Ratzinger - Benedetto XVI. Corpus Domini: La vittoria che fa l’uomo contento



Festa della gratitudine per il trionfo di Cristo sulla morte. Questo è il Corpus Domini

del cardinale Joseph Ratzinger

L’Ultima Cena, altare del Preziosissimo Sangue, scultura lignea, Tilman Riemenschneider, chiesa di San Giacomo, Rothenburg
Che significa per me il Corpus Domini? Anzitutto il ricordo di un giorno di festa, nel quale era presa assolutamente alla lettera l’espressione che Tommaso d’Aquino ha coniato in uno dei suoi inni per il Corpus Domini: «Quantum potes, tantum aude», devi osare tutto ciò che puoi per tributargli la lode dovuta... Questi versi richiamano d’altra parte alla memoria una frase che aveva formulato il martire Giustino già nel secondo secolo. Nella sua presentazione della liturgia cristiana egli scrive che chi la presiede, cioè il sacerdote, nella celebrazione eucaristica deve elevare al cielo preghiere e rendimenti di grazie «con tutta la forza di cui dispone»1. Nel Corpus Domini tutta la comunità si sente chiamata a questo compito: si deve osare tutto ciò che si può. Sento ancora il profumo che emanava dai tappeti di fiori e dalle betulle verdeggianti; appartengono a questi ricordi anche gli ornamenti presenti in tutte le case, le bandiere, i canti; sento ancora gli strumenti a fiato della banda locale, che in questo giorno osavano talvolta più di quanto potessero; sento lo scoppio dei mortaretti con cui i ragazzi esprimevano la loro prorompente gioia di vivere, ma con cui nelle vie del villaggio proprio in questo modo salutavano Cristo come un capo di Stato, anzi come il capo supremo, come il Signore del mondo. L’indefettibile presenza di Cristo veniva celebrata in questo giorno come una visita di Stato che non trascura, si potrebbe dire, nemmeno il più piccolo villaggio.
Il Corpus Domini ci rinvia anche alle questioni sollevate dal rinnovamento liturgico, con le sue prospettive teologiche. È giusto – ci chiedevamo – celebrare una volta all’anno l’Eucaristia come una visita di Stato fatta dal Signore del mondo, con tutte le manifestazioni tipiche di una gioia trionfale? Ci veniva poi ricordato che l’Eucaristia fu istituita nella sala dell’Ultima Cena e che è da lì che prende i connotati permanenti della sua celebrazione. I segni del pane e del vino, scelti dal Signore per questo mistero, richiamano l’attenzione sul gesto del ricevere. Il modo corretto di ringraziare per l’istituzione dell’Eucaristia è perciò la stessa celebrazione eucaristica, nella quale celebriamo la sua morte e la sua resurrezione e da lui siamo edificati in Chiesa vivente. Tutto il resto sembrava un vero e proprio fraintendimento dell’Eucaristia. Vi si aggiunse anche l’allarmata resistenza a tutto ciò che aveva sapore di trionfalismo, che non sembrava conciliabile con la coscienza cristiana del peccato e con la tragica situazione del mondo. E così la celebrazione del Corpus Domini divenne imbarazzante. Un influente manuale di liturgia, apparso in due volumi negli anni 1963-65, nella sua presentazione dell’anno liturgico non menziona nemmeno il Corpus Domini. Timidamente dedica solo una pagina all’argomento in un capitolo dal titolo: “Devozioni eucaristiche”; e tenta di superare il suo imbarazzo con la proposta, piuttosto astrusa, che si dovrebbe concludere la processione del Corpus Domini con la comunione agli infermi, perché proprio questa sarebbe l’unica circostanza in cui una processione, un percorso con l’Ostia, avrebbe un significato funzionale2.
Il Concilio di Trento era stato in questo molto meno chiuso. Aveva detto che il Corpus Domini aveva lo scopo di suscitare la gratitudine e di tenere desta in tutti la memoria del Signore3. Poche parole che fanno emergere ben tre motivi. Il Corpus Domini deve reagire alla smemoratezza dell’uomo, deve suscitare in lui sentimenti di riconoscenza e ha a che fare con la comunione, la forza unificante che proviene dallo sguardo rivolto all’unico Signore. Ci sarebbe molto da dire in proposito. Non siamo forse divenuti atrocemente incapaci di pensare e di far memoria proprio nell’era dei computer, delle assemblee e delle agende, usate perfino dai bambini delle elementari?
Gli psicologi ci dicono che la nostra razionalità cosciente è soltanto la superficie di tutta l’anima. Ma noi siamo così sollecitati da questo primo livello che il profondo non riesce più a farsi sentire. Questo fatto mina in definitiva la salute dell’uomo, perché egli non sente più ciò che è autentico, non è più lui stesso a vivere, ma è vissuto da ciò che è casuale e superficiale. In stretta connessione con questo sta il nostro rapporto col tempo. Il nostro rapporto col tempo è la dimenticanza. Noi viviamo sul momento. Vogliamo addirittura dimenticare, perché non ammettiamo la vecchiaia e la morte. Ma questa volontà di oblio è in realtà una menzogna che si trasforma in un grido aggressivo verso il futuro, un grido che vuole infrangere il tempo. Ma anche questa romantica del futuro, per cui non si vuole essere più soggetti al tempo, è una menzogna che distrugge l’uomo e il mondo. L’unico modo per dominare veramente il tempo è il perdono e la riconoscenza, che accetta il tempo come un dono e lo trasforma in gratitudine.
Ma ritorniamo al Concilio di Trento, dove viene fatta senza alcuna remora l’affermazione che nel Corpus Domini si celebra la vittoria di Cristo, il suo trionfo sulla morte. Così come la nostra tradizione bavarese onorava Cristo quale insigne “ospite di Stato”, qui ci si rifà all’antico uso romano di onorare con un corteo trionfale il condottiero vittorioso che ritorna in patria. La sua campagna militare era diretta contro la morte, che divora il tempo e ci costringe così alla menzogna che vuole dimenticare o distruggere il tempo. Ora, soltanto se c’è una risposta alla morte, l’uomo può essere veramente contento. Ma, se esiste questa risposta, allora è essa l’effettiva e valida autorizzazione alla gioia, ciò che può veramente costituire il fondamento di una festa. L’Eucaristia è, nella sua essenza, la risposta al problema della morte, l’incontro con l’amore, che è più forte della morte. Il Corpus Domini è risposta a questo nucleo del mistero eucaristico. Una volta all’anno esso pone ben al centro la gioia trionfale per questa vittoria e accompagna il vincitore nel corteo trionfale attraverso le vie. La solennità del Corpus Domini non viola perciò il primato del ricevere, che trova espressione nell’offerta del pane e del vino. Al contrario, essa non fa altro che mettere bene in luce cosa significa veramente accogliere: significa tributare al Signore l’accoglienza che spetta al vincitore. Accoglierlo significa adorarlo; accoglierlo significa appunto «Quantum potes tantum aude»: si deve osare tutto quello che si può.
Dio Padre mostra il corpo di Gesù Cristo, scultura lignea, Tilman Riemenschneider, Museo Nazionale, Berlino
Il Concilio di Trento conclude la sua esposizione sul Corpus Domini con una proposizione che suona offesa ai nostri orecchi ecumenici e che certamente ha contribuito in maniera non irrilevante a far sì che quella festa cadesse in discredito presso i nostri fratelli evangelici. Se però si depurano queste formulazioni dalle passioni del secolo XVI, viene sorprendentemente a galla qualche cosa di positivo e di grande. Ma ascoltiamo anzitutto semplicemente ciò che dice il testo. Nel testo conciliare si legge che il Corpus Domini deve rappresentare il trionfo della verità «in modo tale che, al cospetto di siffatto splendore e di una tale esultanza di tutta la Chiesa, i suoi avversari... o ne restino del tutto confusi oppure alla fine rinsaviscano scossi dalla vergogna»4. Se sfrondiamo questo testo dalla polemica, esso significa che la forza con la quale la verità si fa strada dev’essere la gioia con cui essa si manifesta. L’unità non si afferma con la polemica e nemmeno con teorie accademiche, ma con l’irradiazione della gioia pasquale; essa conduce al cuore della professione di fede: “Cristo è risorto”. Essa conduce al cuore dell’esistenza umana, che attende questa gioia con ogni sua fibra. Così la gioia pasquale si caratterizza come l’elemento essenziale dell’ecumenismo e della missionarietà; per essa i cristiani dovrebbero gareggiare fra loro e per essa farsi riconoscere nel mondo. Il Corpus Domini esiste per questo. E questo è il più profondo significato del distico, «Quantum potes, tantum aude»: sfrutta tutto lo splendore del bello, se si tratta di esprimere la gioia delle gioie. L’amore è più forte della morte; in Gesù Cristo Dio è in mezzo a noi.


Note
1 Giustino, Apologia I, 67,5.
2 A. G. Martimort (a cura di), Handbuch der Liturgiewissenschaft, I, Frei­burg 1963, p. 489, nota 15; tr. it. La Chiesa in preghiera. Introduzione alla liturgia, Desclée, Roma-Parigi-Tournai-New York 21966, p. 520, nota 6.
3 «Aequissimum est enim sacros aliquos statutos esse dies, cum christiani omnes singulari ac rara quadam significatione gratos et memores testentur ani­mos erga communem Dominum et Redemptorem pro tam ineffabili et plane divino beneficio, quo mortis eius victoria et triumphus repraesentatur». Decretum de sanctissimo eucharistiae sacramento (Sessio XIII, 11.10.1551), cap. V; DS 1644.
4 « ... Ut eius adversarii in conspectu tanti splendoris et in tanta universae Ecclesiae laetitia positi vel debilitati et fracti tabescant vel pudore affecti et confusi aliquando resipiscant» (ibidem).

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