei suoi giorni sulla terra, ma che voleva amare fino al punto estremo del dono del suo cuore.

d - E' questo amore che ha permesso al suo sacerdozio di svilupparsi più completamente. Nella preghiera sacerdotale si esprime la consapevolezza della consacrazione sacerdotale suprema e del vertice dell'amore, secondo l'orientamento della prima cena eucaristica.
L'atteggiamento sacerdotale di Gesù si dispiega nello slancio della preghiera: "alzati gli occhi al cielo" (Gv 17,1). E' un momento di omaggio al Padre e di abbandono alla sua sovranità. "Padre, è giunta l'ora". E' l'ora dell'opera di salvezza, ora della Passione, ma che nel piano divino è inseparabilmente l'ora della glorificazione: "Glorifica il tuo Figlio, perché il Figlio glorifichi te." A questo momento viene aspettato il supremo scambio di amore fra Padre e Figlio. Il Figlio chiede al Padre la sua glorificazione, che si compirà nella risurrezione; vuole suscitare la più alta testimonianza di amore del Padre, ma mostra che il suo scopo è di glorificare il Padre, con l'omaggio della sua persona di Figlio.
L'amore reciproco del Padre e del Figlio non è pure destinato a chiudersi sulla loro unione: Gesù pensa all'effetto benefico di questo amore sul destino del l'umanità. Egli vuole dare la vita eterna a tutti quelli che gli sono stati affidati dal Padre. Il Padre non solo ha mandato il Figlio nel mondo ma gli ha affidato tutti gli uomini destinati alla fede. Il Figlio li ha custoditi tutti, tranne il figlio di perdizione. Egli prega perché possano avere la pienezza della sua gioia, che esprime il dono completo del suo amore.
Inoltre, il Figlio vuole mandare i suoi discepoli nel mondo, perché possano condividere la sua missione. Per questa missione, che è sacerdotale, chiede al Padre la loro consacrazione, frutto e prolungamento della sua consacrazione personale :"Per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità" (Gv 17, 18-19).
L'amore che anima la consacrazione deve più specialmente manifestarsi nell'unità che Gesù vuole stabilire nella Chiesa: l'unione fra i discepoli deve conformarsi all'unione perfetta che unisce Padre e Figlio: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola" (Gv 17,21). L'unità del Padre e del Figlio non costituisce solo un modello da imitare: è una comunione di vita nella quale gli uomini sono invitati a vivere per attingervi la forza di rimanere uniti. Così viene assicurata, la perfezione dell'unità: "Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità".
Nella preghiera sacerdotale, l'eucaristia non viene espressamente citata, ma con l'istituzione del sacramento fatta poco prima, il suo ricordo è sempre presente. L'eucaristia significa la penetrazione dell'amore divino nel cuore dei credenti. Questa penetrazione proviene da un ampio disegno che ha come punto di partenza l'amore eterno del Padre per il Figlio: "Tu mi hai amato prima della creazione del mondo"(Gv 17,24). E' questo amore che vuole prendere possesso dei cuori umani: "Io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro"(Gv 17,26) .
Questa permanenza dell'amore divino nel cuore è una nota distintiva della vita della grazia, ma è più particolarmente prodotta e assicurata dall'eucaristia.

1 B - Eucaristia e identità sacerdotale del presbitero

a - Il sacrificio eucaristico contribuisce a porre in luce l'identità sacerdotale del presbitero.
A questo sacrificio prende parte tutta la comunità cristiana, ma solo colui che è stato investito di una missione e di un potere appropriato come sacerdote può pronunziare le parole della consacrazione del pane e del vino. Cristo ha dato questo potere ai suoi Apostoli: aveva riservato ai dodici la partecipazione all'ultima cena e si è rivolto a loro quando ha detto: "Fate questo in memoria di me"( Lc 22,19; 1 Cor 11,24-25). Manifestava la sua volontà per la via futura della sua Chiesa: voleva la riproduzione della cena in modo indefinito perché la memoria della sua venuta sulla terra non fosse semplicemente la memoria di un momento passato ma il compimento sempre reale e vivo del dono concesso per la santificazione del mondo. Per l'esistenza e lo sviluppo della Chiesa, la riproduzione di ciò che era stato fatto in questa cena era essenziale.
Tuttavia, Gesù non desiderava che tutto, da questa ultima cena, fosse commemorato e riprodotto. Si trattava soltanto della grande novità che aveva introdotto in questa cena pasquale: la consacrazione del pane e del vino, che diventavano il suo proprio corpo e il suo proprio sangue. Nella cena pasquale la sostanza del pasto consisteva nell'agnello. I discepoli avrebbero potuto forse esitare sugli alimenti che dovevano costituire il pasto commemorativo voluto dal Maestro. Ma per questo discernimento avevano ricevuto dalle stesse parole di Gesù, una indicazione decisiva. Gesù aveva detto due volte: "Fate questo in memoria di me", a due momenti del pasto: nel momento della benedizione del pane, ali'inizio,poi nel momento in cui si beveva la terza coppa di vino, verso la fine. La memoria si limitava dunque alla manducazione del corpo di Gesù e alla bevanda del suo sangue.
Gli Apostoli hanno capito che solo questi due nuovi riti, introdotti dal loro Maestro nella cena pasquale, dovevano essere ripresi nella celebrazione dell'eucaristia. Erano dei riti che sconvolgevano il significato della cena. L'agnello non era più necessario, perché ormai la carne e il sangue erano quelli, non di un agnello simbolico, ma del vero agnello che con il suo sacrificio aveva salvato il mondo. Per questo motivo, gli Apostoli hanno lasciato cadere, in memoria di Cristo, tutto il rito dell'agnello pasquale, e hanno ritenuto unicamente le consacrazioni del pane e del vino, che ormai davano il corpo e il sangue del Salvatore.

b - Le parole della consacrazione pongono in evidenza il ruolo essenziale di Cristo come sommo sacerdote.
E lui che compie l'atto di offerta; le parole vengono pronunziate nel suo nome: "Questo è il mio corpo." Sembra che più letteralmente abbia detto: "Questa è la mia carne", come lo fanno supporre le parole riportate da Giovanni nel discorso di annuncio dell'eucaristia: "Il pane che io darò è la mia carne, per la vita del mondo"(Gv 6,51). Il concetto semitico è quello di "carne"; verosimilmente è il concetto adoperato da Gesù, ma che è stato sostituito in greco dal vocabolo "corpo".
L'espressione "la mia carne" conveniva specialmente per significare la debolezza inerente alla natura umana e per lasciare intendere la destinazione al sacrificio. La carne poteva alludere alle vittime animali dei sacrifici che erano senza sosta offerti nel tempio di Gerusalemme. Ma essendo la carne di Cristo/ questa "mia carne" assumeva un valore superiore. Se era destinata a sostituire nel sacrificio la carne di numerose vittime, significava pure il corpo vivo, il corpo di colui che aveva il potere di dare la propria vita per comunicare all'umanità la vita divina.
Solo il sacerdote supremo poteva pretendere a questo potere sul proprio corpo. Gesù aveva rivendicato, in quanto era il Figlio unico del Padre, la sovranità sulla sua vita umana: "In questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e di riprenderla di nuovo"(Gv 10,17-18). L'esercizio di questo potere è anche un atto di obbedienza verso il Padre. Gesù aggiunge: "Questo commando ho ricevuto dal Padre mio." Con un atteggiamento profondamente filiale, egli s'impegna sovranamente nella morte e nella risurrezione come il Padre l'aveva voluto quando l'aveva mandato sulla terra.

c - Quando il presbitero pronunzia le parole della consacrazione del pane e del vino, è consapevole di avere ricevuto, in virtù dell'ordinazione sacerdotale, questo potere di rendere presenti il corpo e il sangue di Cristo. Egli parla nel nome di Cristo al punto di dire: "Questo è il mio corpo", "Questo è il calice del mio sangue. Con una audacia notevole, dice "mio corpo", "mio sangue", pensando esclusivamente al corpo e al sangue di Cristo e dimenticando in qualche modo il fatte che egli conserva il suo corpo personale e il suo sangue. La sua identità personale è divenuta totalmente trasparente all'identità personale di Cristo. Egli s'identifica a Cristo come sacerdote che offre pane e vino per prendere nelle sue mani il corpo e il sangue presenti sotto segni visibili.
Questa identificazione non si verifica solo nell'eucaristia. Nel sacramento del perdono, il presbitero opera anche nel nome di Cristo per trasmettere il perdono divino. Nel nome di Cristo, egli dice a colui che è venuto per ricevere il perdono: "Io ti assolvo da tutti i tuoi peccati". ei anche consapevole che non possiede in se stesso, nelle sue capacità semplicemente umane, la facoltà di concedere l'assoluzione; in virtù dell'ordinazione sacerdotale ha ricevuto questa facoltà e l'esercita sapendo che Cristo stesso perdona come l'esprimono le parole sacramentali. Il presbitero s'identifica al Sacerdote supremo che concede il perdono.
Fa così l'esperienza, nel mistero del perdono, della sua identità di sacerdote. Ma dobbiamo osservare che l'esperienza d'identità sacerdotale è ancora più profonda nel mistero della consacrazione eucaristica. In questo mistero, non si tratta più solo di rimettere i peccati commessi ma di rendere presente la persona di Cristo nella sua carne e nel suo sangue, persona impegnata nell'offerta del sacrificio per la salvezza del mondo. Le parole "mio corpo", "mio sangue", esprimono questa presenza, ma di tal modo che il presbitero si stacchi dalla sua identità personale per assumere l'identità di Cristo. Per un momento, egli si spoglia della sua personalità per entrare nel mistero di Cristo e del suo sacerdozio trascendente. Pronunzia delle parole che si riferiscono soltanto a Cristo e le pronunzia come parole di Cristo che hanno penetrato nella sua bocca e nel suo cuore.
Queste parole "configurano" il suo sacerdozio ministeriale a quello di Cristo. Esprimono un impegno personale completo che assicura la massima efficacia all'opera sacerdotale ed esaltano
al più alto livello la dignità del presbitero.


2 - Il sacrificio eucaristico in relazione alla spiritualità del presbitero

Per assumere tutti i compiti della sua vita sacerdotale, il presbitero ha bisogno di una forte e ricca spiritualità. Nell'eucaristia egli trova una fonte abbondante di energia spirituale.

a - Fede

Il sacrificio eucaristico richiede e favorisce lo sviluppo della fede. Il presbitero deve essere il primo che creda al mistero della presenza invisibile di Cristo nel sacramento. Egli conosce per esperienza l'effetto molto limitato delle sue parole, ma quando pronunzia le parole della consacrazione, deve ammettere integralmente la realtà di ciò che dicono, cioè la realtà del corpo e del sangue di Cristo. Senza la fede , queste parole perderebbero il loro valore. In ogni celebrazione eucaristica, il presbitero è costretto, in un certo modo, di rinnovare, di riaffermare la sua fede, una fede che si porta sulla persona del Signore Gesù, nascosto sotto i segni del pane e del vino.
Con questo sviluppo della fede eucaristica, il presbitero capisce meglio il significato del suo sacerdozio. Egli è l'uomo delle realtà invisibili e ha per missione di far vedere ciò che non si vede. Quando crede nell'eucaristia, crede nella presenza divina che si fa molto vicina a noi e richiede la nostra adorazione; con questa presenza sorge un amore che intende creare un contatto e rompere la nostra solitudine. Con la fede possiamo apprezzare meglio l'amico misterioso che viene per riempire il nostro silenzio con la sua voce e il nostro vuoto con l'immensa ricchezza divina.
Siccome la fede anima la partecipazione al sacrificio eucaristico, suscita un'adesione piena di calore all'offerta unica che ha trasformato il destino dell'umanità. Il Cristo invisibile è il Cristo crocifisso e risorto, che con il generoso dono della vita ha meritato la formazione di un uomo nuovo; i peccati vengono rimessi e una vita nuova si diffonde, rialzando a un livello altissimo quelli che erano stati umiliati dalle loro colpe. E' la vittoria del Salvatore che si esprime nel sacrificio e conferma, contro ogni dubbio, il valore della fede.

b - Preghiera

Nel presbitero, il sacrificio eucaristico stimola notevolmente lo slancio della preghiera.
Il sacrificio sviluppa una forma più intensa di preghiera; costituisce la forma più estrema di offerta personale rivolta a Dio. In Cristo, il sacrificio ha portato al Padre l'implorazione suprema destinata a ottenere, per l'umanità, la remissione dei peccati e tutti i doni della grazia.
L'implorazione non era soltanto un grido ma si fondava su una oblazione dolorosa, nella quale il Figlio faceva di se stesso un omaggio completo in onore del Padre. Era una preghiera che esprimeva un amore filiale perfettamente abbandonato alla volontà del Padre.
Come espressione del dono completo della persona, nell'immolazione sul Calvario, questa preghiera era certa della sua efficacia. Gesù stesso ne aveva dato l'annuncio: "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me"(Gv 12,32). L'attrazione non avrebbe potuto risultare dalla croce stessa, che significava umiliazione e vergogna. Veniva da una potenza superiore che attraverso la croce avrebbe fatto sentire a tutti i credenti la misteriosa seduzione dell'amore che desiderava abbassarsi per essere più ampiamente accolto.
Il sacrificio eucaristico spinge fino nel fondo questo amore in uno slancio di preghiera che si nutre della generosità dell'offerta. Il presbitero vuole unirsi a questa preghiera che possiede tutta la forza dell'offerta. Si rende conto che la sua preghiera è troppo spesso sprovvista dalla forza che dovrebbe nutrirla e assicurare la massima efficacia. Il sacrificio eucaristico gli viene offerto come una preghiera perfetta che entra in lui e gli fa condividere il dono supremo che Cristo ha voluto presentare nella sua dolorosa salita verso il Padre.
Con l'impegno personale nel sacrificio eucaristico, il presbitero può migliorare la qualità della sua preghiera e approfondire l'intimità con Cristo, che è l'anima del suo ministero sacerdotale.

c - Carità

Dal sacrificio eucaristico il presbitero riceve un potente impulso alla carità sacerdotale.
Il sacerdote è l'uomo della carità. Formulando il nuovo precetto della carità, Gesù invitava i suoi discepoli a riconoscervi il segno del loro vincolo con lui: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato...Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri"(Gv 13,34-35). Se l'identità dei discepoli appare da questo amore mutuo, questo segno distintivo vale più specialmente per il sacerdote. Egli è l'uomo chiamato a dare una testimonianza convincente di carità.
Alla formulazione di questo comandamento, Gesù aveva legato una dichiarazione sulla propria testimonianza che voleva dare, una volta per tutte, nel suo sacrificio: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici "(Gv 15,13).Quando pronunziava queste parole, Gesù aveva celebrato la cena con i suoi discepoli e spiegava loro il significato dell'amore che animava la comunione stabilita in questa cena. L'amore che egli propone come modello ai suoi discepoli è quello che non esita a sacrificarsi con una oblazione eroica della propria vita, in favore di coloro che egli ha voluto trattare come amici.
La loro partecipazione alla cena, specialmente voluta da Gesù per i suoi apostoli, mostrava che erano destinati a condividere il suo sacrificio. Erano invitati ad amarsi gli uni gli altri come il loro Maestro aveva amato, accettando tutte le pene e rinunce che poteva richiedere l'amore mutuo. Il sacrificio eucaristico che era stato affidato alla loro missione sacerdotale comportava un impegno che nel futuro sarebbe stato legato ad ogni vita di sacerdote: l'impegno nella via di un amore che sarebbe stato pronto ad accogliere ogni chiamata a un dono personale al beneficio degli altri.
Il presbitero, che capisce le esigenze della partecipazione all'offerta eucaristica, non può rifiutare di essere associato alla prova dell'opera redentrice. L'amore che da la vita per i propri amici è stato iscritto nel fondo della sua anima e l'orienta verso una carità generosa.

d - Speranza

Il sacrificio eucaristico aiuta il presbitero a vivere nella speranza.
La vita sacerdotale è profondamente animata di speranza, perché il sacerdote ha ricevuto il compito di annunziare la buona novella della salvezza.
Nell'antica alleanza si era sviluppata la speranza rivolta verso un regno ideale, messianico. Ma i profeti, pur annunziando l'intervento salvifico di Dio, ponevano spesso l'accento sulla gravita dei mali e sulle minacce di castigo. La nuova alleanza comporta una grande novità: le promesse divine di salvezza vengono ormai compiute. Cristo viene come il Salvatore che offre adesso a tutti gli uomini i beni aspettati da molto tempo, con la remissione dei peccati e la vita divina della grazia. Una nuova era viene inaugurata, quella della speranza colmata.
Il clima di speranza conferisce all'azione sacerdotale molte possibilità di sviluppo: La speranza è necessaria per stimolare l'impegno nella missione. Con la speranza, il dinamismo può crescere notevolmente, incoraggiando il presbitero a diffondere la buona novella e ad iniziare tutte le opere destinate a favorire lo sviluppo delle comunità cristiane nella santità e nella carità. La speranza protegge i presbiteri contro i pericoli dello scoraggiamento, contro le tentazioni di rinunciare ad iniziative che possono essere molto feconde.
Il sacrificio eucaristico è destinato a rafforzare la speranza. Rende presente il sacrificio della croce, che ha cambiato in senso favorevole il destino dell'umanità. Rende più precisamente questo sacrificio attuale nello stato glorioso che ha succeduto all'evento doloroso. Il Cristo che si offre mediante il presbitero nell'eucaristia, è il Cristo celeste, vittorioso. E' anche il Cristo pieno di potere per trasformare il mondo. E' dunque il Cristo della speranza. Il presbitero trova in questo Cristo una fonte inesauribile di speranza, quando si unisce alla sua offerta e si nutre del suo corpo.
Nelle sue impotenze, il presbitero ha la possibilità di reagire con una speranza più forte, alimentata dall'eucaristia; questa speranza non può deluderlo, come l'eucaristia non delude.


3- Il sacrificio eucaristico in relazione al ministero del presbitero

a - L'opera di Cristo
Il sacrificio eucaristico aiuta il presbitero a scoprire sempre meglio la verità più essenziale del suo ministero: in questo ministero, Cristo essenzialmente opera.
Il presbitero pronunzia le parole della consacrazione, ma viene totalmente superato dall'effetto invisibile di queste parole. La presenza del corpo e del sangue di Cristo non potrebbe essere prodotta da colui che dice: "Questo è il mio corpo", "Questo è il mio sangue". E' l'Io di Cristo che si offre al Padre e compie l'offerta sacerdotale.
E' pure vero che questa offerta sacerdotale viene compiuta mediante il ministero del presbitero. Il valore di questo ministero non può dunque essere ridotto al nulla. Il sacrificio ha essenzialmente bisogno di una cooperazione umana che permetta a Cristo di operare. Senza questa cooperazione il sacrificio della croce non sarebbe stato seguito da una moltitudine di sacrifici sacramentali che riproducono l'unico sacrificio della redenzione universale.
Il ruolo del presbitero merita dunque di essere riconosciuto. Egli è consapevole di essere unicamente un ministro che pronunzia delle parole nel nome di Cristo e che lascia a Cristo la cura di fare il gesto spirituale dell'offerta. Si comporta così perché Cristo stesso l'ha voluto quando nell'ultima cena ha dato questo ordine: "Fate questo in memoria di me". Fare questo in memoria di lui significa per il presbitero concentrare tutto il suo pensiero su Cristo e fare suo tutto il disegno del Salvatore.
E il più grande gesto umano, perché impegna la grandezza infinita di Cristo; e anche il più piccolo e più umile gesto, perché il sacerdote si spoglia dalla sua personalità per potere lasciare agire in se stesso la persona di Cristo; Attraverso il presbitero, è Cristo che opera tutto il sacrificio eucaristico.

b - Missione di salvatore

Grazie al sacrificio eucaristico, il presbitero compie la sua missione essenziale, missione di salvatore.
Le parole della consacrazione del vino esprimono con forza questa missione: viene affermata la presenza del sangue della nuova ed eterna alleanza, versato per molti in remissione dei peccati. Infatti sembra che questa ultima determinazione: "in remissione dei peccati" sia stata aggiunta, nel testo di Matteo, alle parole autenticamente pronunziate da Gesù. E vero che il sangue di Cristo sia stato versato per ottenere la remissione dei peccati dell'umanità, ma non è stato soltanto versato per questo scopo: voleva procurare, per mezzo di questo sacrificio, la vita divina all'umanità. Come Salvatore, Gesù non si limita a comunicare agli uomini la salvezza e la purificazione: egli trasforma tutta la loro esistenza dando loro a profusione una vita più alta, vita divina che invade tutta la loro vita umana.
Siccome il sacrificio eucaristico riproduce sacramentalmente il sacrificio della croce, il presbitero che celebra l'eucaristia contribuisce a una fecondità più ampia di questo sacrificio unico e alla nascita della Chiesa. Egli compie la sua missione pastorale, perché il primo atto di pastore consiste nell'offerta del sacrificio. Cristo aveva detto: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore" (Gv 10,11). Egli aveva compiuto questo ideale del pastore offrendo la sua vita per tutti gli uomini e aveva voluto un rinnovamento incessante dell'offerta chiedendo ai suoi apostoli il gesto dell'offerta eucaristica. Il presbitero che rifà l'offerta, compie la sua missione più alta. Essendo il sacerdote di Cristo, riproduca l'atto pastorale supremo di Cristo.
Questo atto pastorale supremo permette al presbitero di essere pienamente testimone di Cristo, testimoniando con le parole della consacrazione del pane e del vino l'efficacia del suo sacrificio. L'efficacia consiste anche nel fatto che il presbitero ottiene, come frutti del sacrificio eucaristico, benefici di vita divina e di grazia per numerose persone e per l'intera comunità ecclesiale. Ogni celebrazione : eucaristica.4?;è fonte di benedizioni divine per l'umanità.

c - L'unità fraterna

Con il sacrificio eucaristico, il presbitero porta avanti lo sviluppo dell'unità fraterna.
L'evangelista Giovanni, commentando una parola di Caifa:" E' meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera", aveva scritto che "questo, non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Gv 11,50-52). Se il sacrificio della croce è stato offerto per ottenere la riunione di tutti i figli di Dio dispersi nel mondo e se ha realmente raggiunto questo scopo, il sacrificio eucaristico ha essenzialmente lo stesso obiettivo: promuovere l'unione fra coloro che rimangono troppo dispersi, troppo separati gli uni dagli altri.
Nella sua missione, il presbitero può essere definito l'uomo dell'unità. Egli porta in se stesso il messaggio di carità di Cristo che vuole radunare e stabilire un vero regno di amore e di concordia. E profondamente orientato verso la formazione di un mondo più fraterno. Ma gli ostacoli non mancano. Il presbitero viene spesso sconcertato, sconvolto, dai conflitti che si manifestano e si oppongono ad una pace che tutti dovrebbero desiderare. Si sente superato dall'ostilità che scoppia anche nelle famiglie e negli ambienti di fede che sembrano destinati a testimoniare l'amore mutuo insegnato nel vangelo.
Sentendo la sua impotenza dinanzi a situazioni di lacerazione che non può correggere, egli può ricorrere all'eucaristia per ottenere da parte del Cristo eucaristico un nuovo impulso all'amore mutuo. Può anche esortare coloro che sono impregnati in conflitti a cercare nel cibo eucaristico una forza superiore per ristabilire la pace e la buona intesa. Può ancorare più risolutamente la sua fiducia nel Cristo che con il suo sacrificio ha vinto tutte le passioni cattive e riconciliato tutti coloro che erano opposti gli uni agli altri.
Il sacrificio eucaristico è fonte sicura di un amore che trionfa di tutte le lotte e stabilisce una nuova unità autenticamente fraterna, fra tutti quelli che sono insieme figli del Padre nel Figlio.

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