Gli ultimi giorni di Gesù

Pierluigi BAIMA BOLLONE
Gli ultimi giorni di Gesù
tratto da: Pierluigi BAIMA BOLLONE, Gli ultimi giorni di Gesù, Mondadori, Milano 1999, p. 257-259.

Abbiamo compiuto un lungo percorso. Siamo partiti dal proposito di esaminare dal punto di vista medico-legale gli avvenimenti dell'ultima settimana di vita terrena di Gesù, dal giorno del suo ingresso a Gerusalemme per la celebrazione della Pasqua, che oggi ricordiamo come Domenica delle Palme, sino al venerdì, momento della condanna, dell'esecuzione in croce e della morte. L'analisi si è basata sulle fonti bibliche e sui manoscritti del Mar Morto che ci hanno consentito di interpretare l'ambiente religioso, sociale e culturale in cui Gesù visse e predicò, inquadrandolo nel contesto della dominazione romana, seguita alla conquista della Palestina da parte di Pompeo nel 63. Peraltro, anche le fonti pagane confermano la realtà storica della figura di Gesù, vissuto dal 7 a.C. sino al 7 aprile dell'anno 30.

Come abbiamo visto, a distanza di quasi due millenni, lo studio medico-legale dei testi evangelici permette di seguire lo sviluppo psicofisico del piccolo Gesù, di stabilire quali erano le sue condizioni di salute e di chiarire non pochi aspetti alla luce delle più moderne acquisizioni della medicina. Per esempio, la crisi di angoscia che coglie Gesù al Getsemani la sera del giovedì ha le caratteristiche che la moderna psichiatria riconosce all'attacco di panico, mentre il «sudore di sangue» che si verifica in quel momento è uno dei disturbi neurovegetativi determinati da tale crisi. La dermatologia ci avvisa che il fenomeno può essere riferito a porpora, ossia a una lesione della cute caratterizzata da fuoriuscita di globuli rossi dai vasi, vale a dire da una emorragia cutanea. Le ultime acquisizioni in medicina psicosomatica hanno portato all'identificazione di una particolare porpora psicogena descritta da Gardner e Diamond e interpretata sulla base del rapporto tra emozione e fibrinolisi, che corrisponde a quanto avvenuto al Getsemani.

Il meccanismo che conduce Gesù a morte è complesso e prolungato: inizia alle ventuno di giovedì e termina alle quindici di venerdì, dura cioè diciotto ore, durante le quali si realizzano stress e fatica ed egli viene traumatizzato mediante violenze contusive, ferite da flagellazione, lesioni da punta per applicazione di rami spinosi al capo e, infine, l'inchiodamento alla croce. Le cause della morte sono state viste in lesioni cardiache, nella compromissione cardiocircolatoria e in una asfissia meccanica o nella azione combinata di questi fattori. Il fatto che Gesù abbia parlato più volte dalla croce pare tuttavia in contrasto con una situazione asfittica che consente una debole fonazione soltanto in fase inspiratoria, anche se sono registrati esempi storici che dimostrano il contrario.

Posto dunque che sia davvero ammissibile una serie di attività coordinate di questo genere, che implicano una libera espirazione, resta il fatto che, se Gesù ha alla fine gridato e quindi, dopo aver reclinato il capo, è spirato, si deve essere prodotto un evento terminale determinante. La conclusione è che la morte di Gesù, in piena corrispondenza con ciò che si sa dell'agonia dei crocifissi, fu davvero conseguente a una pluralità di fattori. Alla fatica, al dolore, allo shock e alla disidratazione si sovrapposero l'asfissia meccanica da crocifissione e, alla fine, una ischemia cardiaca terminale del tutto attendibile in un soggetto lungamente provato, deprivato di liquidi e quindi in una situazione che in medicina viene definita «inspissatio sanguinis», ossia sangue iperdenso, iperviscoso e povero di ossigeno. Inutile precisare che un episodio ischemico iperacuto di questo genere giustifica un intensissimo dolore, un grido e una morte quale viene descritta.

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