«Ascoltate lui!», dice la voce dal cielo. Infatti «Questi è il Figlio mio, l'amato,in cui mi compiacqui!». Il Padre parla solo due volte dicendo e ribadendo la stessa cosa: proclama Gesù come Figlio una prima volta dopo il battesimo (3,17) e una seconda qui (v. 5),dopo la predizione della sua morte e risurrezione (16,21). La trasfigurazione è la conferma della via intrapresa nel battesimo, anticipo della gloria di Pasqua. Alla sua luce «il Servo» inizia il cammino verso Gerusalemme. Il racconto è carico di reminiscenze bibliche. Nel Nazoreo infatti si compie ogni profezia (2,23). La scena richiama Mosè che sale sul monte con Aronne, Nadab e Abìu, e che al settimo giorno è chiamato da Dio nella nuvola (Es 24,1.9.15s).Ancora ricorda Mosè che scende dal monte con il volto splendente (Es 39,29-35), e che promette alla fine un profeta del quale dice: «Ascoltate lui»! (Dt 18,15). Le parole della «voce» riecheggiano il Salmo 2,7, che parla dell'intronizzazione del Messia; alludono inoltre al sacrificio di Isacco («il figlio amato»: Gen 22,2.12.16) e al primo canto del Servo («in cui mi compiacqui»: Is 42,1). Proprio in quanto servo dei fratelli, il Figlio dell'uomo è il Figlio amato, la Parola stessa da ascoltare, l'irradiazione della gloria del Padre, il Messia che ci salva. Il Padre conferma così quanto Gesù ha appena detto: riconosce colui che accetta di essere riconosciuto da Pietro come il Cristo e il Figlio di Dio (16,16), colui che afferma di essere il Servo sofferente che Pietro non accetta (16,21-23), colui che chiama al suo stesso cammino (16,24) e si dichiara il giudice del mondo (16,27). Davanti a tre uomini, il Figlio dell'uomo è proclamato dal Padre come suo Figlio. È la fine del dibattito su chi è Gesù, e l'inizio del suo cammino verso Gerusalemme. Il Padre ha una sola Parola, che lo rivela pienamente: il Figlio. A noi dice di ascoltarlo, perché, ascoltando lui, diventiamo come lui, figli. La trasfigurazione è l'esperienza fondamentale della vita di Gesù: la scelta fatta nel battesimo, che ora si concreta nella prospettiva della croce, è confermata come la via alla libertà e alla gloria di Dio. È una illuminazione interiore tanto forte che «trasforma» il suo stesso corpo in sole e luce. È importante anche per i discepoli averlo visto: quando sarà risorto, potranno capire che il Risorto è lo stesso Gesù che fu crocifisso.
La trasfigurazione del Figlio rappresenta anche l'anticipo di ciò che saremo. Il seme della nostra gloria divina è gettato quando decidiamo veramente di «ascoltare» lui e di fare la sua parola: questa è la «forma» che trasforma la nostra vita a immagine della sua, fino alla sua misura piena. Il brano presenta la salita sul monte dove avviene la trasfigurazione (vv. 1-8) e la discesa dove la si interpreta come anticipo della risurrezione che passa attraverso la croce. Gesù, nella sua umanità, mostra la divinità: i discepoli vedono il suo corpo che riluce della gloria del Figlio nel quale il Padre si compiace, raggio anticipato della risurrezione. La Chiesa è rappresentata dai tre apostoli che, a viso scoperto, riflettono come in uno specchio la gloria del Signore, e vengono trasformati in quella medesima immagine di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore (cf. 2Cor 3,18).
Lettura del testo
v. 1: E dopo sei giorni. È il settimo giorno, compimento della creazione che tutta geme e soffre le doglie del parto in attesa di essere liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloria dei figli di Dio (Rm 8,22.21). Questa indi-cazione di tempo dice che il fine della creazione non è la sua fine: essa non è destinata alla «sfigurazione» della morte, ma alla trasfigurazione. Nel Figlio dell'uomo,il creato è destinato ad assumere la forma del Figlio di Dio. La divinizzazione è il senso della creazione, fino a quando Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28). Gesù prende con sé Pietro e Giacomo e Giovanni. Mosè prese con sé Aronne,Nadab e Abiu, e salì sul monte, dove Dio rivelò la sua gloria (Es 24,9ss). Questi tre discepoli, che ora sentono il Padre che chiama il Figlio, nel Getsemani sentiranno il Figlio che chiama il Padre (26,37.39). Monte degli Ulivi e Tabor si richiamano a vicenda: qui l'umanità di Gesù rivela la sua divinità, là la divinità mostrala sua umanità.
v. 2: si trasformò davanti a loro. In greco c'è «metamorfosi», che significa cambiar forma, trasformarsi. Nelle metamorfosi pagane la divinità assume corpo e sembianze umane. Qui l'umanità assume forma e splendore divino: lascia trasparire la Gloria del Figlio. Questa è la destinazione di ogni uomo nel Figlio dell'uomo.
brillò il suo volto come il sole, ecc. In Luca l'aspetto del suo volto si «alterò»:diventò altro, il volto dell'Altro (Lc 9,29). In Matteo diventa raggiante come il sole,che «de te, Altissimo, porta significatione». Per Marco 9,3 le sue vesti diventano bianche in modo sovrumano, per Le 9,29 risplendenti come folgore, per Matteo bianche come la luce. La luce è il simbolo più appropriato di Dio: principio di creazione e conoscenza, fa essere ogni cosa quello che è e la fa vedere per quello che è. Ma è anche sorgente di gioia, segno dell'amore che rende luminosi. Il Figlio brilla della luce stessa di Dio, primizia della creazione nuova: come tutto è fatto attraverso lui, in lui e per lui, così tutto partecipa della sua medesima sorte nella luce (Cf. Col 1,16.12). Noi pure siamo chiamati a vedere il Signore faccia a faccia (1Cor 13,12), e riflettere «a viso scoperto» la sua gloria, fino ad essere trasformati in lui (cf. 2Cor3,18), configurati all'icona del Figlio, il primogenito tra molti fratelli (Rm 8,29).Siamo chiamati a rivestirci di luce e ad essere luce: «Sorgi, sii luce, perché viene la tua luce e la gloria del Signore brilla su di te» (Is 60,1). L'amore si realizza nello scambio di ciò che si ha e si è, così che l'amato diventa la forma di chi lo ama. L'incarnazione, che porta alla croce (battesimo), rende Dio uguale a noi; la trasfigurazione, caparra della risurrezione, rende noi uguali a lui. Non solo il nostro spirito, ma anche il nostro corpo è per il Signore, destinatoalla risurrezione (1Cor 6,13s).
v. 3: Mosè ed Elia che conversavano con lui. Il mediatore della legge e il padre dei profeti conversavano con lui: anzi, parlano di lui, parola stessa di Dio. Inoltre Mosè ed Elia non gustarono la morte: l'uno fu trasportato in cielo su un carro di fuoco (2Re 2,1ss);l'altro, che parlò con Dio faccia a faccia, secondo la tradizione fu rapito da un suo bacio sulla bocca.
v. 4: è bello per noi essere qui. Pietro ha capito che è bello! Sul volto del Figlio appare la bellezza originaria nella quale Dio ha creato il mondo. Qui è bello «essere». Altrove è brutto e non possiamo stare, perché non siamo ciò che siamo. Per questo l'uomo è viator, pellegrino in cerca del Volto, davanti al quale solo sta di casa e può sostare, perché ritrova il proprio volto. Altrove si sente fuori posto,come un osso slogato.
farò tre tende. È un'allusione alla festa delle capanne, in cui si commemora il dono della Parola (cf. Lv 23,27-34; Dt 16,13).
una per te, una per Mosè e una per Elia. La legge, data tramite Mosè, è la prima tenda di Dio tra gli uomini. La parola «tenda» in greco si dice skenè, che richiama l'ebraico: shekind, che è la gloria di Dio tra gli uomini. La profezia, iniziata con Elia, è la seconda tenda di Dio tra gli uomini. La carne di Gesù è la tenda defi-nitiva di Dio in mezzo a noi (Gv 1,14). In lui vediamo la sua gloria, come di unige-nito dal Padre (ivi). Infatti «chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9).
v. 5: una nube luminosa. Di Dio non conosciamo il volto, ma la Parola. Non bisogna farsi immagini né di lui né dell'uomo, perché l'unica sua immagine è l'uomo stesso che ne ascolta la Parola. Chi lo ascolta infatti diventa suo figlio, col suo medesimo volto. La nube luminosa richiama Dio stesso che guidò Israele nel deserto(Es 14,20) ed è segno della sua presenza (Es 19,16; 24,15s; 40,34s; 2Mac 2,7s; 1Re8,10-12). La manifestazione di Dio è sempre oscura per eccesso di luce accecante quasi che rivelandosi Dio si veli, e velandosi si riveli, come sulla croce. La nube inoltre è principio dì vita: la pioggia è benedizione e fecondità.
una voce dalla nube (cf. 3,17). Dio è voce: la sua Parola è nota a noi nel Verbo incarnato. Chi ascolta Gesù, trasforma il suo volto nel Volto, splendente come il sole (v. 2), «irradiazione della gloria» (Eb 1,3).
questi. È l'uomo Gesù, che Pietro ha riconosciuto come il Cristo e il Figlio di Dio, ma non ancora come il Figlio dell'uomo sofferente.
è il Figlio mio (cf. 3,17). Richiama il salmo 2,7, che parla dell'intronizzazione regale. Gesù, che va a Gerusalemme e sarà crocifisso, è il Messia, il Figlio del Dio vivente.
l'amato. Richiama il sacrificio di Isacco (Gen 22,2.12.16). Gesù è il Figlio in quanto sarà sacrificato: conoscendo l'amore del Padre, darà la vita per i fratelli.
in cui mi compiacqui (cf. 3,17). Richiama il Servo di JHWH (Is 42,1). Il Padre riconosce Gesù come Figlio, proprio perché si fa servo dei fratelli.
ascoltate lui! «Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me», disse Mosè: «Ascoltate lui!» (Dt 18,15). Gesù è il nuovo Mosè, che dà la Parola definitiva. Anzi: è lui stesso la Parola fatta carne, volto del Padre rivolto ai fratelli. Chi ascolta lui diventa come lui, figlio. Cosa sia la trasfigurazione, è difficile descriverlo, anche per i discepoli che l’hanno vista. Due cose però sono chiare: il fine e il principio. Il fine è dire: «È bello per noi essere qui!». Il principio è: «Ascoltate lui». La Parola dà forma al nostro corpo. Chi ascolta Gesù, diventa come lui, l'albero bello che fa il frutto bello (7,18).:,'ascolto della sua parola è l'accoglienza del seme, che cresce in noi e ci genera secondo la sua specie (cf. 1Pt 1,23), partecipi della natura divina (cf. 2Pt 1,4). La trasfigurazione comincia quando, invece di pensare e ascoltare noi stessi,ascoltiamo lui e pensiamo a lui. È la morte dell'uomo vecchio e la nascita dell'uomo nuovo. Questo ascolto fa passare dalle opere della carne al frutto dello Spirito (cf.3al 5,19-22). Il Padre ha una sola Parola: il Figlio. Quanto lui ha detto e fatto è l'esegesi del Padre (Gv 1,18), il racconto nel tempo del suo amore eterno. La «carne» di Gesù è il compimento della legge e dei profeti (7,12); la sua storia è la manifestazione sulla terra del Dio amore, che mai nessuno ha visto (Gv 1,18). Non possiamo e non dobbiamo conoscere nulla di più di lui, il Verbo del Padre.
v. 6: i discepoli caddero sul loro volto, ecc. È l'eccesso del divino.
v. 7: risvegliatevi, e non temete. Sono le parole di Gesù ai discepoli. Colui che hanno visto nella gloria, si avvicina a loro e li «risveglia». Quanto hanno visto non è in sogno, ma ciò che li risveglia da una vita morta: è la promessa della risurrezione, come dopo capiranno (v. 9). v. 8: non videro nessuno, se non lui, Gesù, solo. Colui che si è trasfigurato, il Figlio amato da ascoltare, è il «Gesù solo», in cammino verso Gerusalemme, che invita a seguirlo. Il Padre conferma la sua scelta: è il Figlio in quanto non si vergogna di chiamarsi nostro fratello (Eb 2,11), e, reso perfetto dalle cose che patì, diventerà ancora di eterna salvezza per tutti coloro che gli obbediscono (Eb 5,8s).
v. 9: non dite a nessuno questa visione, ecc. Prima che Gesù sia «risvegliato dai morti», i discepoli non possono parlare della trasfigurazione. La Gloria infatti resta segreta prima della croce (16,28), che a sua volta è incomprensibile prima della risurrezione.
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