Nel quadro della riflessione sul tema da Cristo a Maria, il Vangelo di Giovanni apporta un contributo notevole, benché nomini Maria solo in tre casi e mai per nome.
Giovanni non ha niente circa l’annunciazione, la nascita, la fanciullezza di Gesù. Inizia dall’alto, presentando subito Gesù come il Logos-Parola di Dio incarnata; Logos da sempre presente nella creazione ma non accolto; Logos che diventa carne, dà a quelli che credono nel suo nome il potere di diventare figli di Dio e porta la Grazia e la Verità come compimento della Legge data in antico per mezzo di Mosè; Figlio unigenito che ha rivelato il Padre invisibile (Gv 1,1-18).
Giovanni non dice nulla sull’origine umana di Gesù. Evidentemente presuppone queste conoscenze e si preoccupa di mostrarne il senso profondo, la novità e insieme la continuità tra la rivelazione perenne di Dio nella creazione attraverso il Logos-Sapienza con cui tutto è stato fatto, la rivelazione del Logos-Parola nell’Antico Testamento e la rivelazione definitiva del Logos incarnato nel Nuovo Testamento, nella Chiesa e fino al compimento finale.
Giovanni parla di Maria in tre occasioni: alle nozze di Cana (2,1-11), poi un piccolo accenno della sua andata a Cafarnao con Gesù, i fratelli e i suoi discepoli (2,12), e infine nella grande scena sul Calvario (19,25-27).
Cerchiamo di collocare queste tre occasioni nella composizione del Vangelo. Il Quarto Vangelo comprende due parti: i cc 1-12 Libro dei segni + 13-21 Libro della gloria. Le due parti si possono suddividere in sei sezioni maggiori:
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La sezione II, in cui si racconta di Maria alle nozze di Cana, è parallela alla sezione IV. Nella sezione II, mediante la testimonianza del Battista l’Evangelista imposta il problema fondamentale « chi è Gesù? » e ne da una prima risposta attraverso una serie di titoli messianici: Figlio di Dio, Rabbi/Maestro, Messia/Cristo, Figlio dell’uomo (c. 1). Il processo di fede, descritto come un « andare verso » Gesù, è analizzato nelle sue varie manifestazioni attraverso persone tipiche: i primi discepoli (la Chiesa in germe), Nicodemo (l’incomprensione giudaica), il Battista (la fede dell’A.T.), la samaritana (la fede degli « eretici »), l’ufficiale di Cafarnao (la fede dei pagani) (cc. 2-4). — Il problema dell’identità di Gesù viene poi ripreso più da vicino nella sezione IV, mentre cresce l’opposizione dei nemici del Signore. Di nuovo una serie di titoli messianici (Figlio di Dio, Figlio dell’uomo) e il « segno » per eccellenza, la risurrezione di Lazzaro (c. 11), danno una risposta sempre più precisa sulla persona e sul destino di Gesù alla vigilia della sua « ora ». I giordani credono senza i segni (10,40-42), i giudei non credono nonostante i segni, i greci vogliono vedere Gesù (12,20-36). Si delinea il senso della morte del Signore, Re di Israele, per la nazione e per radunare tutti i figli di Dio dispersi, mentre inizia la preparazione della Grande Pasqua (10,22-12,50).
Vediamo più da vicino la sezione II, cioè i cc. 2-4. L’interpretazione degli episodi che compongono questa sezione è suggerita dal modo come essa è composta, in modo circolare, come spesso in Giovanni, un mezzo stilistico a cui forse noi oggi siamo poco abituati ma che è abbastanza utilizzato dagli scrittori biblici. Serve a suggerire i collegamenti tra gli episodi che compongono una sezione e quindi il senso generale. Ecco la composizione dei cc. 2-4:
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L’idea generale dei cc. 2-4 è il rapporto tra la fede in Gesù e i “segni”. “Segni” è il termine che Giovanni usa per indicare i miracoli o i comportamenti clamorosi, come quello di Gesù che scaccia pecore e buoi, rovescia i banchi e caccia i venditori dal recinto del Tempio. I segni, fa capire Giovanni, sono ambigui: possono portare alla fede, come nel caso dei discepoli, ma possono anche essere fonte di esaltazione momentanea, più che di fede autentica, come avvenne nei molti che credettero in Gesù durante la Pasqua, ma egli – si legge – non si fidò di loro (2,23-25); e possono anche essere inutili, come nel caso dei giudei. E per “giudei” Giovanni intende le autorità: i sommi sacerdoti, i farisei, uno dei quali era Nicodemo, i capi in generale, piuttosto che il popolo semplice, che era favorevole a Gesù e disposto ad ascoltarlo. La vera fede, suggerisce Giovanni, non deve aver bisogno dei segni ma deve basarsi puramente sulla parola di Gesù, come la fede dei Samaritani e quella del funzionario romano di Cafarnao. L’evangelista mostra apprezzamento per gruppi marginali del giudaismo, come i Samaritani, e per i pagani, mentre presenta negativamente i giudei. Naturalmente non si può accusarlo di antigiudaismo o antisemitismo; il suo criterio di giudizio è semplicemente il modo come queste categorie si ponevano di fronte a Gesù e alla Chiesa primitiva.
1. Da Cana a Cana. Il cammino della fede
Conosciamo il racconto delle nozze di Cana. Ci fermeremo su alcuni elementi che ci aiutano a comprendere il senso dell’episodio.
• Anzitutto l’indicazione di tempo, “nel terzo giorno”, lega questo episodio a quelli precedenti, in cui pure si legge tre volte l’espressione “il giorno dopo” (1,29.35.43), che introduce i tre giorni della testimonianza di Giovanni Battista su Gesù.
• “E la Madre di Gesù era là; e fu invitato anche Gesù e i suoi discepoli alle nozze”: La Madre di Gesù è nominata per prima. Come a dire che a motivo di lei fu invitato Gesù con i discepoli. Maria entra in scena dal nulla, nominata per la prima volta; dei discepoli finora si è parlato di due che lasciano il Battista e seguono Gesù – uno Andrea, l’altro forse l’evangelista stesso – e poi di Pietro, invitato dal fratello Andrea, di Filippo di Betsaida, chiamato da Gesù, e di Natanaele, invitato da Filippo (1,35-51).
• “Non hanno vino!” dice Maria al Figlio. E Gesù risponde con una frase misteriosa: “Che c’è fra me e te, Donna? Non è ancora giunta la mia ora”. Maria nota la mancanza del vino delle nozze e si rivolge a Gesù. Poi quasi ignorando la sua risposta si rivolge agli inservienti: “Qualunque cosa vi dirà, fatela”. — Ci sono vari elementi che richiamano l’attenzione.
• L’antica espressione “che c’è fra me e te?” acquista un senso diverso secondo le situazioni e gli interlocutori (Gdc 11,12; 1 Re 17,18; 2 Re 3,13; 2 Cr 35,21; cf. Mc 5,7 // Lc 8,28); in generale indica un diverso atteggiamento da parte di chi parla nei confronti dell’interlocutore riguardo a un certo argomento. Nel caso presente l’argomento è il vino, un elemento tipico della festa che nei profeti aveva forte valenza simbolica: era un segno degli ultimi tempi e dei beni messianici (cf. Am 9,13-14; Is 25,6; Gl 2,24). Maria, qualunque cosa abbia capito dalla risposta del Figlio, ha piena fiducia in lui. Nel parlare agli inservienti utilizza un’espressione molto solenne, che richiama quella che il faraone d’Egitto utilizzò per Giuseppe l’ebreo in occasione della carestia: “Andate da Giuseppe e qualunque cosa vi dirà, fatela” (Gen 41,55). L’accostamento con questo passo fa risaltare l’importanza della mediazione di Maria, del suo occhio vigile verso le necessità.
• Dicendo che la sua “ora” non è ancora venuta, Gesù offre la chiave per comprendere il brano. Nel IV Vangelo l’“ora” designa il culmine della missione di Gesù, cioè il tempo della passione e morte in croce e del suo ritorno al Padre. Infatti in 12,23 Gesù dice: “È giunta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”, e spiega che il chicco di grano deve morire per portare frutto; alla vigilia della grande Pasqua, in 13,1, si legge che “Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre…”; e la preghiera “sacerdotale” prima della passione in 17,1 inizia con le parole: “Padre, l’ora è venuta. Glorifica il tuo Figlio, perché il Figlio glorifichi te”. Con la sua risposta Gesù stabilisce una differenza: la Madre si riferisce al vino delle nozze, mentre lui al vino che è simbolo dei beni messianici, per il quale la sua “ora” non è ancora venuta. La sua risposta quindi rimanda al futuro ma intanto non esclude che egli conceda il vino delle nozze. E infatti lo concede con abbondanza: 6 grandi brocche riempite fino all’orlo. E il capotavola che loda lo sposo perché ha servito il vino buono fino a quel momento, evidentemente molto avanzato, della festa senza saperlo (ma gli inservienti lo sapevano bene!) loda il miracolo del Signore.
• La risposta di Gesù non è irriguardosa verso la Madre. Su questo punto il testo di Giovanni è estremamente fine, allusivo. Abbiamo sentito che all’inizio presenta Maria come “la Madre di Gesù”, che è un titolo onorifico in particolare nell’ambiente orientale: fino ad oggi i genitori quasi cambiano nome alla nascita del primogenito e si fanno chiamare “padre/madre di X”. Anche il fatto che la chiami “Donna” non è affatto dispregiativo. Il senso pieno di questi due titoli si coglie nella scena parallela sul Calvario, dove Maria di nuovo riceve questi due titoli, “Madre” e “Donna”.
• Quello di Cana fu “l’inizio dei segni”, si legge alla fine (2,11), e non per nulla si verificò per iniziativa della Madre di Gesù.
• “E (Gesù) manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”. Una conclusione simile sulla fede dei discepoli si legge anche in 2,21 dopo il segno del Tempio. Compare, per il Tempio come per il vino a Cana, il doppio livello di significato: il Tempio di Gerusalemme e il Tempio che è il suo corpo: “Egli però parlava del Tempio del suo corpo. Quando dunque risuscitò dai morti i suoi discepoli si ricordarono che parlava di queste cose e credettero alla Scrittura e alla parola che aveva detto Gesù” (2,21-22). Così la fede dei discepoli a motivo dei segni, e quindi di per sé instabile (cf.2,23-25), diventa perfetta come fede nella Scrittura (AT) e nella parola di Gesù (NT) visti come continuità e compimento l’una dell’altra.
Si delinea così un cammino di fede, che inizia con un segno clamoroso che richiama l’attenzione sulla persona che lo compie, un cammino che però deve continuare attraverso la meditazione della Scrittura e della Parola di Gesù per diventare fede pura e semplice in lui, nella sua persona. Il primo segno, il segno del vino a Cana, si compie per iniziativa di Maria, Madre di Gesù e Donna. Troviamo lei all’inizio del cammino di fede dei discepoli. La prossima scena ci mostra che lei, Donna e Madre, si trova anche al punto di arrivo di questo cammino, nell’“ora” del compimento sul Golgota.
2. Sul Calvario. Da Madre del Maestro Re crocifisso a Madre dei discepoli Chiesa
Abbiamo notato che all’inizio del racconto delle nozze di Cana Maria viene nominata prima di Gesù e dei discepoli: lei era là e anche Gesù e i discepoli furono invitati (2,1); alla fine del racconto però Gesù prende il primo posto: “Dopo scese a Cafarnao lui e sua Madre con i fratelli e i suoi discepoli; e là si trattennero solo pochi giorni” (2,12). Maria compare qui per la seconda volta mentre i suoi fratelli, nominati per la prima volta, ricompaiono in 7,3-8, preoccupati del calo di popolarità in Galilea dopo il discorso eucaristico in cui Gesù disse che avrebbe dato in cibo la sua carne e il suo sangue. Visto che molti discepoli si ritiravano dal suo seguito, i fratelli gli consigliano di andare in Giudea per un lancio pubblicitario che la Galilea, ai margini dal centro religioso, non poteva assicurare. Ma Gesù non accetta la loro provocazione e l’evangelista dice espressamente che “neppure i suoi fratelli credevano in lui” (7,5).
La breve permanenza a Cafarnao di Maria con i fratelli insieme a Gesù e i discepoli in Gv 2,12 sembra essere un’eco della tradizione sinottica che racconta la venuta di Maria con i fratelli a Cafarnao quando sembrava che Gesù fosse in pericolo, dato che lo consideravano un indemoniato (Mc 3,21 e par.). Gesù approfittò della loro venuta per annunciare un misterioso cambio di parentela: “«Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Volgendo lo sguardo intorno verso quelli che gli stavano seduti intorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli. Chi infatti compie il volere di Dio, questi è mio fratello e sorella e madre»” (Mc 3,33-35). Questa trasformazione, allargamento, o approfondimento dei legami di parentela, in una forma un po’ diversa ma ancora più completa, Giovanni la mostra realizzata sul Calvario. In questa scena, che è parallela a quella di Cana, Maria compare accanto al Figlio crocifisso e al Discepolo amato.
Prima di considerare questa scena un po’ più da vicino, vediamo il contesto letterario in cui essa è inserita perché esso ci aiuta a comprenderla meglio. La scena della Madre e del Discepolo sotto la croce è inserita in una grande sezione del Vangelo di Giovanni che comprende i cc. 13-19 e ha come tema generale la rivelazione piena in occasione della sua “ora”, parallela alla sezione III, 5,1-10,21 che ha come tema la rivelazione pubblica in occasione di varie feste. Ecco come possiamo delineare la sezione V, cc. 13-19:
• 1) 19,16-22 Crocifisso in mezzo ad altri due = posizione centrale!
• c. 13, il servizio di Gesù nella sua “ora”: il lavare i piedi da parte di Gesù ai discepoli è
simbolo del dono della vita per loro e diventa impegno dei discepoli tra loro:
“Lavatevi i piedi l’un l’altro come ho fatto io” (13,14) = “Vi do un comando nuovo
che vi amiate l’un l’altro come io ho amato voi” (13,34).
• cc. 14-16, gli insegnamenti dell’“ora”, in due discorsi cc. 14 e 15-16. Temi principali:
il rapporto Padre-Gesù-discepoli, discepoli-mondo, il Paraclito
• c. 17 la preghiera dell’“ora” per i discepoli presenti e futuri
• cc. 18-19 i fatti dell’“ora” suprema di Gesù sul Calvario.
La pericope riguardante la Madre è compresa in quest’ultima divisione, che guardiamo un po’ più da vicino per capire i legami tra le scene sul Calvario:
• 1) 19,16-22 Crocifisso in mezzo ad altri due = posizione centrale!
• // cartello sulla croce: “Gesù Nazareno, re dei Giudei”
• 2) 19,23-27 La tunica di Gesù non divisa = simbolo dell’unità del suo Regno/Chiesa
// La Madre di Gesù diventa Madre del discepolo = comunione e unità della Chiesa
• 3) 19,28-37 Morte di Gesù = “compimento” e dono dello Spirito
// Non rotto alcun osso = Agnello della Pasqua, ma Sangue e Acqua dal suo costato
= i sacramenti della Chiesa.
Nel racconto della passione in Giovanni, in particolare nelle scene del processo romano davanti a Pilato e nelle scene sul Calvario, l’argomento centrale è la regalità di Cristo. Davanti a Pilato Gesù si dichiara re non di questo mondo ma venuto per rendere testimonianza alla verità (18,33-38a), è incoronato di spine (18,38b-19,3), e Pilato lo presenta: “Ecco il vostro re” (19,13-16a). E sul Calvario la sua regalità si realizza.
Le tre scene sul Calvario si compongono ognuna di due piccoli episodi tra loro paralleli:
• 1) la croce di Gesù viene eretta in posizione centrale // il cartello della condanna in realtà lo proclama re;
• 2) la sua tunica non viene divisa (cf. 1 Re 11,30-31, la scissione del mantello è simbolo della divisione del regno di Salomone) // per volere di Gesù sua Madre diventa la Madre del discepolo amato che la prende con sé;
• 3) il vaso di aceto che Gesù beve nella sua “sete” è simbolo del calice che il Padre gli ha dato (18,11) e così, ora che “tutto è compiuto”, egli “consegnò lo Spirito” (con il verbo paredôken, diverso da quello usato dagli altri evangelisti, un verbo che indica non il semplice spirare ma il dare, consegnare) // non gli viene rotto alcun osso, come non si doveva fare all’agnello della cena pasquale (Es 12,46), ma il suo costato viene aperto e diventa una sorgente da cui esce sangue e acqua (a compimento della sorgente annunciata dai profeti: Zc 14,8; Ez 47,1-12); inoltre, secondo la profezia (Zc 12,10), tutti “guarderanno a colui che avranno trafitto”.
Per gli uomini di tutti i tempi il Crocifisso sarà la rivelazione completa: “Quando innalzerete il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io-Sono (= Yhwh, il Nome proprio di Dio!) e da me stesso non faccio nulla; ma come il Padre mi ha insegnato, così io parlo” (8,28); “E io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me” (12,32); “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna” (3,14-15).
In questo contesto di compimento e di trasfigurazione, in cui nella crudezza della morte in croce si rivela la profondità dell’amore di Dio, Maria ha un ruolo strettamente legato a quello del Figlio. A Cana è stata lei a mettere in moto il processo che dai segni conduce i discepoli alla fede pura nella parola e nella persona del Figlio; ora è il Figlio che le affida il ruolo di Madre verso il Discepolo, cioè verso la Chiesa.
Per comprendere bene il senso della scena è utile osservare alcuni dettagli significativi:
• Maria viene detta prima “sua Madre”: “Presso la croce di Gesù stavano sua Madre, la sorella di sua Madre, Maria di Cleofa e Maria Maddalena” (19,25), poi semplicemente “la Madre”: “Gesù allora, vedendo la Madre e vicino il discepolo che amava, dice alla Madre: «Donna, ecco tuo figlio»” (19,26);
• Ugualmente il discepolo viene detto prima “il discepolo che Gesù amava”, poi semplicemente “il discepolo”: “Poi dice al discepolo: «Ecco tua Madre». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé” (19,27).
Questo linguaggio riflette quello che Gesù crocifisso realizza in quel momento: sua Madre diventa la Madre, il discepolo amato diventa il discepolo, rappresentante di tutti i discepoli lungo i secoli; Maria è ora la Madre non solo di Gesù ma della Chiesa. Si manifesta così e si rafforza l’unità della Chiesa Regno del Crocifisso, già simboleggiata nella tunica non divisa, e si delinea anche la comunione tra i membri della Chiesa nelle varie funzioni, dato che si dice che il discepolo la prese con sé, nella sua casa.
Un paio di dettagli sono significativi:
• Ritornano in questa scena sul Calvario i due titoli di Maria: Madre e Donna. Questi due titoli rimandano evidentemente ai racconti delle origini del mondo, della vita e della coppia uomo-donna destinati a crescere, moltiplicarsi e dominare la terra:
– Ricordiamo anzitutto Gen 1,27: “Allora Dio creò l’uomo (= l’essere umano) a sua
immagine: proprio a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò”. Nella sua
concisione è questo uno dei passi più straordinari della Bibbia: l’essere umano è creato
a immagine di Dio e l’immagine si realizza nella differenziazione dei sessi:
“a immagine di Dio // maschio e femmina”; l’essere umano è immagine di Dio in
quanto è uomo-donna, uno e due insieme: “lo creò // li creò”.
– Un’altra prospettiva sulla coppia umana ci viene dal racconto di Gen 2: “Non è bene
che l’uomo sia solo; gli voglio fare un aiuto simile a lui” (v. 18); e questo aiuto non è
nessuno degli animali ma una “costruzione” fatta con una costola presa dall’uomo
stesso (vv. 21-22). Quando la vede, Adamo si entusiasma e gli fiorisce sulle labbra la
prima poesia: “Lei questa volta/finalmente è osso delle mie ossa / e carne della mia
carne! / Lei sarà chiamata donna, / poiché dall’uomo è stata presa lei!” (v. 23). “Per
questo – continua il testo – l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà alla
sua donna/moglie e i due saranno una sola carne” (v. 24).
– Da Gen 2,23-24 comprendiamo il valore del titolo “donna”, la sua complementarietà
con l’uomo al punto che il termine ebraico stabilisce un gioco di parole che non si può
rendere in italiano: ’îš / ’iššâ “uomo / uom-a”! Il valore dell’altro titolo “madre” è
legato, ohimè, alla situazione dopo il peccato e al parto nel dolore (3,16); allora Adamo dette un altro nome alla sua donna: “Allora Adamo chiamò il nome della sua
donna/moglie Eva perché lei fu la madre di tutti i viventi” (3,20).
Il fatto che sia a Cana che sul Calvario Gesù dà a Maria i due titoli Donna e Madre assume perciò la risonanza degli inizi della vicenda umana sulla terra. Ciò che l’evangelista racconta costituisce un nuovo inizio della vita, un inizio che riporta la realtà alla purezza originaria, anzi porta a perfezione il piano di Dio Padre per l’umanità. Sulla croce Gesù si manifesta come il nuovo Adamo e Maria come la nuova Eva, Donna e Madre non solo di Gesù ma anche dei discepoli, della Chiesa lungo i secoli.
• L’altro dettaglio è: “E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé”. Compare di nuovo questo termine così carico di senso: l’“ora” della Croce, il tempo del compimento, della piena rivelazione, della nuova realtà con nuovi Progenitori e una nuova umanità.
Colpisce il fatto che Gesù applichi a Maria i due titoli di Madre e di Donna in rapporto al Discepolo. In realtà Maria è simbolo della Chiesa madre dei fedeli, mentre il Discepolo è simbolo dei figli della Chiesa, cioè dei credenti. Sono comunque aspetti di un’unica realtà di amore e di vita che vanno al di là dei limiti propri delle relazioni umane, per cui Maria, come la Chiesa, è nello stesso tempo Madre, Sposa e Figlia.
3. Conclusione. La Donna, la Madre e la Sposa
Sarebbe utile, a questo punto, fare dei riferimenti all’Apocalisse, un altro libro legato alla tradizione dell’apostolo Giovanni. Non possiamo farlo in modo approfondito ma forse basteranno alcuni accenni per mostrare come questi due titoli, Madre e Donna, siano carichi di significato e segnino la storia dell’umanità sino al compimento escatologico.
Viene subito in mente l’immagine della Donna vestita di sole nel c. 12. Ma l’Apocalisse delinea altre due figure femminili collegate a questa: la grande Prostituta vestita di porpora e scarlatto nel c. 17 e la Sposa dell’Agnello vestita di lino splendente nel c. 19.
La Donna vestita di sole è presentata come Madre di un figlio cercato a morte dal dragone rosso e perciò rapito in cielo per protezione, e anche come Madre di una discendenza più ampia che soffre la persecuzione della bestia e dei suoi alleati.
Delle due figure femminili contrapposte, una si prostituisce con la bestia, l’altra invece è la Sposa dell’Agnello.
Nonostante i problemi di interpretazione, queste figure femminili sembrano simboleggiare diversi aspetti e fasi dell’umanità creata da Dio, in lotta con il male ma non abbandonata da Dio, peccatrice come la Prostituta per le sue collusioni con il potere politico (Giovanni ha in mente i capi della Gerusalemme che ha condannato Gesù, ma la figura si adatta ad ogni epoca), e comunque anche Sposa dell’Agnello, il quale con la sua immolazione l’ha purificata, l’ha fatta bella e l’ha preparata per sé (cf. Ef 5,23-27).
Giovanni presenta la Sposa dell’Agnello come la Gerusalemme nuova che discende dal cielo. È il luogo in cui Dio abita insieme con l’umanità credente; in essa si realizzano i cieli nuovi e la terra nuova e il paradiso originario dell’Eden (cc. 21-22).
Con questo linguaggio Giovanni non presenta qualcosa di immaginario, di poetico o di semplicemente escatologico. Presenta la realtà della Chiesa già ora, vista però con l’occhio profondo della fede alla luce delle Scritture.
Si aprono così orizzonti sempre nuovi di speranza. Lungo tutta la storia dell’umanità i titoli di Maria Madre e Donna/Sposa si applicano alla Chiesa. Da un lato la Chiesa è Figlia di Maria e i cristiani fratelli di Gesù; dall’altro, la Chiesa è anche come Maria Donna e Sposa dell’Agnello e Madre dell’umanità redenta.
Viene alla mente il Saluto alla Beata Vergine Maria di S. Francesco (FF 259):
Ti saluto, Signora santa, regina santissima, Madre di Dio, Maria,
che sempre sei Vergine, eletta dal santissimo Padre celeste e da Lui,
col santissimo Figlio diletto e con lo Spirito Santo Paraclito, consacrata.
Tu in cui fu ed è ogni pienezza di grazia e ogni bene.
Ti saluto, suo palazzo.
Ti saluto, sua tenda.
Ti saluto, sua casa.
Ti saluto, suo vestimento.
Ti saluto, sua ancella.
Ti saluto, sua Madre.
Alviero Niccacci, O.F.M.
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