Il vangelo di questa domenica contiene diversi spunti, ma tutti si possono riassumere in questa frase apparentemente contraddittoria: "Abbiate timore, non abbiate paura". Dice Gesù: "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna". Degli uomini non dobbiamo avere né timore, né paura; di Dio dobbiamo avere timore, ma non paura.
C'è dunque differenza tra paura e timore e cerchiamo in questa occasione di capire perché e in che consiste. La paura è una manifestazione del nostro istinto fondamentale di conservazione. È la reazione a una minaccia portata alla nostra vita, la risposta a un pericolo vero o presunto: dal pericolo più grande di tutti, che è quello della morte, ai pericoli particolari che minacciano o la tranquillità, o la incolumità fisica, o il nostro mondo affettivo.
A seconda che si tratti di pericoli reali, o immaginari, si parla di paure giustificate e di paure ingiustificate e patologiche. Come le malattie, le paure possono essere o acute o croniche. Le paure acute sono stati determinati da una situazione di pericolo straordinario. Se io sto per essere investito da un'auto, o comincio a sentire la terra tremarmi sotto i piedi per il terremoto, queste sono paure acute. Questi spaventi, come sorgono improvvisamente e senza preavviso, così scompaiono con il cessare del pericolo, lasciando semmai solo un brutto ricordo. Le paure croniche sono quelle che vivono con noi, che ci portiamo dietro dalla nascita o dall'infanzia che crescono con noi, che diventano parte del nostro essere, e alle quali finiamo a volte perfino per affezionarci. Li chiamiamo complessi o fobie: claustrofobia, agorafobia e via dicendo.
Il vangelo ci aiuta a liberarci da tutte queste paure rivelando il carattere relativo, non assoluto, dei pericoli che le causano. C'è qualcosa di noi che niente e nessuno al mondo può veramente toglierci o danneggiare: per i credenti è l'anima immortale, per tutti la testimonianza della propria coscienza.
Ben diverso dalla paura è il timore di Dio. Il timore di Dio si deve imparare: "Venite, figli, ascoltatemi, dice un salmo; vi insegnerò il timore del Signore" (Sal 33,12); la paura invece, non c'è bisogno di impararla a scuola; sopraggiunge d'improvviso davanti al pericolo; le cose si incaricano da sole di incuterci paura.
Ma è il senso stesso del timore di Dio che è diverso dalla paura. Esso è una componente della fede: nasce dal sapere chi è Dio. È lo stesso sentimento che ci coglie davanti a uno spettacolo grandioso e solenne della natura. È il sentirsi piccoli di fronte a qualcosa di immensamente più grande di noi; è stupore, meraviglia, misti ad ammirazione. Di fronte al miracolo del paralitico che si alza in piedi e cammina, si legge nel vangelo, "tutti rimasero stupiti e davano lode a Dio; pieni di timore dicevano: Oggi abbiamo visto cose prodigiose" (Lc 5, 26). Il timore è qui semplicemente un altro nome dello stupore e della lode.
Questo genere di timore è compagno e alleato dell'amore: è la paura di dispiacere all'amato che si nota in ogni vero innamorato anche nell'esperienza umana. È chiamato spesso "principio della sapienza" perché porta a fare le scelte giuste nella vita. È addirittura uno dei sette doni dello Spirito Santo (cf. Is 11, 2)!
Come sempre, il vangelo non illumina solo la nostra fede, ma ci aiuta anche a capire la nostra realtà quotidiana. La nostra è stata definita un'epoca di angoscia (W. H. Auden). L'ansia, figlia della paura, è diventata la malattia del secolo ed è, dicono, una delle cause principali del moltiplicarsi degli infarti. Come spiegare questo fatto dal momento che noi abbiamo oggi, rispetto al passato, tante maggiori sicurezze economiche, assicurazioni sulla vita, mezzi per fronteggiare le malattie e ritardare la morte?
Il motivo è che è diminuito, se non scomparso del tutto, nella nostra società il santo timore di Dio. "Non c'è più timor di Dio!", lo ripetiamo a volte come battuta scherzosa, ma contiene una tragica verità. Più diminuisce il timore di Dio, più cresce la paura degli uomini! È facile da capire il perché di ciò. Dimenticando Dio, noi riponiamo ogni fiducia nelle cose di quaggiù, cioè in quelle cose che, a dire di Cristo, "il ladro può portare via e la tignola consumare". Cose aleatorie che ci possono venir meno da un momento all'altro, che il tempo (la tignola!) inesorabilmente consuma. Cose che tutti ambiscono e che scatenano perciò concorrenza e rivalità (il famoso "desiderio mimetico" di cui parla René Girard), cose che bisogna difendere a denti stretti e a volte con il fucile in mano.
La caduta del timore di Dio, anziché più liberi dalla paure, ci ha resi impastati di esse. Guardiamo cosa succede nel rapporto tra genitori e figli nella nostra società. I padri hanno abbandonato il timore di Dio e i figli hanno abbandonato il timore dei padri! Il timore di Dio ha il suo riflesso e il suo equivalente in terra nel timore riverenziale dei figli verso i genitori. La Bibbia associa continuamente le due cose. Ma il fatto di non avere più nessun timore o rispetto dei genitori, rende forse i ragazzi e gli adolescenti di oggi più liberi e sicuri di sé? Sappiamo bene che è vero esattamente il contrario.
La via per uscire dalla crisi è riscoprire la necessità e la bellezza del santo timore di Dio. Gesú ci spiega proprio nel vangelo di domani che compagna inseparabile del timore è la fiducia in Dio. "Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!". Dio non vuole incuterci timore, ma fiducia. Il contrario di quell'imperatore romano che diceva: "Oderint dum metuant": mi odino pure, perché mi temano! Così dovrebbero fare anche i padri terreni: non incutere timore, ma fiducia. È proprio così che si alimenta il rispetto, l'ammirazione, la confidenza, tutto ciò che va sotto il nome di "sano timore".
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