P. Raniero Cantalamessa. Scopritori di talenti, non per guadagno ma per altruismo




Purtroppo in passato il significato di questa parabola è stato abitualmente travisato ... I talenti di cui parla Gesù sono la parola di Dio, la fede, in una parola il regno da lui annunciato.




       Il vangelo di questa domenica è la parabola dei talenti. Purtroppo in passato il significato di questa parabola è stato abitualmente travisato, o almeno assai ridotto. Sentendo parlare di talenti pensiamo subito alle doti naturali di intelligenza, bellezza, forza, capacità artistiche. La metafora viene usata per parlare di attori, cantanti, comici…L'uso non è del tutto errato, ma è secondario. Gesù non intendeva parlare dell'obbligo di sviluppare le proprie doti naturali, ma di far fruttare i doni spirituali da lui recati. A sviluppare le doti naturali ci spinge già la natura, l'ambizione, la sete di guadagno. A volte, anzi, è necessario tenere a freno questa tendenza a far valere i propri talenti perché essa può diventare facilmente carrierismo, smania di imporsi sugli altri.


I talenti di cui parla Gesù sono la parola di Dio, la fede, in una parola il regno da lui annunciato. In questo senso la parabola dei talenti si affianca a quella del seminatore. Alla diversa sorte del seme da lui gettato - in alcuni esso produce il sessanta per cento, in altri invece rimane sepolto sotto le spine, o mangiato dagli uccelli del cielo -, corrisponde qui il diverso guadagno realizzato con i talenti.


Talenti sono per noi cristiani di oggi la fede e i sacramenti che abbiamo ricevuti ["sacramenti" per la Chiesa Cattolica, "misteri" per la Chiesa Ortodossa e di "ordinanza" per le Chiese Protestanti]. La parabola ci costringe dunque a un esame di coscienza: che uso stiamo facendo di questi talenti? Somigliamo al servo che li fa fruttare o a quello che mette il talento sottoterra? Per molti il proprio battesimo è davvero un talento sotterrato. Io lo paragono a un pacco-dono che uno ha ricevuto a Natale e che è stato dimenticato in un cantuccio, senza essere stato mai scartato e aperto.


I frutti dei talenti naturali finiscono con noi o al massimo passano agli eredi; i frutti dei talenti spirituali ci seguono nella vita eterna e un giorno ci varranno l'approvazione del Giudice divino: "Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto: prendi parte alla gioia del tuo padrone".


Il nostro dovere umano e cristiano non è solo di sviluppare i nostri talenti naturali e spirituali, ma anche di aiutare gli altri a sviluppare i loro. Nel mondo moderno esiste una professione che si chiama, con termine inglese "talent-scout", cioè scopritori di talenti. Sono persone che sanno individuare dei talenti nascosti – di pittore, di cantante, di attore, di calciatore - e li aiutano a coltivare il loro talento e trovare chi li sponsorizza. Non lo fanno naturalmente gratis o per amore dell'arte, ma per avere una percentuale dei loro guadagni, una volta che si sono affermati.


Il vangelo ci invita a essere tutti dei talent-scout, degli scopritori di talenti, non però per amore del guadagno ma per aiutare chi non ha la possibilità di affermarsi da solo. L'umanità deve alcuni dei suoi geni o artisti migliori all'altruismo di una persona amica che ha creduto in essi e li ha incoraggiati, quando nessuno credeva in loro. Un caso esemplare che mi viene alla mente è quello di Theo Van Gogh che sostenne tutta la vita, economicamente e moralmente, il fratello Vincent, quando nessuno credeva in lui ed egli non riusciva a vendere nessuno dei suoi quadri. Tra di loro si scambiarono più di seicento lettere che sono un documento di altissima umanità e spiritualità. Senza di lui non avremmo oggi quei quadri che tutti amiamo e ammiriamo [qualche quadro di Van Gogh]


La prima lettura di domani ci invita a soffermarci su un talento in particolare che è al tempo stesso naturale e spirituale: il talento della femminilità, il talento di essere donna. Contiene infatti il noto elogio della donna che inizia con le parole: "Una donna perfetta chi potrà trovarla?".Questo elogio, così bello, ha un difetto, che non dipende ovviamente dalla Bibbia ma dall'epoca in cui fu scritto e dalla cultura che essa riflette. Se ci si fa caso, si scopre che esso è interamente in funzione dell'uomo. La sua conclusione è: beato l'uomo che possiede una tale donna. Essa gli tesse bei vestiti, fa onore alla sua casa, gli permette di camminare a testa alta tra gli amici. Non credo che le donne sarebbero oggi entusiaste di questo elogio.


Lasciando da parte questo limite, vorrei sottolineare l'attualità di questo elogio della donna. Da ogni parte emerge l'esigenza di fare più spazio alla donna, di valorizzare il genio femminile. Noi non crediamo che "l'eterno femminino ci salverà". L'esperienza quotidiana dimostra che la donna può "sollevarci in alto", ma può anche farci precipitare in basso. Anch'essa ha bisogno di essere salvata da Cristo. Ma è certo che, una volta redenta da lui e "liberata", sul piano umano, da antiche soggezioni, essa può contribuire a salvare la nostra società da alcuni mali inveterati che la minacciano: violenza, volontà di potenza, aridità spirituale, disprezzo della vita…


Dopo tante ere che hanno preso il nome dall'uomo – l'era dell' homo erectus, homo faber, fino all'homo sapiens, di oggi -, c'è da augurarsi che si apra finalmente, per l'umanità, un'era della donna: un'era del cuore, della tenerezza, della compassione. È stato il culto della Vergine a ispirare, in secoli passati, il rispetto della donna e la sua idealizzazione in tanta parte della letteratura e dell'arte. Anche la donna di oggi può guardare a lei come a modello, amica e alleata nel difendere la propria dignità e il talento di essere donna.

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