P. R. Cantalamessa. L’Eucaristia: presenza dell’incarnazione e memoriale della Pasqua

2005-03-04- II Predica di Quaresima alla Casa Pontificia


(Sintesi)


La quinta strofa dell’Adoro te devote è, teologicamente, la più densa di tutto l’inno. Dice:

O memoriále mortis Dómini, Panis vivus vitam praestans hómini, praesta meae menti de te vívere, et te illi semper dulce sápere.

O vero memoriale della crocifissione,pane vivo e vitale offerto in comunione.Concedi alla mia anima che sempre di te vivae gusti la dolcezza che sol da te deriva.

In quattro brevi versi l’autore riassume l’essenziale della visione eucaristica di Paolo e di Giovanni. L’Eucaristia come “memoriale della morte del Signore” è il tratto che caratterizza la tradizione paolina (cfr. 1 Cor 11, 24; Lc 22, 19); l’Eucaristia come “pane vivo” è ciò che caratterizza la visione giovannea (cfr. Gv 6, 30 ss).

La prospettiva paolina accentua l’idea di sacrificio e di immolazione, facendo dell’Eucaristia l’annuncio della morte del Signore e il compimento della Pasqua : “Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore” (1 Cor 11, 26) e “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato” (1 Cor 5, 7); la prospettiva giovannea accentua l’idea dell’Eucaristia come banchetto e come comunione: “La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda” (Gv 6, 55). L’una spiega l’Eucaristia a partire dal mistero pasquale, l’altra, a partire dall’incarnazione; se infatti la carne di Cristo da la vita al mondo è perché “il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14). Sono riconciliate tra loro le due dimensioni dell’Eucaristia come sacrificio e come sacramento non sempre facili da tenere insieme.

Le due visioni dell’Eucaristia, quella paolina centrata sul mistero pasquale e quella giovannea centrata sull’incarnazione del Verbo, hanno dato luogo fin dall’antichità a due teologie e due spiritualità eucaristiche diverse e complementari: quella alessandrina e quella antiochena. Se vogliamo oggi esplorare le ricchezze contenute nell’una e nell’altra visione, non c’è via migliore che appropriarci dei risultati di quella ricchissima stagione del pensiero cristiano.

La visione alessandrina dell’Eucaristia è strettamente legata a un certo modo di intendere l’incarnazione e ne è come il corollario.

“E il Verbo si è fatto carne: non ha detto che si è fatto nella carne, ma, ripetutamente, che si è fatto carne, per dimostrarne l’unione...Chi mangia, dunque, la santa carne di Cristo ha la vita eterna: la carne ha, infatti, in se stessa il Verbo che è Vita per natura”.

Tutto qui assume un carattere estremamente concreto e realistico. Chi mangia il corpo e beve il sangue di Cristo viene a trovarsi “unito e mescolato con lui, come cera unita a cera”. Come il lievito fa fermentare tutta la massa, così una piccola porzione di pane eucaristico riempie tutto il nostro corpo dell’energia divina. Egli è in noi e noi in lui, come appunto il lievito è nell’impasto e l’impasto nel lievito. Grazie all’Eucaristia diventiamo “concorporei” di Cristo.

La conseguenza pratica di tutto ciò è una pressante esortazione alla comunione frequente, un punto, questo, per il quale l’autorità di san Cirillo venne spesso invocata, in seguito, contro i giansenisti. Basta leggere La vita in Cristo del Cabasilas, per rendersi conto fino a che punto questa visione dell’Eucaristia ha plasmato la spiritualità posteriore della Chiesa ortodossa.

Noi possiamo valorizzare, della visione giovannea, altri elementi divenuti nel frattempo di grande attualità. Uno di essi è l’insistenza sul servizio che spinge l’evangelista Giovanni a porre la lavanda dei piedi dove i sinottici pongono l’istituzione della cena; un altro è quello che mette in luce il ruolo del Padre nell’Eucaristia. “Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero”, dice Gesú ai giudei (Gv 6, 32).

L’Eucaristia costituisce, anche per gli Antiocheni, il risvolto sacramentale della cristologia, il luogo dove meglio appare la sua ricchezza e meno si avverte il pericolo di “nestorianesimo”. Scrive Teodoro di Mopsuestia:

“In primo luogo occorre sapere che, prendendo questo cibo compiamo un sacrificio. E’ certo che con questo cibo e con questa bevanda facciamo memoria della morte di nostro Signore e crediamo che questi elementi sono il ricordo della sua passione”.

L’Eucaristia viene presentata, fin dall’inizio, nel suo aspetto di sacrificio. Più che presenza reale di una persona, essa è vista come memoriale di un evento, la morte e risurrezione di Cristo. Tutto è centrato sul mistero pasquale:

“Con l’aiuto di questo memoriale, di questi simboli e di questi segni, ci accostiamo con dolcezza e gioia al Cristo risorto dai morti. Lo stringiamo, perché lo vediamo risorto e speriamo di partecipare alla sua risurrezione”.

Noi possiamo oggi completare e attualizzare anche questa seconda visione patristica dell’Eucaristia alla luce della dottrina del corpo mistico e del sacerdozio universale di tutti i battezzati. La dottrina del corpo mistico ci assicura che, nella Messa, la Chiesa non è solo colei che offre il sacrificio, ma anche colei che si offre in sacrificio insieme con il suo capo; “in ciò che offre è anche se stessa che la Chiesa offre”, diceva Agostino. A sua volta, la verità del sacerdozio universale permette di estendere questa partecipazione a tutti i fedeli, non solo ai sacerdoti.

La conclusione orante della quinta strofa dell’Adoro te devote è tanto semplice quanto profonda. Alla lettera dice: “Concedi all’anima mia di vivere di te e di gustare sempre la tua dolcezza”. La prima parte della frase si ispira chiaramente a Giovanni 6, 57: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me”.

La preposizione “per” (in greco, dià) ha qui valore causale e finale; indica insieme un movimento di provenienza e un movimento di destinazione. Significa che chi mangia il corpo di Cristo vive “da” lui, cioè a causa di lui, in forza della vita che proviene da lui, e vive “in vista di” lui, cioè per la sua gloria, il suo amore, il suo Regno. Come Gesù vive del Padre e per il Padre, così, comunicandoci al santo mistero del suo corpo e del suo sangue, noi viviamo di Gesù e per Gesù.
L’Eucaristia è stata sempre uno dei luoghi privilegiati dell’esperienza mistica ed è a questo stadio che ci trasporta l’Adoro te devote quando, alla fine, ci fa chiedere di “gustare la dolcezza” di Cristo nell’Eucaristia (et te illi semper dulce sapere). Dal V secolo in poi, in molte chiese della cristianità è attestato, durante la comunione, il canto: “Gustate et videte quoniam suavis Dominus” (Sal 34, 9): Gustate e vedete quanto è soave il Signore”. Anche l’Ave verum termina con l’esclamazione: “O Jesu dulcis, o Jesu pie, o Jesu fili Mariae!”, O Gesú dolce, o Gesú pio, o Gesú figlio di Maria”. Ma il testo che meglio riassume questo tema della dolcezza dell’Eucaristia è l’antifona al Magnificat dei Vespri della festa del Corpus Domini: “O qual suavis est Dominus spiritus tuus: “O quanto è soave il tuo spirito, Signore! Per dimostrare ai figli la tua dolcezza, con un pane soavissimo disceso dal cielo ricolmi di beni gli affamati, mentre rimandi a mani vuote i ricchi altezzosi”.

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