Giovanni Paolo II. Gesù a mensa con i peccatori


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Gesù, uomo solidale con tutti gli uomini



1. Gesù Cristo, vero uomo, è "in tutto simile a noi fuorché nel peccato", ecco il tema della catechesi precedente. Il peccato è essenzialmente escluso in colui che essendo vero uomo, è anche vero Dio ("verus homo", ma non "merus homo").

Tutta la vita terrena di Cristo e tutto lo svolgimento della sua missione rendono testimonianza alla verità della sua assoluta impeccabilità. Lui stesso ha lanciato la sfida: "Chi di voi può convincermi di peccato?" (Jn 8,46).

Uomo "senza peccato", Gesù Cristo è durante tutta la sua vita in lotta con il peccato e con tutto ciò che genera il peccato, a cominciare da satana, che è "padre della menzogna" nella storia dell'uomo "fin da principio" (cfr. Jn 8,44).

Questa lotta si delinea già alla soglia della missione messianica di Gesù, nel momento della tentazione (cfr. Mc 1,13 Mt 4,1-11 Lc 4,1-13), e raggiunge il suo culmine nella croce e nella risurrezione. Lotta che dunque termina con la vittoria.


2. Questa lotta al peccato e alle sue stesse radici non rende Gesù estraneo all'uomo. Al contrario, lo avvicina agli uomini, a ogni uomo. Nella sua vita terrena Gesù era solito mostrarsi particolarmente vicino a quelli che agli occhi degli altri passavano come peccatori. Lo vediamo in molti testi del Vangelo. 3. Sotto questo aspetto è importante il "paragone" che Gesù fa tra se stesso e Giovanni Battista. Egli dice: "E' venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. E' venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori" (Mt 11,18-19). E' evidente il carattere "polemico" di queste parole nei riguardi di coloro che prima hanno criticato Giovanni Battista, profeta solitario e asceta severo che viveva e battezzava nei pressi del Giordano, e poi criticano Gesù perché si muove e opera in mezzo alla gente. Ma è altrettanto trasparente da tali parole la verità del modo di essere, di sentire, di comportarsi di Gesù verso i peccatori.


4. Lo accusavano di essere "amico dei pubblicani (ossia degli esattori delle imposte, mal visti perché esosi e ritenuti inosservanti) (cfr. Mt 5,46;9,11.18.17), e dei peccatori". Gesù non rifiuta radicalmente questo giudizio, la cui verità, che pure esclude ogni connivenza, ogni reticenza, è confermata da molti episodi registrati nei Vangeli. così quello legato al nome del capo dei pubblicani di Gerico, Zaccheo, nella casa del quale Gesù si era, per così dire, autoinvitato: "Zaccheo, scendi subito (infatti Zaccheo essendo piccolo di statura, era salito su un albero per vedere meglio Gesù che passava), perché oggi devo fermarmi in casa tua". E quando il pubblicano scese pieno di gioia e offri a Gesù l'ospitalità nella propria casa, senti dire da lui: "Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anche egli, Zaccheo, è figlio di Abramo; il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto" (cfr. Lc 19,1-10). Da questo testo appare non soltanto la familiarità di Gesù con pubblicani e peccatori ma anche il motivo della loro ricerca e frequentazione da parte sua: la loro salvezza.


5. Un avvenimento analogo è legato al nome di Levi, figlio di Alfeo. L'episodio è tanto più significativo in quanto questo uomo, che Gesù aveva visto "seduto al banco delle imposte", era stato da lui chiamato a diventare uno degli apostoli: "Seguimi", gli aveva detto. Egli, alzatosi, lo segui. E' elencato tra i Dodici sotto il nome di Matteo, e sappiamo che è l'autore di uno dei Vangeli.

L'evangelista Marco dice che Gesù "stava a mensa in casa di lui", e che "molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli" (cfr. Mc 2,13-15). Anche in questo caso "gli scribi della setta dei farisei" fecero le loro rimostranze ai discepoli; ma Gesù disse loro: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mc 2,17).


6. Il sedere a mensa con altri - compresi "i pubblicani e i peccatori" - è un modo di essere umano, che in Gesù si nota fin dall'inizio della sua attività messianica. Infatti una delle prime occasioni in cui egli manifesto il suo potere messianico fu al banchetto nuziale di Cana di Galilea, al quale partecipava insieme a sua Madre e ai discepoli (cfr. Jn 2,1-12). Ma anche in seguito Gesù era solito accettare gli inviti a tavola e non soltanto da parte dei "pubblicani" ma anche dei "farisei", che erano i suoi più accaniti avversari. Lo leggiamo per esempio in Luca: "Uno dei farisei lo invito a mangiare da lui. Egli entro nella casa del fariseo e si mise a tavola" (Lc 7,36).


7. Durante questo pasto avviene un fatto che getta ancora nuova luce sul comportamento di Gesù verso la povera umanità composta di tanti "peccatori" che i presunti "giusti" disprezzano e condannano. Ecco, una donna nota nella città come peccatrice si trovava tra i presenti, e piangendo baciava i piedi di Gesù e li cospargeva di olio profumato. Nasce allora un colloquio tra Gesù e il padrone di casa, nel corso del quale Gesù stabilisce un essenziale legame tra la remissione dei peccati e l'amore ispirato dalla fede: "Le sono perdonati i molti peccati, poiché ha molto amato... Poi disse a lei: Ti sono perdonati i tuoi peccati... la tua fede ti ha salvata. Và in pace!" (cfr. Lc 7,36-50).


8. Questo non è l'unico caso del genere. Ve ne è un altro, che in qualche modo è drammatico: quello di "una donna sorpresa in adulterio" (cfr. Jn 8,1-11). Anche quest'avvenimento, come quello precedente, spiega in quale senso Gesù era "amico dei pubblicani e dei peccatori". Egli dice alla donna: "Và, e d'ora in poi non peccare più" (Jn 8,11). Colui che era "in tutto simile a noi fuorché nel peccato", si è dimostrato vicino ai peccatori e alle peccatrici, per allontanare da loro il peccato. Ma mirava a questo scopo messianico in un modo completamente "nuovo" rispetto al rigore che riservavano ai "peccatori" coloro che li giudicavano in base alla legge antica. Gesù operava nello spirito di un grande amore verso l'uomo, in base alla profonda solidarietà che nutriva in sè per chi era stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza (cfr. Gn 1,27;5,1).


9. In che cosa consiste questa solidarietà? Essa è la manifestazione dell'amore che ha la sua sorgente in Dio stesso. Il Figlio di Dio è venuto nel mondo per rivelare quest'amore. Lo rivela già per il fatto che lui stesso si è fatto uomo: uno di noi. Quest'unione con noi nell'umanità da parte di Gesù Cristo, vero uomo, è l'espressione fondamentale della sua solidarietà con ogni uomo, perché parla eloquentemente dell'amore con cui Dio stesso ha amato tutti e ciascuno. L'amore viene qui riconfermato in un modo tutto particolare: colui che ama, desidera condividere tutto con l'amato; proprio per questo il Figlio di Dio si fa uomo. Di lui aveva predetto Isaia: "Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie" (Mt 8,17 cfr. Is 53,4). Gesù condivide così con ogni figlio e figlia del genere umano la stessa condizione esistenziale. E in questo egli rivela anche l'essenziale dignità dell'uomo: di ciascuno e di tutti. Si può dire che l'incarnazione è una "rivalutazione" ineffabile dell'uomo e dell'umanità! 10. Questo "amore-solidarietà" spicca nell'intera vita e missione terrena del Figlio dell'uomo soprattutto nei riguardi di coloro che soffrono sotto il peso di qualsiasi miseria fisica o morale. Al vertice del suo cammino ci sarà il "dare la propria vita in riscatto per molti" (cfr. Mc 10,45): il sacrificio redentore della croce. Ma sulla via che porta a questo sacrificio supremo, l'intera vita terrena di Gesù è una multiforme manifestazione della sua solidarietà con l'uomo, sintetizzata in quelle sue parole: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire, e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mc 10,45). Era bambino come ogni bambino umano. Ha lavorato con le proprie mani accanto a Giuseppe di Nazaret, così come lavorano tutti gli uomini (cfr. LE 26). Era un figlio d'Israele, partecipava alla cultura, alla tradizione, alla speranza ed alla sofferenza del suo popolo. Ha conosciuto anche egli ciò che spesso avviene nella vita degli uomini chiamati a qualche missione: l'incomprensione e addirittura il tradimento di uno di coloro che lui stesso aveva scelto come suoi apostoli e continuatori: e anch'egli ha provato, per questo, un profondo dolore (cfr. Jn 13,21).

E quando si è avvicinato il momento in cui doveva "dare la propria vita in riscatto per molti" (Mt 20,28), ha offerto volontariamente se stesso (cfr. Jn 10,18), consumando così il mistero della sua solidarietà nel sacrificio. Il governatore romano non trovo altra parola per definirlo di fronte agli accusatori riuniti, se non questa: "Ecco l'uomo!" (Jn 19,5).

Questa parola di un pagano ignaro del mistero ma non insensibile al fascino che promanava da Gesù anche in quel momento, dice tutto sulla realtà umana di Cristo: Gesù è l'uomo; un vero uomo che, in tutto simile a noi fuorché nel peccato, si è fatto vittima per il peccato ed è diventato solidale con tutti fino alla morte di croce.


[Omissis. Seguono saluti nelle varie lingue]


Data: 1988-02-10 Data estesa: Mercoledi 10 Febbraio 1988

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