Una voce. Una chiamata. E la promessa del riposo. E’ il Signore che oggi si rivolge a ciascuno di noi, scruta le nostre vite, conosce le nostre sofferenze, ogni nostra schiavitù.
Il carico pesante delle opere morte che intristiscono il nostro cammino.Le parole del Vangelo di questa domenica sgorgano dal Mistero Pasquale del Signore. Lui è sceso sino a noi prede di un aguzzino che non ci lascia respirare. Il demonio, il “cravattaro” delle nostre anime.
La liturgia di questa domenica ci illumina sulla radice della nostra sofferenza. Spendiamo la vita per ciò che non sazia, siamo debitori senza possibilità d’estingure il debito. La carne ci assedia, rende impotente lo Spirito. Ne assecondiamo i desideri, quelli che fanno guerra a Dio, che ci separano dal Signore. Chi di noi, oggi, non sta pagando un debito alla carne?
Chi non è schiavo di un compromesso affettivo, chi non sta inseguendo la chimera del prestigio, la sirena del sesso, i luccichii del denaro? Chi di noi, oggi, non si sente squasssato da qualche fatto della vita, oppresso da qualche fardello del passato che condiziona il presente dipingendo di nero il futuro? Chi di noi, oggi, dinnanzi alla vita, al suo senso profondo, alle sue infinite possibilità così spesso frustrate, chi di noi dinnanzi a se stesso, al passato, al presente, al futuro, alla storia, al lavoro, alla famiglia, alla salute, al denaro, agli affetti, chi di noi non si sente piccolo. Chi, prendendo oggi seriamente in mano la propria vita, non si sente inadeguato.
Un “pitocco”, come dice la parola greca originale del Vangelo. Un nullatenente. Precario. Debole. Umiliato. Ebbene proprio a chi, oggi, si trova nel deserto il Signore rivolge la Sua Parola. Di Vita. La Sua voce scende al più intimo delle nostre angosce, e ci chiama. La Sua Croce, il Suo giogo dinnanzi ai nostri occhi e al nostro cuore.
Giù le maschere, l’ipocrisia, la presunzione. Dio ha scelto quello che nel mondo non vale, quello che è disprezzato, ignobile. Inutile. Ha scelto noi. Ha scelto il nostro niente per donarci il Suo tutto. Gli eventi della nostra vita ci hanno condotti al punto di partenza, in un cammino di salveza sino alle acque del battesimo. Disarmati. Al punto di partenza, al cuore denudato.
Lì dove il demonio ha deposto la sua menzogna e ci fatti schiavi e debitori verso la carne e i suoi desideri. Lì dove siamo oggi scende Cristo. Il Suo corpo, il Suo sangue, la Sua Parola. Lui. E ci attira a sè, nella Sua intimità, e, con Lui, ci conduce nell’intimità con il Padre. Ospiti della Trinità, figli nel Figlio, le nostre labbra e il nostro cuore dischiusi alla parola capace di cambiare la vita: Abbà. Papà.
La Vita al posto della morte. La Verità al posto della menzogna. Oggi con il Signore siamo accolti nelle viscere di misericordia del Padre. Ai piccoli è rivelato il mistero d’amore di Dio. Il Suo Spirito, il soffio mite e umile, il cuore di cristo. Imparare da Lui, seguirne le orme, strappati dale mani dell’aguzzino, liberi di far morire, giorno dopo giorno, i rigurgiti del nemico. Il Suo giogo, la Croce che crocifigge il nostro uomo vecchio, ogni fatto della nostra vita che ci umilia, ci fa piccoli per accogliere il Signore. Il Suo giogo, la Croce di ogni giorno che ci fa uno con Lui. Il Suo amore che fa dolce e leggera la vita, anche la più difficile.
Il mistero rivelato nel Getsemani, l’intimità d’un amore infinito, la soffrenza reale e concreta della carne crocifissa. Ogni chiodo che oggi ci crocifigge ci fa più intimi a Dio. Siamo Suoi, oggi, sulla Croce che ci accompagna, che ci schiude le porte del cielo. Che ci fa liberi. Che ci introduce, oggi, nel riposo, la terra promessa dell’amore di Dio.
Le parole oranti del Signore che si rivolgono al Padre in un'estatica benedizione ci schiudono oggi una finestra sui sentimenti più intimi di Dio. Possiamo avventurarci nel cuore del Padre e conoscere quello di cui si compiace. La relazione di profonda comunione tra Padre e Figlio, la conoscenza reciproca che è, secondo il linguaggio della Scrittura, un' unione profonda e indissolubile. Il Padre e il Figlio uniti nell'esultanza e nella gioia di fronte al Mistero rivelato ai piccoli. Mistero nel mistero.
I piccoli, gli infanti secondo la traduzione in latino della volgata, colui che non ha ancora l'uso della parola (dove l’etimologia vuole:in-, esito in latino della sonante vocale indoeuropea ạ con valore negativizzante, e –fa-ns (dove -ns è desinenziale), dove –fa proviene dalla radice di un verbo for/faris che indica il saper parlare, quindi l’ infante è colui che non sa parlare) che traduce il greco originale dove si ha Νήπιος (se si analizza l’etimologia della parola: essa è formanta da ν che proviene da un’ α privativo, infatti ạ sonante-vocale indoeuropea, in greco dà esito α/ν (si pensi all’acc. sing. di III decl. che ha α davanti a cons. (́ ́́άνδρα), e ν davanti a voc. (πόλιν);e da una radice √-επ del verbo λέγω/parlo. Quindi la parola νήπιος significa colui che non sa parlare, e per estensione, siccome colui che non sa parlare è il fanciullo, significa appunto, bambino/lattante). Dio rivela il Suo cuore a chi ancora non sa parlare.
Le Sue parole sono per chi non ha parole. E invece noi siamo imbottiti di parole. Parole spesso vuote a cercare di razionalizzare pensieri irrazionali. Non abbiamo posto per le parole di Dio. La sapienza e l'intelligenza mondane, figlie del principe di questo mondo, affogano il nostro cuore e strozzano la nostra mente. Siamo impermeabili alla Parola fatta carne. Ci crediamo adulti perchè presumiamo di condurre le nostre esistenze attraverso le parole. Chiacchere, per giustificare, per legare, per sciogliere, per ingannare, per sedurre, per vincere, per vendicare, per uccidere.
La Scrittura infatti mette in guardia dal troppo e dal vano parlare: "Le parole della bocca dell'uomo sono acqua profonda... con la bocca l'uomo sazia il suo stomaco, egli si sazia con il prodotto delle sue labbra. Morte e vita sono in potere della lingua, e chi l'accarezza ne mangerà i frutti" (Pr. 18, 4. 20-21). C'è come un'ingordigia nelle nostre parole, non ce diamo conto, le accarezziamo credendo di trovarne beneficio, ne gustiamo gli amari frutti. Divisioni, liti, invidie, passioni. Un laccio è la nostra lingua e ci tiene imprigionati. E' questa una delle radici più profonde della nostra infelicità, siamo schiavi delle nostre parole. Ma il Signore viene anche oggi al nostro incontro, la Sua preghiera illumina la nostra tenebra, e ci chiama a conversione.
Ci prende per mano come ha fatto con Giobbe, intrappolato anch'egli nella rete delle sue troppe parole e nei lacci delle insensate parole dei suoi amici pseudo-sapienti. Il Signore ci prende per mano e ci conduce in un cammino di verità. Ci rivela i misteri del Regno, ci fa conoscere Suo Padre, ci mostra la Croce. La verità, l'amore inaudito di Dio. Eccoci, sotto la Croce. Contempliamo oggi il cuore di Dio, "l'uomo dei dolori", l'Agnello senza macchia. Contempliamo il Suo amore per riconoscere i nostri peccati. Come Giobbe mettiamo la mano sulla bocca, impariamo il silenzio stupito dell'infante. E' tutto troppo più grande di noi. Non sappiamo. Non conosciamo. Non capiamo. Accettiamolo.
Conosciamo Dio per sentito dire, impariamo a conoscerlo attraverso gli occhi di un cuore puro, piccolo, infante. Rimaniamo nel Suo amore come Maria, ad imparare ascoltando le Sue Parole. Lasciamo che la vita e la storia che il Padre traccia per noi distrugga le sicurezze, gli schemi, i criteri. Lasciamo che la Croce che oggi ci accoglie sia il crogiuolo dove bruciare quello che di noi appartiene alla carne a al mondo. Lasciamoci purificare. Lasciamo che Dio ci faccia piccoli. Chiediamo con il Salmo che Dio metta una sentinella alla porta delle nostre labbra, che il Suo Spirito ci difenda da inutili parole.
Che Dio faccia oggi, e ogni giorno, il miracoli di ricrearci piccoli, infanti appena divezzati in braccio alla madre, abbandonati nelle viscere di misericordia del Padre. E lì, tra le Sue braccia, tranquilli e sereni senza aspirare a cose troppo alte, senza pretendere nulla, saziarci delle Sue Parole, miele dolcissimo, le uniche parole di vita.
E Lui ci chiama. Per imparare. La mitezza e l'umiltà, il cuore di Cristo. Ascoltare e andare. E' questa la volontà di Dio per noi. Oggi e sempre. Sino all'ultima chiamata, quella per le nozze eterne. Andare e fermarsi presso di Lui. Vedere dove Lui abita, stare con Lui, imparare. L'orecchio aperto come un discepolo.
Ai suoi piedi, cercando e desiderando l'unica cosa buona, la Sua Parola, la Sua vita, il Suo amore. In questo atteggiamento del cuore, e solo in esso, troveremo ristoro, riposo per il nostro intimo, per le nostre anime. Entrare nel Suo riposo, nello shabbat preparato per noi, con un cuore docile. Se oggi ascoltiamo allora non induriamoci, lasciamoci sedurre dalla Sua misericordia.
Il Suo Giogo, la Croce d'ogni giorno che è il Suo Giogo, è il cammino al riposo. Andare al Signore è già imparare ad essere miti e umili di cuore. Il mite possiede infatti la terra. Il mite, l'umile, come Mosè, conosce la propia debolezza, non se ne scandalizza, si lascia condurre. E' mite chi ha imparato che la lotta d'ogni giorno non è contro le creature di carne, contro suocere o mariti o mogli o figli o colleghi di lavoro o coinquilini di condominio.
La lotta è contro il demonio, il padre della menzogna e dell'orgoglio. In questa lotta occorre imbracciare le armi della fede, la Parola, lo zelo per il Vangelo, il Suo amore infinito. La fede, la speranza e la carità, i doni del Cielo riservati a chi reclina il proprio capo sul petto di Gesù. La nostra mente nel cuore di Gesù. E' questa la fonte della mitezza e dell'umiltà, le porte al riposo e alla pace.
Il carico pesante delle opere morte che intristiscono il nostro cammino.Le parole del Vangelo di questa domenica sgorgano dal Mistero Pasquale del Signore. Lui è sceso sino a noi prede di un aguzzino che non ci lascia respirare. Il demonio, il “cravattaro” delle nostre anime.
La liturgia di questa domenica ci illumina sulla radice della nostra sofferenza. Spendiamo la vita per ciò che non sazia, siamo debitori senza possibilità d’estingure il debito. La carne ci assedia, rende impotente lo Spirito. Ne assecondiamo i desideri, quelli che fanno guerra a Dio, che ci separano dal Signore. Chi di noi, oggi, non sta pagando un debito alla carne?
Chi non è schiavo di un compromesso affettivo, chi non sta inseguendo la chimera del prestigio, la sirena del sesso, i luccichii del denaro? Chi di noi, oggi, non si sente squasssato da qualche fatto della vita, oppresso da qualche fardello del passato che condiziona il presente dipingendo di nero il futuro? Chi di noi, oggi, dinnanzi alla vita, al suo senso profondo, alle sue infinite possibilità così spesso frustrate, chi di noi dinnanzi a se stesso, al passato, al presente, al futuro, alla storia, al lavoro, alla famiglia, alla salute, al denaro, agli affetti, chi di noi non si sente piccolo. Chi, prendendo oggi seriamente in mano la propria vita, non si sente inadeguato.
Un “pitocco”, come dice la parola greca originale del Vangelo. Un nullatenente. Precario. Debole. Umiliato. Ebbene proprio a chi, oggi, si trova nel deserto il Signore rivolge la Sua Parola. Di Vita. La Sua voce scende al più intimo delle nostre angosce, e ci chiama. La Sua Croce, il Suo giogo dinnanzi ai nostri occhi e al nostro cuore.
Giù le maschere, l’ipocrisia, la presunzione. Dio ha scelto quello che nel mondo non vale, quello che è disprezzato, ignobile. Inutile. Ha scelto noi. Ha scelto il nostro niente per donarci il Suo tutto. Gli eventi della nostra vita ci hanno condotti al punto di partenza, in un cammino di salveza sino alle acque del battesimo. Disarmati. Al punto di partenza, al cuore denudato.
Lì dove il demonio ha deposto la sua menzogna e ci fatti schiavi e debitori verso la carne e i suoi desideri. Lì dove siamo oggi scende Cristo. Il Suo corpo, il Suo sangue, la Sua Parola. Lui. E ci attira a sè, nella Sua intimità, e, con Lui, ci conduce nell’intimità con il Padre. Ospiti della Trinità, figli nel Figlio, le nostre labbra e il nostro cuore dischiusi alla parola capace di cambiare la vita: Abbà. Papà.
La Vita al posto della morte. La Verità al posto della menzogna. Oggi con il Signore siamo accolti nelle viscere di misericordia del Padre. Ai piccoli è rivelato il mistero d’amore di Dio. Il Suo Spirito, il soffio mite e umile, il cuore di cristo. Imparare da Lui, seguirne le orme, strappati dale mani dell’aguzzino, liberi di far morire, giorno dopo giorno, i rigurgiti del nemico. Il Suo giogo, la Croce che crocifigge il nostro uomo vecchio, ogni fatto della nostra vita che ci umilia, ci fa piccoli per accogliere il Signore. Il Suo giogo, la Croce di ogni giorno che ci fa uno con Lui. Il Suo amore che fa dolce e leggera la vita, anche la più difficile.
Il mistero rivelato nel Getsemani, l’intimità d’un amore infinito, la soffrenza reale e concreta della carne crocifissa. Ogni chiodo che oggi ci crocifigge ci fa più intimi a Dio. Siamo Suoi, oggi, sulla Croce che ci accompagna, che ci schiude le porte del cielo. Che ci fa liberi. Che ci introduce, oggi, nel riposo, la terra promessa dell’amore di Dio.
Le parole oranti del Signore che si rivolgono al Padre in un'estatica benedizione ci schiudono oggi una finestra sui sentimenti più intimi di Dio. Possiamo avventurarci nel cuore del Padre e conoscere quello di cui si compiace. La relazione di profonda comunione tra Padre e Figlio, la conoscenza reciproca che è, secondo il linguaggio della Scrittura, un' unione profonda e indissolubile. Il Padre e il Figlio uniti nell'esultanza e nella gioia di fronte al Mistero rivelato ai piccoli. Mistero nel mistero.
I piccoli, gli infanti secondo la traduzione in latino della volgata, colui che non ha ancora l'uso della parola (dove l’etimologia vuole:in-, esito in latino della sonante vocale indoeuropea ạ con valore negativizzante, e –fa-ns (dove -ns è desinenziale), dove –fa proviene dalla radice di un verbo for/faris che indica il saper parlare, quindi l’ infante è colui che non sa parlare) che traduce il greco originale dove si ha Νήπιος (se si analizza l’etimologia della parola: essa è formanta da ν che proviene da un’ α privativo, infatti ạ sonante-vocale indoeuropea, in greco dà esito α/ν (si pensi all’acc. sing. di III decl. che ha α davanti a cons. (́ ́́άνδρα), e ν davanti a voc. (πόλιν);e da una radice √-επ del verbo λέγω/parlo. Quindi la parola νήπιος significa colui che non sa parlare, e per estensione, siccome colui che non sa parlare è il fanciullo, significa appunto, bambino/lattante). Dio rivela il Suo cuore a chi ancora non sa parlare.
Le Sue parole sono per chi non ha parole. E invece noi siamo imbottiti di parole. Parole spesso vuote a cercare di razionalizzare pensieri irrazionali. Non abbiamo posto per le parole di Dio. La sapienza e l'intelligenza mondane, figlie del principe di questo mondo, affogano il nostro cuore e strozzano la nostra mente. Siamo impermeabili alla Parola fatta carne. Ci crediamo adulti perchè presumiamo di condurre le nostre esistenze attraverso le parole. Chiacchere, per giustificare, per legare, per sciogliere, per ingannare, per sedurre, per vincere, per vendicare, per uccidere.
La Scrittura infatti mette in guardia dal troppo e dal vano parlare: "Le parole della bocca dell'uomo sono acqua profonda... con la bocca l'uomo sazia il suo stomaco, egli si sazia con il prodotto delle sue labbra. Morte e vita sono in potere della lingua, e chi l'accarezza ne mangerà i frutti" (Pr. 18, 4. 20-21). C'è come un'ingordigia nelle nostre parole, non ce diamo conto, le accarezziamo credendo di trovarne beneficio, ne gustiamo gli amari frutti. Divisioni, liti, invidie, passioni. Un laccio è la nostra lingua e ci tiene imprigionati. E' questa una delle radici più profonde della nostra infelicità, siamo schiavi delle nostre parole. Ma il Signore viene anche oggi al nostro incontro, la Sua preghiera illumina la nostra tenebra, e ci chiama a conversione.
Ci prende per mano come ha fatto con Giobbe, intrappolato anch'egli nella rete delle sue troppe parole e nei lacci delle insensate parole dei suoi amici pseudo-sapienti. Il Signore ci prende per mano e ci conduce in un cammino di verità. Ci rivela i misteri del Regno, ci fa conoscere Suo Padre, ci mostra la Croce. La verità, l'amore inaudito di Dio. Eccoci, sotto la Croce. Contempliamo oggi il cuore di Dio, "l'uomo dei dolori", l'Agnello senza macchia. Contempliamo il Suo amore per riconoscere i nostri peccati. Come Giobbe mettiamo la mano sulla bocca, impariamo il silenzio stupito dell'infante. E' tutto troppo più grande di noi. Non sappiamo. Non conosciamo. Non capiamo. Accettiamolo.
Conosciamo Dio per sentito dire, impariamo a conoscerlo attraverso gli occhi di un cuore puro, piccolo, infante. Rimaniamo nel Suo amore come Maria, ad imparare ascoltando le Sue Parole. Lasciamo che la vita e la storia che il Padre traccia per noi distrugga le sicurezze, gli schemi, i criteri. Lasciamo che la Croce che oggi ci accoglie sia il crogiuolo dove bruciare quello che di noi appartiene alla carne a al mondo. Lasciamoci purificare. Lasciamo che Dio ci faccia piccoli. Chiediamo con il Salmo che Dio metta una sentinella alla porta delle nostre labbra, che il Suo Spirito ci difenda da inutili parole.
Che Dio faccia oggi, e ogni giorno, il miracoli di ricrearci piccoli, infanti appena divezzati in braccio alla madre, abbandonati nelle viscere di misericordia del Padre. E lì, tra le Sue braccia, tranquilli e sereni senza aspirare a cose troppo alte, senza pretendere nulla, saziarci delle Sue Parole, miele dolcissimo, le uniche parole di vita.
E Lui ci chiama. Per imparare. La mitezza e l'umiltà, il cuore di Cristo. Ascoltare e andare. E' questa la volontà di Dio per noi. Oggi e sempre. Sino all'ultima chiamata, quella per le nozze eterne. Andare e fermarsi presso di Lui. Vedere dove Lui abita, stare con Lui, imparare. L'orecchio aperto come un discepolo.
Ai suoi piedi, cercando e desiderando l'unica cosa buona, la Sua Parola, la Sua vita, il Suo amore. In questo atteggiamento del cuore, e solo in esso, troveremo ristoro, riposo per il nostro intimo, per le nostre anime. Entrare nel Suo riposo, nello shabbat preparato per noi, con un cuore docile. Se oggi ascoltiamo allora non induriamoci, lasciamoci sedurre dalla Sua misericordia.
Il Suo Giogo, la Croce d'ogni giorno che è il Suo Giogo, è il cammino al riposo. Andare al Signore è già imparare ad essere miti e umili di cuore. Il mite possiede infatti la terra. Il mite, l'umile, come Mosè, conosce la propia debolezza, non se ne scandalizza, si lascia condurre. E' mite chi ha imparato che la lotta d'ogni giorno non è contro le creature di carne, contro suocere o mariti o mogli o figli o colleghi di lavoro o coinquilini di condominio.
La lotta è contro il demonio, il padre della menzogna e dell'orgoglio. In questa lotta occorre imbracciare le armi della fede, la Parola, lo zelo per il Vangelo, il Suo amore infinito. La fede, la speranza e la carità, i doni del Cielo riservati a chi reclina il proprio capo sul petto di Gesù. La nostra mente nel cuore di Gesù. E' questa la fonte della mitezza e dell'umiltà, le porte al riposo e alla pace.
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