Meditazione di Umberto Neri su Nazareth al monte Tabor

Credo che del Tabor propriamente vi parlerò durante la messa, all’omelia. Adesso vorrei fare alcune premesse. Una premessa riguarda lo stesso tragitto che abbiamo percorso e le cose che questa mattina abbiamo visto, attraverso le quali siamo passati. Siamo venuti dunque da Nazareth al Tabor. Da là a qui, da un posto all’altro. E’ questa che credo sia, in fondo, la dimensione capitale che occorre assumere dal pellegrinaggio in Terra Santa. Il resto sono dettagli - di importanza talvolta straordinaria, decisivi per la nostra fede - ma ciò che un pellegrinaggio in questi luoghi, il percorrere queste strade, il vedere questi paesaggi, questa realtà, il visitare queste chiese deve darci è il senso dell’assoluta concretezza dell’evento salvifico. Un fatto, qualche cosa che è accaduto, che si è verificato. “Kai egeneto”. “E accadde che”. I racconti evangelici, d’altra parte, riletti soprattutto alla luce di questa esperienza che stiamo in queste ore già cominciando a fare, si rivelano a questo riguardo preoccupati di collocare i fatti nel loro contesto storico e geografico: “in quel tempo”, “in quel luogo”. Pensate soltanto all’inizio del racconto dell’Annunciazione, secondo Luca ovviamente: “Fu mandato un angelo ad una vergine di nome Maria, sposata ad un uomo di nome Giuseppe, in una città della Galilea di nome Nazareth”. I nomi! Tutto è preciso, tutto è determinato. Dicevo che il rapporto concreto, con la concretezza della terra che si calpesta, che si vede, dell’atmosfera che si respira, deve darci - molto più di quanto non lo abbiamo avuto in passato - il senso di questa concretezza. Quello che conta è che qualcosa sia accaduto. E quello che è tutta la nostra speranza, tutta la realtà della nostra fede, il motivo della nostra vita è l’effetto di questo fatto, ciò che questo fatto ha prodotto: una realtà, non un’idea. Non un’idea che troppo spesso, troppo facilmente, può degenerare in ideologia, cioè in un sistema umano, costruito al fine di rendere accettabili certe proposte, certe dottrine, certe prospettive, certi insegnamenti, certe realizzazioni e concretizzazioni storiche. Il cristianesimo non è un’idea, meno che mai un’ideologia. Non è un ideale, lo diventa, ma secondariamente. E’ un fatto che è successo - piaccia o non piaccia. Scusate la quasi brutalità di questa affermazione. Bello o non bello – “è così bello che sia così”, a me piace quando uno parla in questo modo, anche a me succede abitualmente, è ovvio, perché così lo sento. Ma, e se fosse brutto? E’ bello! Ma non è perché è bello che io lo credo, non è perché è bello che lo racconto. Non è la sua ragione di bellezza che mi convince. La cosa importante è che sia accaduto. E’ un fatto.

Si parla del significato del Cristo e del significato del cristianesimo, spesso impropriamente, comunque con gravi rischi di fraintendimento. Il Cristo non è rapportato ad un significato che gli sia ulteriore. “C’è il Cristo, e poi che cosa significa il Cristo? C’è l’evento della resurrezione e poi che cosa significa l’evento della resurrezione?” Che significa questo? A che cosa rimanda il Cristo? A nessuno, a se stesso. A che cosa rimanda l’evento della resurrezione? A nessuno, a se stesso, il Cristo non ha un’ulteriorità. E’ l’evento, è il fatto. Tutto ha significato in rapporto al Cristo. Non dobbiamo cercare il significato del Cristo in rapporto al resto, se non al Padre, se non al Padre, con il quale il Cristo è uno. Contro questo fatto non vale nessun “ma”. Rispetto a questo fatto appaiono estremamente tenui e insignificanti tutte le divagazioni dei nostri discorsi, delle nostre fantasie, delle nostre preoccupazioni, dell’accettabilità, dell’attualizzazione, del “veniamo con i piedi in terra”, “Allora che cosa vuol dire”. Che cosa vuol dire? Niente, non vuol dire niente. Dio è venuto in terra. Il Figlio di Dio è morto ed è risorto. Qui! In quel tempo! Questa concretezza! Mi piaccia o non mi piaccia! Perché in certi momenti può piacermi moltissimo, in certi altri momenti niente affatto e posso essere messo radicalmente in crisi rispetto alle mie concezioni, alle mie speranze, alle mie idee, alle immagini che mi faccio dell’umanità, della storia e della mia storia all’interno dell’umanità e della storia umana, da ciò che “debbo” credere, da ciò che “è” accaduto. Ma è accaduto! Io non posso farci niente. Geremia qualche volta era contentissimo del suo rapporto con il Signore, qualche volta da questo rapporto con il Signore era messo totalmente in crisi, radicalmente in questione e diceva: “O Signore, tu sei diventato per me come un torrente infido, appari e scompari e quello che mi metti sulla bocca è ciò che io non vorrei dire e che nessuno vuole ascoltare da me”. Ma c’è, ma c’è! “La tua parola è divenuta come un fuoco divorante”.

E’ questa realtà oggettiva che (conta). Ripeto: non dobbiamo illuderci, Ma d’altra parte, così, mediamente, siamo giovani, ecco qua, (ma) non tanto da non aver fatto a questo riguardo delle esperienze significative (di persone che vogliono solo) che ci appaia questo fatto stupendo, mirabile, che risolve tutto e che risponde a tutto - sempre ciò che corrisponde a quello che sarebbe il nostro pensiero e il nostro sentire umano! Ma è un fatto. Io l’ho visto, io ho toccato quelle pietre, io ho camminato su quei sentieri che Dio, in Gesù, ha percorso. Questo per me è stato il frutto più grande del rapporto con la Terra Santa. Questa oggettività percepita in modo violento, dalla quale si vorrebbe sfuggire in qualche modo, perché finché si parla di una cosa lontana… ma quando poi ci si è, quando poi ci si è di fronte, si dice “qui”! Ecco questo fatto c’è e occorre opporsi con tutte le forze a tutti i tentativi di - non tanto di ridurre la portata di questa storicità, anche, che sono molto malsani - tutti i tentativi di impostare il problema del cristianesimo in una luce diversa, in una prospettiva diversa, sotto una diversa angolatura. E’ o non è? Vero o non vero? Accaduto o non accaduto? Date - ho scritto qui nei miei appunti - e in gran parte non concesse, tutte le riduzioni critiche rispetto alla storicità dell’evento cristiano, quale è attestata negli evangeli descritti nel Nuovo Testamento, e anche in quelli dell’Antico, che fanno corpo con esso, date, e in gran parte non concesse, tutte le riduzioni, resta tuttavia più che a sufficienza, perché la nostra vita e la vita del mondo siano determinate per sempre dalla realtà oggettiva di questo evento, con il quale prendiamo contatto violentemente, direi fisicamente, di fatto, con questo pellegrinaggio. Da questo derivano tutti i “dunque”, tutti i “quindi”, tutte le conseguenze. Ma da questo! Ogni diversa impostazione del mistero cristiano è un’impostazione di tipo gnostico, tentata fin dall’inizio della storia del cristianesimo. Credo che don Giuseppe vi parlerà di alcuni di questi problemi e che è la tentazione costante alla quale è sottoposta la fede cristiana, la più insidiosa, quella della quale meno frequentemente ci si accorge, perché si presenta sempre come un nobile tentativo di astrarre dalla brutalità e dalla opacità, per così dire, dell’evento, il significato spirituale.

Ecco adesso qualche cosa solo in preparazione di quello che poi, a Dio piacendo, vi dirò brevemente all’omelia, su che cos’è il Tabor. Il Tabor rispetto a Nazareth! Secondo me non si può parlare del Tabor se non rispetto a questo. Il Tabor rappresenta rispetto a Nazareth una complementarietà speculare, tale che Nazareth e il Tabor comprendono, se ben intesi, tutta la polarità dell’evento cristiano ai due estremi, come la morte e la resurrezione del Signore, in modo che la morte rimanda sempre alla resurrezione - è morto, ma per risorgere! - e che la resurrezione rimanda sempre alla morte perché “risurrezione dai morti”, di chi é diventato, risorgendo, il primogenito dai morti. Analogamente come la morte e la resurrezione si implicano e si richiamano a vicenda, così si implicano e si richiamano a vicenda, io credo, se intesi bene ad un certo livello, Nazareth e il Tabor.

Che cos’è Nazareth? Proprio a livello più elementare - non oso dire più profondo - ma proprio ridotto alla sua essenza ultima, Nazareth è l’emergere - con il quale ci si confronta, ripeto, brutalmente quando ci si mette in ginocchio davanti a quell’altare dove c’è scritto “Hic Verbum caro factum est” - è l’emergere dello scandalo del nascondimento. Lo scandalo del nascondimento che è una delle dimensioni fondamentali, non l’unica, come vedremo, dello scandalo cristiano che si può esprimere così: “Se è Dio - “hic Verbum” - se è Dio - “et Deus erat Verbum” - se è Dio perché non si manifesta?” Uno scandalo antico che risale, come sappiamo molto bene, al deserto e che ha il suo tipo proprio nella grande tentazione subita dal popolo di Israele nel deserto. “Dio è o non è in mezzo a noi?” Non dubitavano che Dio fosse, in mezzo a loro. Ma, se c’è, perché patiamo la sete? (…) perché? Se c’è, perché non si manifesta? Nazareth è il non manifestarsi, il nascondersi, anzi, programmatico di Dio. Programmatico, voluto, perché avrebbe potuto benissimo fare delle altre scelte. Ha fatto la scelta di apparire come uno nato a Nazareth, il che non è vero. Il che non è vero! Ma è apparso così, ricordate? Lo leggevamo noi nel nostro calendario particolare di letture in comunità proprio ieri. Giovanni 1, 45 e seguenti, l’incontro fra Filippo e Natanaele. Filippo che dice: “Abbiamo incontrato colui del quale parlano Mosé e i profeti, Gesù, figlio di Giuseppe, da Nazareth”. E Natanaele un po’ più esperto nelle Scritture o ancora un po’ scettico, perché non aveva ancora incontrato direttamente il Signore dice: “Ma da Nazareth può venire qualche cosa di buono?” Che non significa come qualche volta è tradotto: “Eh, ma da Canicattì!”. No, no! Non è che Nazareth fosse un paese particolarmente disprezzato, ma da Nazareth non poteva venire il Messia, questo è sicuro. Ricordate anche la tradizione di Matteo, no? I Magi interpellano Erode: “Donde nasce il Messia?”. “A Betlemme di Giuda, così infatti sta scritto”. Ed erano tutti d’accordo che dovesse nascere lì. Interessarsene poi o meno, averne paura o desiderio, era altra questione, ma sul fatto che fosse di origine davidica e che la città donde doveva venire il Messia fosse Betlemme era, appariva ovvia. “Studia” - dicono a Nicodemo i membri del Sinedrio – “e vedi che dalla Galilea non può venire il profeta, un profeta”. E Gesù sceglie di nascondersi, incarnandosi a Nazareth e vivendo a Nazareth. Sceglie di nascondersi. Pensate già, prima ancora di questi testi che vi ho citato, il dramma di Giuseppe (…) e il mistero di questa concezione non testimoniabile: la Madonna era indifendibile. E ci si chiede qualche volta: ma perché non l’ha detto a Giuseppe? La risposta è ovvia: perché comunque non avrebbe potuto addurre nessuna prova e non avrebbe potuto sperare, se non per miracolo di Dio, nessuna fede alla sua testimonianza.

E’ chiaro. E’ lo scandalo della salvezza. Che Nazareth sia questo appare molto chiaramente anche nel testo più interessante riguardo a Nazareth che è Luca 4 sul quale avete meditato oggi. A Nazareth Gesù si nasconde. Gesù si nasconde essendo di Nazareth e Gesù a Nazareth si nasconde. “Quello che hai fatto altrove, fallo anche qui, nella tua patria”. Gesù non lo fa. Non lo fa! E non fu creduto. Non fu creduto e fu rifiutato. Un Dio nascosto. Nascosto! E’ una scelta chiara che Dio compie e che giunge al suo paradosso, proprio al suo vertice, nel fatto stesso di Nazareth scelta come sua città, luogo del nascondersi, luogo del celarsi, luogo del farsi incognito, luogo del mascherarsi. Perché? E’ lo scandalo, lo scandalo che bisogna superare. Ma è inevitabile lo scandalo dalla fede - perché poi fa sempre così. E perché è andato sulla Croce? Pietro glielo disse: “No, non sia mai, queste sono cose che non si devono nemmeno dire” disse Pietro a Gesù. E Gesù gli diede quella risposta così vigorosa: “Vattene via, Satana, perché non hai il sentire di Dio, ma il sentire degli uomini”. Però il sentire degli uomini sarebbe questo: “Se è Dio, si manifesti”. Se è Dio e vuole essere creduto tale, si manifesti. E invece si nasconde. Non del tutto. Ma molto, molto, molto. Ripeto: fino alla croce. E questo nascondimento dura per tutto il tempo della storia: è la scelta del nostro Dio incarnato. La manifestazione è dopo la storia, non nella storia. “Vedrete il Figlio dell’uomo ritornare sulle nubi del cielo”. Ecco la grande prova! “Credi perché ti ho detto che ti ho visto sotto il fico? Vedrete i cieli aperti e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”. Mai successo? Quando l’hanno visto? Il riferimento è, a mio parere, nettamente escatologico: “Allora vedranno” e allora lo vedranno tutte le tribù della terra, anche quelli che l’hanno crocifisso, come dice l’Apocalisse, si batteranno il petto. Allora lo vedranno. D’ora in poi vedrete, cioè non mi vedrete più così, fino al giorno in cui non mi vedrete ritornare nella gloria. Ma è dopo la storia!

Ecco. E durante la storia - come dice quel testo bellissimo, applicato all’Eucaristia, ma che è poi possibile estendere come interpretazione di tutto l’evento e il mistero della chiesa nel mondo, come dice San Tommaso: “In cruce latebat sola Deitas at hic latet simul et humanitas” - ancora di più! Nascosto! Ecco Nazareth. Che cosa chiede Nazareth a noi se lo capiamo? Chiede di scontrarsi in modo esplicito e lucido con questo scandalo che è scelta di Dio. Ha voluto così. Ha fatto così perché l’ha voluto. Non poteva manifestarsi? Certo che lo poteva! Non poteva con una parola distruggere quello che voleva distruggere e edificare quello che voleva edificare, mostrare i cieli aperti e rivelare la propria gloria? Poteva. Non lo ha fatto, perché non ha voluto farlo! Ma perché non l’ha fatto? Se lo avesse fatto avrebbero tutti creduto in lui! Era quello che gli diceva anche il diavolo – ricordate - che è sempre molto ragionevole, molto intelligente, molto razionale. Dice: “Ma, buttati dal pinnacolo del Tempio, buttati, allora gli angeli ti sosterranno, perché sta scritto così. E’ sicuro! Quindi stai tranquillo, e tutti crederanno”. Invece il Signore ci chiede di credere a questa sua scelta, come scelta volontaria, programmatica, e di accettarla, sino alla fine. Sino alla fine! Perché è una scelta fatta sino alla fine. Nazareth! E di vincere così nel nostro intimo - cosa che è molto meno facile che non smentirla nelle nostre conferenze, nei nostri discorsi, nelle nostre prediche - il trionfalismo. Siamo tutti antitrionfalisti noi oggi. Giustamente anche io mi schiero con gli altri antitrionfalisti! Ma quanto è facile parlare contro il trionfalismo e quanto è difficile vivere di fede nel Dio che si chiama e non risponde, che c’è e non si fa vedere, che è onnipotente, che si rivela in tutto - apparentemente - di una incredibile impotenza e debolezza. Vincere è superare il trionfalismo accettando: “Hic Verbum caro factum est”. Cosa è successo? Niente. La grotta è rimasta la grotta. La Madonna è rimasta la Madonna. E il suo sposo ha creduto che fosse accaduto qualche cosa di brutto. “Verbum caro factum est”. E’ questo che si presenta e la gente dice: “Ma un momento – scusate – ridimensioniamo! Ma non è costui il figlio di Giuseppe e di Maria? E le sue sorelle non sono fra di noi?” Ecco Nazareth. Vincere ogni tentazione di millenarismo - prospettiva della vita della chiesa, nel mondo, come realizzazione, in qualche modo, del tempo messianico, interpretato ancora in modo giudaizzante, prima della rivelazione che ne fa il Cristo, di queste parole, che devono essere intese in modo totalmente diverso, attuato nella storia degli uomini. Quanto è facile la tentazione del millenarismo. Vince in noi!. Allora soltanto la nostra fede sarà garantita, sarà fede cristiana, nel Cristo crocifisso. Ogni illusione! Finché non si sarà superato questa illusione e finché il sì - non il nonostante - il sì convinto, totale – “Sì o Padre, perché così è piaciuto davanti a te di nascondere”, l’ha detto in una circostanza simile il Signore, “queste cose ai sapienti, ai prudenti e di rivelarle ai piccoli” – (finché) il sì – “perché così gli è piaciuto” - non sgorghi forte dal nostro cuore. Questo è Nazareth.

Rispetto a Nazareth il Tabor è qualche cosa di polare, ma non meno scandaloso, perché lo scandalo ha due dimensioni - mi insegnò Kierkegaard fin dalla mia adolescenza o prima giovinezza, quando lessi per la prima volta un libro che determinò poi il corso della mia vita: “Scuola di cristianesimo”. Lo scandalo ha due dimensioni: Dio che non si manifesta, e l’uomo che viene proclamato Dio. Nazareth è lo scandalo di Dio che non si manifesta. “Verbum caro factum est”. “Caro”, “caro”!

Il Tabor è l’altro scandalo: quest’uomo che viene proclamato e deve essere creduto Dio. Ecco, ma dell’aspetto complementare, appunto, dello scandalo taborico rispetto allo scandalo di Nazareth, parleremo un pochino nell’omelia della messa.

Sono bruttissimo, meno mi fotografate, meglio è. Guasto tutto.

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