Anche questo colloquio è essenzialmente incentrato su una questione relativa al culto. Lo mostrano esplicitamente i vv. 20-24 che costituiscono la parte centrale del colloquio e che trattano della vera adorazione. Abbiamo già osservato nell'episodio della purificazione del Tempio che l'evangelista ha interesse a mostrare, partendo,dagli avvenimenti della vita di Gesú, che è ormai la persona di Cristo morto e risuscitato a prendere il posto del Tempio. Qui è l'« adorazione in Spirito e Verità » che prende il posto dell'adorazione nel Tempio. A fronte di questa adorazione il Tempio perde la sua ragion d'essere, cosí come il monte Garizim dei Samaritani. Lo Spirito, la cui venuta dipende dalla glorificazione del Cristo (7,39), è la nota caratteristica di ogni culto. E ciò è conforme al posto centrale che abbiamo riconosciuto al Cristo nel culto della comunità. Questo Spirito che è il luogo di ogni vera adorazione, è anche lo Spirito che operò la nuova nascita nel battesimo, come ha messo in luce il colloquio con Nicodemo. Se il centro di ogni culto reso a Dio è lo Spirito, il ruolo cosí importante del battesimo per il culto cristiano diviene evidente; anche noi comprendiamo perché il colloquio con la Samaritana sull'« acqua viva » si aggancia al capitolo che tratta del battesimo. Si può dunque affermare che tutta la successione delle pericopi che formano i primi capitoli del vangelo giovanneo è determinata da questioni cultuali. Ma il rapporto di questa pericope con il battesimo risulta anche dal contenuto stesso del colloquio. Infatti, prima di giungere alla questione centrale dell'adorazione cultuale ingenerale, questo colloquio si svolge sopra « l'acqua viva . Ora che noi conosciamo sufficientemente bene il metodo di espressione del quarto vangelo, possiamo presu-mere che questo termine, anch'esso, che designa in primo luogo « l'acqua corrente », abbia qui un duplice significato. Questa supposizione ha una conferma: al v. 13, Gesú distingue esplicitamente l'acqua reale, che gli ha fornito l'occa-sione di intavolare questo dialogo, e un'acqua che. lui stesso darà da bere e che deve estinguere per sempre la sete di chiunque ne berrà. A che cosa allude il vangelo giovanneo quando, ricorrendo a una espressione che nasconde un concetto larghissimamente diffuso nel mondo orientale dell'epoca', parla di quest'« acqua che fa vivere » (vv. 10 e 14)? Per trovare la risposta alla domanda occorre riferirsi al passo 7,37-39,secondo il quale Gesú esclama: « Chi ha sete venga a me e beva! Chi crede in me, come disse la Scrittura, fiumi dal seno suo scorreranno d'acqua viva ». L'evangelista aggiunge:« E disse questo dello Spirito che avrebbero ricevuto quelli che avessero creduto in lui ». Partendo da questa spiegazione si manifesta chiaramente, nel colloquio con la Samaritana, il rapporto tra lo sviluppo del discorso sull'« acqua viva » e i versetti essenziali sull'adorazione in Spirito; ma si manifesta nello stesso tempo anche un altro rapporto: quello che questi sviluppi presentano con quelli del cap. 3 che pre-cedono immediatamente e che trattano del battesimo. Se dun-que il tema è proprio lo Spirito in questo colloquio con la Samaritana, ci si guarderà dal dimenticare che è proprio questo Spirito ad essere comunicato nel battesimo e che opera la nuova nascita' (« di acqua e di Spirito », Gv 3,5). Il passo parallelo 7,37ss citato sopra dev'essere con certezza riferito anch'esso al battesimo. La relazione acqua-Spirito,già applicata al battesimo nel colloquio con Nicodemo, è sottolineata qui in maniera particolare negli sviluppi relativi all'« acqua viva »: l'acqua appare come il mezzo specifico per designare lo Spirito. A questo riguardo bisogna ricordare che il luogo in cui si svolge la scena, il pozzo di Giacobbe, era un luogo santo per i Samaritani (Gn 33,19; 48,22). Il carattere sacro di questa sorgente infatti emerge chiaramente dalle parole della Samaritana (v. 12): « Sei forse tu da piú del nostro padre Giacobbe, che ci ha lasciato questo pozzo? » Senza equivoco alcuno Gesú qui oppone a Giacobbe, a colui che ha donato questa sorgente d'acqua, colui che dispensa un'acqua di tutt'altro ordine; questa supposizione è tanto più significa-tiva in quanto lascia) intendere nello- stesso tempo che la santità propria dell'acqua del pozzo i Giacobbe perde la sua ragion d'essere a confronto dell'efficacia infinitamente piú grande dell'acqua del battesimo. Secondo Bultmann, sarebbe abusivo vedere in quest'« acqua viva » una qualche allusione al dono del battesimo, e soprattutto allo Spirito. Il dono dell'« acqua viva » designerebbe il dono della rivelazione, identico d'altronde alla persona di colui che la dispensa, che in ultima analisi è Gesú in persona l'oggetto di questo dono, ma da un altro lato è lui che ne è anche il dispensatore, perché egli è il dispensatore dello Spirito. Secondo il vangelo di Giovanni, Gesú è presente e all'opera allo stesso titolo nel battesimo e nell'eucaristia. Due analogie rendono evidente l'esistenza d'un rapporto fra l’ « acqua viva » e il battesimo: in primo luogo la formula parallela del «pane di vita »,6,35ss in cui si parla dell'altro sacramento, l'eucaristia; in secondo luogo, il carattere sacramentale che la formula« acqua viva » possiede già nell'ambiente. A dire il vero, il cap. 4 parla di « bere » l'acqua, espressione che sembra difficilmente adattarsi allo Spirito e al battesimo. Ma questa apparente incompatibilità è dovuta al fatto che il bisogno provato da Gesti di bere ha avviato il colloquio.
Le diverse interpretazioni allegoriche dei cinque mariti avuti dalla Samaritana e dello stato di concubinato in cui vive ora non soddisfano molto. Dato per certo, come abbiamo visto, che l'evangelista ha scoperto in questo colloquio delle allusioni al culto e al battesimo, è per lo meno permesso porre la domanda: riferendo come Gesú aveva svelato il passato della Samaritana, l'evangelista non avrebbe pensato al fatto che una simile divulgazione del peccato della vita passata deve precedere il battesimo? Ma la domanda può solo essere posta, dato il silenzio del testo sul peccato. Per la stessa ragione, si può porre solo con prudenza la domanda per sapere se, nei vv. 31-34 collegati al colloquio, la menzione del cibo non contenga nello stesso tempo,nel pensiero dell'evangelista, un'allusione alla santa cena. Lo stesso Gesú, al v. 34, interpreta questo cibo come la sua obbedienza alla volontà di Dio e il compimento dell'opera di cui è stato incaricato. Tale fatto potrebbe costituire un argomento a favore della tesi da noi appena suggerita.
Da I sacramenti nel vangelo giovanneo
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