J. Ratzinger, Le tentazioni, specchio della figura di Cristo

Desidero ora, sulla base di un particolare testo biblico, mostrare come si possa scoprire Cristo, volgere a lui il nostro sguardo, al fine di trovare la direzione del retto vivere, nonché della storia. La nostra riflessione deve anche essere, nel senso sopra descritto, come un'apertura della memoria cristiana che, proprio muovendo dalla visione del Cristo, purifica il nostro sguardo e ci aiuta a vedere le cose nel modo giusto. A tale scopo mi affido al racconto delle tentazioni di Gesù, secondo la versione di Matteo (4,1-11), che già dall'antichità è posto all'inizio della Quaresima, e che col suo profondo mistero colpisce in modo sempre nuovo. Il nostro racconto fa seguito al battesimo di Gesù, nel quale è prefigurato il mistero della morte e della risurrezione, della colpa e della redenzione, del peccato e del perdono. L'immergersi di Gesù nel fiume Giordano è un gesto che raffigura sim-bolicamente un evento di morte: la vita vecchia è come sepolta affinché la nuova possa risorgere. Ma essendo Gesù senza peccato, e non avendo quindi una vecchia vita da seppellire, la sua accettazione del battesimo è un anticipo della croce, è l'ingresso nel nostro destino di peccato e di morte. Quando Gesù esce dall'acqua, si squarcia il cielo e risuona la voce del Padre che lo riconosce come il proprio Figlio. Il cielo aperto indica che questo discendere nelle nostre notti dischiude il nuovo giorno, e che attraverso l'identificazione del Figlio con noi la parete tra Dio e l'uomo è stata demolita. Dio non è più l'inaccessibile; egli viene a cercarci nella profonditi della morte e dei nostri peccati, e ci riporta alla luce. Il battesimo di Gesù ticipa tutto il dramma della sua vita e della sua morte, mentre ce lo fa comprendere. Analogamente, anche il racconto delle tentazioni è un anticipo, uno specchio del mistero di Dio e dell'uomo; del mistero di Gesù Cristo. Con esse Gesù prosegue quella discesa iniziata al momento dell'incarnazione; manifestata pubblicamente nel battesimo, e che dopo l'esperienza della croce e della tomba lo condurrà nel regno dei morti (sheol). Ma in esse avviene anche la nuova risalita che inaugura e rende possibile la risalita dell' uomo dal proprio abisso e oltre se stesso. I quaranta giorni del digiuno di Gesù nel deserto ricordano in primo luogo i quaranta giorni che Mosè passò digiunando sul monte Sinai, prima di ricevere la parola di Dio, le sacre tavole dell'alleanza. Possono anche richiamare il racconto rabbinico in cui Abramo, nel viaggio verso il monte Oreb, non prese né cibo né bevanda per quaranta giorni e quaranta notti, nutrendosi soltanto dello sguardo e della parola dell'angelo che lo accompagnava. Ricordano inoltre i quarant'anni trascorsi da Israele nel deserto: fu il tempo della tentazione, ma anche d'una particolare vicinanza con Dio. I Padri hanno anche letto simbolicamente nel numero quaranta il tempo della storia universale, e hanno visto nei quaranta giorni di Gesù nel deserto l'immagine d'ogni vita umana. Infine, la tentazione di Gesù poté essere interpretata come la ripetizione e il superamento della prova originaria di Adamo. In effetti, la lettera agli Ebrei sottolinea con forza che Gesù è in grado di compatirci proprio perché è stato provato egli stesso «in ogni cosa come noi, eccetto il peccato» (2,18; cfr. 4,15). Il poter subire la tentazione è una dimensione essenziale del suo essere uomo, del suo calarsi nella comunione con noi, nell'abisso della nostra miseria. Occorre peraltro rilevare che le tentazioni, qui descritte a grandi quadri, le ritroviamo in vari altri momenti della vita di Gesù. Dopo la moltiplicazione dei pani, quando vede che le folle vogliono rapirlo per farlo re, se ne fugge tutto solo sulla montagna (Gv 6,15). Similmente, si sottrae alle tentazioni che lo legano al miracolo, che possono ostacolarlo nel compimento della sua missione primaria, quella dell'annuncio (cfr. Mc 1,35-39). E quando Pietro, dopo aver confessato la sua divina filiazione, vuole dissuaderlo dalla via della passione, il Signore gli rivolge la medesima ingiunzione che udiamo nel finale del racconto delle tentazioni: «Vattene lontano da me, satana!» (Mc 8,33)Dunque, il racconto delle tentazioni sintetizza tutto il combattimento di Gesù: è in gioco l'essenza della sua missione, e insieme, più in generale, il retto ordine della vita umana, il cammino dell'uomo, il percorso della storia. È in gioco, da ultimo, ciò che ha importanza decisiva nella vita dell'uomo: il primato di Dio. Il nucleo d'ogni tentazione sta nel metter da parte Dio, nel ridurlo, in mezzo a tutte le cose che urgono nella nostra vita, ad un problema secondano. Ritenere noi stessi, le esi-genze e i désiden del momento come più importanti di lui: questa è la tentazione che sempre ci minaccia. In tal modo non riconosciamo aDio il suo "essere Dio", eleggiamo quale "nostro Dio" noi stessi, o meglio: le potenze che ci minacciano.

La prima tentazione: il pane e la salvezza.

Ripercorriamo ora le tentazioni una per una. Dopo quaranta giorni di digiuno Gesù ha fame. Il bisogno fisico elementare di nutrirsi è il punto di partenza della tentazione. Ma qui si nasconde anche qualcosa d'altro. Le due prime tentazioni cominciano entrambe così: «Se sei Figlio di Dio...». Sentiremo ancora pronunciare queste parole dagli schernitori al Calvario: «Se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!» (Mt 27,40). Derisione, ma insieme anche sfida: se vuol essere creduto, fornisca una prova tangibile delle sue pretese. La richiesta di "segni" accompagna tutta la vita pubblica di Gesù, al quale si obietta in continuazione di non provare a sufficienza la propria identità; egli dovrebbe fare il grande miracolo, così da mettere a tacere ogni dubbio e ogni contestazione, dimostrando irrefutabilmente chi e che cosa egli è, oppure non è. Questa medesima richiesta, in realtà, lungo tutta la storia viene rivolta a Dio, a Gesù Cristo e alla sua Chiesa: «Se esisti, Dio, devi anche mostrarti. Squarcia le nubi del tuo mistero e donaci la chiarezza di cui abbiamo bisogno. / Se tu, Cristo, sei veramente "il Figlio", e non solo uno dei tanti illuminati che hanno fatto la loro comparsa nella storia, devi dimostrarlo più chiaramente di come fai. /Devi dare alla tua Chiesa, se davvero ti appartiene, un grado di trasparenza ben diverso da quello che di fatto possiede». Torneremo ancora su questo punto, in quanto costituisce il nucleo della seconda tentazione. Ed ecco la prima prova che il tentatore esige: trasformare in pane le pietre del deserto. Si tratta, dapprima, della fame di Gesù, come la vede Luca: «...comanda a questa pietra che diventi pane» (4,3). Matteo però intende la tentazione in modo più vasto, come si esprimerà durante la vita terrena di Gesù, e in seguito nel corso della storia. Cosa c'è di più tragico, che cosa contraddice maggiormente la fede in un Dio buono e in un Redentore, quanto la fame dell'umanità? Non sarebbe proprio questa la prima tessera di riconoscimento del Redentore davanti al mondo e per il mondo: dargli pane e così porre fine alla fame di ognuno? Durante i quarant'anni nel deserto Dio aveva nutrito il popolo d'Israele con la manna, il pane dal cielo. Si voleva riconoscere in questo una prefigurazione del tempo messianico: non doveva, e non deve, il Redentore del mondo offrire garanzia di sé proprio dando da mangiare a tutti? Il problema dell'alimentazione - e più in generale il problema sociale - è senza dubbio il primo e vero criterio su cui commisurare l'efficacia di ogni proposta di salvezza. Può ragionevolmente presentarsi come salvatore chi non è all' altezza di questo compito? È ben comprensibile che il marxismo abbia fatto di quest'ideale il cuore della sua promessa di liberazione: cesserà ogni fame e il «deserto diventerà pane»...
«Se sei il Figlio di Dio...»: quale sfida! La medesima che viene lanciata alla Chiesa: «Se vuoi essere la Chiesa di Dio, preòccupati innanzitutto del pane per la fame del mondo. Il resto viene dopo». È difficile rispondere a questa sfida. Infatti il grido degli affamati ci penetra - e deve penetrarci - profondamente nelle orecchie e nell'anima. Non si può comprendere la risposta di Gesù soltanto alla luce della tentazione nel deserto. Il tema del pane attraversa tutto il Vangelo e va letto in tutta la sua estensione. Nella vita di Gesù si parla del pane soprattutto in altre due grandi occasioni. Dapprima, la moltiplicazione dei pani per le migliaia di persone che hanno seguito il Signore nel deserto. Perché in questo frangente Gesù fa ciò che in antecedenza avva rifiutato come tentazione? La gente che è accorsa ad ascoltare la parola di Dio ha dovuto, per questo, lasciar perdere ogni altra cosa. Avendo aperto il loro cuore a Dio e al prossimo, ora queste persone possono ricevere il pane nel modo giusto. Osserviamo dunque, nel miracolo dei pani, tre aspetti fondamentali: precede la ricerca di Dio, della sua parola, del giusto modo di condurre la propria vita; il pane è richiesto a Dio; infine, anche la disponibilità alla condivisione fa parte dell'evento prodigioso. L'ascolto di Dio è vita con Dio, e conduce dalla fede all'amore, al riconoscimento dell'altro. Gesù non è indifferente di fronte alla fame degli uomini, alle loro necessità materiali, ma le colloca al giusto posto e nel retto ordine. Il racconto della moltiplicazione dei pani ne prefigura e prepara un altro: quello dell'ultima cena, che diverrà l'eucaristia della Chiesa e il miracolo permanente di Gesù sul pane. Gesù si fa granello di frumento che muore e porta molto frutto (cfr. Gv 12,24). Diventa pane per noi, moltiplicato inesauribilmente fino alla fine dei tempi. Comprendiamo così le parole, tratte dall'Antico Testamento (Dt 8,3), che Gesù oppone al tentatore: «Non di solo pane vivrà l'uomo / ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». Riporto volentieri, a tale proposito, una frase di Alfred Delp, il gesuita tedesco giustiziato dai nazisti: «Il pane è importante, la libertà è ancora più importante, ma più importante di tutto è l'adorazione». Laddove quest'ordine dei beni non è rispettato, ma rovesciato, non regna più la giustizia, non si viene più incontro all'uomo che soffre, e la stessa sfera dei beni materiali rimane devastata. Quando Dio è ridotto ad un'idea che è possibile lasciare temporaneamente odel tutto da parte, in vista di cose più importanti, allora sono proprio queste presunte "cose più importanti" a fallire. Non è soltanto l'esito negativo dell'esperimento marxista a provare tutto questo; anche i soccorsi portati dall'Occidente ai paesi in via di sviluppo, basati su principi prevalentemente tecnologici/materiali, hanno quasi sempre allontanato gli uomini da Dio, resi vittime di una orgogliosa presunzione, facendo di quel mondo davvero il "Terzo mondo" nel senso che oggi noi tutti sappiamo. Si è come lavorato nel vuoto, con l'illusione di trasformare le pietre in pane: ma sono state date pietre invece di pane. È divenuto ormai urgente riconoscere di nuovo il primato di Dio e della sua parola.
Viene talvolta spontaneo chiedersi perché Dio non abbia creato un mondo nel quale la sua presenza sia più efficacemente manifesta; perché Cristo non ci abbia lasciato un più vivido splendore della sua presenza, cosicché tutti ne rimangano irresistibilmente colpiti. Questo è il mistero di Dio e dell'uomo, che non ci è dato di penetrare. Noi viviamo in un mondo
nel quale Dio non assume l'evidenza di qualcosa d'afferrabile, ma può soltanto essere cercato e trovato con lo slancio del cuore, come in un "esodo dall'Egitto". È necessario saper resistere al fascino di false filosofie, per poter riconoscere che non viviamo di solo pane, ma per prima cosa dell'obbedienza alla Parola di Dio. Soltanto in questo modo - ne siamo certi - potranno svilupparsi anche le condizioni capaci di procurare il pane per tutti.

La seconda tentazione: mettere Dio alla prova

La seconda tentazione di Gesù, il cui significato esemplare non è di facile comprensione, va intesa come una sorta di visione nella quale è condensato un particolare rischio che incombe sull'uomo, e sulla stessa missione di Gesù. Appare subito singolare che sia il diavolo a citare la Scrittura, allo scopo d'attirare Gesù nella sua trappola. Cita il Salmo 91,11s, dove si parla della protezione che Dio assicura al suo fedele: «Darà ordini per te ai suoi angeli /che ti sorreggano sulle braccia / perché il tuo piede non urti in una pietra». Queste parole acquistano un maggior peso per il fatto d'essere pronunciate nella Città santa, in un luogo sacro. Il salmo citato è effettivamente ispirato al tempio: forante si attende protezione nella dimora di Dio; in nessun altro luogo potrebbe sentirsi più al sicuro che in questo sacro recinto?. Il diavolo, dunque, si rivela buon conoscitore delle Scritture. Il colloquio si configura come un dibattito tra due esperti di Bibbia: il diavolo assume la parte del teologo (annota Joachim Gnilka). Questo medesimo motivo è ripreso da Vladimir S. Solov'év nel suo Avvento dell'Anticristo: l'università di Tubinga conferisce all'Anticristo il dottorato honoris causa in teologia. Questo libretto del grande teosofo russo è davvero stimolante per il fatto che, oltre a costituire un commento alle tentazioni di Gesù, chiarisce alcuni tratti del nostro presente, i quali, mentre ci sorprendono, devono anche indicare le linee di demarcazione tra fede e apostasia, tra fede e non-fede. Se la teologia diventa pura conoscenza dei testi biblici e della storia della fede cristiana, per poi aderire ad altre scelte di vita, allora non è più al servizio della fede, ma la distrugge. La disputa teologica tra Cristo e Satana verte sulla corretta interpretazione delle Scritture, la cui norma non è puramente di carattere storica La vera questione è come si legge la Scrittura, con quale immagine di Dio ci si accosta ad essa. È illuminante, a questo riguardo, una frase di Solov'èv: «Egli [l'Anticristo] credeva in Dio, ma... nel profondo del suo cuore gli preferiva se stesso». Nel racconto delle tentazioni emerge anche la questione se l'Antico Testamento è davvero orientato a Cristo, se lui è veramente la risposta alle sue promesse. È proprio lui - povero e debole, fallito e abbandonato da Dio sulla croce - quello che deve venire? Oforse è l' Anticristo l'unico capace di assicurare quel benessere a cui l'uomo aspira? Il dibattito sulla Scrittura, che è dibattito sull'immagine di Dio, riguarda in ultima istanza la vera immagine, la vera identità di Gesù Cristo: è veramente lui, pur privato di ogni potere mondano, il Figlio del Dio vivente? Una disputa - quella intorno alla Bibbia, intorno al Dio che si è manifestato in Gesù Cristo - destinata a rinnovarsi continuamente.
Così, dal dibattito strutturale circa il singolare dialogo tra Cristo e il tentatore, si passa direttamente al contenuto. Qualcuno ha voluto accostare il tema della seconda tentazione al motivo del panem et circenses: dopo il pane occorreva offrire 'esperienza sensazionale. Poiché all'uomo ovviamente non basta la semplice soddisfazione corporale, chi vuole tenere Dio
lontano dal mondo e dal cuore degli uomini deve offrire anche emozioni eccitanti, il cui brivido sostituisce la commozione religiosa edistoglie da essa. Ma non è questo il caso: nella tentazione di Gesù, da quanto appare, non sono previsti gli spettatori. Il nucleo della questione è nella risposta di Gesù, anche stavolta presa dall'Antico Testamento (Dt 6,16): «Non tenterai il Signore tuo Dio». Nel Deuteronomio il riferimento è all'episodio di Massa, quando Israele paventava la morte per sete nel deserto. La ribellione contro Mosè divenne ribellione controDio, come è detto in Es 17,7: «Essi misero alla prova il Signore dicendo: "Il Signore è in mezzo a noi sì o no?"». Dio, dunque, deve sottoporsi ad un esperimento, viene "testato" come si fa con le merci. Deve accettare le condizioni che noi consideriamo necessarie alla nostra certezza: se non è in grado di garantirci la protezione promessa dal salmo 90, allora non è Dio; ha falsificato la sua parola e quindi se stesso. Siamo così di fronte al problema radicale: come si può riconoscere Dio, e come si può non riconoscerlo? /come può l'uomo stare dalla parte di Dio, e come può perderlo? La pretesa di ridurre Dio a un oggetto, al punto da imporgli le nostre condizioni di laboratorio, non può farci incontrare Dio. Presuppone infatti che noi già lo neghiamo come Dio, perché ci poniamo al di sopra di lui, accantoniamo la dimensione dell' amore e dell' ascolto interiore, riconoscendo come reale soltanto ciò che è sperimentatile, ciò che le nostre mani possono toccare. Chi pensa così, si pone al posto di Dio, e in questo modo degrada non solamente Dio, ma il mondo e se stesso. La scena sul pinnacolo del tempio ci apre lo sguardo sulla Croce. Cristo non si lancia nel vuoto, nell'abisso. Non vuole tentare Dio. È però disceso nella profondità della morte, nella notte dell'abbandono, nella solitudine degli indifesi. Ha osato questo salto come un atto d'amore di Dio per gli uomini, sapendo che poteva soltanto finire nelle mani amorevoli del Padre. Così s'esprime il vero senso del salmo 90, il diritto ad un'estrema e illimitata fiducia: chi segue la volontà di Dio sa che, pure in mezzo a tutti gli orrori, non gli mancherà mai la sua protezione. Sa che il fondamento del mondo è l'amore, e quand'anche nessuno possa o voglia aiutarlo, andrà avanti confidando in Colui che lo ama. Una simile fiducia - alla quale la Scrittura ci autorizza e alla quale il Signore risorto ci invita - è tutt'altra cosa dall'azzardata sfida rivolta a Dio, come a volerlo rendere nostro servitore.

La terza tentazione: Cristo e Anticristo

Siamo al culmine del racconto delle tentazioni. Il diavolo conduce il Signore "in visione" su un'alta montagna, in un istante gli mostra tutti i regni della terra e il loro splendore, e gliene offre il dominio. Non è propriamente questa la missione del Messia: dominare sul mondo, fare di tutta la terra un regno di pace e di benessere? Come la tentazione dei pani ha nella storia di Gesù due singolari paralleli (moltiplicazione dei pani e ultima cena), così è anche per questa scena: i discepoli si riuniscono «sul monte, dove aveva ordinato loro Gesù», e qui il Signore proclama: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra» (Mt 28,16.18). Due aspetti ci colpiscono qui per la loro novità e diversità. In primo luogo, il Signore ha potere in cielo e sulla terra. In effetti è questo il potere vero e universale, quello in grado di assicurare la salvezza. Senza il cielo, ogni autorità terrena rimane ambigua e fragile. Soltanto il potere che si sottopone al criterio e al giudizio del Cielo - cioè di Dio - può diventare operatore di bene. Soltanto il potere che si pone sotto la benedizione di Dio può meritare piena fiducia. Riguardlo al secondo aspetto: Gesù ha questo potere in quanto Risorta Un'autorità, dunque, che presuppone un altro "monte", il Golgota, dove egli ha sperimentato l'abbandono dei suoi, la derisione, la croce e la morte. Il regno di Cristo è tutt'altra cosa dai regni terrestri e dal loro splendore: uno splendore - come suggerisce il termine greco dóxa, "apparenza" - destinato a dissolversi. Il regno di Cristo, invece, si manifesta attraverso l'umiltà della predicazione in coloro che si lasciano trasformare in suoi discepoli, sono battezzati nel nome del Dio Trino e osservano i suoi comandamenti (Mt 28,19s). Ma torniamo alla tentazione. Il suo vero oggetto diventa comprensibile osservando come questa tentazione rivesta nel corso della storia forme sempre nuove. Molto presto l'impero cristiano ha cercato di utilizzare la fede come un fattore di unità ee stabilità politica. Lo stesso regno di Cristo doveva assumere la struttura e lo splendore di un regno mondano. La debolezza della fede, la fragilità terrena di Gesù Cristo dovevano essere sostenute da una forza politica/militare. Lungo tutti i secoli questa tentazione è riemersa di continuo, esponendo la fde al pericolo di essere soffocata dagli abbracci del potere. La lotta per la libertà della Chiesa, e perché il regno di Gesù non venga assimilato ad alcuna forma politica, dev'essere condotta in ogni epoca e senza il minimo cedimento Il prezzo, per l'intreccio tra fede e dominio mondano, alla fine si risolve sempre nell'assoggettamento della fede al potere politico e ai suoi criteri. Quest'alternativa compare anche, in forma singolare, durante una fase della passione. Al culmine del processo, Pilato vuol sapere dalla folla chi dovrà liberare: Barabba o Gesù? Chi era Barabba? Ci risuona subito all'orecchio la definizione del Vangelo: «Barabba era un brigante» (Gv 18,40). Ma la parola greca Pistés ("brigante/ladrone") aveva acquisito nella situazione politica della Palestina d'allora un significato prossimo a "combattente della resistenza". Difatti Barabba era stato imprigionato con l'accusa di sommossa e omicidio (Lc 23,19.25); e se Matteo ne parla come di un «prigioniero famoso» (27,16), potrebbe voler dire che forse era stato addirittura a capo della sollevazione scoppiata in città. In altre parole, Barabba era una figura "messianica", talché la scelta tra lui e Gesù non è casuale: due figure, due differenti forme di messianismo sono messe a confronto. Ciò risulta ancor più evidente se osserviamo che "Bar-Abba" in ebraico significa "figlio del padre": una denominazione tipicamente messianica, il nome rituale d'una guida del movimento messianico. L'ultima grande sollevazione degli ebrei, nell'anno 132 d.C., fu capeggiata da Bar-Kokheba, ovvero il "Figlio della stella". Da Origene apprendiamo un ulteriore dettaglio: in vari manoscritti dei Vangeli, fino al III secolo, l'uomo contrapposto a Gesù è designato addirittura come "Gesù Barabba" I "Gesù Figlio del Padre": una sorta di controfigura del Nazareno, ma con tutt'altre pretese. La scelta proposta da Pilato è quindi tra un Messia che anima la resistenza, che promette la liberazione dall'oppressore e un proprio regno, e questo misterioso Gesù che invece proclama la perdita di se stessi come condizione per ottenere la vita. Non c'è dunque da meravigliarsi che la folla abbia preferito Barabba.
E se oggi fossimo chiamati noi a scegliere? Quale speranza avrebbe Gesù di Nazaret, il Figlio di Maria, il Figlio del Padre? Ma conosciamo davvero Gesù? Lo capiamo in profondità? Il tentatore non è così rozzo da proporci direttamente l'adorazione del "nemico di Dio". Ci sollecita piuttosto a scegliere ciò che è razionale, a preferire un mondo pianificato e ben organizzato, nel quale anche Dio possa avere il suo posto... ma soltanto come affare privato, senza che debba interferire nelle nostre opzioni essenziali. Solov'èv attribuisce all'Anticristo la compilazione di un libro, La via aperta alla pace e al benessere del mondo, destinato a essere come la "nuova Bibbia", avente per contenuto la venerazione del benessere e della pianificazione razionale. Come già accennato, la medesima tentazione ricompare al momento della confessione messianica di Pietro, che si pronuncia anome dei compagni. Gesù però, dono aver lodato Pietro che ha parlato sotto l'impulso dello Spirito, per evitare ogni fraintendimento, spiega ai discepoli che il Figlio dell'uomo dovrà molto soffrire, essere messo a morte e infine risorgere. Ma
Pietro, questa volta da se stesso, controbatte: «Dio te ne scampi, Signore. Questo non ti accadrà mai!» (Mt 16,22). E Gesù: «Via da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini» (Mt 16,23; cfr. Mc 8,33). La volontà di Dio si scontra con la volontà dell'uomo. Scopo ultimo della tentazione è di allontanare l'uomo da Dio. La risposta di Gesù al tentatore: «Adorerai il Signore Dio tuo / a lui solo renderai culto» (Mt 4,10) richiama lo Shema` Israel, l'espressione centrale dell'Antico Testamento, l'essenziale professione di fede, la preghiera vitale presente anche al cuore del Nuovo Testamento e dell'esistenza cristiana: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta 1' anima e con tutte le forze» (Dt 6,4s). Il pronunziare questa frase era ed è considerato nell'ebraismo come un «prendere su di sé il giogo del regno di Dio». Esattamente questo fa Gesù: esalta il primato di Dio e proclama il mondo come suo regno. E soltanto dove Dio regna, dove Dio è riconosciuto, là anche l'uomo è onorato, là il mondo può ospitare la giustizia. Il primato dell' adorazione è il presupposto fondamentale per la liberazione dell'uomo. Il suo dominio sul mondo -potere vero eduraturo - Dio lo esercita in maniera discreta, senza ostentazione, come si evince non soltanto dal racconto delle tentazioni, ma dall'intera storia di Gesù. La causa di Dio sembra continuamente a rischio, quasi "in agonia". Ma sempre, alla resa dei conti, si dimostra come l'unica capace di persistere e di garantire salvezza. Quei "regni del mondo", che allora Satana poteva mostrare al Signore, nel frattempo sono tutti crollati. La loro dóxa-gloria si è rivelata pura apparenza. La gloria di Cristo, la gloria del suo amore, umile e sofferente, non conosce tramonto. Nella lotta contro Satana, la vittoria arride a Cristo: «Ed ecco, angeli si avvicinarono a lui e lo servivano» (Mt 4,11).
La Quaresima è un invito a scoprire questa vittoria, la sua gloria duratura, e a lasciarci guidare da essa nelle decisioni della nostra esistenza.


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