Gli occhi del Signore, un lampo di misericordia. Il suo sguardo sulle nostre vite, una carezza d’amore. Il suo cuore, ricolmo di zelo per il nostro destino. I suoi occhi indaffarati, che fatica cercarci tutti. E che dolore intenso il vederci stanchi e oppressi, “lacerati e gettati a terra” come dice il testo greco.
Sì, il nostro cuore, il cuore d’ogni uomo è lacerato, nella menzogna primordiale, nell’inganno del demonio che ci ha illusi promettendoci un futuro da dio; il diavolo, il “divisore” ci ha spaccato in due; da una parte quello per cui siamo nati, dall’altra quello che, credendo alle imposture diaboliche, siamo diventati.
Lacerati, Figli di Dio che vivono come orfani, gettati a terra e incapaci di rialzarsi. Mendicando un briciolo di vita in tutto quel che facciamo, insoddisfatti, insoffernti, depressi. Nudi, come i progenitori, e soli. Anonimi, senza radici se non quelle che ci legano alla carne, e con essa alla corruzione.
E alla maledizione di chi confida nell’uomo, preda di delusioni e amarezze. In fondo è quel che viviamo tutti, pecore senza pastore. Senza conoscere l’amore, quello capace di colmare il cuore, viviamo in apnea dentro la storia, cercando il modo di non farci troppo male, sapendo che il destino è il macello, la morte, e quindi non vale la pena impegnarsi troppo, se non per arraffare il più possibile tra i saldi che la vita ci propone. Gadget, vacanze, amorucci, e ora anche un figlio come lo vuoi e quando lo vuoi. Pecore senza pastore, senza luce, senza guida. Senza amore.
E lo sguardo del Signore plana oggi su di noi, le sue pupille dense di misericordia scendono giù, fino in fondo, proprio dove oggi il più vero di me giace esanime e senza speranza. Il suo cuore materno, la sua compassione che è viscere, un utero di misericordia. Si, lo sguardo di Gesù, quello del vangelo di oggi che rivela il cuore di Dio, è uno sguardo di madre fremente nelle fibre più intime, una madre coraggio dinnanzi ad un figlio spacciato.
No. Gesù come la madre di un figlio dilaniato dal male o dalla droga, non si arrende, e dona tutto se stesso, getta tutta la sua vita. Lo sguardo di Gesù ci vede morti. Solo la vita, una vita più forte di quella che abbiamo smarrito, solo una vita che non muore può salvarci. La sua. Gettata gratuitamente, senza condizioni, senza speranza di ricompensa o guadagno. Per puro amore. Di chi non può, non sa contraccambiare, meno che meno guadagnarsi la salvezza e il riscatto. Il perdono.
Il cuore di Dio in uno sguardo pieno d’amore. E’ lo sguardo del Figlio, quello della Chiesa. Apostoli concreti, uomini come tutti, incontrati, sanati, amati. Lo sguardo di Gesù su di loro, la chiamata che è stata perdono e liberazione, gioia e gratitudine.
E le strade del mondo dischiuse, uomini da cercare, da guardare, da salvare. Il pensiero di Cristo nei propri pensieri il suo sguardo stampato sul volto, lo zelo, la gelosia per la vita oppressa e stanca, triste e sola, innaturale e smarrita di ogni uomo, l’amore senza limiti che urge dentro come un fuoco. Il cuore incendiato, come S. Francesco Saverio, il cuore di Dio, il cuore del Figlio, il cuore della Chiesa. “Gettata” come il Suo Sposo, (il testo greco dice “pregate perché il padrone della messe “getti fuori” operai nella sua messe) fuori da sé, dai propri schemi, dalle proprie sicurezze, alla ricerca di ogni uomo prigioniero del “nemico”.
Gettati fuori dallo Spirito, come il Signore getatto nel deserto a combattere per tutti noi, il deserto che preparava la missione; la Chiesa e il suo Signore, un soffio d’amore a guarire l’umanità. Gettata la vita, gettata fuori dalla città, crocifissi in ogni angolo del mondo, la Chiesa e il suo Signore, martiri d’amore e di verità, pastori di un gregge da condurre al cielo.
Nomi, storie vite. Gli Apostoli, Gesù. E milioni di nomi, di storie e di vite da cercare e salvare. Amare. Tra di esse, anche noi. Anche oggi. Amati, gratuitamente. Per amare gratuitamente. Per guardare ogni uomo così come ci guarda il Signore.
Buona domenica.
Sì, il nostro cuore, il cuore d’ogni uomo è lacerato, nella menzogna primordiale, nell’inganno del demonio che ci ha illusi promettendoci un futuro da dio; il diavolo, il “divisore” ci ha spaccato in due; da una parte quello per cui siamo nati, dall’altra quello che, credendo alle imposture diaboliche, siamo diventati.
Lacerati, Figli di Dio che vivono come orfani, gettati a terra e incapaci di rialzarsi. Mendicando un briciolo di vita in tutto quel che facciamo, insoddisfatti, insoffernti, depressi. Nudi, come i progenitori, e soli. Anonimi, senza radici se non quelle che ci legano alla carne, e con essa alla corruzione.
E alla maledizione di chi confida nell’uomo, preda di delusioni e amarezze. In fondo è quel che viviamo tutti, pecore senza pastore. Senza conoscere l’amore, quello capace di colmare il cuore, viviamo in apnea dentro la storia, cercando il modo di non farci troppo male, sapendo che il destino è il macello, la morte, e quindi non vale la pena impegnarsi troppo, se non per arraffare il più possibile tra i saldi che la vita ci propone. Gadget, vacanze, amorucci, e ora anche un figlio come lo vuoi e quando lo vuoi. Pecore senza pastore, senza luce, senza guida. Senza amore.
E lo sguardo del Signore plana oggi su di noi, le sue pupille dense di misericordia scendono giù, fino in fondo, proprio dove oggi il più vero di me giace esanime e senza speranza. Il suo cuore materno, la sua compassione che è viscere, un utero di misericordia. Si, lo sguardo di Gesù, quello del vangelo di oggi che rivela il cuore di Dio, è uno sguardo di madre fremente nelle fibre più intime, una madre coraggio dinnanzi ad un figlio spacciato.
No. Gesù come la madre di un figlio dilaniato dal male o dalla droga, non si arrende, e dona tutto se stesso, getta tutta la sua vita. Lo sguardo di Gesù ci vede morti. Solo la vita, una vita più forte di quella che abbiamo smarrito, solo una vita che non muore può salvarci. La sua. Gettata gratuitamente, senza condizioni, senza speranza di ricompensa o guadagno. Per puro amore. Di chi non può, non sa contraccambiare, meno che meno guadagnarsi la salvezza e il riscatto. Il perdono.
Il cuore di Dio in uno sguardo pieno d’amore. E’ lo sguardo del Figlio, quello della Chiesa. Apostoli concreti, uomini come tutti, incontrati, sanati, amati. Lo sguardo di Gesù su di loro, la chiamata che è stata perdono e liberazione, gioia e gratitudine.
E le strade del mondo dischiuse, uomini da cercare, da guardare, da salvare. Il pensiero di Cristo nei propri pensieri il suo sguardo stampato sul volto, lo zelo, la gelosia per la vita oppressa e stanca, triste e sola, innaturale e smarrita di ogni uomo, l’amore senza limiti che urge dentro come un fuoco. Il cuore incendiato, come S. Francesco Saverio, il cuore di Dio, il cuore del Figlio, il cuore della Chiesa. “Gettata” come il Suo Sposo, (il testo greco dice “pregate perché il padrone della messe “getti fuori” operai nella sua messe) fuori da sé, dai propri schemi, dalle proprie sicurezze, alla ricerca di ogni uomo prigioniero del “nemico”.
Gettati fuori dallo Spirito, come il Signore getatto nel deserto a combattere per tutti noi, il deserto che preparava la missione; la Chiesa e il suo Signore, un soffio d’amore a guarire l’umanità. Gettata la vita, gettata fuori dalla città, crocifissi in ogni angolo del mondo, la Chiesa e il suo Signore, martiri d’amore e di verità, pastori di un gregge da condurre al cielo.
Nomi, storie vite. Gli Apostoli, Gesù. E milioni di nomi, di storie e di vite da cercare e salvare. Amare. Tra di esse, anche noi. Anche oggi. Amati, gratuitamente. Per amare gratuitamente. Per guardare ogni uomo così come ci guarda il Signore.
Buona domenica.
Un altro commento
Il Regno dei Cieli è vicino. Gli Apostoli ne sono gli ambasciatori. E, con loro, anche noi. Il Vangelo di oggi getta una luce di consolazione sulla nostra vita, sulla missione alla quale siamo chiamati. Essere quel che siamo. Come diceva Giovanni Paolo II, questo equivale ad incendiare il mondo. Un Giapponese in Italia, faccia quel che faccia, ovunque vada manifesta chiaramente la propria origine.
La porta disegnata nei suoi occhi, se ne sente l’eco nell’accento, lo si intuisce dall’approccio alle cose della vita. Per gli Apostoli del Regno dei Cieli è esattamente lo stesso. Ovunque appaiano, si fa presente il Cielo. Lo recano impresso nelle loro vite, nel pensiero, nelle parole. Il Regno della Grazia, dove vivono coloro che hanno ricevuto tutto gratuitamente e gratuitamente lo donano. L’amore, la giustizia e la pace. Per questo non portano con sè alcuna sicurezza, alcun appoggio se non la Parola per la quale sono stati inviati.
La Parola che conferma le loro parole, che rende evidente la loro natura, quella di figli di Dio, cittadini del Cielo. La volontà di Dio si compie in loro per pura Grazia. Monete, sandali, bisacce non fanno per loro. Il loro bagaglio, come per Davide dinnanzi a Golia, sono solo le cinque pietre, i cinque libri della Torah, la Parola trafitta delle cinque piaghe del Signore. Il potere di curare e guarire li accompagna, fare presente il Cielo, la vittoria sul mondo e la corruttibilità della carne, la vita più forte della morte.
La vita celeste. Essa è un dono del Cielo, del Padre. Le virtù teologali, fede, speranza e carità, i connotati della Grazia battesimale. Vivere in questa Grazia, a questo sono chiamati e inviati gli Apostoli. A questo siamo chiamti ed inviati anche noi. Ogni giorno sulle strade della nostra vita. Essere quel che siamo. La vita celeste in noi, lo Spirito Santo che ispira, guida e compie in noi le opere di vita eterna che ogni uomo attende, che tutti hanno diritto di vedere, per credere, per essere salvati. Nessun piano preventivo, nessun programma se non quello di Benedetto XVI: essere docile alla volontà di Dio, alla Sua Grazia.
Ad essa attingere ogni istante, come Maria ai piedi di Gesù, ascoltare la Sua Parola sussurrata tra le pieghe della vita. Anche ogi siamo dunque inviati ad accendere il mondo. Essendo quel che siamo, deboli, infarciti di difetti, peccatori. Amati. Gratuitamente. Istante dopo istante. Al lavoro, in famiglia, nella malattia, nella sofferenza o nella gioia l’amore del quale siamo amati è la nostra manna, che non imputridisce.
Non portiamo due tuniche, non possiamo prendere e assicurarci il futuro. Ogni giorno dobbiamo uscire e attingere il Suo amore, nell’ascolto della Parola e nei sacramenti. Precari ma pieni di speranza. Ogni giorno sul treno della vita fin dove il Signore ci condurrà. Ad essere accolti oppure no, la pace, il dono messianico, l’aria del Cielo, nessuno potrà togliercela. Essa è con noi per sempre.
La porta disegnata nei suoi occhi, se ne sente l’eco nell’accento, lo si intuisce dall’approccio alle cose della vita. Per gli Apostoli del Regno dei Cieli è esattamente lo stesso. Ovunque appaiano, si fa presente il Cielo. Lo recano impresso nelle loro vite, nel pensiero, nelle parole. Il Regno della Grazia, dove vivono coloro che hanno ricevuto tutto gratuitamente e gratuitamente lo donano. L’amore, la giustizia e la pace. Per questo non portano con sè alcuna sicurezza, alcun appoggio se non la Parola per la quale sono stati inviati.
La Parola che conferma le loro parole, che rende evidente la loro natura, quella di figli di Dio, cittadini del Cielo. La volontà di Dio si compie in loro per pura Grazia. Monete, sandali, bisacce non fanno per loro. Il loro bagaglio, come per Davide dinnanzi a Golia, sono solo le cinque pietre, i cinque libri della Torah, la Parola trafitta delle cinque piaghe del Signore. Il potere di curare e guarire li accompagna, fare presente il Cielo, la vittoria sul mondo e la corruttibilità della carne, la vita più forte della morte.
La vita celeste. Essa è un dono del Cielo, del Padre. Le virtù teologali, fede, speranza e carità, i connotati della Grazia battesimale. Vivere in questa Grazia, a questo sono chiamati e inviati gli Apostoli. A questo siamo chiamti ed inviati anche noi. Ogni giorno sulle strade della nostra vita. Essere quel che siamo. La vita celeste in noi, lo Spirito Santo che ispira, guida e compie in noi le opere di vita eterna che ogni uomo attende, che tutti hanno diritto di vedere, per credere, per essere salvati. Nessun piano preventivo, nessun programma se non quello di Benedetto XVI: essere docile alla volontà di Dio, alla Sua Grazia.
Ad essa attingere ogni istante, come Maria ai piedi di Gesù, ascoltare la Sua Parola sussurrata tra le pieghe della vita. Anche ogi siamo dunque inviati ad accendere il mondo. Essendo quel che siamo, deboli, infarciti di difetti, peccatori. Amati. Gratuitamente. Istante dopo istante. Al lavoro, in famiglia, nella malattia, nella sofferenza o nella gioia l’amore del quale siamo amati è la nostra manna, che non imputridisce.
Non portiamo due tuniche, non possiamo prendere e assicurarci il futuro. Ogni giorno dobbiamo uscire e attingere il Suo amore, nell’ascolto della Parola e nei sacramenti. Precari ma pieni di speranza. Ogni giorno sul treno della vita fin dove il Signore ci condurrà. Ad essere accolti oppure no, la pace, il dono messianico, l’aria del Cielo, nessuno potrà togliercela. Essa è con noi per sempre.
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