Una delle più belle pagine del vangelo di Giovanni e del Nuovo Testamento in genere, il dialogo tra Gesù e la donna samaritana, può essere compresa e goduta soltanto se la si situa nel contesto storico e religioso che l’ha ispirata. La novità evangelica è offerta attraverso il veicolo culturale giudaico del 1 sec. d.C.
Lo sfondo geografico dell’episodio è la Samaria, tra la Giudea e la Galilea, e più particolarmente la città di Sicar, presso il cosiddetto “pozzo di Giacobbe” (vv. 5-6). Gesù deve necessariamente attraversare quel territorio, perché si sta recando in Galilea, la sua terra, dopo aver sentito notizie poco rassicuranti (vv. 1-3). Stanco del viaggio, Gesù ha bisogno di bere e ne chiede a una donna samaritana che viene ad attingere all’antico pozzo del patriarca Giacobbe.
La prima anomalia nell’incontro è comprensibile proprio nel quadro dell’ormai secolare dissidio che esisteva tra la popolazione giudaica e quella di Samaria. Quest’ultima addirittura custodiva una sua Torà (= il pentateuco) distinta da quella diffusa tra i Giudei. Il dissidio era insanabile e carico di disprezzo reciproco. E tuttavia Gesù rivolge la parola alla samaritana, provocando in lei un comprensibile stupore (vv. 7-9). Via via che il dialogo si snoda, Gesù porta la donna dal piano della contingenza storica e fisica a quella del mistero rappresentato dalla persona di Cristo.
Il realismo con il quale l’episodio è narrato dall’evangelista e la chiave d’interpretazione del mistero della persona di Gesù, offerta proprio grazie a tale realismo storico ed esistenziale, sono una perfetta illustrazione del significato del prologo giovanneo (Gv 1).
«La Parola di Dio si è fatta carne ed è venuta ad abitare tra noi».
Quella Parola, adombrata nella Torà celeste discesa sulla terra (vedi Sir 24,22) o nella Sapienza divina, presente col creatore fin dai primordi (cf. Prov 8), è il Figlio di Dio entrato nel tempo degli uomini sotto forma di uomo. Egli è l’uomo che chiedendo, in quanto tale, acqua per dissetarsi, è capace di offrire a sua volta un’acqua che non si esaurirà mai e che creerà vita eterna (Gv 4,10-14).
Questo tipo di discorso non doveva essere incomprensibile ai contemporanei di Gesù. Al contrario. Solo gli ebrei di quell’epoca potevano a tutta prima capire questo linguaggio. La difficoltà stava nell’applicazione alla persona di Cristo e alla sua funzione salvifica nel mondo e nella storia.
È un fatto comunque che coloro che hanno creduto tutto ciò, erano un gruppo di ebrei che hanno costituito un movimento, uno tra i tanti di quel periodo. Una interpretazione laica direbbe che il gruppo ha avuto la fortuna di sopravvivere insieme all’altro, quello farisaico, sorgente del futuro ebraismo, mentre la maggior parte dei movimenti sono scomparsi dalla storia. La fede però fa un altro discorso, suggerito proprio dall’episodio evangelico in questione.
Il carattere ebraico del cristianesimo originario si è fatto recipiente della verità cristiana. Solo attraverso tale carattere ci è dato, allora, come ha fatto l’evangelista Giovanni, di attraversare il ponte verso il riconoscimento della verità di Cristo. Le risposte che Gesù costruisce per la samaritana come una serie di scalini verso la sua autorivelazione (v. 26), si basano tutte su concezioni bibliche o giudaiche (Gesù riconosciuto come profeta, l’attesa del Messia, il luogo legittimo per l’adorazione di Dio: Garizim o Gerusalemme), sulla base delle quali la donna risponde a sua volta e chiede, salendo con il suo pedagogo verso l’alto.
Studio delle Scritture, gradualità e dialogo sono gli ingredienti necessari per percorrere la strada verso la verità. Tutti e tre questi elementi sono richiesti dallo stato di fatto di cui abbiamo già detto più sopra e negli articoli precedenti.
Le Scritture ebraiche sono il codice comune di Gesù e della samaritana, e, proprio per questo, anche il nostro; la gradualità e il dialogo sono il rispetto della qualità umana del cammino. La prima verità da rispettare in questo caso è la persona umana, così com’è, con le sue capacità, la sua cultura, le sue istanze e i suoi spazi d’ombra. Gesù è il modello di comportamento. Perfino la situazione matrimoniale “irregolare” della samaritana non diviene oggetto di condanna da parte di Gesù, bensì occasione di salire ancora di un gradino verso la salvezza di se stessa, attraverso la conoscenza della verità che è il Cristo (vv. 16-24.25-26).
Anche questo brano evangelico ci fa capire che la fede in Cristo per noi cristiani non si acquisisce o custodisce nella contrapposizione ebraismo-cristianesimo, che sono nel loro aspetto esteriore due elaborazioni storiche della Verità, bensì nell’incontro e nell’accettazione di Gesù Cristo.
http://web.tiscalinet.it/nostreradici/samaritana.htm
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