I riti e le tradizioni della «Pesach», la Pasqua ebraica

Se in questi giorni vi è capitato di passeggiare nel quartiere del vecchio ghetto, avrete certamente notato una certa concitazione. Gli ebrei romani erano in prima linea nei negozi specializzati kosher a fare scorta di cibi per la Pasqua. Questa sera, nelle case di tutti gli ebrei del mondo, si celebra infatti il «Pesach», la Pasqua ebraica, che dura otto giorni. È una festività lieta, molto importante, ricordata anche come «la festa della libertà», proprio perché commemora la fine della schiavitù d'Egitto.La storia dell'Esodo è ben nota, gli ebrei guidati da Mosè lasciarono l'Egitto in fretta, tanto da non avere il tempo di far lievitare il pane, di qui il divieto assoluto nei giorni del Pesach di mangiare cibi lievitati e persino di possederli in casa. L'azzima (pane non lievitato) sostituisce il pane nel corso degli otto giorni. Nel periodo che precede la festa gli ebrei si dedicano ad una scrupolosa pulizia nelle case, per eliminare ogni traccia di cibi lievitati (si cambiano anche i piatti, le pentole, e le posate) e così nasce in realtà l'usanza delle «pulizie di Pasqua». Si inizia quindi oggi con una cena chiamata «Seder» (in italiano «ordine») a base di vivande a cui viene attribuito un valore simbolico: mentre si legge il racconto dell'Esodo in lingua aramaica («Haggadah»), si consumano i cibi che simboleggiano il dolore della schiavitù e la gioia della libertà. Come l'erba amara, l'uovo sodo (l'uovo nell'ebraismo è simbolo della continuità della vita), il vino, e il pane azzimo, simbolo della durezza della schiavitù. E se le limitazioni ed i divieti dei precetti religiosi rappresentano in realtà uno stimolo per sbizzarrirsi ai fornelli, sarà curioso notare come molti piatti caratteristici della tradizione culinaria giudaico-romanesca siano stati studiati proprio per il Pesach. I pomodori al riso, l'agnello pasquale ad esempio, ed essendo i carciofi una verdura di stagione, non possono mancare sulla tavola i celebri «carciofi alla giudia». Tra i primi piatti più graditi spicca la zuppa di azzime con l'uovo, poi ci si sbizzarrisce con una varietà notevole di risotti cucinati con verdure di stagione, proprio perché per i giorni del Pesach è proibita la pasta di farina di grano.I dolci rappresentano sicuramente il piatto forte della Pasqua ebraica: «le pizzarelle con il miele», pasta di azzime fritta con uva passa e pinoli, le «ciambellette» e gli «amaretti» hanno molto successo, al punto tale da essere venduti tutto l'anno nelle pasticcerie kosher. Questa tradizione culinaria è rimasta sempre viva nel corso dei secoli. Gli ebrei romani, anche nei periodi storici più difficili, non hanno mai rinunciato a festeggiare il Pesach, proprio perché la storia dell'Esodo rappresenta in ogni epoca il valore assoluto della libertà.Ariela Piattelli Se in questi giorni vi è capitato di passeggiare nel quartiere del vecchio ghetto, avrete certamente notato una certa concitazione. Gli ebrei romani erano in prima linea nei negozi specializzati kosher a fare scorta di cibi per la Pasqua. Questa sera, nelle case di tutti gli ebrei del mondo, si celebra infatti il «Pesach», la Pasqua ebraica, che dura otto giorni. È una festività lieta, molto importante, ricordata anche come «la festa della libertà», proprio perché commemora la fine della schiavitù d'Egitto.La storia dell'Esodo è ben nota, gli ebrei guidati da Mosè lasciarono l'Egitto in fretta, tanto da non avere il tempo di far lievitare il pane, di qui il divieto assoluto nei giorni del Pesach di mangiare cibi lievitati e persino di possederli in casa. L'azzima (pane non lievitato) sostituisce il pane nel corso degli otto giorni. Nel periodo che precede la festa gli ebrei si dedicano ad una scrupolosa pulizia nelle case, per eliminare ogni traccia di cibi lievitati (si cambiano anche i piatti, le pentole, e le posate) e così nasce in realtà l'usanza delle «pulizie di Pasqua». Si inizia quindi oggi con una cena chiamata «Seder» (in italiano «ordine») a base di vivande a cui viene attribuito un valore simbolico: mentre si legge il racconto dell'Esodo in lingua aramaica («Haggadah»), si consumano i cibi che simboleggiano il dolore della schiavitù e la gioia della libertà. Come l'erba amara, l'uovo sodo (l'uovo nell'ebraismo è simbolo della continuità della vita), il vino, e il pane azzimo, simbolo della durezza della schiavitù. E se le limitazioni ed i divieti dei precetti religiosi rappresentano in realtà uno stimolo per sbizzarrirsi ai fornelli, sarà curioso notare come molti piatti caratteristici della tradizione culinaria giudaico-romanesca siano stati studiati proprio per il Pesach. I pomodori al riso, l'agnello pasquale ad esempio, ed essendo i carciofi una verdura di stagione, non possono mancare sulla tavola i celebri «carciofi alla giudia». Tra i primi piatti più graditi spicca la zuppa di azzime con l'uovo, poi ci si sbizzarrisce con una varietà notevole di risotti cucinati con verdure di stagione, proprio perché per i giorni del Pesach è proibita la pasta di farina di grano.I dolci rappresentano sicuramente il piatto forte della Pasqua ebraica: «le pizzarelle con il miele», pasta di azzime fritta con uva passa e pinoli, le «ciambellette» e gli «amaretti» hanno molto successo, al punto tale da essere venduti tutto l'anno nelle pasticcerie kosher. Questa tradizione culinaria è rimasta sempre viva nel corso dei secoli. Gli ebrei romani, anche nei periodi storici più difficili, non hanno mai rinunciato a festeggiare il Pesach, proprio perché la storia dell'Esodo rappresenta in ogni epoca il valore assoluto della libertà.Ariela Piattelli

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