Significato principale. Collocazione del racconto nell'evangelo
Per conoscere il punto di vista personale di san Giovanni nel racconto delle nozze di Cana, occorre iniziarne la lettura dall'ultimo versetto: Questo fu il primo dei segni di Gesù. Gesù lo compì a Cana di Galilea. Manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. Per Giovanni l'avvenimento è un segno che mostra la gloria del Cristo e che dà origine alla fede dei discepoli. E' evidente la coincidenza col fine stesso del quarto evangelo, quale lo troviamo enunciato nei versetti 20,30s: Gesù fece ancora in presenza dei suoi discepoli, molti altri segni, che non sono narrati in questo libro. E questi lo sono stati perché voi crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo Nome. Il racconto delle nozze di Cana si integra quindi nella finalità centrale dell'evangelo, che è quella di mettere in luce il mistero di Gesù, e di portare alla fede nella sua Persona come sorgente di luce e di vita. Il prologo definiva già, attraverso la parola gloria, l'essenza del Verbo incarnato, Figlio Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità. Il racconto delle nozze di Cana riprende questa parola. Come la parola segno, si tratta di un vecchio termine biblico, quello che più si avvicina al nostro termine astratto di divinità. Se esso è meno preciso, è in compenso infinitamente più ricco come evocazione concreta. La gloria di Dio, nell'Antico Testamento, indica il peso schiacciante e lo splendore folgorante della santità, della maestà e della potenza divina che si manifestano all'uomo (Es 16,10;24,15ss; 33,18; Nm 14,21; Dt 5,23ss; Is 6,3; Ez 1,1-28; 43,1-5). Il Nuovo Testamento l'ha trasferito al Cristo. Ma i Vangeli sinottici l'attribuiscono quasi sempre al Figlio dell'Uomo che viene sulle nubi del cielo, alla fine dei tempi, nello splendore della sua potenza; San Giovanni, al contrario, attribuisce già questa gloria a Gesù quando vive in mezzo a noi. Egli la scopre nei suoi miracoli come in segni, i quali manifestano che in lui Dio è presente, operante, che si rivela, che viene a noi per salvarci. Questo è il senso del segno di Cana.
Occorre notare quanto vi sia di unico in questo transfert ad un uomo di un vocabolo che un tempo definiva Dio stesso manifestante la sua maestà. La Bibbia non ha mai attribuito nulla di simile a nessun profeta, a nessun re, a nessun sacerdote, a nessun uomo. Di nessuno ha scritto una frase che assomigli sia pur lontanamente a questa: Egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in Lui. Nei confronti di chiunque altri che Gesù, sarebbe stata una bestemmia.
Per quel che riguarda i discepoli, testimoni del segno, chi sono e donde vengono? Il lettore dell'evangelo lo ha appreso dal capitolo precedente. Tutto risale ad una parola di Giovanni Battista. Vedendo Gesù venire a lui, Giovanni lo aveva indicato dicendo: Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo. Egli rinnovò la sua testimonianza il giorno dopo, in presenza di due suoi discepoli. Questi, Andrea e senza dubbio Giovanni, il nostro evangelista, avevano allora seguito Gesù. Andrea aveva condotto a Gesù suo fratello Simone. Poi Gesù stesso aveva chiamato Filippo, il quale aveva trascinato a sua volta Natanaele, che era appunto originario di Cana. Così tutto il gruppo aveva accompagnato Gesù alle nozze, dove già li aveva preceduti Maria sua madre. E' per essi che viene compiuto il segno. Parallelamente a questa catena di vocazioni, un'altra catena era andata sviluppandosi, quella composta dagli attributi con cui veniva designato Gesù dai suoi nuovi discepoli: alla testimonianza del Battista sull'Agnello e sull'Eletto di Dio che battezza nello Spirito Santo (1,29-33ss), era seguita quella di Andrea: Abbiamo trovato il Messia (1,41); poi quella di Filippo: Colui di cui è scritto nella legge di Mosè e nei profeti, noi l'abbiamo trovato! E' Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazareth (1,45), alla quale fa riscontro quella di Natanaele: Rabbi, tu sei il figlio di Dio, tu sei il Re di Israele! (1,49). Gesù stesso aveva concluso questa serie, designandosi come il Figlio dell'Uomo: In verità, in verità io ve lo dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere al di sopra del Figlio dell'Uomo (1,51; cfr. Gn 28,12). Il segno delle nozze di Cana è come la conclusione e il coronamento di tutta la sequenza: il terzo giorno Gesù vi lascia trasparire, sotto gli occhi dei suoi nuovi discepoli, il primo raggio di quella gloria del Figlio dell'Uomo di cui ha appena promesso, in un modo ancora velato, la visione.
Significato simbolico del segno di Cana
Il significato del miracolo delle nozze di Cana non si limita alla manifestazione della divinità di Gesù in generale. Ne devono esser prese in considerazione le circostanze. Esse sono come l'orchestrazione del segno, e concorrono alla manifestazione della gloria di Gesù.
Ed è così di tutti i segni del quarto evangelo: al di là della rivelazione centrale della divinità del Cristo, essi esprimono simbolicamente i diversi aspetti della sua opera. La moltiplicazione dei pani lo manifesta come il pane di vita, la guarigione del cieco nato come la luce del mondo; la resurrezione di Lazzaro come la resurrezione e la vita. Più difficile da determinare è il significato del segno delle nozze di Cana, perché san Giovanni lo suggerisce più che precisarlo. Non ci si deve quindi stupire delle divergenze di opinioni fra gli esegeti.
Anche qui cominciamo dalla fine. Il racconto del miracolo, - prima della conclusione del versetto 11, che è in realtà una riflessione di san Giovanni – termina con una osservazione, leggermente ironica, rivolta dal maestro di cerimonia allo sposo: Tutti servono all'inizio il vino buono e quando la gente è brilla, servono il meno buono. Tu invece hai tenuto in serbo il vino buono fino a questo momento. Questa frase costituisce ciò che potremmo chiamare il culmine del racconto. Essa attira l'attenzione sullo sposo per complimentarlo, e nello stesso tempo per sottolineare quanto c'è di singolare nel suo comportamento. In effetti è Gesù che ne è l'obiettivo anche se il maestro di cerimonia non lo sa; questi, nota l'evangelista, non sapeva la provenienza del vino. E' Gesù il vero sposo che offre il vino delle nozze. Sotto il velo di queste nozze paesane sono rappresentate le sue nozze: le nozze messianiche dell'Agnello, del quale Giovanni Battista ha annunciato la venuta, e del quale dirà ben presto: Chi ha la sposa è lo sposo; l'amico dello sposo, che gli è accanto e l'ascolta, è colmo di gioia quando ode la voce dello sposo. Ecco la mia gioia: adesso è completa. Bisogna che lui cresca e io diminuisca (3,29ss). A ragione il Padre Lefèvre scrive: “Tutto il mistero di Cana è imperniato sulla presenza di questo sposo, che si nasconde, o piuttosto che comincia a rivelarsi”. Si deve mettere in evidenza un altro particolare. Gesù non trasforma in vino un'acqua qualunque. C'erano là, nota ancora l'evangelista, sei giare di pietra, che servivano ai riti di purificazione dei Giudei... Gesù disse ai servi: Riempite d'acqua le giare. Le riempirono fino all'orlo. L'acqua utilizzata da Gesù si presenta quindi come un'acqua per il culto, destinata ad un uso religioso tipico dell'antica alleanza, e le sei giare di pietra ripiene di quest'acqua appaiono come un simbolo del giudaismo, che Gesù si appresta a ricreare in sé, infondendogli uno spirito nuovo. Pare indubitabile che l'evangelista abbia riconosciuto nel miracolo il segno dell'alleanza nuova inaugurata da Gesù. Il buon vino tenuto in serbo fino a questo momento e dato a profusione rappresenta la grazia di questa alleanza. Non si spiega altrimenti l'insistenza di san Giovanni sulla sua qualità prelibata, notata dal maestro di cerimonia, e sulla sua abbondanza, indicata dalle dimensioni delle giare. Esse contenevano due o tre misure ciascuna. Ora, la “misura” corrispondeva pressappoco a 40 litri. Il tutto rappresenta dunque una capacità tra i 5 ed i 7 ettolitri. E Gesù ha dato l'ordine di attingere soltanto una volta dalle giare ripiene fino all'orlo. Questo non significa necessariamente che tutto il contenuto sia stato cambiato in vino. Può darsi che l'acqua sia stata trasformata in vino solo al momento di attingerla. Ma la sorgente è lì, e supera in qualità e quantità tutte le speranze e tutte le necessità. Questa interpretazione del vino di Cana come simbolo delle grazie della nuova alleanza è confermata dal fatto che il dono sovrabbondante di un vino succulento raffigurava presso i Giudei una delle benedizioni attese per i tempi messianici (Gn 49, 10ss; Am 9,13ss; Gl 2,24; 4,18; Is 25,6).
Alcuni Padri della Chiesa, per esempio Sant'Ireneo, e più di un esegeta vi ravvisano un simbolo eucaristico. E' difficile dimostrare in modo sicuro che l'evangelista abbia direttamente pensato a questo sacramento,e sarebbe un errore limitare il senso del segno a questo simbolismo. Si deve tuttavia riconoscere che nell'Eucarestia si compie in verità ciò di cui il miracolo di Cana è il segno. Il Cristo vi presenta egli stesso alla sua Chiesa la coppa del vino perfetto ed inesauribile, sorgente di gioia e di vita eterna, della nuova alleanza nel suo sangue. Meglio della Sapienza dell'Antico Testamento, egli dice qui ai suoi discepoli: “Venite!... Bevete il vino che ho preparato!” (Pr 9,1-5; cf. Sir 24,17s).
Occorre infine notare che Gesù non si accontenta di creare e offrire il vino del miracolo: egli cambia dell'acqua in vino. Egli non agisce da solo: associa al segno i servitori, chiede loro di riempire d'acqua le giare fino all'orlo. Questo è un tratto caratteristico dei segni dell'evangelo di san Giovanni. Per quanto siano trascendenti, essi poggiano normalmente su una realtà esistente e richiedono l'attività dell'uomo. Il miracolo, in san Giovanni, interviene al limite dello sforzo e delle risorse umane, dalle quali esso non dispensa ma che assume e riprende su un piano nuovo (5,5ss; 6,7-18; 9,32; 11,39; 21,3; ecc.).
La parte di Maria, la Madre di Gesù
La parte che ha Maria è fondamentale. Nominata per prima, è lei che attira l'attenzione di Gesù sulla scarsità del vino. Il suo intervento avviene in modo così discreto che si esita sulla portata esatta da attribuirgli. Sembra improbabile che ella chieda un miracolo a suo figlio. Gli espone semplicemente la situazione e la pena che prova per gli sposi. La risposta di Gesù non è facile da interpretare. La formula: Che vuoi tu da me? (letteralmente: Che cosa a me e a te?) indica di solito una divergenza di opinioni o di punti di vista; ma la gradazione e la sfumatura esatte di questa divergenza possono essere determinate soltanto dal tono di voce, dal gesto e da tutto il contesto. E questo rimane per noi pieno di mistero. Gesù si riferisce alla sua Ora. L'Ora di Gesù, nel quarto evangelo, indica il momento in cui, mediante la sua obbedienza fino alla morte, egli manifesterà pienamente la sua gloria di Figlio di Dio, la sua unità col Padre e il suo amore per gli uomini (12,23-27s; 17,1). Questa Ora non è ancora venuta. Senza dirlo espressamente, Gesù passa dalle realtà materiali alle realtà spirituali: dal vino che manca per le nozze, all'Ora in cui, rimediando ad una mancanza ben più radicale, mediante il suo sacrificio, egli salverà gli uomini dalla morte e comunicherà loro la vita. Fin dall'inizio Gesù vede tutta la sua azione nella prospettiva di quest'Ora, e ad essa tutta la riferisce. Sua Madre dice ai servitori: Fate tutto quello che egli vi dirà (cfr. Gn 41,55). Maria ha compreso che lo sguardo di suo Figlio andava più lontano e più in alto della preoccupazione dell'ora presente, verso un punto misterioso dell'avvenire, al quale tutto il presente doveva ordinarsi. Sottomessa con tutto il suo essere al mistero di quest'Ora, essa ingiunge ai servitori di mettersi agli ordini di Gesù e di obbedirgli ciecamente. Cosa farà Gesù? Essa lo ignora; ma conosce il significato di ciò che egli farà: qualunque cosa sia, egli la farà per quell'Ora di cui da sempre essa si considera al servizio. Il miracolo risponde alla sua obbedienza e alla sua fede, Gesù, anticipando l'Ora, crea il vino del miracolo, come un segno e un anticipo della gloria e delle ricchezze della nuova alleanza nel suo sangue.
Ricapitoliamo
Ricapitoliamo le ricchezze di questo primo tra i segni. Gesù, cambiando l'acqua in vino, manifesta la sua divinità, la sua gloria; ma le circostanze e la natura stessa del segno, unite alla tendenza simbolistica propria di san Giovanni, ci hanno obbligato a scendere in maggiori particolari. Gesù si rivela come il Messia, lo Sposo delle nozze, l'instauratore di una nuova alleanza. Egli versa il vino nuovo, il buon vino tenuto in serbo fino a questo momento, cioè riservato da Dio per gli ultimi tempi, nelle giare dell'ebraismo, ormai non più in grado di purificare. Per la sua abbondanza e la sua qualità, questo vino è l'immagine del dono di Dio e del rinnovamento di tutte le cose nel Cristo. Quanto alla fede dei discepoli, essa costituisce la primizia della fede nuova. Maria ha un posto a parte: stando vicina a suo figlio, essa indica e apre agli uomini, attraverso la sua fede, la sua obbedienza e il suo abbandono, le nuove vie della vita. L'accenno al terzo giorno, il riferimento all'Ora che non è ancora venuta, il simbolismo stesso, costringono a leggere questo racconto nella prospettiva dell'ora del sacrificio del Cristo, come fa lo stesso san Giovanni. Sarà allora infatti che il segno si chiarirà alla luce della realtà; le nozze del villaggio di Cana faranno posto alle nozze dell'Agnello immolato e alla sua resurrezione il terzo giorno; la fede nascente dei primi discepoli alla fede pasquale della Chiesa; la Madre di Gesù sarà consacrata per sempre, dalla parola di suo figlio, Madre di tutti i suoi discepoli. La realtà di questo mistero noi la viviamo, ora, nella Chiesa. E' oggi che si compie il miracolo e si dispiega la gloria di Gesù.
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