Don Umberto Neri. Le beatitudini

Beati i poveri, in spirito.

Innanzitutto i poveri, i realmente poveri in tutti i modi: perché non hanno un soldo in tasca, perché non hanno da mangiare, perché patiscono, sono disoccupati, non hanno casa.

Poveri anche perché sono malati, prigionieri, indifesi, in condizione di svantaggio, di indigenza, di debolezza, esposti a tutto: poveri. Il concetto è più vasto di quello che intendiamo di solito: non si tratta soltanto di censo.

“In spirito” non attenua, anzi rafforza. Poveri e per di più in spirito: poveri che si adeguano alla loro condizione con un sentire, un parlare, un agire da poveri. Non è la povertà sola, è la realtà della povertà intimamente accettata e vissuta. Ci possono essere poveri ribelli, orgogliosi, prepotenti: questi non sono i poveri del Signore.

Chi si contrappone a questo ritratto spirituale, chi è escluso dal Regno? Anzitutto i ricchi: finchè uno è ricco è escluso ( cf Mt 19,23-26 ). Ma poveri lo si può diventare, perché Dio è capace di dare grazia per far distaccare dalle ricchezze; o ancora dio può fare povero uno che è ricco: ci pensa lui a renderlo debole, fragile, tremante. E’ una condizione imprescindibile, realizzata da Dio attraverso la grazia o attraverso modi suoi di impoverire colui che è ricco, “rubandogli” la ricchezza.

Beati quelli che piangono, cioè quelli che sono nella sofferenza, ne lutto. Piangono e lo accettano, sono nel lutto e con umiltà si pongono davanti a Dio. E sono anche quelli che fanno lutto per la consapevolezza del peccato, anche se il senso del testo non si limita a questo: uno che è in lutto per la morte del figlio non è forse nel pianto? Eccome! Il Signore è venuto proprio per questi, è come se dicesse loro: “Sono venuto per te, non sei fatto per questo, sei fatto per la gioia. Tuo è il regno!”

Che cosa si oppone a questa beatitudine del pianto? La realtà mondana dei gaudenti, di quelli cioè che si istallano nel mondo e ci sguazzano 8 cf Am 6,4-6: quelli che vivono nella mondanità e neppure “si preoccupano della rovina di Giuseppe”.

Il regno è instaurato e il Signore conforta quelli che hanno partecipato al lutto per Gerusalemme.

“Beati i miti”.

Nell’ambito dell’Antico Testamento questa espressione ha il suo corrispondente più preciso nel Salmo 36 ( Non adirarti contro gli empi ): miti sono quelli che esprimono l’atteggiamento dei poveri del Signore; vivono nell’attesa del giudizio di Dio, senza farsi giustizia da sé, neppure quando sarebbe legittimo; sono coloro che attendono l’intervento di Dio, perché certo il Signore interviene in favore di chi si affida a lui. I salmi sono pieni di questa fiducia nella promessa di Dio.

Chi si contrappone ad essi? Quelli che contano sulla propria vita per farsi giustizia.

“beati quelli che hanno fame e sete della giustizia”. Fame e sete, cioè desiderio ardente del bene, della giustizia di Dio.

La giustizia è la santità, la verità, la rettitudine, l’obbedienza alla volontà di Dio; la giustizia è il rispetto della grandezza e della dignità dell’uomo. Beati quelli che ne hanno fame per sé e per il mondo, che non si rassegnano alla sua mancanza, ma ne piangono, ne soffrono, invocano Dio e si sacrificano per questo. Chi si contrappone a ciò? Quelli che si adattano, rassegnandosi malamente, alla realtà cattiva del mondo.

“Beati i misericordiosi”: è il soccorrere, il fare misericordia; non soltanto l’aver compassione, ma il fare attivamente misericordia, come dice Luca del buon samaritano, “ Colui che gli fece misericordia “ 8 Cf lc 19,37, nell’originale greco ) . Non avrebbe senso dire: “Io ho pietà di te” quando, potendo fare qualcosa, non lo si fa.

Si contrappongono ai misericordiosi delle beatitudini quelli che non perdonano, che non soccorrono perché non hanno pietà del prossimo, che non concedono misericordia non rendendosi conto di averne loro stessi un bisogno infinito. Questi non entrano nel regno dei cieli. Il fariseo della parabola che giudicava il pubblicano non fa parte di questa categoria: per questo, se resta così, non entra nel regno dei cieli ( cf Lc 18,9-14 ).

Poi “i puri di cuore”: è la coscienza pura, la chiarezza e la pulizia del sentire come dell’agire. Si oppone alla compromissione, all’ambiguità, alla contraddizione interiore vissuta in modo da adattarsi a essa, tanto da farne un modo abituale e accettato del sentire.

La beatitudine corrispondente ( “perché vedranno Dio ) dimostra chiaramente che purezza, in questo caso, vuol dire pulizia: la limpidezza dell’intimo consente di vedere Dio, perché la vista non è appannata dall’ambiguità di una coscienza contradditoria.

Il Salmo 23 ( Del Signore è la terra e quanto contiene…” ) spiega che cosa sia questa rettitudine di cuore, che naturalmente comporta un agire conforme, coerentemente pio, obbediente a Dio, retto. La settima beatitudine è per “i facitori di pace”, non per i pacifici. La formula è classica nel Nuovo Testamento: ricorre quattro volte, due volte riferita a Gesù e altre due volte riferita al cristiano. E’ il diventare luogo e strumento di pacificazione ( come un mite, un povero, come uno che fa misericordia, come uno che piange: tutti luoghi e strumenti di pace).

Quindi si contrappone a questo l’essere litigiosi, violenti e provocatori di contese, magari per la coscienza o la pretesa dei propri diritti, o ancora per il volere fare giustizia da sé, o perché si condanna il prossimo, o anche perché si è ricchi e potenti e ci si avvale di questo.

L’ottava beatitudine è per i “perseguitati per la giustizia”. Cioè le vittime, proprio a motivo del loro essere vittime e per la loro rinuncia alla violenza e alla sopraffazione a motivo del Vangelo.

In opposizione a questa persecuzione per la giustizia vi è tutto quello che si è detto e, in particolare, l’accordo a ogni costo con il mondo o il venire meno a questa regola di vita per il dissenso del mondo, come quelli che quando sopravvengono le tentazioni vengono meno perché non hanno radici, prendono paura e ritornano di nuovo ai mezzi mondani di difesa e di affermazione: essi non entrano nel regno dei cieli ( cf Lc 8,13 e par ).

A questo punto è utile fare una piccola osservazione a margine: queste categorie, come quella del regno, sono tutte definite in base a una terminologia, a una tradizione che si rifanno alla grande tradizione biblica. Sono cioè termini che hanno una loro storia e c’è tutto un contesto nel quale vanno inseriti per essere compresi. Diversamente potrebbero essere intesi in modo equivoco.

Mite! Oggi non esiste un termine più confuso. Ma qui non si tratta della categoria dei non violenti come la intendiamo oggigiorno. La mitezza della terza beatitudine è diversa: è molto di più che non-violenza, perché contiene anche l’affidarsi a Dio, e questo nella non violenza può non esserci. C’è infatti una non violenza atea, che non è la non violenza del salmo 36 a cui la terza beatitudine si riferisce. I poveri sono poi in tutta la scrittura. Dei poveri che piangono parlano continuamente i profeti e i Salmi. Lo stesso vale per la pace e per quelli che fanno la pace; per la purezza di cuore, che non è semplicemente la rettitudine di coscienza: è puro di cuore chi fa la volontà di Dio, chi è integro nella propria coscienza obbedendo a Dio. Così per il termine giustizia: quale termine meno comprensibile al di fuori della scrittura! Chi intendesse i perseguitati per la giustizia semplicemente come buoni sindacalisti perseguitati, sarebbe del tutto fuori strada. L’affermazione del diritto, dei diritti fondamentali della persona umana è certo una cosa importante, ma rispetto alla totalità del concetto biblico di giustizia è una particella.

Dunque è evidente che non è possibile tradurre queste categorie bibliche in termini mondani: si deformerebbero completamente.

“Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.

Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi”.

Che cosa comporta il regno dei cieli? La persecuzione.

La persecuzione ingiusta, perché mentiranno. La persecuzione “per causa mia”: “Come hanno odiato me odieranno voi” dice Gesù ( cf Gv 15,16 ); e poi, ancora: “Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi, perché voi non siete del mondo come io non sono del mondo” ( Gv 15,20 e 17,14 ).

Un atteggiamento di questo genere è di assoluta rottura. Come già si è accennato, uno dei termini che meglio riassumono il tema delle beatitudini è la non-mondanità. Tutti danno addosso a uno così diverso, lo prendono di mira proprio perché diverso: è buono, non fa male a nessuno, è mite come un agnellino… Verrebbe da pensare che troverà pace, benevolenza. Invece lo prenderanno in odio e l’odio diventerà tanto più rabbioso quanto più sarà diverso. Gesù lo dice spesso, in particolare nel lungo discorso dei capitoli 14, 15 e 16 del Vangelo di Giovanni.

Quindi, voi che siete entrati nel regno, ebbene sarete odiati a causa mia, cioè per l’assimilazione a me che vi rende diversi, e a causa dell’annuncio, della testimonianza resa a me che il mondo non vuole. Le persecuzioni sono quindi una condizione normale del seguace di Cristo, l’essere parte le comporta.

Questa parola profetica è anche parola di consolazione, perché mostra la normalità della persecuzione: quindi non ci si può turbare né sgomentare quando insorge. E dice anche “beati!”, cioè che è bello ciò che succederà. Perché bello? Perché c’è un’altra vita, nulla è perduto e inutile: non è una perdita, non è una sconfitta, non è una smentita, anzi è la conferma di tutto quello in cui si crede e che si testimonia. E la ricompensa sarà in cielo, perché il regno di Dio è nostro e lo rimane fino alla fine dei tempi. Non ci si può ingannare quindi: la ricompensa per la perseveranza non sarà il cessare improvviso della persecuzione e l’iniziare di un plauso mondano. La condizione di persecuzione è condizione che non abbandona la chiesa e il seguace di Cristo, fino alla fine, come mostra anche l’Apocalisse.

Se non fosse così, se non si fosse perseguitati, vorrebbe dire che si è falsi profeti, cioè che ci si adatta al mondo. Infatti che cosa è il proprium del falso profeta? Il plauso alla realtà mondana. Il falso profeta, che plaude al mondo e si adatta alle storture immense del mondo, è accolto. Se non si è perseguitati è segno chiaro che si è falsi profeti, mentre se si dicono queste cose tutti “diranno ogni male, mentendo, per causa mia”. O dice anche il Vangelo di Giovanni e, in particolare, il parallelo di Luca: “Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi – e quindi non vi perseguiteranno, che sciagura!- perché così hanno fatto con i falsi profeti”. ( cf Lc 6,26 )

Infine sottolineo il monito: “Esultate!”. Lo intenderei come un comando preciso: godete, esultate, ringraziate Dio, perché non farlo significherebbe la smentita della vostra fede, significherebbe che voi non siete entrati in questa prospettiva, che non avete capito queste cose e il grande beneficio di Dio del quale in questo modo vi rendete indegni. Questo comando è simile a quello dato da Gesù nel Vangelo di Giovanni: “Non turbatevi!” ( cf Gv 14,27 ), quindi gioite!


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