Carsten Peter THIEDE. L'ambiente di Pietro

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tratto da: Simon Pietro dalla Galilea a Roma, (presentazione di Marta Sordi), Massimo, Milano 1999, p. 24-27.



Nativo della Galilea, non perse mai le sue caratteristiche regionali, e infatti la gente che gli stava vicino nel cortile del Sommo Sacerdote, dopo l'arresto di Gesù, lo riconobbe come galileo dal suo accento (Mc 14,70; Mt 26,73; Lc 22,59). È Giovanni a specificare la sua provenienza dalla Galilea, dicendo che Pietro e Andrea, suo fratello, erano di Betsaida (Gv 1,44). Molte tracce di questa località sono state scoperte recentemente. Comunque, il villaggio era stato elevato addirittura al rango di città dal tetrarca Filippo tra il 4 e il 2 a.C., come apprendiamo dalle Antichità giudaiche dello storico Giuseppe Flavio, un'opera ricca di notizie pubblicata intorno al 93/94 (7). Se il racconto di Giuseppe Flavio è corretto, e non c'è motivo di dubitarne, Betsaida, chiamata Julias dal tetrarca, può essere stata situata su una collina conosciuta come «et-Tel», a Est della confluenza del fiume Giordano con il Mare di Galilea (8).

Deve essere stato un luogo di una certa importanza, altrimenti Filippo non l'avrebbe elevata al rango di città, nonostante il suo nome originale significhi semplicemente «casa di pesca». Poiché Pietro aveva già lasciato Betsaida alla volta di Cafarnao quando lo incontriamo nel Vangelo di Marco, la città dovrebbe avere per noi un interesse solo marginale, non fosse altro per il fatto che Pietro fu allevato ed educato là e per il fatto che noi comprenderemo molto meglio il suo contesto educativo e culturale, se daremo uno sguardo alla vita e alla società nell'area di Betsaida durante il primo quarto del I secolo. Per troppo tempo si è sostenuto che la Galilea era culturalmente arretrata e che uno come Pietro non poteva aver scritto il greco elaborato della prima Lettera che porta il suo nome. Persino gli avversari di Pietro in Gerusalemme avevano profondi pregiudizi contro le sue origini, e, in verità, contro quelle dello stesso Gesù (cfr. At 4,13; Gv 7,41; Gv 1,46). La regione di Iturea e Traconitide (Lc 3,1) era stata ereditata dal tetrarca Filippo dopo la morte di suo padre, Erode il Grande, nel 4 d.C. Essa si estendeva a Nord-Est della Galilea propriamente detta, e Cesarea di Filippo, fondata da Filippo in persona, ne era la capitale. Betsaida, situata sulla punta nord del Mare di Galilea, era l'ultima città nel suo territorio per il viaggiatore diretto a Ovest; Cafarnao era esattamente nel territorio di suo fratello, Erode Antipa.

Filippo, «considerato il miglior governatore tra gli Erodi» (9), divenne in seguito marito della famigerata Salomè, figlia di Erodiade, che aveva preteso la testa di Giovanni Battista (Mc 6,21-25) (10). Filippo era un ellenizzante e favorì in ogni modo il diffondersi della cultura greco-romana. Il suo territorio conteneva una popolazione mista di lingua greca e aramaica, che viveva in un'atmosfera cosmopolita dovuta alla presenza di importanti vie commerciali, che collegavano Damasco nel Nord-Est con Tiro nel Nord-Ovest e con la «Decapoli» a Sud del Mare di Galilea. La regione era contraddistinta da influssi culturali di varia provenienza e da plurilinguismo. La costa nord-occidentale del Mare di Galilea era sulla cosiddetta «Via Maris», o Via del Mare, un'importante strada carovaniera da Damasco a Cesarea in Samaria, nota già ai tempi di Isaia (9,1).

Non si deve sottovalutare l'importanza di una tale prova circostanziale. Una buona conoscenza del greco doveva essere necessaria a persone come Pietro e i suoi compagni, Andrea, Giacomo e Giovanni (Mc 1,16; Lc 5,10), che erano impegnati nella pesca e nel commercio del pesce. Essi probabilmente udirono la gente parlare greco fin dai tempi dell'infanzia, e affinarono le loro capacità linguistiche non appena si dedicarono al loro mestiere. L'elemento ellenistico che li circondava è evidente già dai loro nomi: il vero nome di Pietro, Simone, è greco con un derivato aramaico (Simeone - At 15,14; 2 Pt 1,1) ed è documentato in letteratura fin dal 423 a.C., nella commedia di Aristofane "Le Nuvole" (11). Il nome di suo fratello, Andrea, è interamente greco, e così pure Filippo, il nome del loro compagno discepolo di Betsaida (Gv 1,44; 12,20-22). E' chiaro che i loro genitori avevano assorbito l'influenza ellenistica tanto da considerare naturale il fatto di dare ai propri figli nomi non aramaici. L'uso del greco presso gli ebrei è ampiamente documentato da fonti rabbiniche del primo secolo (12), e sia Gesù sia i suoi discepoli comunicavano con persone che parlavano greco. Le nostre fonti menzionano la donna siro-fenicia in Marco 7,26, una conversazione con Pilato in assenza di un interprete (Mc 15,25), il gruppo di ebrei ellenisti tra i discepoli in Atti 6,1, e il dialogo di Pietro con il centurione Cornelio in Atti 10,25-27, ma gli esempi potrebbero continuare.

Non lontano da Betsaida e da Cafarnao, sulla costa sud-orientale si trovava Hippos, una località famosa per la sua cultura ellenistica, e Gadara, circa sette miglia più a Sud, era legata alla letteratura e alla filosofia greche fin dai tempi dello scrittore satirico Menippo, che vi era nato nella prima metà del III sec. a.C. (13). L'elemento non ebraico nell'intera regione deve essere stato piuttosto significativo, se Isaia (9,1) e Matteo (4,15) la chiamano «Galilea dei Gentili». Così, l'area nella quale Pietro crebbe e avviò i suoi affari subiva da secoli un influsso di lingua e cultura greca, e tutti gli strati della società ne erano stati influenzati. Parlava un buon greco [...]. Con la sua lingua madre, l'aramaico, e l'ebraico - la lingua liturgica della sinagoga e dell'istruzione scolastica elementare della sinagoga, anch'essa a sua disposizione (14) - Pietro non deve essere stato lontano da quello che noi potremmo definire «trilingue». E non si deve escludere che avesse appreso qualche frase di latino da soldati romani, di bassa estrazione sociale e che non parlavano greco, nei dintorni o fra i suoi clienti (15). Prescindendo da queste capacità linguistiche, la sua educazione deve essere stata simile a quella ricevuta da qualsiasi ebreo che avesse frequentato la scuola elementare, di solito fino all'età di quattordici anni, nella quale normalmente si imparava a leggere, scrivere e memorizzare in maniera efficace (16).

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