Jean Galot S.J. Il primato di Pietro secondo il Nuovo Testamento

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Jean Galot S.J. Il primato di Pietro secondo il Nuovo Testamento


Un testo fondamentale per comprendere e approfondire la figura di Pietro e il suo Primato. Ancor più importante in questi tempi nei quali la Cattedra di Pietro è bersaglio di attacchi tesi a delegittimarla. Ma non solo. Un testo che ci aiuta ad amare il nostro Pastore, ad obbedire docilmente alla sua voce.



Prof. Jean Galot S.J. Il primato di Pietro secondo il Nuovo Testamento



Per stabilire il regno di Dio sulla terra, Cristo ha chiamato degli uomini a seguirlo, e fra quelli che l'avevano seguito, ne ha scelto dodici, gli apostoli. Secondo il vangelo di Marco(3,14.16) che riporta che Gesù ne "fece" dodici, questa scelta era una vera creazione, in vista della creazione del nuovo popolo di Dio. Il nuovo nome di "apostoli" significava la creazione di nuove personalità. Per uno dei dodici, l'imposizione di un nuovo nome ebbe una importanza notevole e fu riferita in modo più particolare: Simone ricevette il nome di Pietro. Con questo nome, Gesù ha dato a questo apostolo un primato che comporta un potere singolare nella Chiesa. Dobbiamo dunque scoprire e precisare le intenzioni di Gesù nell'istituzione di questo primato.


Risposta a una professione di fede


II nuovo nome fu dato a Simone in risposta a una professione di fede. Dopo avere fatto la domanda: "La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?", Gesù si era rivolto ai suoi discepoli:" Voi chi dite che io sia?" Secondo la testimonianza di Matteo, Simone aveva risposto: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,13-16).

Per capire più esattamente la portata della domanda e il significato della risposta, è necessario tenere conto del loro momento liturgico. La data del dialogo non viene espressamente indicata, ma possiamo determinarla. Secondo i vangeli di Marco (9,2) e di Matteo (17,l), la Trasfigurazione ha avuto luogo "sei giorni dopo". Ora, essa appare come un nuovo compimento, proprio a Gesù, della festa delle Tende. Questa festa era preceduta, con un intervallo di cinque giorni, dalla festa dell'Espiazione (Yora Kippur). Era dunque questa festa dell'Espiazione che era stata scelta da Gesù per fare la domanda sulla propria identità e ottenere da Simone la professione di fede. Era anche la data scelta per dare un nuovo nome a Simone e annunziargli il suo destino.

I commenti dell'episodio non possono fare astrazione da questo quadro liturgico. La festa dell'Espiazione si incentrava sull'offerta di un sacrificio per la remissione dei peccati del popolo, e tra i riti liturgici che il Sommo Sacerdote doveva compiere nel Santo dei Santi vi era la pronuncia, ad alta voce, del nome divino. Secondo la testimonianza del Siracide, quando i sacerdoti e il popolo sentivano proclamare questo nome, s'inchinavano, adoravano e, con la faccia a terra, benedicevano il nome glorioso. Quando il Sommo Sacerdote scendeva per dare ai figli d'Israele la benedizione dell'Altissimo, si gloriava del nome divino "e tutti si prostravano di nuovo..."(Sir 50,20-21) Sembra che all'epoca di Gesù, durante tutto l'anno liturgico, questa fosse l'unica circostanza in cui il nome di Jahvè veniva pronunciato ad alta voce.

Scegliendo questo giorno di festa, Gesù desidera che venga pronunciato il nome divino nella nuova prospettiva in cui la liturgia dell'Antica Alleanza troverà il suo compimento. Quando Simone lo proclama Figlio del Dio vivente, risponde a questo desiderio. Pronuncia il nuovo nome divino, quello che Gesù ha ampiamente rivelato con il suo insegnamento e con le sue opere. Senza saperlo, Simone svolge il ruolo del Sommo Sacerdote che, nella festa dell'Espiazione, proclamava il nome di Dio; lo fa esprimendo la sua fede nel Figlio di Dio, un Figlio che è Dio.

La proclamazione è stata approvata da Gesù: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli". Il Dio vivente di cui Simone ha parlato è il Padre, che Gesù chiama "Padre mio", si tratta della rivelazione unica, espressa con l'impiego assoluto del verbo "rivelare": letteralmente, "Dio ha rivelato". Questa rivelazione unica non può essere che quella di suo Figlio. Il titolo di Messia, riferito da Marco per la risposta di Gesù, non basterebbe a giustificare simile rivelazione. Eil Figlio come Figlio che il Padre ha rivelato a Simone. Questa è la rivelazione assoluta, perché è la rivelazione del mistero divino in cui il Padre si esprime in suo Figlio.

Nelle sue felicitazioni per la proclamazione, Gesù chiama Simone con una certa solennità: "Simone, figlio di Giona". Sembra che il nome greco Giona corrisponda al nome ebraico Yohanan, tradotto nel testo greco dei LXX Giona, Ionia o Onia. Così appare l'allusione al Sommo Sacerdote dell'Ecclesiastico: "Simone figlio di Onia11 (50,1). Questa sorprendente coincidenza di nome fa meglio capire che l'apostolo Simone svolge il ruolo di Sommo Sacerdote alla festa dell'Espiazione.

Più solenne ancora è la conferma che la voce celeste della Trasfigurazione apporta alle parole di Simone: II breve intervallo di tempo che separa la festa dell'Espiazione da quella delle Tende contribuisce a manifestare il legame tra le due dichiarazioni. I termini della proclamazione teofanica riprendono l'oggetto essenziale della professione di fede: "Questi è il Figlio mio prediletto..."(Mt 17,5) II Padre testimonia personalmente che egli è proprio colui che aveva rivelato a Simone l'identità di suo Figlio. Egli stesso pronuncia il nome divino di Gesù, Figlio prediletto, come l'aveva fatto pronunciare da Simone.


Il nuovo nome


La data della festa dell'Espiazione contribuisce a far percepire il senso del nuovo nome dato all'apostolo e l'importanza di questo nome. Già il nome di Simone aveva ricevuto un nuovo valore in virtù della proclamazione del nome divino, con un riferimento al Sommo Sacerdote del libro del Siracide (50,l-21). Con la sua autorità, Gesù da un altro nome: "E io ti dico che tu sei Pietro" (Mt 16,18). Questo nome, Kaipha, è conferito per esprimere un nuovo ruolo, che viene brevemente spiegato: "Su questa pietra edificherò la mia Chiesa". E identico al nome del Sommo Sacerdote in carica, Caifa. L'accostamento dei due nomi non può essere un caso; è ancora più intenzionale di "Simone, figlio di Giona", perché qui si tratta di un nome espressamente scelto da Gesù. Questa scelta rievocativa significa che, agli occhi di Gesù, per l'avvenire, Simone è già il Sommo Sacerdote che nella Chiesa svolgerà il ruolo attribuito precedentemente al Sommo Sacerdote giudaico.

Possiamo osservare che in greco, vi è una differenza di genere tra Petros e Petra, Pietro e la pietra, mentre in aramaico è lo stesso termine (Keypha). Il fatto del nuovo nome conferito a Simone è confermato dagli altri sinottici, a proposito della scelta dei dodici (Mc 3,16; Lc 6,14). Nel vangelo di Giovanni, al momento del primo incontro, Gesù dice: "Tu sei Simone, il figlio di Giona; ti chiamerai Kefa (che vuoi dire Pietro"(1,42). Il termine "kefa" è citato precisamente come quello che era stato pronunciato da Gesù e che in aramaico aveva tutto il suo valore significativo.

Secondo il racconto di Matteo, Simone, dopo avere svolto il ruolo di Sommo Sacerdote pronunciando il nome divino di Gesù, viene riconosciuto da Gesù in qualità di Sommo Sacerdote, di vero "Caifa". La parola di Gesù è creatrice: egli ha il potere di dare a Simone un nuovo essere, conferendogli un nuovo nome. E il potere creatore che appartiene a Dio.

A questo nuovo Sommo Sacerdote, Gesù comunica ogni potere. Dopo aver detto: "Su questa pietra edificherò la mia Chiesa", aggiunge: "E le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli".

L'intenzione di edificare la Chiesa su colui che è la pietra è molto chiara. Molti hanno pure interpretato la parola di Cristo come se l'intenzione fosse stata di edificare la Chiesa sulla fede di Pietro. E' vero che Simone ha ricevuto il suo nuovo nome a seguito di una professione di fede, ma quando Gesù dice: "Tu sei Pietro", si rivolge direttamente alla persona di Pietro e istituisce questa persona come fondamento della sua Chiesa, Imporre un nuovo nome significa creare una nuova personalità. Per la sua edificazione, la Chiesa aveva bisogno di questa personalità espressamente creata da Cristo. E1 vero che già da un punto di vista naturale Simone appariva dotato di una forte personalità, Egli la manifesta con un temperamento robusto e ardente, e l'impegna nelle sue professioni di fede. Ma per un destino che superava le forze naturali, aveva bisogno di una forza più elevata che gli fu procurata dall’azione creatrice di Cristo.

Quando Gesù afferma, a proposito della pietra, che le porte dell’Ade non prevarranno contro di essa, allude alla forza spirituale superiore che permetterà a Pietro di resistere agli assalti delle potenze infernali, essendo sempre sostenuto dalla grazia nella sua azione personale.



Parole autentiche di Gesù


Siccome le parole rivolte da Gesù a Pietro hanno molta importanza per la vita della Chiesa, la loro autenticità è stata messa in discussione, ma queste parole verificano i criteri di autenticità comunemente ammessi, più particolarmente i criteri di continuità e di discontinuità. La continuità appare nel fatto innegabile di numerosi semitismi che caratterizzano il testo e garantiscono la sua origine primitiva. La discontinuità si manifesta perché, attraverso questo linguaggio antico, viene proposto un nuovo progetto di Chiesa, radicalmente originale, in cui Pietro dovrà svolgere un ruolo che non era mai stato concepito né annunciato negli oracoli profetici. Lo sfondo tradizionale giudaico non avrebbe potuto fornire l'idea di una tale promessa. Il progetto porta il segno della novità geniale di Cristo.

L'obiezione all'autenticità si poggia sul fatto che dei tre sinottici che riportano la professione di fede sulla strada di Cesarea di Filippo, Matteo è il solo a riprodurre queste parole di Gesù. Tuttavia, egli spiega un fatto che non è ignorato da Marco e Luca, l'imposizione del nome "Pietro" a Simone. Ora, questo fatto richiede una spiegazione, ed è appunto quello che l'evangelista ha voluto trasmetterci. Sarebbe difficile dare un'altra spiegazione plausibile di questo nome.

Inoltre, constatiamo che l'evangelista Matteo aveva raccolto, da qualche fonte speciale che non possiamo determinare ma che appare credibile, alcune tradizioni che si riferivano a Pietro. Cosi è il solo che ci ha conservato l'episodio in cui Pietro chiede a Gesù di camminare sulle acque e riceve finalmente il rimprovero: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?" ( 14, 28-31) Tale rimprovero per una mancanza di fede sembra confermare l'autenticità storica del fatto.

Il segno più manifesto dell'autenticità delle parole che esprimono il primato di Pietro è quello dell'audacia di Cristo, che non ha esitato a comunicare al suo apostolo un potere che ancora oggi stupisce i lettori del vangelo: audacia veramente divina che s'impone in modo unico nella storia dell'umanità per trasformarla all'immagine di Dio.


La pietra di fondazione


II nome di Caifa conferito a Simone si armonizza con il quadro della festa dell'Espiazione non solo perché comporta un'allusione al Sommo Sacerdote in funzione, ma più fondamentalmente perché si rapporta alla pietra di fondazione del tempio. Questa pietra emergeva dal suolo nel Santo dei Santi e vi teneva il posto dell'arca e del propiziatorio, che erano scomparsi fin dalla distruzione del primo Tempio. Si era giunti persine a considerare questa pietra come quella sulla quale era stato fondato il mondo. Nel Santo dei Santi il Sommo Sacerdote entrava solo una volta all'anno, il giorno dell'Espiazione, per il sacrificio dei profumi e l'aspersione con il sangue delle vittime.

Il fatto assolutamente nuovo è che colui che svolge il ruolo di Sommo Sacerdote è ormai identificato con la pietra di fondazione. La liturgia giudaica non poteva prevedere una tale identificazione; il Sommo Sacerdote vi era considerato come sottomesso a regole strette nell'adempimento dei gesti rituali: la sua preparazione alla festa dell'Espiazione richiedeva una settimana e per il giorno della celebrazione veniva sorvegliato attentamente perché tutta la sua attività liturgica fosse conforme alle prescrizioni e potesse essere efficace. Era considerato solo come un agente, l'agente supremo di una istituzione rituale, l'esecutore delle cerimonie prestabilite. Il fatto che Gesù designi Simone come il suo Sommo Sacerdote al di fuori di tutto questo quadro rituale è già altamente significativo; è la liberazione del sacerdozio da una specie d'imprigionamento liturgico. Ma è ancora molto più sorprendente il fatto che il Sommo Sacerdote diventi, in questa più libera prospettiva, pietra di fondazione. Qui si manifesta la novità stabilita da Gesù: il ruolo del Sommo Sacerdote sarà molto più importante nella Chiesa che nella religione giudaica. Sulla sua persona poggerà tutto l'edificio.

L'audacia della dichiarazione è ancora più evidente quando si considerano altre parole con le quali Gesù designa se stesso come la pietra angolare(Mc 12,10 par), pietra che, secondo Isaia (28,16), doveva essere la pietra di fondazione della nuova

Sion (cf. Rom 9,32; Ef 2,20). Spetta dunque in primo luogo a Gesù l'immagine di "pietra di fondazione". Ma deliberatamente Gesù fa di Simone la pietra di fondazione della Chiesa: la grandezza di questo ruolo non può essere sottovalutato.

L'identificazione primordiale di Gesù con la pietra spiega come Simone ha potuto ricevere tale qualifica: in virtù del suo potere divino Gesù comunica a Simone la sua qualità di pietra di fondazione. La Chiesa resta la Chiesa di Cristo, la "mia Chiesa", ed è in qualità di Sommo Sacerdote, ossia di ministro di un culto che non gli appartiene e di cui non è il padrone, che Simone è chiamato pietra di fondazione. Egli non sostituisce Gesù, perché questi rimane la pietra unica che sostiene l'insieme della Chiesa, ma è destinato a rappresentarlo visibilmente nello sviluppo terreno del Regno.

Per il fatto che Simone, in virtù della volontà di Cristo e della partecipazione al suo potere, è pietra di fondazione, la Chiesa non può esistere né svilupparsi senza colui che ha ricevuto il sacerdozio supremo. Voler costruire la Chiesa al di fuori di questo fondamento sarebbe impegnarsi in una strada sbagliata.


Il potere supremo


Dopo avere indicato il ruolo di pietra di fondazione, Gesù pone in luce l'autorità sovrana che vuole affidare a Pietro: "A te darò le chiavi del regno dei cieli". Questo modo di esprimere il potere supremo fa pensare ad un testo d'Isaia: "Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide; se egli apre, nessuno chiuderà; se egli apre, nessuno potrà aprire" (22,22).Questo testo è stato applicato a Gesù nell'Apocalisse (3,7). Gesù infatti è colui che possiede le chiavi del Regno e che perciò può darle a Pietro, come, essendo egli per primo la pietra di fondazione, può fare partecipare il discepolo di tale qualità.

L'immagine delle chiavi del Regno ha forse un rapporto con il gesto essenziale del Sommo Sacerdote nella festa dell'Espiazione : un gesto che solo lui poteva compiere, ed unicamente in quel giorno, cioè quello di entrare nel Santo dei Santi. Per caratterizzare questo privilegio, si potrebbe dire che in questa occasione eqli aveva le chiavi della dimora di Dio; poteva aprire quello che ordinariamente era chiuso, in modo di ottenere il perdono e le benedizioni divine per il popolo.

Ricordiamo come la lettera agli Ebrei ha interpretato il sacrificio redentore di Cristo alla luce di questa celebrazione: "Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore"(9,24). Una volta per tutte, Gesù è entrato con la sua offerta nel vero Santo dei Santi, che è il Regno celeste. Cosi, è diventato padrone di questo Regno, colui che ne possiede le chiavi e ne apre la porta agli uomini: Gesù è stato e rimane il Sommo Sacerdote perfetto, che ha realizzato tutto quello che nella liturgia dell'Espiazione era ombra e figura.

Cristo vuole che Pietro eserciti il ruolo di Sommo Sacerdote, che prolunghi e rifletta sulla terra questa suprema missione sacerdotale, Gli promette le chiavi, il potere di aprire la porta del Regno, dove la vita celeste comincia già ora. Ed è notevole che egli non ponga alcuna riserva a questo potere: non si limita a dare una parte delle chiavi. Dunque, conferisce a Pietro un'autorità integrale, vera immagine della sua.

Questa autorità è ancor più chiaramente sottolineata nelle parole che concludono la promessa: "Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli". I verbi "legare" e " sciogliere" sono stati oggetto di numerosi tentativi d'interpretazione. Dalla liturgia dell'Espiazione, che aveva come scopo la remissione dei peccati, si può concludere che il potere di legare e di sciogliere comporta quello di pronunciare il perdono dei peccati. Tuttavia non si può limitarlo a questo perdono: una festa liturgica giudaica non può fissare i limiti di un potere formulato da Cristo.

La letteratura rabbinica è stata spesso citata per chiarire 1 senso del binomio "legare-sciogliere": esso riveste una portata dottrinale o disciplinare, sia per dichiarare una cosa vietata o permessa, sia per pronunciare la scomunica o toglierla. Questo duplice significato tende a mostrare che Pietro riceve il potere di emanare dei divieti come di dichiarare ciò che è permesso, e di fissare le condizioni d'appartenenza alla Chiesa.

Ma anche su questo punto non si può attribuire un valore esclusivo al senso rabbinico. Conviene rispettare la novità dell'istituzione creata da Gesù: nessun precedente nella religione giudaica potrebbe indicarne sufficientemente il senso, né le reali dimensioni. Dato che non viene posta alcuna restrizione al potere di legare e di sciogliere e nemmeno alla trasmissione delle chiavi, bisogna ammettere che Pietro possiede, sulla Chiesa, un potere universale e completo. Come un amministratore che ha ricevuto dal padrone ogni autorità per condurre lo sviluppo del Regno, egli dispone di tutte le facoltà necessarie alla direzione della comunità cristiana. Tra queste facoltà vi sono quella di enunciare le regole del comportamento morale manifestando la volontà divina sulla vita umana e quella di rimettere i peccati.

L'esercizio di questo potere non è soltanto approvato nei cieli; esso riceve un'efficacia celeste. Ciò significa che Cristo lega la sua azione divina all'azione umana di Pietro e che intende esercitare la sua autorità sulla Chiesa con la mediazione del suo discepolo.


Posizione unica di Pietro


Le parole di Gesù, con l'attribuzione del nuovo nome che significa pietra di fondazione, con il dono delle chiavi del Regno e del potere supremo di legare e sciogliere, sono state unicamente rivolte a Simone divenuto Pietro. Non sono state indirizzate né applicate ai dodici apostoli. La distinzione è molto chiara. Cristo ha dato a Pietro un primato esclusivo.

D'altra parte, la promessa fatta a Pietro non annulla altre parole di Gesù: dev'essere compresa in armonia con le dichiarazioni che accordano ai Dodici alcuni poteri, molto importanti per la vita della Chiesa. Non possiamo sottostimare, per esempio, le parole pronunciate durante l'ultima cena: "Io dispongo per voi del Regno, come il Padre ne ha disposto per me" (Le 22,29).Gesù dona ai suoi apostoli un potere di direzione sul Regno, che non contraddice affatto il potere personalmente accordato a Pietro e che deve essere riconosciuto e rispettato. Lo stesso vale per altri poteri: potere d'insegnare la dottrina ammaestrando tutte le nazioni, potere di rimettere i peccati, potere di celebrare l'Eucaristia, di battezzare. Gli apostoli hanno ricevuto questi poteri e sono stati associati al potere conferito a Pietro; ma Pietro occupa una posizione unica come pietra di fondazione e come titolare del potere supremo ed universale.

Nell'intenzione di Gesù, questa posizione unica non escludeva ma comportava la possibilità di successori. Istituendo il primato, Cristo non l'aveva semplicemente voluto per la durata, relativamente breve, della vita di Pietro. Quando aveva annunciato l’imminente avvento del suo Regno, aveva anche fatto comprendere ai suoi discepoli che questo Regno era chiamato ad uno sviluppo che doveva prendere un tempo notevole, poiché la fine del mondo non poteva prodursi prima dell'evangelizzazione di tutti i popoli (Mt 24,14; cf.At 1,7-8). Non avrebbe dunque potuto accontentarsi di una corta veduta dell'avvenire, provvedendo soltanto alla struttura del potere nella sua Chiesa per la durata della vita dei discepoli.

Quando ha istituito un primato, Cristo pensava non solo a Pietro ma ai suoi numerosi successori. Voleva stabilire un principio d'organizzazione dell'autorità che sarebbe stato valido per tutta la durata della Chiesa. Questo principio è definitivo, anche se il modo concreto di realizzare il primato può conoscere una evoluzione dovuta alle condizioni della storia.

Il primato non potrebbe essere contestato in nome di una mentalità democratica. La democrazia è un regime di autorità che funziona nelle società politiche, ma la Chiesa è una società non politica, che è la sola del suo genere. Non è stata fondata secondo un modello umano di società, ma in virtù di un disegno divino che ne fissava le strutture essenziali. Quali che siano le strutture adottate per le altre società, essa mantiene le proprie strutture, che non derivano da concezioni politiche. I cristiani accolgono con la fede la sapienza superiore che ha determinato il principio d'unità visibile della Chiesa.

Non si tratta solo di sapienza ma anche di amore, perché il primato è manifestazione notevole della bontà divina, bontà che con un potere singolare affidato a un uomo, ha fatto apparire al massimo livello il valore che può assumere la personalità umana quando si lascia totalmente animare dal potere sovrano di Cristo.


Missione di confermare i fratelli

Nel vangelo di Luca, il primato attribuito a Pietro riceve una nuova luce, che mostra la scelta operata da Cristo per assicurare la fede dell'apostolo e dargli la capacità di confermare i suoi fratelli: "Simone, Simone, ecco satana che vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli".

Non è possibile porre in dubbio l'autenticità di queste parole, che manifestamente sono paradossali: mostrano la debolezza di Pietro e nondimeno attribuiscono all'apostolo il compito di rendere i suoi fratelli più fermi nella loro fedeltà a Cristo. Questo compito sorge dall'audacia di Gesù, che non esita a scegliere per una missione di aiuto ai deboli colui che nella prova apparirà il più fragile: si verificherà così la forza inclusa nel nome di "Pietro", più letteralmente "Pietra".

Le parole di Gesù manifestano lo scopo di riservare a Simone una posizione privilegiata: i dodici sono messi alla prova, ed è unicamente a Simone che il Maestro parla della preghiera fatta in suo favore. Anche gli altri beneficeranno di questa preghiera, ma in quanto confermati da Pietro.

La dichiarazione, nell'ultima cena, allude alla crisi che coglierà Simone al momento del rinnegamento. Il suo significato è pure più vasto, perché l'annuncio della prova è fatto in termini generici, indeterminati, come la missione di confermare i fratelli. Infatti, la crisi che accompagnerà la Passione è l'immagine e l'inaugurazione delle prove che la Chiesa dovrà sopportare nel suo sviluppo: la promessa di Gesù è formulata per questo avvenire.

La missione data a Pietro di confermare i fratelli non può essere limitata ad un momento determinato; vale per la durata della Chiesa. Questa missione si accorda con il nome di "pietra di fondazione" attribuito al discepolo. Pietro ha ricevuto il compito di sostenere gli altri discepoli nella fede: missione che comporta un aspetto dottrinale e un impegno di testimonianza incrollabile nell'adesione di fede a Cristo, con una grazia che fa superare ogni debolezza.


Missione di pastore universale


II dialogo di Gesù con Pietro sulle rive del lago di Tiberiade, dopo la risurrezione, ci mostra l'investitura del discepolo nel suo compito pastorale (Gv 21, 15-17). Le parole pronunciate sulla via di Cesarea di Filippo(Mt 16, 18-19) costituivano una promessa, mentre il nuovo dialogo ne procura il compimento. Gesù comunica a Pietro la missione e il potere di pastore universale: "Pasci i miei agnelli", "Pasci le mie pecore". Questa comunicazione di missione e di potere appare come il frutto dell'opera redentrice, poiché essa è effettuata da Cristo risorto.

Gesù chiama l'apostolo con il suo nome, con una certa solennità: "Simone, figlio di Giovanni"; lo distingue espressamente dagli altri apostoli, perché gli chiede: "Mi ami tu più di costoro?" La domanda fa eco alla pretesa manifestata da Simone di avere un attaccamento a Gesù superiore a quello di tutti gli altri, con una fedeltà che avrebbe perseverato anche nel caso della diserzione di tutti (Mt 26,33; Me 14,29; cf.Gv 13,37). Essa fa pure allusione al rinnegamento, allusione che diventa più evidente con la triplice ripetizione della domanda. Simone ha dovuto riconoscere che con le proprie forze non era riuscito a testimoniare a Gesù l'amore superiore che gli aveva promesso. Malgrado questo fallimento, la domanda si riferisce a questo amore superiore che Simone è invitato ad esprimere, ma con altre disposizioni, fondandosi sulla conoscenza che Gesù possiede di lui: "Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo". Vi è dunque un appello a un amore più grande, appello che procura la forza della risposta e prelude alla concessione della missione.

Con le parole "Pasci i miei agnelli", "Pasci le mie pecore", la missione è formulata in termini che indicano chiaramente una identità con quella di Gesù. E la missione di colui che si è definito "il buon pastore". L'identità è confermata dal fatto che Gesù dice "i miei agnelli", "le mie pecore", come aveva detto, nella promessa, "la mia Chiesa". Ciò significa che Cristo eserciterà la sua missione di pastore sui suoi agnelli e sulle sue pecore mediante l'incarico dato a Pietro. Nello stesso modo con cui Simone era stato chiamato Pietro perché destinato ad assumere il ruolo di pietra di fondazione appartenente a Gesù, egli riceve la qualità di pastore universale che era propria al suo Maestro.

L'assimilazione della missione di Pietro a quella di Gesù viene confermata dall'annuncio del suo martirio: "Quando sarai vecchio, tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vorrai "(21,18 ). Il modo di annunciare questo martirio mostra che tutta l'esistenza di Pietro è ormai condotta da Gesù: quando era giovane, Simone si cingeva lui stesso, ossia sceglieva liberamente la sua attività, ma ora Gesù lo condurrà su una strada che terminerà con un supplizio. Anche a Pietro si applicherà la predizione: "II buon pastore da la sua vita per le sue pecore" (Gv 10,11). Ciò che aveva costituito la novità della missione di pastore, come era definita da Gesù, si compie nel destino di colui che ha ricevuto l'incarico di pastore universale. L'attribuzione del sacerdozio supremo a Pietro comporta il suo totale impegno nel sacrificio.

Il racconto dell'investitura di Pietro come pastore della Chiesa pone in luce la verità essenziale del primato affidato: il potere sacerdotale non è stato conferito in virtù dei meriti o delle qualità personali dell'apostolo, ma a motivo di un disegno sovrano di amore, capace di supplire alla fragilità umana di colui che è stato scelto e di comunicargli la fermezza della pietra di fondazione.

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